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martedì 18 maggio 2021

She Dies Tomorrow (2020)

Altro film presente nella classifica 2020 di Lucia che mi ero persa è She Dies Tomorrow, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Amy Seimetz.


Trama: Amy è convinta di stare per morire. Con questa convinzione in testa, parla con l'amica Jane, scatenando una reazione a catena...


She Dies Tomorrow
è un film che metterà alla prova chiunque tenterà di vederlo, almeno per i primi 15 minuti. Vi sfido a superare indenni scene senza apparentemente né capo né coda, dove una Kate Lyn Sheil depressa vaga per la casa nuova e per il giardino accompagnata da sprazzi di Lacrimosa dal Requiem di Mozart (mai colonna sonora più adatta), mentre deliranti visioni o ricordi del passato spezzano l'azione di tanto in tanto, creando ancora più confusione. Se, e sottolineo se, riuscirete a superare questo scoglio, e i minuti potrebbero anche essere 20 (ma vi sembreranno almeno 50), arriverete al punto in cui She Dies Tomorrow vi prenderà per non lasciarvi più andare, infilzati all'amo di una frase pronunciata con una sicurezza disperata e ineluttabile: "Domani morirò". Amy è convinta, al 100%, che morirà il giorno dopo. Nulla può convincerla del contrario, il suo è l'atteggiamento rassegnato di chi sa, di chi non ha mezzi per impedire l'inevitabile, di chi rimane inebetito dalla rivelazione e cerca in ogni modo di "distrarsi", come se fosse possibile farlo quando hai un tarlo che ti rode la testa. E voi direte, e quindi? E quindi a un certo punto Amy è costretta a raccontare all'amica Jane, fino a quel momento presa dai suoi problemi molto terreni e superficiali ma anche preoccupata dall'atteggiamento della protagonista, cosa la turba, col risultato che Jane, tornata a casa... rimane vittima di una consapevolezza ineluttabile: domani morirà anche lei, una certezza assoluta che distrugge in un attimo la sua sanità mentale e tutte le pretese di razionalità con cui cercava di dissuadere Amy dalla tragica convinzione. E, ovviamente, mica finisce qui, visto che la convinzione di morire diventa un virus capace di mettere in ginocchio tutti quelli che vi entrano in contatto.


Quella di Amy Seimetz è un'apocalisse in piccolo, una pandemia psicologica, dove non importa, in effetti, sapere se la protagonista e tutti gli altri hanno o meno ragione (probabilmente sì ma, vi avviso già nel caso cercaste un film con un finale chiaro, non è dato sapere) quanto piuttosto assistere all'ultimo giorno di gente che sa di dover morire e cercare di mettersi nei loro panni: cosa fareste, voi, se sapeste di dover morire domani? Io probabilmente sarei annichilita dall'ansia e sprecherei l'ultimo giorno piangendo e basta, nel film della Seimetz qualcuno fa come me, qualcun altro cerca di rifugiarsi (perlomeno ci prova) nei piaceri terreni, altri risolvono le cose in sospeso, altri ancora parlano di nulla cercando di arrivare a vedere l'alba, ma la certezza è una sola, ovvero che nessuno di quanti vengono toccati dal "virus" è pronto né rassegnato e assistere alle loro allucinate reazioni affascina e inorridisce nemmeno ci si trovasse davanti a uno splatter. Il film è tutto qui, è un'idea, dove contano più la suggestione e la scrittura, a volte qualche sequenza più allucinata di altre, perché la messa in scena è dimessa, gli attori pochi e gli effetti speciali ancora meno, il che rende She Dies Tomorrow la dimostrazione di come sia possibile fare cinema interessante e coinvolgente con pochissimi mezzi. Di sicuro non è un film per tutti ma comunque lo consiglio spassionatamente.    


Della regista e sceneggiatrice Amy Seimetz ho già parlato QUI. Jane Adams (Jane), Chris Messina (Jason), Josh Lucas (Doc), Adam Wingard (uomo delle Dune Buggy), Michelle Rodriguez (Sky) e Olivia Taylor Dudley (Erin) li trovate invece ai rispettivi link. 

Kate Lyn Sheil interpreta Amy. Americana, ha partecipato a film come You're Next, V/H/S, The Sacrament, Equals e serie quali Oucast. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 36 anni e due film in uscita.


Katie Aselton
interpreta Susan. Americana, ha partecipato a film come La foresta dei sogni, Regali da uno sconosciuto - The Gift, Synchronic, Bombshell - la voce dello scandalo e serie quali Legion. Anche sceneggiatrice, regista e produttrice, ha 36 anni e due film in uscita.



venerdì 17 maggio 2019

Pet Sematary (2019)

Non so come ma ce l'ho fatta, finalmente, a vedere Pet Sematary, diretto dai registi Kevin Kölsch e Dennis Widmyer e tratto dal romanzo omonimo di Stephen King.


Trama: Louis Creed e la moglie si trasferiscono in una cittadina del Maine, Ludlow, coi due figli Ellie e Gage. Non passa molto tempo prima che arrivino a scoprire, dietro casa, il cimitero degli animali... e quello che si nasconde nei boschi oltre esso.


Pet Sematary è uno di quei libri infingardi che letto a 15 anni non fa dormire per la paura e letto ora, alla soglia dei 40, aggiunge al terrore un'ansia pazzesca e scatena riflessioni scomode sul breve tempo che possiamo passare su questa terra, sulla natura labile degli affetti, sulla fragilità fisica e mentale degli esseri umani; in pratica, Pet Sematary è la profondissima e non banale riflessione di Stephen King sulla morte. Il rischio, trasponendo in film uno dei libri più belli del Re, è quello di concentrarsi essenzialmente su ciò che accade a Louis dopo aver varcato la soglia proibita, sul disgusto di vedere i propri cari tornare come demoni maligni, che è un po' ciò che accade nel superficiale Cimitero vivente 2, trasformando così una riflessione sulla morte in un film di zombi come ce ne sono tanti. Fortunatamente ciò non accade in Pet Sematary, pregevole frutto degli sforzi congiunti di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer  alla regia e di Matt Greenberg e Jeff Buhler alla sceneggiatura, ottimo horror che, pur ispirandosi molto all'opera di King, riesce a ritagliarsi un minimo di personalità senza sputare sul materiale di partenza. Il dramma umano di Louis e della sua famiglia (perché quello, a mio avviso, deve venire prima dell'aspetto sovrannaturale) pesa sul cuore dello spettatore grazie ad una prima parte fatta di scampoli di idillio familiare nel quale si delineano i caratteri dei protagonisti, tratteggiati come persone reali e non come figurine bidimensionali; abbiamo dunque Louis, pilastro della razionalità medica e amorevole padre di famiglia, la moglie Rachel, costretta da un terribile trauma infantile ad evitare il pensiero della morte in tutte le sue sfumature, la piccola Ellie alle prese appunto con le prime manifestazioni del destino definitivo che tocca a tutti gli esseri umani, e Gage, pargoletto sul quale si concentrano i terrori di milioni di vecchi lettori/spettatori e l'inquietudine dei nuovi. Questo quartetto di personaggi si ritrova in una casa nuova, legata ad un terreno adibito a cimitero degli animali che fa da "barriera" per qualcosa di più infingardo, qualcosa che riesce a raggiungerli passando attraverso Jud, anziano ed amichevole vicino di casa, il gatto Church e la maledizione di una strada dove i camion sfrecciano a velocità letali. Il dramma, familiare e sovrannaturale, viene costruito con una lentezza inusuale per gli horror moderni, anticipato praticamente in ogni dialogo e in ogni scena da elementi più o meno orrorifici che spingono sul chi va là protagonisti e spettatori in egual misura, come ci fosse una mano invisibile a guidarli verso l'inevitabile deflagrazione della tragedia.


Dà ad intendere, questo Pet Sematary, che ci sia "qualcosa" nella nuova casa di Ludlow, già prima della morte di Church e della conseguente scelta di Jud di insegnare a Louis la via per il cimitero indiano, piccolo neo della pellicola che priva la storia di qualcosa di intimo ed importante e rende il vecchio Jud un personaggio inutilmente (ed ingiustamente) ambiguo, se non rincoglionito. Manca, in effetti, il profondo legame che si instaura tra i due uomini nel romanzo, un legame radicato non solo nel senso di gratitudine ma anche nell'essere per l'appunto "maschi", accomunati da quei segreti che devono rimanere sepolti nel cuore di un uomo, più duro della roccia: uomo come protettore, come generatore di vita, come "testa pensante" capace di prendere le scelte migliori per amore, soprattutto quando tutto va in pezzi e le donne sembrano capaci solo di piangere e rifiutare la realtà. Il bello del romanzo Pet Sematary è che Louis va lentamente, inesorabilmente in pezzi, condannando la sua famiglia alla distruzione perché desideroso di ricostruire un piccolo mondo innanzitutto per sé e per il figlio (e al diavolo moglie e figlia...), verso il quale nutre un amore spropositato, alimentato da un dolorosissimo senso di colpa; qui avviene una cosa simile ma più repentina e le azioni di Louis trovano ancora meno giustificazione rispetto al libro, soprattutto visto com'è tornato il gatto Church. Tuttavia, lo stesso, è un dolore non meno coinvolgente, non meno capace di infondere orrore innanzitutto per la disperazione che va a muovere i gesti scellerati di Louis. L'importante cambiamento spoilerato ampiamente nei trailer, che vede morire Ellie al posto di Gage (assolutamente perfida la strizzata d'occhio a chi conosce a menadito libro e film: Louis riesce a raggiungere in tempo Gage, salvandolo dal camion, solo per vedere morire la figlia poco più in là), rende la pellicola più "horror" ma, allo stesso tempo, ne diminuisce un po' la potenza.


Far morire una bambina che ha appena iniziato a conoscere la morte consente ai realizzatori di sbizzarrirsi maggiormente con un demonietto ciarliero, pronto a mettere a nudo tutti i difetti delle sue vittime (e l'egoismo del papà), interpretato in maniera sufficientemente inquietante dalla brava Jeté Laurence. Tuttavia, di bambine indemoniate è pieno il cinema horror e nulla batte l'idea di un corpicino duenne infantile e malvagio, una profanazione nella profanazione che si manifesta nel marciume con cui, nel film di Mary Lambert, si ricopriva la casa di Jud dal momento esatto in cui il demone ci metteva piede. Nulla lo batte, nemmeno il finale architettato per il nuovo Pet Sematary, anch'esso molto diverso dal libro, pur nella sua estrema cattiveria; purtroppo, negli ultimi dieci minuti di film i realizzatori hanno rischiato di vanificare tutta la bontà di quanto venuto prima scivolando nel trappolone Cimitero vivente 2 e "sollevando", in qualche modo, Louis dal rimorso di avere fatto un'enorme castroneria, scelta che rende il film assai meno coraggioso (per quanto apparentemente molto più "provocatorio") dell'originale. Fortunatamente, come ho detto, quanto precede questo scivolone nel baracconesco è dannatamente ottimo. Il gatto Church viene sfruttato nel migliore dei modi, alcune chicche come il funerale dei bambini visto nel trailer sono assai raffinate, Jud non è stato connotato benissimo ma l'adorabile John Lithgow ci mette tutta la bravura di cui dispone, chi conosce a menadito libro e soprattutto film viene abilmente preso in giro in alcune sequenze al cardiopalma e Zelda, la gVande e teVVibile Zelda nella sua nuova incarnazione fa davvero paura. Quindi sì, tolto qualche trascurabile difetto, uno dei romanzi migliori di Stephen King è stato onorato al meglio e non posso che essere felicissima di aver visto questo Pet Sematary, che non sfigura davanti al vecchio film di Mary Lambert nonostante non disponga delle carte in regola per diventare un cult come la pellicola del 1989. Ma d'altronde, lì Paxcow era terrificante, mica come questo pupazzetto qui.


Dei registi Kevin Kölsch e Dennis Widmyer ho già parlato QUI. Jason Clarke (Louis Creed), Amy Seimetz (Rachel Creed) e John Lithgow (Jud Crandall) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Pet Sematary vi fosse piaciuto leggete senza indugio il libro e recuperate Cimitero vivente. ENJOY!



martedì 23 maggio 2017

Alien: Covenant (2017)

Confortata da un paio di pareri entusiasti tirati fuori dalle persone che più stimo in campo di cVitica cinematogVafica, mercoledì ho deciso di dare una chance ad Alien: Covenant, diretto da Ridley Scott.


Trama: l'equipaggio della nave spaziale Covenant intercetta un messaggio proveniente da un pianeta molto simile alla Terra. Convinti di potervi stabilire una colonia, gli astronauti atterrano solo per scoprire che il pianeta non è ospitale come pensavano...


Probabilmente l'ho già scritto nel post su Prometheus ma in tempi di haters e troll non fa mai male ripeterlo: i film della saga di Alien li ho visti tutti, almeno una volta, ma non hanno mai segnato il mio percorso cinematografico e mi sono limitata ad apprezzarli (qualcuno più, qualcuno meno) senza diventare uno di quei fan capaci di citarli a memoria o addirittura di scovare gli errori di continuity. Per me, insomma, Ridley Scott può fare un po' quello che vuole con la "sua" creatura e non mi offendo se sceglie di cancellare ciò che è venuto dopo il primo Alien con un colpo di spugna preferendo attingere più a Prometheus che al film del 1979. A proposito di Prometheus, della trama rammentavo poco e nulla e ho quindi passato la pausa tra primo e secondo tempo di Alien: Covenant a spulciare Wikipedia scatenando lampi di memoria nel mio cervellino provato dalle continue visioni, cosa che mi ha spinto a considerare una cosa: di sicuro Prometheus era ridondante da morire, con una trama al limite del fastidioso, a tratti incomprensibile, ma diamine le immagini che aveva! Non a caso, alla prima riga di ogni paragrafo del riassunto di Wikipedia smettevo di leggere in quanto i miei neuroni riuscivano a produrre il ricordo delle sequenze perfette di Prometheus, capaci di rimanere impresse più di mille spiegoni ed intrecci, e non a caso sono tornata alla magione pensando "A Ridley Scott non dovete ca*are il ca**o" (cit.). Perché è vero che Alien: Covenant ha una trama facilona, personaggi al limite della stupidità abbozzati alla bell'e meglio (tutti tranne uno) e twist che lo spettatore medio potrebbe riuscire ad anticipare almeno due ore prima che accadano, ma è soprattutto uno spettacolo per gli occhi, la dimostrazione che un regista di ottant'anni è in grado di dare tanta di quella mer*a ai suoi colleghi più giovani da seppellirli per l'eternità, come se non fosse bastato l'esempio di George Miller con Mad Max: Fury Road. Alien: Covenant, forse il film della saga più horror di sempre (ma potrei sbagliarmi), desta ammirazione grazie ai campi lunghi che mostrano spazio profondo e pianeti, sconvolge per la grandiosità con cui viene resa una civiltà ormai morta, emoziona durante una concitata fuga e lascia a bocca aperta per una sequenza bellissima che sfrutta alla perfezione l'assenza di gravità e rende poetico persino l'utilizzo improprio di un modulo spaziale... e questo solo per fare pochi esempi che persino il mio occhio becero è riuscito ad apprezzare ma poi c'è tutta la costruzione della tensione di cui parlare, una roba che il 90% degli horror recenti può solo sognarsi.


E il 90% degli horror recenti può sognarsi Fassbender, ça va sans dire. 
Hic sunt SPOILER, mi spiace
Se in Prometheus ho accolto ogni azione del personaggio David con un enorme punto interrogativo sulla capoccia qui ho provato molto più terrore ad ogni sua comparsa piuttosto che davanti alle zanne dello xenomorfo/neomorfo. E sì, la storia del doppio e di come sarebbe andata a finire la questione era telefonata fin dal taglio di capelli dell'androide (ma come hanno fatto a crescergli??), così come l'utilizzo improprio del chiodo, ma non importa: proprio la convinzione che la faccenda si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi ha reso Fassbender una figura demoniaca e glaciale, un folle dal sembiante accattivante e raffinato, una creatura desiderosa di imporre la sua superiorità ai creatori e persino ai creatori dei creatori, e pazienza se la sua progenie e l'incarnazione stessa di un incubo.
FINE SPOILER
Alien: Covenant meriterebbe quindi la visione già "solo" per la bravura di Fassbender ma la verità è che come horror, prima ancora che come parte di una saga, funziona e fa il suo dovere anche al netto di quei necessari "momenti Prometheus" giustamente messi alla berlina da Leo Ortolani. La tensione si taglia col coltello, ci sono sequenze incredibilmente splatter, quel disperato senso di claustrofobica ineluttabilità che è proprio dei migliori horror ambientati nello spazio "dove nessuno può sentirti urlare" e con un paio di personaggi, nella fattispecie Daniels e Tennessee, si può anche empatizzare... basta far finta di non vedere l'inutile Oram di Billy Crudup, forse l'elemento più inutile e dannoso del film. Insomma, non sono una fan di Alien quindi non posso sapere perché questo Alien: Covenant è diventato in poco tempo uno dei film più odiati di sempre (nell'attesa che esca l'ultimo di Nolan, ovvio, o qualche altro remake di intoccabili cult anni '80) ma dall'alto della mia ignoranza crassa posso dire che a me è piaciuto davvero molto. Bravo Ridley Scott, continua così e, come si dice in Liguria, battitene u belin.


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Michael Fassbender (David/Walter), Katherine Waterston (Daniels), Billy Crudup (Oram), Danny McBride (Tennessee), Demián Bichir (Lope), Carmen Ejogo (Karine), Callie Hernandez (Upworth), James Franco (Branson), Guy Pearce (Peter Weyland) e Noomi Rapace (Elizabeth Shaw) li trovate invece ai rispettivi link.

Amy Seimetz interpreta Faris. Americana, ha partecipato a film come You're Next, The Sacrament e a serie come Stranger Things. Anche sceneggiatrice, regista, produttrice e costumista, ha 36 anni e tre film in uscita.


Alien: Covenant è preceduto da due corti che dovreste poter trovare su Youtube; uno è Alien: Covenant - Prologue: Last Supper (che mostra l'equipaggio della Covenant prima del sonno criogenico), l'altro è Alien: Covenant - Prologue: The Crossing e mostra cos'è successo a David e alla dottoressa Shaw dopo Prometheus, di cui Alien: Covenant è ovviamente il sequel e sarebbe meglio che lo guardaste prima di recarvi in sala. Nell'attesa che esca l'ultimo capitolo della trilogia promessa da Ridley Scott, se Alien: Covenant vi fosse piaciuto recuperate Alien, Aliens - Scontro finale, Alien³ e Alien - La clonazione e magari aggiungete Life: Non oltrepassare il limite. ENJOY!

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