Trama: a Mumbai, un uomo senza nome combatte sul ring con una maschera da scimmia. Il suo scopo, però, è la vendetta per una tragedia subita da bambino...
Ben vengano i film di menare! I quali, da John Wick in poi, sono usciti dalla nicchia ignorante in cui erano stati relegati dopo i gloriosi anni '80, per diventare uno dei generi più remunerativi dell'industria, a prescindere che si tratti di robetta divertente e poco tecnica, oppure di drammi più seri con attori, stuntman o registi che ne sanno a pacchi. Dev Patel, per esempio, è cintura nera primo dan di taekwondo, inoltre i suoi genitori hanno origini indiane, forse per questo ha deciso di coniugare la sua conoscenza delle arti marziali e il suo retaggio culturale dando vita a un film di menare profondamente radicato nella cultura indiana, al punto che scrivere questa recensione potrebbe essere un campo minato di ignoranza in materia. Ammetto, infatti, di non conoscere quasi per nulla la sterminata produzione cinematografica indiana, e mi dispiacerebbe parlare, come stanno facendo parecchie recensioni oltreoceano, di John Wick a Mumbai, quando magari i modelli di Patel erano altri; inoltre, ammetto di non sapere nulla dell'India, né delle mille caste, sottoculture, religioni che l'arricchiscono. Per dire che, a un certo punto del film, entrano in gioco gli Hijra, persone transgender e intersessuali (un tempo, anche eunuchi), che vivono in comunità ai margini della società, osteggiate dalla polizia e, in generale, poco riconosciute e rappresentate. Le comunità Hijra mi erano completamente sconosciute fino a domenica, e Monkey Man mi ha aperto letteralmente un mondo, ma l'intera figura del protagonista è basata sulla leggenda della divinità Hanuman, ci sono parecchi rimandi alle disparità della società indiana, e altri elementi folkloristici che un'occidentale ignorante come me rischia di lasciar cadere come mere note di colore, invece chissà quali significati hanno. Questo per dire che il problema di Monkey Man è quello di risultare un mero rip-off di John Wick per questioni superficiali di apparenza e stile, e che fuori da un contesto un po' meno ignorante si potrebbe apprezzare maggiormente la storia di vendetta e riscatto (già sentita e vista mille volte) che costituisce il canovaccio della sceneggiatura. Non che non si possa godere del film anche così, ci mancherebbe. Vedere un tizio incazzatissimo fare giustamente a pezzi chi ha condannato ad una fine indegna la madre e il luogo paradisiaco dov'è cresciuto può far solo che bene, e se in mezzo ci sono della tamarreide e un allenamento fisico/mistico per diventare un super uomo-scimmia, ancora meglio.
A proposito di fisico "mistico", Dev Patel è tanta roba. Non me ne voglia Keanu Reeves, ma il nostro ha la fisicata d'ordinanza e si muove bene, non si può negare, benché forse la gamma espressiva richiesta dal personaggio del Monkey Man titolare non richiedesse le doti attoriali di Patel, maggiormente apprezzabile in altri ruoli. Diciamo che, a un certo punto, mi sono ritrovata come gli Hijra ad applaudire davanti agli allenamenti a suon di musica del protagonista, e non solo per la scelta interessante di ritmare i colpi in base alla cadenza dello strumento (altra scelta musicale che ho molto apprezzato, al di là di una colonna sonora che mescola roba tamarrissima a melodie che mi aspetterei in un film di Bollywood, è l'uso improprio di un coltello mentre nell'ascensore risuona Anna dai capelli ross.. ehm, Rivers of Babylon). Quello che contesto a Patel, attore, sceneggiatore e regista, è proprio il modo in cui utilizza la macchina da presa. Anche il montaggio isterico ha le sue colpe, per carità di Dio (che va bene essersi fatti due palle tante con Priscilla ma per poco non mi veniva da vomitare guardando Monkey Man), però quello che salta all'occhio è il fatto che Patel abbia scelto di non utilizzare nemmeno una singola inquadratura centrata. Ogni immagine del film prevede che il soggetto della stessa non sia mai centrale, ma appena un po' scostato verso destra, sinistra, o addirittura con la faccia tagliata in basso, oppure leggermente sfuocata, in ombra, nascosta nello sfondo, persa in visioni mistiche, quello che volete. Se mi dovessero puntare una pistola alla testa e chiedere se c'è un'immagine che mi è rimasta impressa direi di no, perché l'impressione generale che ho avuto di Monkey Man prima che cominciassi ad avere fastidio agli occhi causa sovraccarico sensoriale è quella di un'ipercineticità portata all'estremo. Un difetto forse trascurabile, ma che mi costringerà, prima o poi, a riguardare il film per essere certa di avere colto tutte le cose importanti. Nel frattempo, io ve lo consiglio, chissà che non vi venga voglia, dopo la giusta dose di botte, di imparare anche qualcosa sull'India e la sua variegatissima cultura!
"i film da menare da John Wick in poi, sono usciti dalla nicchia ignorante in cui erano stati relegati dopo i gloriosi anni '80". Quindi eravamo rimasti a Cinque dita di violenza?
RispondiEliminaIo credo che da Old boy è stata sdoganata la pessima abitudine del comunque "uno per volta", anche se arrivano in cento contro uno. Da allora 'sta nicchia ignorante cui fai riferimento, a mio avviso è cresciuta a dismisura, e tutti i ridicoli John Wick ne fanno parte a pieno titolo. Ma giustamente a ognuno il suo. ;)
Guarda, mi rendo conto di avere scritto un'introduzione veramente merdifera, infatti è stata travisata nel significato. Intendevo dire che c'è stato un periodo in cui in pratica ci si vergognava quasi di guardare film come questi, e anche quelli fatti molto bene erano appannaggio di pochi appassionati o esperti. Adesso il genere è stato talmente sdoganato che, a momenti, persino le mie zie lo conoscono!!
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