Giovedì scorso sono partita alla volta di Torino per godermi gli ultimi giorni del Torino Film Festival. Con l'arrivo del nuovo direttore Giulio Base, il festival mi è parso un po' cambiato rispetto agli anni precedenti. Si è puntato parecchio sulle star, è aumentato il numero di film "vecchi", proiettati negli eventi speciali o nelle retrospettive, le filmografie alternative, soprattutto quelle asiatiche, sono finite in secondo piano e, cosa per me tremenda, è scomparsa la sezione "Crazies", che tanta gioia mi aveva dato negli anni precedenti. Forse per questo ho avuto un po' di difficoltà a scegliere i film da vedere (avevo anche un carnet da 5 spettacoli, che ha reso la mia scelta ancora più ardua), salvo un paio di punti fermi, ma alla fine posso dirmi abbastanza soddisfatta di quello che ho visto. Spulciate questo agile riassunto per sapere cosa attendere con trepidazione per la prossima stagione cinematografica e... ENJOY!
Les barbares di Julie Delpy (2024)
Una piccola cittadina della Bretagna si offre di accogliere degli rifugiati ucraini ma, al loro posto, arriva una famiglia di siriani. Esistono immigrati di serie A e di serie B? Con la sua garbata, intelligente commedia, Julie Delpy (anche attrice) ci dice di sì, attraverso una satira abbastanza spietata, che coinvolge non solo i piccoli paesi e i fascistoni razzisti di ogni latitudine, ma anche chi pensa di essere sempre nel giusto e di compiere del bene, senza accorgersi del proprio egoismo. Pur essendo un film leggero, Les barbares non manca di momenti commoventi e veicola profonde riflessioni; inoltre, utilizza alla perfezione un cast corale di attori molto bravi, ai quali viene concesso tutto lo spazio che meritano. Il film non ha ancora una data di uscita italiana, ma mi aspetto che arrivi prima o poi, perché ha tutti gli ingredienti necessari per incontrare i gusti di un pubblico assai vasto!
The Assessment di Fleur Fortuné (2024)
Il primo film, tra quelli che ho visto, a trattare un tema che è stato il fil rouge del festival, ovvero la maternità. The Assessment è ambientato in un futuro distopico in cui alle persone non è più permesso avere figli; qualora li vogliano, le coppie devono sottoporsi, appunto, alla "valutazione" di un funzionario statale, che deciderà irrevocabilmente se i candidati sono idonei per adottare (attenzione, non mettere al mondo!) un bambino. Fleur Fortuné spinge a fondo sul pedale del grottesco, al punto che alcune scene le ho trovate forse troppo cringe, e ammetto che, a caldo, The Assessment mi ha fatto storcere il naso. Ripensandoci, credo sia il film più interessante visto al festival, sia per i temi trattati, sia visivamente (gli ambienti casalinghi, elegantissimi ma claustrofobici, ricordano quelli di Ex Machina, ma il setting esterno è altrettanto importante, e lo scontro tra natura e ingerenze umane è uno dei punti chiave della pellicola), sia a livello di attori: la Vikander è irriconoscibile e si carica sulle spalle un ruolo antipatico, sul filo sottile tra serietà e farsa, ed Elizabeth Olsen si conferma versatile, commovente e magnetica, grazie anche allo splendido sguardo che si ritrova. Himesh Patel, tra due dame, fa la figura del salame, e incarna un'umanità egoista, ormai allo sbando, schiava di una fredda scienza... insomma, un futuro non troppo distante dal nostro triste presente. Dubito che il film verrà distribuito prima del 2025, ma vi consiglio di non perderlo, qualora uscisse in Italia!
The Rule of Jenny Pen di James Ashcroft (2024)
L'ho puntato solo per un motivo, ovvero la presenza dell'adorato John Lithgow, e non sono rimasta delusa dalla performance di uno dei miei attori preferiti, molto più inquietante e cattivo della Jenny Pen titolare (altra ottima aggiunta alla già nutrita schiera di bambole cinematografiche da incubo). Purtroppo, il difetto del film è lo stesso di tante altre pellicole tratte da storie brevi, ovvero trascina all'infinito un ottimo spunto iniziale, facendosi sempre più ripetitivo mano a mano che la trama procede. Magari è così anche il racconto di Owen Marshall, che non ho letto e non riesco a trovare, ma a mio parere la riflessione sugli abusi di potere e sulla tremenda condanna di venire traditi da un corpo che invecchia, rendendoci prigionieri di noi stessi, avrebbe potuto essere più puntuale e persino più angosciante. Comunque, il duetto tra due grandi vecchi come Lithgow e Geoffrey Rush vale assolutamente la visione, e la grottesca cattiveria di alcune sequenze è da antologia. The Rule of Jenny Pen non ha ancora una data di uscita nei paesi anglofoni, quindi figuriamoci in Italia, dove temo non verrà mai distribuito.
Vena di Chiara Fleischhacker (2024)
L'unico film in concorso che ho visto, nonché quello che ha portato a casa più premi (il Premio speciale della Giuria IWONDERFULL e il premio FIPRESCI), ma anche quello che mi è piaciuto di meno. Parto proprio dalla motivazione del secondo premio, per dirvi cosa penso di Vena: "Per la sua capacità di trasformare la storia intensa di una maternità in un percorso plausibile di salvezza dalle dipendenze grazie a un’interpretazione molto umana, una storia emotivamente forte e un montaggio che scandisce bene i tempi della narrazione, a tratteggiare complessivamente una maturità registica non comune per un’opera prima”. Sono completamente d'accordo con gli apprezzamenti alla regista e al montaggio, considerato che Vena è la tesi di laurea di Chiara Fleischhacker, cineasta al suo primissimo film. Nonostante ciò, sembra diretto da una regista dall'abilità consumata, da tanto ogni sequenza è necessaria alla narrazione, priva di fronzoli eppure elegante, con piccoli tocchi che raccontano, più di mille parole, la personalità della protagonista (adorabili i dettagli rosa, tutto quel glitter, la femminilità delle orchidee in un contesto di squallore totale). Il problema, purtroppo, è che io sono totalmente incapace di guardare pellicole imperniate su giovani drogati pronti a rovinare non solo il proprio futuro, ma anche quello di eventuali bambini innocenti, senza che mi vada il sangue alla testa. Sono consapevole che queste storie di emarginazione e degrado vadano raccontate, ma non riesco ad empatizzare con questo genere di protagonisti, il che influisce inevitabilmente sul mio apprezzamento complessivo dell'opera. Oggettivamente, però, riconosco che Vena è un gran film, e auguro a Chiara Fleischhacker una carriera folgorante, che possa incantare cinefili ben più competenti e sensibili della sottoscritta. A tal proposito, aspettate, e sperate che i premi del Torino Film Festival si traducano in una distribuzione italiana, perché al momento non ce n'è traccia.
Nightbitch di Marielle Heller (2024)
Era un altro dei film che volevo assolutamente vedere. Purtroppo, anche in questo caso, è stato una mezza delusione, ancora più bruciante una volta conclusa la lettura del romanzo omonimo di Rachel Yoder. A difesa di Marielle Heller, anche sceneggiatrice, c'è da dire che non è facile tradurre in immagini lo stream of consciousness di una madre costretta ad affrontare i terribili cambiamenti che il suo ruolo le impone, e le riflessioni sulla natura della donna, tra richiami alla magia del femminino e fascinazioni antropologiche, nei quali indulge una protagonista sconvolta da trasformazioni fisiche e psicologiche. Inevitabilmente, la Heller semplifica, abbraccia in toto l'ironia pungente ed amara della prima parte del libro, e si concentra sugli aspetti più superficiali dello scontro tra madre casalinga e padre lavoratore, con tutto un codazzo di personaggi sui generis che, alternativamente, metteranno i bastoni tra le ruote alla protagonista, oppure la aiuteranno a trovare un equilibrio. Anche qui, come in The Rule of Jenny Pen, si ha purtroppo la sensazione di avere davanti una storia ripetitiva, che spesso gira a vuoto, nonostante l'abbondanza di momenti esilaranti e un paio di situazioni tristemente verosimili. In America, il film avrebbe dovuto uscire direttamente sul servizio streaming Hulu (Disney + da noi), ma alla fine la Searchlight ha deciso di distribuirlo al cinema proprio in questi giorni. In Italia arriverà di sicuro, prima o poi, ma chissà quando e come.
Waltzing with Brando di Bill Fishman (2024)
Chi mi conosce bene sa che AMO Billy Zane, fin dai tempi di Twin Peaks. Non stupitevi, dunque, del fatto che sia corsa ad accaparrarmi i biglietti per la proiezione con l'attore presente in sala, e che mi sia emozionata come una bambina nel vederlo (non troppo vicino, ahimé. La sala era praticamente riservata tranne per le ultime tre file, quindi non sono riuscita a raggiungerlo per una foto prima del film e sono stata calcioruotata fuori dal Massimo a fine proiezione, CACCA sugli organizzatori insensibili). Di conseguenza, non stupitevi nemmeno che sia andata a vedere un film che parla di Marlon Brando pur non sapendo quasi nulla del grande attore. Fortunatamente, Waltzing with Brando è una commedia che parla del rapporto tra Brando e Bernard Judge, l'architetto che lo ha aiutato a realizzare l'utopico progetto di creare un villaggio sostenibile sull'isola di Tetiʻaroa, ed è perfettamente fruibile anche da chi è poco interessato a una pellicola biografica. Anzi, diciamo che il film di Fishman dipinge Brando come un eccentrico attivista, un affascinante spirito libero, al limite un esasperante testa di cazzo, al quale però si può perdonare tutto, e si guarda bene dall'accennare alle controversie che, col tempo, hanno gettato ombre sull'attore (però persino io, che di Brando so pochissimo, mi sono sentita in imbarazzo davanti all'atmosfera giocosa e allegra della sequenza ambientata sul set di Ultimo tango a Parigi). Se la cosa non vi infastidisce, riuscirete a godervi un film simpatico e interessante, dove Billy Zane gigioneggia a più non posso, dando vita a un Marlon Brando impossibile da distinguere, fisicamente almeno, da quello reale. Però adesso cerchiamo di non consacrarlo a grande attore solo per questa interpretazione, ché Billyno era bello e bravo anche prima!!!
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