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martedì 1 luglio 2025

M3GAN 2.0 (2025)

Per vari motivi, sono riuscita ad andare già venerdì a vedere M3GAN 2.0, diretto e co-sceneggiato dal regista Gerard Johnstone.


Trama: Gemma e Cady vivono una vita abbastanza serena, e cercano di limitare i danni causati dall'AI qualche anno prima. L'arrivo di un nuovo robot omicida le costringe però a ricorrere all'aiuto di M3gan...


Tre anni fa, M3GAN era stato una hit inaspettata, un divertente mix tra horror e fantascienza avente per protagonista un robot dalla personalità fortissima, capace di accattivarsi le simpatie del pubblico. Subito dopo l'uscita era già stato confermato un seguito e, finalmente, M3GAN 2.0 è arrivato. Il sequel si spoglia subito di ogni elemento horror, per diventare un thriller-action altamente tecnologico fin dalle prime scene. Se, infatti, nel primo film si parlava di fabbriche di giocattoli pronte a fare il passo più lungo della gamba nel tentativo di avere successo commerciale, anche a costo di monetizzare sulle tragedie dei piccoli acquirenti, qui i protagonisti sono entità governative, segreti militari, minacce alla sicurezza nazionale mondiale, e il nume tutelare dell'operazione è nientemeno che Steven Seagal. Nel corso del film ci sono due punti di riflessione fondamentali. Il primo è, ovviamente, un discorso sull'Intelligenza Artificiale e sui pericoli che essa comporta; Gemma, scottata dall'esperienza con M3gan, è impegnata anche socialmente per evitare che l'IA venga sviluppata e utilizzata ulteriormente ma, pur predicando bene, razzola molto male, affidando all'IA segreti e speranze di ricchezza. Il film presenta, assai realisticamente (salvo, ovviamente, quando si parla di impianti neurali e robot, per carità), un mondo completamente governato dalla tecnologia, dove basterebbe uno schiocco di dita per renderci impotenti e rimandarci all'età della pietra. M3GAN 2.0, però, non demonizza le nuove tecnologie; piuttosto, sottolinea l'importanza di un elemento umano consapevole e razionale pronto a gestirle per il bene comune (un'idea anche troppo ingenua ma, come direbbe mio padre, "sun propriu cini"). Da qui, parallelamente, si sviluppa il secondo punto di riflessione, che si traduce nell'ironico coming of age di una creatura che deve imparare a controllare le proprie emozioni e realizzare gli obiettivi imposti dalla sua programmazione nel modo più umano possibile. Un percorso di crescita che, anche questa volta, toccherà Gemma in primis, che da zia "svogliata" si è trasformata in mamma apprensiva, abbracciando l'estremo opposto senza smettere di fare danni, e la povera Cady, traumatizzata non tanto dal tentato omicidio da parte di M3gan, quanto piuttosto dal tradimento ai danni di un'"amica" considerata meno che umana. Insomma, c'è tanta carne al fuoco, e la sceneggiatura scritta a quattro mani da Gerard Johnstone e Akela Cooper non sempre riesce a tenere il filo del discorso, perdendosi in tanti piccoli dettagli apparentemente importanti che vengono lasciati cadere nel corso del film, col risultato di due ore non proprio scorrevolissime, anche per colpa di personaggi logorroici. 


Se si prende però M3GAN 2.0 come un film d'azione zeppo di omaggi alle storiche pellicole anni '80-'90, personaggi tagliati con l'accetta compresi (il robot Amelia è la tipica, fredda bellezza "sovietica" tutta sesso e omicidi, ottimo contraltare all'emancipata, "femminista" M3gan), allora c'è la seria possibilità di divertirsi. Tra surreali montaggi di geni all'opera, scantinati pieni di gadget tecnologici, corpo a corpo PG-13 ma in qualche modo ben fatti, balletti al neon e quelle canzoni cringe che già accompagnavano il primo capitolo, M3GAN 2.0 non si prende mai eccessivamente sul serio e punta più sull'ironia rispetto al suo predecessore, una scelta stilistica che tocca in primis la stessa M3gan. Come dichiarato durante uno dei dialoghi, la sua versione precedente era una bambina senza grande controllo delle proprie emozioni, un robottino pedante ed inquietante che diventava più caustico solo sul finale; la versione 2.0 punta invece molto su un'attitudine sassy, su confronti adulti ed infuocati con Gemma e sulla natura di "bitch" già palesata durante i trailer. Non ci mette molto la combo Amie Donald e Jenna Davis (la prima presta il corpo a M3gan, la seconda la voce) ad eclissare il resto del cast femminile e buona parte di quello maschile, anche se si vede che gli attori si sono divertiti a tornare nei ruoli che hanno donato loro buona parte della fama attuale. Gli unici che spiccano nel mucchio, oltre alla già citata Ivanna Sakhno nei panni di Amelia, soprattutto in virtù della sua particolare bellezza, sono Brian Jordan Alvarez, il cui ruolo di nerd goffo e un po' profittatore è stato molto gonfiato rispetto al primo capitolo, e un Jemaine Clement al quale bastano 10 minuti di screentime per bucare lo schermo con un disgustoso mix di Elon Musk, Jeff Bezos e Quagmire (ma, d'altronde, Clement ha una tale presenza scenica che potrebbe anche stare lì zitto. Sarebbe fantastico ugualmente). L'unico problema di M3GAN 2.0 è la sua natura ibrida. Come Balto, "non è horror, non è action, non è sci-fi, sa soltanto quello che non è", ma in tempi bui di spettatori che vogliono essere rassicurati e vedere sempre la stessa minestra riscaldata, non c'è spazio per le incertezze di film che nascono come matte supercazzole. Io mi sono divertita parecchio, ed è quanto mi basta per essere contenta di averlo guardato, ma se già non vi aveva convinto l'horror blando di M3GAN, consiglio di aspettare un'uscita in streaming, o rischiate di uscire dalla sala inviperiti. 


Del regista e co-sceneggiatore Gerard Johnstone ho già parlato QUI. Allison Williams (Gemma), Jemaine Clement (Alton Appleton) e Violet McGraw (Cady) li trovate invece ai rispettivi link.


Se M3GAN 2.0 vi fosse piaciuto, consiglio il recupero di M3GAN, che vi converrebbe guardare prima, o rischiate di non capire nulla del sequel. ENJOY!

venerdì 15 giugno 2018

Lego Batman - Il film (2017)

E' rimasto a frollare per un po' di mesi ma finalmente sono riuscita anch'io a vedere Lego Batman - Il film (The LEGO Batman Movie), diretto nel 2017 dal regista Chris McKay.


Trama: dopo l'ennesimo piano andato a male e la consapevolezza che a Batman importa solo di sé stesso, il Joker concerta un altra impresa malvagia che rischia di distruggere Gotham City. Come se non bastasse, Batman si ritrova ad essere padre adottivo "per caso", mentre il suo ruolo di vigilante viene limitato dall'arrivo del nuovo commissario, Barbara Gordon...



Alzi la mano chi, una volta conclusa la visione di The LEGO Movie, ha sperato fortissimamente che arrivasse uno spin-off interamente dedicato al personaggio più adorabilmente stronzo ed arrogante del film, ovvero Batman. Credo che il tempo totale di presenza Batmaniana nella pellicola del 2014 non raggiungesse nemmeno la mezz'ora ma probabilmente è bastata la canzone cantata dal personaggio per convincere i produttori della necessità di mettere in cantiere Lego Batman - Il film e dare libero sfogo all'incarnazione del Cavaliere Oscuro più perfetta dai tempi di Batman - Il ritorno. Il Batman creato dalla LEGO è una fantastica parodia degli eroi dark, quelli che passano il 90% della loro esistenza persi a crogiolarsi nell'angst di un passato traumatico e l'altro 10% nell'autocelebrazione di sé, elementi fondamentali della personalità del protagonista che vengono ulteriormente esacerbati dall'enorme infantilità di Batman, reso qui come un bambino viziato, antipatico e peppia. L'intero film ruota sul rapporto tra Batman e il suo nemico di sempre, il Joker (scritto e rappresentato come le peggiori storie romantiche viste al cinema ma declinato in "odio" con risultati esilaranti), e sul terrore del protagonista di fronte alla possibilità di crearsi una famiglia o anche solo delle semplici amicizie, scelta di sceneggiatura necessaria per veicolare l'indispensabile messaggio positivo già presente in The LEGO Movie, messaggio che, a onor del vero, rischia di perdersi in una ridda di gag e citazioni pressoché infinita. I veri destinatari di Lego Batman - Il film non sono infatti i bambini ma tutti i fan dell'eroe DC (in ogni sua incarnazione, a partire dai telefilm camp anni '60, ampiamente citati) OPPURE tutti i nerd in grado di cogliere i millemila rimandi ad altri film, serie TV, fumetti che sinceramente non pensavo nemmeno potessero avere qualcosa a che fare col Cavaliere Oscuro. Avendo avuto accanto Mirco, durante la visione, posso assicurare che il Bolluomo ha riso ma non quanto ho fatto io e che parecchie delle gag più "specifiche" gli sono scivolate addosso come acqua, cosa che non era successa guardando The LEGO Movie, un film davvero adatto a tutti e più universalmente "meravigliosoooo".


La sensazione che ho provato io è quella di essermi trovata davanti una sorta di "special TV" non proprio cinematografico, una cosina breve per appassionati. Non che il film non mi sia piaciuto, anzi, e non dico neppure che Lego Batman - Il film sia qualitativamente inferiore al suo predecessore: nell'ora e quaranta di durata passano sullo schermo le cose più assurde che si possano costruire con i mattoncini e col potere dei "mastri costruttori", in primis un mecha pipistrello animato alla perfezione, senza contare che le scene d'azione sono forse anche più emozionanti e "caotiche" rispetto alla prima pellicola, con abbondanza di morte & distruzione in formato LEGO, soprattutto grazie alla presenza di un paio di giganteschi villain di tutto rispetto... però qualcosa è mancato, probabilmente dal punto di vista del sentimento. Partendo sempre da The LEGO Movie, a mio avviso il suo spin-off difetta del senso di magia che lo collegava paradossalmente alla realtà, l'elemento "umano" che faceva dei mattoncini più amati del mondo una componente fondamentale della crescita di un bambino e, in generale, della vita di una persona, veicolando forti emozioni come già accadeva con la trilogia di Toy Story. Qui abbiamo "solo" l'esempio di un gioco, un'avventura che si apre e si chiude a mo' di parentesi e che lascia il tempo che trova; un tempo esilarante, divertentissimo e sicuramente soddisfacente, ma anche "di nicchia", quasi il bimbo di The LEGO Movie fosse stato nuovamente chiuso fuori dalla stanza dei giochi lasciando il campo al papà nerd. Il che, lo ripeto, va benissimo per una serata all'insegna del divertimento sfrenato e della risata compulsiva, anche perché personalmente adoro il Batman della LEGO e tutti i riferimenti all'ambiguità sua e di Robin, ragazzo meraviglia perennemente smutandato e con un gusto tutto particolare per le hit gaye anni '80... e quanto può essere tenero il Joker con gli occhietti tristi, sconvolto nello scoprire che Batman non lo odia? Non è meravigliosoooo ma quasi, via!


Di Will Arnett (voce originale di Batman/Bruce Wayne), Michael Cera (Dick Grayson/Robin), Rosario Dawson (Batgirl/Barbara Gordon), Ralph Fiennes (Alfred Pennyworth), Zach Galifianakis (Joker), Billy Dee Williams (Due facce), Eddie Izzard (Voldemort), Seth Green (King Kong), Jemaine Clement (Sauron), Channing Tatum (Superman), Jonah Hill (Lanterna verde) e Ralph Garman (Reporter numero 2) ho già parlato ai rispettivi link.

Chris McKay è il regista della pellicola e doppia il pilota Bill. Americano, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto episodi della serie Robot Chicken. E' anche produttore, tecnico degli effetti speciali, doppiatore, sceneggiatore e animatore.


Zoë Kravitz è la voce originale di Catwoman. Figlia di Lenny Kravitz e Lisa Bonet, la ricordo per film come X-Men - L'inizio, Mad Max: Fury Road e Animali fantastici e dove trovarli. Anche cantante, ha 30 anni e due film in uscita, tra cui Animali fantastici: I crimini di Grindelwald, dove interpreterà Leta Lestrange.


Tra i doppiatori originali figura anche il conduttore Conan O'Brien, che presta la voce all'Enigmista, e Mariah Carey, che doppia il Sindaco, mentre tra quelli italiani spiccano Claudio Santamaria nei panni di Batman e, ahinoi, Geppi Cucciari in quelli di Batgirl, a mio avviso terribile con quell'accento sardo. Billy Dee Williams, che doppia Due Facce, è stato l'Harvey Dent buono del primo Batman di Tim Burton e, se non fosse stato per l'arrivo di Joel Schumacher (e il conseguente casting di Tommy Lee Jones), avrebbe interpretato anche la versione malvagia del personaggio. Detto questo, se Lego Batman - Il film vi fosse piaciuto recuperate anche The LEGO Movie, di cui questo film è lo spin-off. ENJOY!


mercoledì 5 aprile 2017

Il Bollodromo #28 - Legion (Stagione 1)

Torna oggi la rubrica del Bollodromo, quella in cui parlo di cose che esulano dal cinema, in quanto mi sono innamorata della serie Legion e volevo condividere questo aMMore con i pochi lettori che mi seguono! La prima stagione di Legion, creata dall'autore di Fargo Noah Hawley, è finita negli USA giovedì scorso ed è andata in onda sul canale FX ma nel 2018 dovrebbe tornare per una seconda stagione quindi recuperatela, che avete tempo, e... ENJOY!


Di cosa parla?
Legion è la storia di David Haller, mutante potentissimo con seri problemi psichici, che nei fumetti Marvel è figlio del telepate Charles Xavier. La serie si concentra sulla sua lotta per raggiungere un equilibrio mentale, tra misteriose organizzazioni che cercano di farlo fuori e un altro gruppo di mutanti che vorrebbe invece educarlo al controllo dei suoi immensi poteri, così da consentirgli di condurre una vita normale.

Cose che mi sono piaciute
Ci vorrebbe un libro di 1200 pagine per elencare tutto ciò che fa di Legion la serie dell'anno ma, siccome il Bollodromo nasce come spazio "ridotto", mi limiterò a concentrarmi solo su un paio, dalla più superficiale alla più "profonda". Innanzitutto, Dan Stevens, che interpreta David Haller, è un figo incredibile, bello bello in modo assurdo. Già quello, in quanto donna, è stato un particolare non da poco che mi ha attirata fin dalla prima puntata ma magari ci fosse "solo" quello. Legion è un capolavoro di scrittura, scenografie, costumi, colonna sonora (Dio, la colonna sonora meriterebbe di venire ascoltata in loop continuo) e attori della Madonna. Gli sceneggiatori hanno mandato alle ortiche l'approccio classico verso l'universo supereroistico Marvel e hanno creato ciò che in parecchi hanno definito mindfuck. Dimenticate lunghi spiegoni, villain mefistofelici dai colori sgargianti, costumini di spandex e quant'altro vi aspettereste da Avengers e X-Men: le prime due puntate di Legion sono un trip coi controcoglioni, puro delirio in cui immergersi e accettare di stare guardando qualcosa dove i confini del reale e dell'immaginario sono annientati. COSA è vero e COSA è frutto della mente folle di David? Dalla terza puntata in poi la questione diventa meno ingarbugliata ma questa è la domanda che vi farete per tutti gli otto episodi, persino se, come me, avrete capito chi è il burattino che manipola i fili in quanto lettori di vecchia data degli albi mutanti Marvel. Altra genialata, solo due personaggi della serie sono legati a doppio filo alle storie a fumetti degli X-Men, gli altri sono inventati e sono alcuni dei mutanti più interessanti visti finora sullo schermo; assieme a David, saltano all'occhio il favoloso Oliver di Jemaine Clement (bisogna aspettarlo un po' ma quando arriva...), la coppia Kerry/Carey, la bionda e bellissima Syd e l'ambigua Lenny di Aubrey Plaza (assieme a Clement e Stevens l'attrice più memorabile della serie, meritevole di almeno 20 Emmy Awards).

Cose che non mi sono piaciute
Siccome non ce ne sono, continuo con quelle che mi sono piaciute. La fatica mentale che proverete cercando di sbrogliare la matassa che è la trama di Legion verrà ricompensata da uno spettacolo per gli occhi a dir poco incredibile (oltre che dalla sensazione di avere davanti un prodotto che non insulta l'intelligenza dello spettatore, cosa non da poco di questi tempi). I costumi, se così si possono chiamare, dei vari personaggi si ispirano vagamente a quelli anni '70 mostrati in X-Men - First Class e in generale l'atmosfera che si respira è assimilabile ad un film di "supereroi" come lo girerebbe Wes Anderson ma con molta più "ciccia" e momenti di terrore reale (provate a guardare le puntate imperniate sul "mostro con gli occhi gialli" o sul "bambino più arrabbiato del mondo" da soli, al buio, poi fatemi sapere a quanto arriva il vostro battito cardiaco); la stanza bianca di Syd e David, il rifugio dei mutanti, il manicomio, persino la casa dell'"inquisitore" sono un trionfo di scenografia e, a proposito di quest'ultimo, finalmente un villain viene tratteggiato con umanità e profondità in pochissimi fotogrammi. Gli effetti speciali sono pochi, ben dosati e ben realizzati, e si integrano alla perfezione con delle scelte narrative e di regia mai banali, capaci di rendere al meglio lo strano universo che si cela nella mente di David, sul quale giustamente i realizzatori hanno preferito puntare piuttosto che giocare a "chi mostra i poteri mutanti più assurdi". Lo dico da anni, meglio caratterizzare a puntino personaggi dall'aspetto umano, insistendo non tanto sui loro poteri ma sulle loro fisime, i loro tic, le loro paure, le interazioni, i dialoghi e persino il loro stile particolarissimo (Oliver, parlo sempre di te. Mi sono innamorata, lo ammetto) piuttosto che schiaffare improbabili parrucche oppure orride protesi di lattice in faccia a degli attori solo per dare il contentino ai fan. Finalmente qualcuno mi ha ascoltata e io non posso che ringraziare tutti i realizzatori di Legion, aspettando con ansia una seconda stagione che spero non perda di qualità.

E quindi?
E quindi Legion va visto. A prescindere che siate o meno fan dell'universo Marvel, SOPRATTUTTO se Avengers, X-Men, persino i supereroi Netflix vi hanno stufato, e cercate qualcosa che appaghi occhi e cervello. Non spaventatevi, lasciate passare le prime due puntate e vedrete che non potrete più farne a meno. Se invece cercate banalità e/o linearità rivolgetevi altrove, ché Legion non fa per voi!


domenica 8 gennaio 2017

Il GGG - Il grande gigante gentile (2016)

Mio malgrado, il 2017 cinematografico si è aperto con una delle più grandi sòle viste in vita mia. Sto purtroppo parlando di Il GGG - Il grande gigante gentile (The BFG), diretto nel 2016 da Steven Spielberg e tratto tal racconto omonimo di Roald Dahl.


Trama: Sofia è un'orfanella che non riesce a dormire la notte. Proprio durante una delle sue crisi d'insonnia vede camminare per le strade di Londra un gigante il quale, per evitare che la piccola raccontari ciò che ha visto, la rapisce e la porta con sé nel Paese dei giganti. Dopo l'iniziale e comprensibile diffidenza, tra i due nasce una bella amicizia...


Dunque, a costo di risultare impopolare a me Il GGG non è proprio piaciuto. Siccome però non si può dire di nessun film in generale né di alcuna pellicola di Spielberg in particolare "è brutto" senza addurre spiegazioni plausibili, sopportatemi ancora un pochino e vi spiegherò perché il da me tanto atteso Il GGG si è rivelato una fetecchia tanto quanto la leggendaria caciotta. Iniziamo col dire che mi trovo in imbarazzo a spalare guano sul film, anche perché dietro c'è un lavoro tecnico impressionante. Alla veneranda età di 70 anni il buon Steven non smette mai di sperimentare ed imparare e i suoi fidati collaboratori non lo lasciano ovviamente da solo lavandosene le mani ma, piuttosto, cercano di creare attorno al grande regista un ambiente lavorativo il meno straniante e freddo possibile. Ecco che allora, in soccorso a Steven arrivano miracolose tecniche quali la Simulcam, già utilizzata da James Cameron in Avatar, che consente al regista di veder scorrere nei monitor della telecamera sequenze già girate in precedenza così da poter coordinare l'azione in tempo reale a quella "virtuale" senza diventare scemo con l'impersonale green screen; gli scenografi (e qui un plauso lo meritano Rick Carter e Robert Stromberg perché le scenografie de Il GGG sono splendide e non solo per quel che riguarda la casa-laboratorio del protagonista, probabilmente l'ambiente che mi è piaciuto di più, ma anche gli interni di Buckingham Palace e le strade di Londra sono bellissimi) hanno fatto un lavoro certosino per dare sia a Spielberg che agli attori materiale tangibile su cui lavorare e per consentire a Mark Rylance e alla piccola Ruby Barnhill di interagire al meglio, sfruttando dimensioni diverse, prospettive particolari e persino l'ausilio di telecamere fluttuanti che permettevano ai due di guardarsi negli occhi. Insomma, dietro a Il GGG c'è un lavoro di ingegno umano talmente grande che non si può dismettere il film come "brutto". Il GGG è un bellissimo film, tecnicamente ineccepibile, qualcosa che trascende l'immaginazione umana o, meglio, riesce a catturarla e riportarla su grande schermo, profondendosi in sequenze quasi oniriche (che meraviglia, ribadisco, l'antro del GGG con tutti quei sogni luminosi imprigionati nei barattoli) che farebbero invidia a Tim Burton, impreziosito da un'infinita e certosina cura per i dettagli e da una fotografia che addolcisce l'uso intensivo della CGI senza dare allo spettatore quell'effetto "posticcio" che è sempre dietro l'angolo. Insomma, Spielberg è e rimane uno dei più grandi registi viventi e nessuno potrà mai dire il contrario. Eppure, con tutto questo, Il GGG è un Gargantuesco Gonfiamento di Gonadi.


Stacco. Immaginate che io sia un essere deprecabile, una persona alla quale del lavoro certosino che sta dietro ad un film non freghi una beneamata, uno di quelli che dice "cos'è sta mer*a?" semplicemente perché durante la visione s'è fatto due palle così. Ecco, da questo punto di vista Il GGG diventa davvero una pellicola orrenda. Prima che partiate con invettive del tipo "E' Roald Dahl, il materiale di partenza non può cambiare più di tanto, vilipendio alla bandiera e pure a Spielberg, ecc. ecc.": a me Dahl piace, e molto. Ho adorato sia leggere cose come Matilda, La fabbrica di cioccolato, Le streghe che vedere i film che ne hanno tratto (non, non è vero. Quello di Burton non esiste), per quanto lo stile e i temi dello scrittore siano sempre stati un po' sciocchini ed infantili nonostante le generose dosi di humour nero che li caratterizzavano. Non ho effettivamente mai letto Il GGG e forse se lo avessi fatto mi sarei risparmiata un viaggio al cinema, chissà, ma giuro che non mi è MAI e dico MAI capitato di provare fastidio davanti a un film dopo appena cinque minuti. PROBABILMENTE è colpa del doppiaggio italiano ma il desiderio infinito di strozzare la piccola Sofia si è instillato in me violento e subitaneo, con quel suo presumin e il modo lagnoso di rivolgersi al GGG; allo stesso modo, al terzo "mia frullettina, frullarella, patasfralli" del Gigante alla bambina (e mi perdoni De Gregori) ho temuto che mi cogliesse un attacco di diabete fulminante. Poco prima che i due arrivassero all'albero dei sogni l'amico Toto, disperato quanto la sottoscritta, si è girato a dirmi "Ti vedo poco convinta, eh". No, Toto, lo ammetto pubblicamente: in quel momento mi hai ridestata da un abbiocco che mi aveva già trascinata nel mondo dei sogni e ti ringrazio perché dormire al cinema è una cosa che mi è capitata solo due volte, con Vidoq e con Capote, nemmeno La talpa mi aveva fatto quest'effetto. Ho provato a concentrarmi sui giganti malvagi, sperando che prima o poi si mangiassero Sofia e alterassero i connotati al GGG, ma niente, dei poveri sfigati pure loro, e il peggio è arrivato nel momento Vanzina, quello in cui Toto ha esclamato "Ma non oseranno far fare alla regina...?". Sì, hanno osato. Hanno osato, per poi affondare direttamente il coltello del "momento patetico" nel mio cuore già provato da cotanto scempio. E se non mi sono messa a piangere per il commovente dialogo finale tra Sofia e il GGG, io che piango persino davanti alla pubblicità delle Poste e che mi ero entusiasmata davanti a Le avventure di Tin Tin nonostante l'odio che provo da sempre per il personaggio di Hergé, è perché, davvero, di questi due personaggi non me ne poteva fregare di meno. Quando la bellezza della tecnica si scontra con la mancanza di sentimento, mi spiace ma vince quest'ultima: Il GGG è un film che sconsiglio e il diludendo è stato per me ancora più grande, perché aspettavo di vederlo da mesi.


Del regista Steven Spielberg ho già parlato QUI. Mark Rylance (GGG), Jemaine Clement (InghiottiCiccia), Rebecca Hall (Mary), Rafe Spall (Mr. Tibbs) e Bill Hader (Sangue-Succhia) li trovate invece ai rispettivi link.

Penelope Wilton interpreta la regina. Inglese, ha partecipato a film come Shaun of the Dead, Orgoglio e pregiudizio e a serie quali Doctor Who e Downton Abbey. Ha 71 anni e un film in uscita.


Pare che Spielberg avesse chiesto a Gene Wilder di fare un'apparizione nel film ma il grande attore ha giustamente rifiutato; inoltre, pare anche che un adattamento de Il GGG fosse in progetto da almeno vent'anni (e chi se non Robin Williams avrebbe potuto interpretare il gigante gentile?) mentre addirittura Spielberg avrebbe voluto dirigerlo sin dalla prima lettura del libro di Dahl. Esiste comunque un adattamento a cartoni animati della stessa storia, Il mio amico gigante, diretto nel 1989 da Brian Cosgrove, dal quale è stata tratta la sequenza in cui l'occhio di un gigante diventa il sole. Non avendolo mai visto non posso consigliarvene il recupero ma se Il GGG vi fosse piaciuto guardate E.T. - L'extraterrestre ed Eliott il drago invisibile. ENJOY!

martedì 27 dicembre 2016

Oceania (2016)

Neanche fosse il film che più aspettavo quest'anno, giovedì mi sono fiondata al cinema a vedere Oceania (Moana), diretto dai registi Ron Clements, Don Hall, John Musker e Chris Williams.


Trama: Vaiana è la figlia del capo di un villaggio polinesiano, che ama il suo popolo ma brama l'Oceano e l'avventura. Grazie alla nonna paterna, la ragazza viene in possesso del cuore della dea Te Fiti, rubato mille anni prima dal semidio Maui, e, per salvare la propria terra dall'oscurità che si è estesa fino al suo villaggio, decide di cercare Maui e costringerlo a restituire il cuore.


E' dai tempi di Lilo e Stitch che il mio cuore palpitava per rivedere un'eroina Disney col naso a patatina, gli occhi enormi e le estremità per nulla filiformi, impegnata a ballare sulle note di un'evocativa melodia hawaiiana. Quattordici anni dopo, alla Disney hanno risposto alle mie preghiere e mi hanno dato Oceania, la storia di una principessa che tale non è, più interessata ad essere esploratrice e condottiera piuttosto che la regnante di uno statico castello, pronta a solcare oceani sconosciuti per salvare il suo popolo e riportarlo alle sue radici. Vaiana (che, a chiamarla Moana, in Italia pareva brutto. Vero è che Vaiana significa acqua fresca, però...) è intelligente, carismatica e coraggiosa, eppure ha il cuore diviso tra dovere e desiderio: consapevole del suo ruolo di futuro capo del villaggio, la giovane cerca di zittire la voce dell'Oceano che la chiama fin da piccola e cerca di concentrarsi sulla quotidianità del suo popolo, risolvendo problemi via via sempre più insormontabili. Quando i disagi dell'isola in cui vive cominciano a collegarsi sospettosamente alle leggende raccontate dalla nonna materna, Vaiana decide di seguire il proprio cuore e si imbarca, letteralmente, in un'impresa pericolosa che risveglierà in lei gli istinti ancestrali di un popolo di esploratori ed esperti naviganti, un retaggio sepolto da ignoranza, timore e sì, anche dai danni causati dal semidio Maui. Oceania mette così in scena il rapporto tra due personaggi che, apparentemente, non avrebbero nulla da spartire (potente ed arrogante semidio l'uno, assai simile ad Hercules e a quel cretino di Kuzco, incerta ma determinata l'altra, nonostante sia appena una ragazzina) ma che in realtà scopriranno di essere afflitti entrambi da un grande problema, ovvero quello di non capire più bene quale strada far intraprendere alla propria esistenza. Influenzati dai fallimenti e convinti erroneamente che il valore di una persona sia legato al modo in cui viene percepita dagli altri, Vaiana e soprattutto Maui (ma non solo loro) hanno smarrito il loro vero io per strada, al punto da perdere coraggio e fiducia, accontentandosi di essere molto meno di ciò che sarebbero potuti diventare. Sarà l'oceano capriccioso e testardo a mettere alla prova entrambi e ad instradarli sul giusto cammino, per la loro salvezza e quella di tutto il mondo che li circonda, offrendo allo spettatore una girandola di avventure, gag, ironiche stilettate ai grandi classici Disney e ovviamente qualche canzoncina (non troppe, che Maui non gradisce!).


Nonostante la storia molto gradevole, la bellezza di Oceania risiede soprattutto nelle animazioni che gli meritano giustamente un nome grandioso come quello di un continente. Intanto, i paesaggi naturali sono talmente belli da far venire voglia di partire, come Vaiana, salire su una barca e solcare gli oceani; basta guardare l'azzurro cristallino dell'acqua che tratta la protagonista con tanta benevolenza per sentire profumo di mare e avvertire un soffio di vento tra i capelli. E a proposito di capelli, quanta meraviglia! Le chiome di Vaiana e Maui sono spettacolari, danno proprio l'impressione di morbidezza assoluta (non a caso il semidio se ne vanta: a bello, me ne vanterei anche io!!) e accompagnano alla perfezione il già citato design un po' chubby dei personaggi principali. Altra cosa bellissima sono le luminescenze che tanto mi hanno ricordato Il mistero della pietra azzurra, soprattutto per quel che riguarda la manta che diventa spirito guida di Vaiana e il momento in cui Tamatoa si esibisce nel suo one man show granchiesco (ah, rimanete fino alla fine dei titoli di coda, mi raccomando. Fan storici de La sirenetta, sto parlando con voi), alle quali vanno aggiunte le simpatiche interazioni tra Maui e i tatuaggi che lo ricoprono, interamente disegnati a mano: sì, il pollo HeiHei è un gran rincoglionito ma onestamente il premio simpatia lo vince il mini-semidio tatuato, che si palleggia un bel po' di battute esilaranti con la sua controparte "umana". Menzione speciale per le canzoni o, meglio, per la colonna sonora in generale. Sono due giorni che sfrutto Spotify per godermi la versione italiana del film, fatta molto bene se si esclude la tremebonda versione pop di Tranquilla, eseguita da Sergio Sylvestre e (orrore degli orrori!) Rocco Hunt; tra i brani spiccano quello cantato da Gualazzi, che infonde al già pregevole Tamatoa una personalità tutta particolare, e quelli più musicalmente "hawaiiani" come Tulu Tagaloa, An Innocent Warrior e Logo Te Pate. La canzone portante, ovvero Oltre l'orizzonte, come quasi tutte quelle cantate da Vaiana, sanno un po' troppo di Frozen ma obiettivamente non mi spiacciono, tuttavia la mia preferita resta Tranquilla cantata da Fabrizio Vidale, tradotta in maniera leggermente diversa rispetto a Prego (ribadisco: ugh!) e talmente insinuante che la canterete per i mesi a venire. Considerato anche che prima di Oceania c'è lo splendido corto Testa o cuore (Inner Workings), mi sento di dire che il Natale con la Disney è stra-consigliato anche quest'anno!


Dei registi e co-sceneggiatori Ron Clements, Don Hall, Chris Williams e John Musker ho già parlato ai rispettivi link e lo stesso vale per Jemaine Clement (Tamatoa) e Alan Tudyk (HeiHei).


Dwayne Johnson è il doppiatore originale di Maui. Americano, ex wrestler conosciuto come The Rock, lo ricordo per film come La mummia - Il ritorno, Il re scorpione e Jem e le Holograms, inoltre ha partecipato a serie come That's 70's Show, Hannah Montana, Cory alla Casa Bianca e doppiato episodi de I Griffin. Anche produttore e stuntman, ha 44 anni e otto film in uscita tra i quali Baywatch, Jumanji, Doc Savage e Shazam!.


Moana è stata ribattezzata Vaiana non solo in Italia, per evitare qualsivoglia legame con la povera Moana Pozzi, ma anche in altri paesi europei ed asiatici, per evitare problemi di copyright con questa marca di cosmetici QUI; anzi, perlomeno in Italia ci siamo limitati a cambiare il nome interno e ad adottare l'evocativo Oceania, mentre in Paesi come Francia, Germania, Olanda ed altri il film si intitola proprio Vaiana. Bleah. Rimanendo in ambito italiano, tra i doppiatori figurano il già citato Raphael Gualazzi nei panni del granchio Tamatoa e la brava Angela Finocchiaro in quelli della nonna. Detto questo, se Oceania vi fosse piaciuto recuperate La sirenetta, Aladdin, Frozen - Il regno di ghiaccio e Lilo e Stitch. ENJOY!


domenica 9 agosto 2015

What We Do in the Shadows (2014)

Mi ha fatto penare ma finalmente anch'io sono riuscita a vedere What We Do in the Shadows, diretto nel 2014 dai registi Jemaine Clement e Taika Waititi.


Trama: una troupe viene invitata nella casa di quattro vampiri per documentare il loro stile di vita..



Non avevo dubbi che l'unico Paese in grado di ridare un senso alla parola mockumentary e alla stra-abusata figura del vampiro sarebbe stato la Nuova Zelanda. Così come non avevo dubbi che What We Do in the Shadows sarebbe stato uno spasso incredibile, una commedia horror dai risvolti tanto imprevedibili quanto esilaranti, con un po' di spazio anche per alcune riflessioni malinconiche e non banali. Il film (o meglio il documentario) ci introduce nelle vite di Vladislav, Viago, Deacon e Petyr, quattro vampiri strappati a quattro differenti epoche e conseguentemente dotati ognuno di una spiccata personalità legata ad altrettante figure leggendarie e sdoganate dall'industria cinematografica/letteraria. Vladislav è la parodia del Conte Dracula, l'"impalatore" (o meglio il "poker") un tempo capace di ipnotizzare gli esseri umani, di devastare intere nazioni e di far cadere ai suoi piedi ogni donna (e viene giustamente rappresentato come un mezzo zingaro inverosimilmente zamarro), Viago è il vampiro incredibilmente dandy, raffinato e al limite dell'effemminato, Deacon il ribelle più "cattivo" ed incurante della vita umana e Petyr un Nosferatu fatto e finito che parla a malapena; attorno a questi quattro elementi ruotano una varietà di "subalterni", vittime, amici e nemici che offrono al documentario una serie di dinamiche in grado di trasformarlo in un racconto per immagini e dotarlo di una trama parecchio appassionante. I vampiri, come avrete capito, vengono dipinti come degli sfigati, delle creature fuori dal tempo che, nonostante i loro patetici tentativi di interagire col mondo, non hanno ancora capito quanto la società sia cambiata e quanto i loro pregiudizi o le errate convinzioni rischino di portarli ad una prematura estinzione: l'arrivo del "moderno" Nick e del dolce Stu (un uomo talmente benvoluto che al confronto lo Sbranzo di Daw è l'ultimo degli ultimi) li porterà ad aprire gli occhi e ad abbracciare il cambiamento, anche per superare la tristissima ed imbarazzante solitudine a cui si sono volutamente condannati. Jemaine Clement e Taika Waititi, anche sceneggiatori della pellicola nonché protagonisti, imbastiscono una trama dove ogni cliché del genere "vampirico" viene messo alla berlina e, unito alle caratteristiche tipiche delle commedie alla Animal House nonché a dialoghi brillanti ("We're Werewolves, NOT Swearwolves"), diventa una scusa per offrire allo spettatore delle gag esilaranti, apprezzabilissime sia dagli amanti dell'horror che da chi non bazzica questo tipo di film.


La scelta di girare il film con la tecnica del mockumentary non è, per fortuna, una scusa per indulgere nella sciatteria tipica del genere e nonostante gli ambienti mostrati siano quelli squallidi della periferia di Wellington o quelli decadenti in cui amano trastullarsi queste quattro "creature della notte", si vede che Clement e Waititi ci sanno fare dietro la macchina da presa. A dirla tutta, ci sanno fare anche davanti visto che Vladislav e Viago (rispettivamente interpretati da Clement e Waititi) sono due dei personaggi più irresistibilmente comici che mi sia capitato di vedere ultimamente sullo schermo (alla danza erotica sono morta malamente) ma anche il resto del cast, fatto di visi "banali" in aperto contrasto con le regole che vogliono i vampiri e chi sta loro accanto tutti "belli belli in modo assurdo", è davvero ottimo e l'interpretazione "rilassata" di tutti i coinvolti (buona parte di quel che accade nel film e dei dialoghi sono stati improvvisati partendo da un progetto generale) da l'idea di un'operazione creata non solo per il piacere dello spettatore, ma anche per il divertimento di chi ci ha lavorato. Siccome What We Do in the Shadows è, non dimentichiamolo nonostante non faccia paura neppure per un istante, anche un horror, è inevitabile la presenza di sequenze esageratamente sanguinose e realizzate con tutti i crismi: la scena in cui Viago "cena" con una gentile donzella e sbaglia mira azzannando la giugulare, la trasformazione dei licantropi, le battaglie volanti dei protagonisti e l'incredibile trucco di Petyr farebbero invidia a più di una produzione dotata di fondi considerevolmente più consistenti ed è un peccato che il buon Petyr non si veda di più nel film ma il suo make-up era davvero parecchio costoso. Punto d'onore anche alla colonna sonora affatto banale, nella quale spiccano l'ipnotica Lastochka del gruppo russo Leningrad e la deliziosa improvvisazione del delirante terzetto di vampiri. Ora che ci penso, vista la scena post-credits non avrei dovuto riuscire a scrivere nulla su What We Do in the Shadows ma tant'è, siccome mi sono divertita come una pazza guardandolo non posso fare altro che ignorare l'ordine di "dimenticarlo" e consigliarvelo spassionatamente!

Jemaine Clement è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Vladislav. Neozelandese, ha partecipato a film come Men in Black 3, Muppets 2 - Ricercati e doppiato pellicole come Cattivissimo me e serie come I Simpson. Anche compositore e produttore, ha 41 anni.


Taika Waititi è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Viago. Neozelandese, ha partecipato a film come Lanterna verde. Anche produttore, ha 40 anni e un film in uscita.


Se What We Do in the Shadows vi fosse piaciuto recuperate anche Suck e Shaun of the Dead! ENJOY!






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