Trama: il boss della mala Dickie Moltisanti si ritrova a dover affrontare pericolose invasioni di territorio e problemi di famiglia, nel periodo delle contestazioni razziali di fine anni '60...
I Soprano incarnano per me i bei tempi andati in cui, innanzitutto, le serie veramente belle potevano venire centellinate a episodi settimanali senza che gli importuni rompiscatole su Facebook le finissero nel giro di una giornata (prima o poi scoprirò come sia possibile guardare una serie di 27 puntate da un'ora nell'arco di un giorno, giuro.) sbrodolando giudizi non richiesti un secondo dopo aver finito l'ultimo episodio perché altrimenti perderebbero il treno della critica/apprezzamento mordi e fuggi, e poi un periodo più felice della mia vita in cui potevo permettermi il lusso di dire "oggi mi guardo UN'ORA di The Sopranos senza rottura di palle. Anzi, sai che c'è? Siccome mi ero persa l'episodio della settimana precedente me ne guardo ADDIRITTURA DUE di fila. Oh, sono usciti i DVD? Diamine, magari arrivo anche a TRE episodi, crepi l'avarizia". Ricordo bene la full immersion australiana in lingua originale, nell'attesa del gran finale dell'ultima serie, il dolore di vedere il mondo di Tony Soprano (per quanto squallido, per quanto criminale) andare in rovina assieme al boss di Newark, sempre più vecchio, bolso e stanco; ricordo benissimo i personaggi tragicomici che circondavano il protagonista, quel mix di trivialità e poesia che ha caratterizzato la serie fin dalla prima puntata, il linguaggio televisivo totalmente innovativo, l'immensa bravura di quel James Gandolfini grandioso e scomparso troppo presto, le risate per quei "fangool", "capogoll" e "pisciatoio" inseriti nell'inglese stentato, l'odio devastante per alcuni personaggi, nominalmente Ralph Cifaretto ed A.J., che avrei voluto vedere appesi per le palle dopo mezza puntata. Per me I Soprano è LA serie per eccellenza e, anche se purtroppo non faccio parte del novero di fortunati che riesce a riguardarla almeno una volta all'anno, è rimasta impressa indelebilmente nel mio cuore. Potete ben immaginare come mi sia sentita quando ha cominciato a circolare la notizia che avrebbero realizzato un prequel cinematografico, scritto da David Chase (che avrebbe anche dovuto dirigere ma ha lasciato il timone ad Alan Taylor, già regista di alcune puntate della serie), con un giovane Tony Soprano interpretato nientemeno che da Michael Gandolfini, figlio di James. Mentirei se dicessi che non mi sono scese due lacrime, una di nostalgica speranza e una di nostalgico terrore, sensazioni contrastanti che mi hanno accompagnata fino al giorno della visione.
Ma allora com'è, alla fine, I molti santi del New Jersey? Intanto, bisogna dire che la presenza di Tony Soprano è marginale e, se speravate in una "origin story" del vostro boss preferito, rischiate di non ottenere proprio quel che desideravate. Ne I molti santi del New Jersey vengono piantati alcuni semi delle caratteristiche del Tony adulto, ma il protagonista della pellicola è suo "zio" Dickie Moltisanti, responsabile del giro di racket della famiglia Di Meo e modello di vita del giovane Tony, nonché padre di Chris Moltisanti; le vicende vengono spesso narrate dalla voce postuma di quest'ultimo, che offre una chiave di lettura decisamente parziale quando si tratta di Tony, evidentemente odiato e maledetto anche dall'inferno. Le peripezie di Dickie si snodano attraverso due tronconi principali, uno legato alla ribellione di un ex galoppino di colore spinto dalle lotte razziali a osare di più e cercare di prendersi una fetta dell'enorme torta criminale di Newark, l'altro alla relazione di Dickie con la sua goomar, nata nel sangue di un delitto imperdonabile che segnerà il protagonista in maniera indelebile, portandolo a cercare perdono nel reietto di famiglia, uno zio dimenticato e assurto al ruolo di "guru" in virtù del suo sereno distacco da tutti gli affari e i problemi della mafia. Se ciò che ho scritto vi ricorda qualcosa, di sicuro la parabola di Dickie è assai simile non solo a quella di Tony Soprano, mafioso atipico in cerca di una guida all'interno di una vita fatta di violenza, crimine, problemi familiari e sentimentali, ma anche a quella di mille altri mafiosi in altrettanti film di genere, ed è questo un po' il problema de I molti santi del New Jersey, ovvero la sua natura completamente anonima. Se non fosse per alcuni nomi importanti citati, il film di Alan Tayor potrebbe anche non far parte della saga de I Soprano e, se mi posso permettere, funge giusto da piccolo, insignificante tassello non necessario per capire l'opera creata da Chase. Peggio ancora, non ha la potenza necessaria per farsi ricordare per più di un paio di giorni oppure aspirare ad un posto importante all'interno della filmografia "di genere" e rischia di deludere non solo lo spettatore casuale (il quale, proprio per questo motivo, potrebbe però capire le vicende narrate anche senza avere visto la serie) ma anche e soprattutto i fan de I Soprano.
In tutto questo, io sono comunque riuscita non solo a farmi coinvolgere dalla storia di Dickie, per quanto banale, ma anche a commuovermi. La prima apparizione di Michael Gandolfini mi ha scioccata, ho dovuto abbassare lo sguardo e riprendermi un attimo prima di continuare a guardare il film, perché mi è parso di vedere lo spettro del mio adorato James sullo schermo, stesso sguardo, stesso sorriso, stessi atteggiamenti; si dice che il ragazzo non abbia mai guardato un episodio de I Soprano, posso anche crederci, ma se è davvero così la sua interpretazione del giovane Tony Soprano ha del miracoloso e sicuramente surclassa quella di Alessandro Nivola, non particolarmente impressionante nei panni di Dickie Moltisanti. Sul finale, poi, ho pianto senza ritegno e ho deciso di concludere la serata riguardando il primo episodio de I Soprano, giusto per trattenere ancora un po' nel cuore l'emozione data dall'ascolto di Woke Up This Morning sul passaggio di testimone che è il momento più bello di tutta la pellicola. Altro pregio del film, l'interpretazione di Vera Farmiga, nel ruolo di una Livia più giovane ma già preda di tutte quelle idiosincrasie che rendevano il personaggio odioso e terrificante nella serie originale; oltre alla sequenza in cui, finalmente, viene mostrato un episodio famigerato di cui si parlava in un episodio de I Soprano, val la pena sottolineare la bellezza tragicomica sia del ritorno a casa di Johnny Soprano (un Jon Bernthal sprecato, sarebbe stato molto interessante vedere in che modo Johnny è passato da capo mafia a "little nub" vessato da Livia, ma purtroppo il film si concentra su Dickie) sia del confronto tra Livia e Tony, concluso col solito "OH, POOR YOU!" da applauso della maledetta donnaccia. Interessanti e calzantissime, infine, le interpretazioni di Corey Stoll nei panni del viscido Junior e quelle di Billy Magnussen e John Magaro, perfetti nei panni di Paulie e Silvio nonostante lo scarso minutaggio. Preso per quel che è, ovvero senza troppe speranze né pretese, io credo che I molti santi del New Jersey sia un bel tuffo nel passato e un film piacevolissimo da guardare; nessuno ci toglierà mai I Soprano, nessuno potrà mai ridimensionarne il ruolo avuto nel cambiare le serie televisive, nessuno dimenticherà Gandolfini in favore del figlio, quindi sarebbe sciocco urlare al vilipendio e, anzi, magari il film di Taylor spingerà nuove generazioni a recuperare I Soprano, e questa è cosa buona e giustissima!
Del regista Alan Taylor ho già parlato QUI. Alessandro Nivola (Dickie Moltisanti), Leslie Odom Jr. (Harold McBrayer), Vera Farmiga (Livia Soprano), Jon Bernthal (Johnny Soprano), Corey Stoll (Junior Soprano), Ray Liotta ("Hollywood Dick" Moltisanti/Salvatore "Sally" Moltisanti), Billy Magnussen (Paulie Walnuts), John Magaro (Silvio Dante) e Michael Imperioli (Christopher Moltisanti) li trovate invece ai rispettivi link.
Pur non essendo una fan come te, pur non essendo mai arrivata alla commozione, mi sono però chiesta la stessa cosa: i non fan, chi I Soprano nemmeno li conosce, come lo possono trovare un film così, non ben centrato, non ben equilibrato?
RispondiEliminaVive di personaggi e di storie che già si conoscono, mentre il nuovo racconto di mafia che racconta, dici bene, non si distacca da altri molto più riusciti.
Con me, purtroppo, ha vinto la noia.
Ma infatti temo proprio che il film non abbia avuto, né in patria né tantomeno in Italia, il successo sperato, nemmeno come "operazione nostalgia". Un vero peccato.
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