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venerdì 12 novembre 2021

The Night House (2020)

Il covid ha fatto parecchi danni a livello distributivo. Tra qualche giorno The Green Knight uscirà direttamente su Prime Video, nemmeno fosse un Welcome to the Blumhouse qualsiasi (oh, non mi sono dimenticata degli ultimi due, ma indovinate un po' chi non ha tempo nemmeno di respirare?), mentre questo The Night House, diretto nel 2020 dal regista David Bruckner, è finito su Disney + senza passare dalle sale. Il che è un vero peccato...


Trama: dopo la morte del marito, Beth si ritrova sola in una casa che ogni notte diventa l'equivalente di un incubo...


The Night House
è un horror peculiare, non si può negare. Per affrontarlo servono una buona dose di attenzione, un cervello sveglio (non guardatelo dopo una stancante giornata di lavoro) e una discreta sensibilità. Questo perché, come tutte le opere più interessanti, The Night House sfrutta i cliché dell'horror per raccontare una storia incredibilmente umana ed offre uno sguardo non banale sull'elaborazione del lutto e su qualcosa di oscuro e strisciante come la depressione, alimentata dal terrore e dalla solitudine, dalla mancanza di punti fermi su cui contare. E' quello che succede a Beth quando il marito si suicida con un colpo di pistola alla tempia dopo averle lasciato un biglietto ambiguo; il mondo di Beth crolla perché, dei due, era lei quella che ha sempre sofferto di depressione, sempre minacciata da un buco nero pronta ad inghiottirla, e l'idea che il suo sostegno si sia suicidato è semplicemente intollerabile, oltre che assai doloroso. All'interno di una casa vuota, Beth scopre che il marito conduceva una sorta di seconda vita e la sua sanità mentale comincia a corrodersi sempre di più, finché anche gli spettatori non vengono catturati dalle notti allucinate della donna, fatte di episodi sovrannaturali annaffiati da abbondanti dosi di alcool e nervosismo, qualcosa che ovviamente ci porta a dubitare dell'effettiva verosimiglianza di ciò che vede la protagonista. Eppure, se fosse solo così, The Night House sarebbe un film ben banale, invece sotto la superficie della ghost story e della "doppia vita" si cela qualcosa di ancora più inquietante, che è bello scoprire a poco a poco.


Importantissimi per l'atmosfera allucinata del film sono il montaggio e la regia. Le notti di Beth sono fatte di "viaggi", non si possono definire in altro modo, durante i quali la donna finisce in una realtà altra quasi impossibile da distinguere rispetto a quella vera, tanto il montaggio è realizzato senza stacchi né apparente soluzione di continuità; inoltre, ad aggiungersi all'incertezza di non capire dove e quando si trovi la protagonista in un determinato momento, c'è tutto un gioco di prospettive, ombre e luci per cui non si capisce neppure se ciò che la sta osservando è davvero un essere fuso con l'oscurità oppure un gioco della nostra immaginazione. In tutto questo, ci si può godere un'interpretazione praticamente perfetta della bravissima Rebecca Hall. Forse ciò che ho apprezzato di più in The Night House è proprio il modo in cui l'attrice ha infuso in un personaggio difficile come quello di Beth una gamma vastissima di emozioni; quello che rischiava di essere un personaggio cupo, talmente depresso da risultare monocorde, diventa grazie alla Hall un essere umano a tutto tondo, non necessariamente piacevole, ma comunque ricco di sfumature che rende gradevolissime e interessanti non solo le scene in cui è costretto ad affrontare l'ignoto del sovrannaturale ma, soprattutto, la realtà di tutti i giorni dopo un lutto dolorosissimo. La sequenza in cui Beth "rimette a posto" la mamma di un suo studente e quella della bevuta al bar, con le facce sconvolte dei colleghi troppo curiosi, a mio avviso valgono da sole la visione. So bene che la Casa del Topo è il male incarnato, ma cercate di non perdervi The Night House, datemi retta. 


Del regista David Bruckner ho già parlato QUI. Rebecca Hall (Beth), Vondie Curtis-Hall (Mel) e Stacy Martin (Madelyne) li trovate invece ai rispettivi link.



domenica 8 gennaio 2017

Il GGG - Il grande gigante gentile (2016)

Mio malgrado, il 2017 cinematografico si è aperto con una delle più grandi sòle viste in vita mia. Sto purtroppo parlando di Il GGG - Il grande gigante gentile (The BFG), diretto nel 2016 da Steven Spielberg e tratto tal racconto omonimo di Roald Dahl.


Trama: Sofia è un'orfanella che non riesce a dormire la notte. Proprio durante una delle sue crisi d'insonnia vede camminare per le strade di Londra un gigante il quale, per evitare che la piccola raccontari ciò che ha visto, la rapisce e la porta con sé nel Paese dei giganti. Dopo l'iniziale e comprensibile diffidenza, tra i due nasce una bella amicizia...


Dunque, a costo di risultare impopolare a me Il GGG non è proprio piaciuto. Siccome però non si può dire di nessun film in generale né di alcuna pellicola di Spielberg in particolare "è brutto" senza addurre spiegazioni plausibili, sopportatemi ancora un pochino e vi spiegherò perché il da me tanto atteso Il GGG si è rivelato una fetecchia tanto quanto la leggendaria caciotta. Iniziamo col dire che mi trovo in imbarazzo a spalare guano sul film, anche perché dietro c'è un lavoro tecnico impressionante. Alla veneranda età di 70 anni il buon Steven non smette mai di sperimentare ed imparare e i suoi fidati collaboratori non lo lasciano ovviamente da solo lavandosene le mani ma, piuttosto, cercano di creare attorno al grande regista un ambiente lavorativo il meno straniante e freddo possibile. Ecco che allora, in soccorso a Steven arrivano miracolose tecniche quali la Simulcam, già utilizzata da James Cameron in Avatar, che consente al regista di veder scorrere nei monitor della telecamera sequenze già girate in precedenza così da poter coordinare l'azione in tempo reale a quella "virtuale" senza diventare scemo con l'impersonale green screen; gli scenografi (e qui un plauso lo meritano Rick Carter e Robert Stromberg perché le scenografie de Il GGG sono splendide e non solo per quel che riguarda la casa-laboratorio del protagonista, probabilmente l'ambiente che mi è piaciuto di più, ma anche gli interni di Buckingham Palace e le strade di Londra sono bellissimi) hanno fatto un lavoro certosino per dare sia a Spielberg che agli attori materiale tangibile su cui lavorare e per consentire a Mark Rylance e alla piccola Ruby Barnhill di interagire al meglio, sfruttando dimensioni diverse, prospettive particolari e persino l'ausilio di telecamere fluttuanti che permettevano ai due di guardarsi negli occhi. Insomma, dietro a Il GGG c'è un lavoro di ingegno umano talmente grande che non si può dismettere il film come "brutto". Il GGG è un bellissimo film, tecnicamente ineccepibile, qualcosa che trascende l'immaginazione umana o, meglio, riesce a catturarla e riportarla su grande schermo, profondendosi in sequenze quasi oniriche (che meraviglia, ribadisco, l'antro del GGG con tutti quei sogni luminosi imprigionati nei barattoli) che farebbero invidia a Tim Burton, impreziosito da un'infinita e certosina cura per i dettagli e da una fotografia che addolcisce l'uso intensivo della CGI senza dare allo spettatore quell'effetto "posticcio" che è sempre dietro l'angolo. Insomma, Spielberg è e rimane uno dei più grandi registi viventi e nessuno potrà mai dire il contrario. Eppure, con tutto questo, Il GGG è un Gargantuesco Gonfiamento di Gonadi.


Stacco. Immaginate che io sia un essere deprecabile, una persona alla quale del lavoro certosino che sta dietro ad un film non freghi una beneamata, uno di quelli che dice "cos'è sta mer*a?" semplicemente perché durante la visione s'è fatto due palle così. Ecco, da questo punto di vista Il GGG diventa davvero una pellicola orrenda. Prima che partiate con invettive del tipo "E' Roald Dahl, il materiale di partenza non può cambiare più di tanto, vilipendio alla bandiera e pure a Spielberg, ecc. ecc.": a me Dahl piace, e molto. Ho adorato sia leggere cose come Matilda, La fabbrica di cioccolato, Le streghe che vedere i film che ne hanno tratto (non, non è vero. Quello di Burton non esiste), per quanto lo stile e i temi dello scrittore siano sempre stati un po' sciocchini ed infantili nonostante le generose dosi di humour nero che li caratterizzavano. Non ho effettivamente mai letto Il GGG e forse se lo avessi fatto mi sarei risparmiata un viaggio al cinema, chissà, ma giuro che non mi è MAI e dico MAI capitato di provare fastidio davanti a un film dopo appena cinque minuti. PROBABILMENTE è colpa del doppiaggio italiano ma il desiderio infinito di strozzare la piccola Sofia si è instillato in me violento e subitaneo, con quel suo presumin e il modo lagnoso di rivolgersi al GGG; allo stesso modo, al terzo "mia frullettina, frullarella, patasfralli" del Gigante alla bambina (e mi perdoni De Gregori) ho temuto che mi cogliesse un attacco di diabete fulminante. Poco prima che i due arrivassero all'albero dei sogni l'amico Toto, disperato quanto la sottoscritta, si è girato a dirmi "Ti vedo poco convinta, eh". No, Toto, lo ammetto pubblicamente: in quel momento mi hai ridestata da un abbiocco che mi aveva già trascinata nel mondo dei sogni e ti ringrazio perché dormire al cinema è una cosa che mi è capitata solo due volte, con Vidoq e con Capote, nemmeno La talpa mi aveva fatto quest'effetto. Ho provato a concentrarmi sui giganti malvagi, sperando che prima o poi si mangiassero Sofia e alterassero i connotati al GGG, ma niente, dei poveri sfigati pure loro, e il peggio è arrivato nel momento Vanzina, quello in cui Toto ha esclamato "Ma non oseranno far fare alla regina...?". Sì, hanno osato. Hanno osato, per poi affondare direttamente il coltello del "momento patetico" nel mio cuore già provato da cotanto scempio. E se non mi sono messa a piangere per il commovente dialogo finale tra Sofia e il GGG, io che piango persino davanti alla pubblicità delle Poste e che mi ero entusiasmata davanti a Le avventure di Tin Tin nonostante l'odio che provo da sempre per il personaggio di Hergé, è perché, davvero, di questi due personaggi non me ne poteva fregare di meno. Quando la bellezza della tecnica si scontra con la mancanza di sentimento, mi spiace ma vince quest'ultima: Il GGG è un film che sconsiglio e il diludendo è stato per me ancora più grande, perché aspettavo di vederlo da mesi.


Del regista Steven Spielberg ho già parlato QUI. Mark Rylance (GGG), Jemaine Clement (InghiottiCiccia), Rebecca Hall (Mary), Rafe Spall (Mr. Tibbs) e Bill Hader (Sangue-Succhia) li trovate invece ai rispettivi link.

Penelope Wilton interpreta la regina. Inglese, ha partecipato a film come Shaun of the Dead, Orgoglio e pregiudizio e a serie quali Doctor Who e Downton Abbey. Ha 71 anni e un film in uscita.


Pare che Spielberg avesse chiesto a Gene Wilder di fare un'apparizione nel film ma il grande attore ha giustamente rifiutato; inoltre, pare anche che un adattamento de Il GGG fosse in progetto da almeno vent'anni (e chi se non Robin Williams avrebbe potuto interpretare il gigante gentile?) mentre addirittura Spielberg avrebbe voluto dirigerlo sin dalla prima lettura del libro di Dahl. Esiste comunque un adattamento a cartoni animati della stessa storia, Il mio amico gigante, diretto nel 1989 da Brian Cosgrove, dal quale è stata tratta la sequenza in cui l'occhio di un gigante diventa il sole. Non avendolo mai visto non posso consigliarvene il recupero ma se Il GGG vi fosse piaciuto guardate E.T. - L'extraterrestre ed Eliott il drago invisibile. ENJOY!

venerdì 11 marzo 2016

Regali da uno sconosciuto - The Gift (2015)

Passato un po' (ma neanche troppo) l'hype da Lo chiamavano Jeeg Robot è arrivato il momento di parlare di un altro film uscito la settimana scorsa, ovvero Regali da uno sconosciuto - The Gift (The Gift), diretto, scritto e interpretato nel 2015 da Joel Edgerton.


Trama: Simon e Robyn sono una coppia senza figli che decide di trasferirsi in una nuova casa. A pochi giorni dal loro arrivo vengono avvicinati da Gordon, ex compagno di scuola di Simon che comincia a lasciare agli sposini dei regali sulla soglia di casa e a comportarsi in maniera invadente ed inquietante...


Chissà perché ogni tanto, nel marasma delle produzioni straniere che arrivano in Italia, spunta anche qualche thriller vecchio stampo che fa ripiombare noi figli degli anni '80 nelle atmosfere tipiche del ciclo Alta Tensione. Sarà perché gli americani, abituati come sono a vivere in case dalla metratura quadrata sterminata e possibilmente ubicate in luoghi isolati, sono sempre stati molto sensibili all'argomento "vicino inquietante che si intrufola nella magione non invitato", oppure perché dati gli alti numeri della popolazione è più facile che tra le conoscenze più o meno casuali ci siano anche degli psicopatici, vai a sapere. Sta di fatto che The Gift è l'ennesimo esempio di un genere che ama gettare in pasto allo spettatore famiglie insidiate da loschi figuri dalle intenzioni insondabili, talvolta contaminandolo con l'altro spauracchio All American, ovvero quello di non aver certezze neppure per quel che riguarda i propri familiari. In soldoni, quello che si vede nel trailer di The Gift, ovvero il tizio palesemente pazzo che sceglie di stalkerare i due protagonisti, è solo il preambolo da cui parte il tuttofare Joel Edgerton per creare una trama un po' più articolata ma, ahilui, non per questo meno banale o maggiormente efficace, salvata giusto da un paio di "twist" che tuttavia compensano poco la generale aria telefonata dell'intera vicenda. Gli stessi personaggi sono un compendio di ogni cliché possibile ed immaginabile, sterotipi che spaziano dall'indispensabile pazzoide alla moglie traumatizzata, impasticcata e per questo inaffidabile, per arrivare al premuroso marito troppo perfetto per essere vero.


The Gift si trascina quindi per tutta la sua durata senza guizzi particolari, preda di un generale piattume ravvivato giusto da un paio di momenti "saltosullasedia", vittima di una regia incolore che non lo aiuta a liberarsi da quella fastidiosa aria di vecchiume che si percepiva fin dai trailer. Gli interpreti di per sé non sarebbero nemmeno malaccio considerato che Joel Edgerton è sia regista, che sceneggiatore, che pazzo regalomane e tenendo anche presente che Jason Bateman si è fatto le ossa principalmente nelle commedie, ma purtroppo sia loro che Rebecca Hall sembrano giusto delle figurine bidimensionali in movimento sullo sfondo e non c'è un solo momento all'interno di The Gift durante il quale lo spettatore arrivi non dico a provare empatia per loro ma neppure ad interessarsi alle loro vicende. A fronte di tutto ciò mi perplime molto il fatto che la critica d'Oltreoceano sia praticamente concorde nel definire la pellicola di Joel Edgerton raffinata ed accattivante, intelligente e addirittura "sovversiva" per quel che riguarda la sua struttura; onestamente, il twist più particolare è solo uno e si consuma anche in fretta, perdendosi nel solito, americanissimo (e ciò fa ancora più strano visto che Edgerton è australiano) vizio di ribadire l'ovvio e spingere i personaggi ad indagare su cose che lo spettatore medio ha già intuito da almeno mezz'ora. Per me The Gift non vale i soldi che spendereste nel biglietto ma se ne avete letto meraviglie su siti blasonati come Rotten Tomatoes o Roger Ebert.com e volete giustamente dargli una chance non sarò io a fermarvi!


Di Joel Edgerton, regista e sceneggiatore della pellicola nonché interprete di Gordo, ho già parlato QUI. Jason Bateman (Simon), Rebecca Hall (Robyn), Wendell Pierce (Detective Mills) e P.J. Byrne (Danny) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Regali da uno sconosciuto - The Gift vi fosse piaciuto recuperate La mano sulla culla, Attrazione fatale e Misery non deve morire. ENJOY!

venerdì 10 maggio 2013

Iron Man 3 (2013)

Non c'è il due senza tre e il quattro vien da sé, dicono. A me basterebbe che venisse a trovarmi Robert Downey Jr. ma, nel frattempo, sono andata a vedere per l'appunto Iron Man 3, diretto dal regista Shane Black.


Trama: dopo aver sgominato dei ed invasioni aliene il povero Tony Stark è comprensibilmente scosso, ma le cose peggioreranno ancora con l'arrivo del Mandarino e di un pericoloso personaggio legato al passato del genio miliardario...



Che bello. Andare in sala e guardare gli Iron Man con Robert Downey Jr. è come ritrovare un vecchio amico. Un vecchio amico figo ed incredibilmente carismatico. Credo che potrebbero mettere delle scimmie a girare la pellicola e dei paguri a sceneggiarla, tanto basterebbe l'attore a reggere e a rendere credibile da solo l'intero film. Non a caso, stavolta il grassissimo Jon Favreau si è ritirato e ha lasciato il timone a Shane Black ma, siamo sinceri, a parte per gli interessantissimi e visionari video del Mandarino si nota la differenza? Sì, forse Iron Man 3 è un po' meno scanzonato rispetto ai precedenti film, ma per il resto è lo stesso tanta roba e, cosa molto importante, riesce a mantenere una sorta di equilibrio tra effetti speciali ed elemento "umano": abbiamo un fottìo di armature per far fremere nerd e fan, ci sono i soldati indistruttibili che prendono fuoco e si rigenerano, ma ci sono anche moltissime sequenze che ci mostrano come Iron Man sia innanzitutto un uomo di nome Tony Stark che deve capire come essere forte e superare le sue paure anche senza nascondersi dentro ad un guscio ipertecnologico.


In Iron Man 3 si gioca molto sul concetto di "maschera" e immagine. Non preoccupatevi, non c'è nulla di troppo cervellotico o psicologico, ma il ragionamento alla base del film è molto interessante e, oltre a riaffermare il tema della tecnologia come valido aiuto e contemporaneamente possibile strumento negativo, da il la ad un maggiore approfondimento del personaggio di Tony Stark (collegando direttamente le vicende del film a quelle di The Avengers e rafforzando così l'idea di una continuity cinematografica Marvel) e ad un paio di twist assai interessanti che colgono lo spettatore di sorpresa soprattutto per quanto riguarda i villain. Non sto ovviamente a fare spoiler ma, credetemi, conoscendo vagamente la storia fumettistica dei personaggi al momento delle rivelazioni concernenti il Mandarino ho dovuto raccogliere da terra la mascella e fare un plauso agli sceneggiatori... che peraltro hanno trovato il modo di mostrare il più possibile Robert Downey Jr. senza armatura e conciato con delle mise un po' streppone ma sicuramente adattissime all'attore, che non mi pento di definire uno gnocco della Madonna e... sì, scusate, sto divagando.


Dicevamo, gli attori. Finalmente la Pepper Potts di Gwyneth Paltrow ottiene lo spazio che avrebbe sempre meritato e ci regala delle sequenze finali da favola, Ben Kingsley nei panni del Mandarino è semplicemente favoloso e imprevedibile, infine Guy Pearce è un villain convincente e un trasformista da paura (il make up è sicuramente fatto bene ma lui ci mette del suo). La palma d'oro per i due migliori gatti di marmo la vincono invece Don Cheadle, incapace di reggere i duetti con Robertino adorato e meno espressivo persino di War Machine, e la povera Rebecca Hall, costretta in un personaggio la cui utilità è pari a quella dell'ubiquo Stan Lee, che compare ormai incartapecorito nel solito cammeo più o meno a metà film. Di Robert Downey Jr. potrei invece tessere le lodi per almeno 1000 post, quest'uomo passa dall'essere un esilarante cialtrone a un eroe sofferente in tempo zero e sempre in modo convincente e che non vi venga in mente di andarvene prima della fine dei lunghissimi titoli di coda perché rischiereste di perdervi una chicca che ve lo renderà ancora più simpatico. Insomma, non sto a farla più lunga del necessario, Iron Man 3 è tutto quello che ci si può aspettare: azione, ironia, suspance, Eiffel 65 (non sto scherzando, l'inizio truzzo è una delle cose più trash e meravigliose del film!) e, soprattutto, Robert. Robert, Robert, Robert. Sia lodato il giorno in cui hai accettato il ruolo di Tony Stark, bello mio.


Di Robert Downey Jr. (Tony “Iron Man” Stark), Gwyneth Paltrow (Pepper Potts), Don Cheadle (Colonnello James Rhodes), Guy Pearce (Aldrich Killian), Rebecca Hall (Maya Hansen, ruolo che avrebbe dovuto andare a Jessica Chastain che però ha dovuto rinunciare per impegni pregressi), Jon Favreau (Happy Hogan), Ben Kingsley (il Mandarino), Paul Bettany (la voce di Jarvis) e William Sadler (il presidente) ho già parlato ai rispettivi link.

Shane Black è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Prima di Iron Man 3 ha diretto solo un altro film, Kiss Kiss Bang Bang e pare che stia per cimentarsi nel remake USA di Death Note. Americano, anche attore e produttore, ha 52 anni.


James Badge Dale (vero nome James Badgett Dale) interpreta Savin. Americano, ha partecipato a film come Il signore delle mosche, The Departed – Il bene e il male, Shame, Flight e alle serie 24, CSI – Scena del crimine, CSI: Miami e CSI: NY. Ha 35 anni e tre film in uscita, tra cui gli imminenti World War Z e The Lone Ranger.


Miguel Ferrer interpreta il vice presidente. Caratterista americano dalla faccia conosciutissima, lo ricordo innanzitutto per Twin Peaks e poi per film come RoboCop, L’albero del male, Fuoco cammina con me, Hot Shots! 2, L’ombra dello scorpione, Stephen King’s Shining, The Night Flier, Mr. Magoo e Traffic. Ha inoltre partecipato alle serie Magnum P.I., Chips, Miami Vice, E.R. Medici in prima linea, Will e Grace, Una famiglia del terzo tipo, CSI – Scena del crimine, Lie to Me, Desperate Housewives e, come doppiatore, ha lavorato in Mulan e nelle serie Hercules, Robot Chicken e American Dad!. Anche regista, ha 58 anni.


Jon Favreau, regista dei primi due Iron Man, ha rinunciato all’offerta di dirigere il terzo capitolo per dedicarsi a Magic Kingdom e Jersey Boys, due film che ancora non hanno né un cast né una data d’uscita. Aspettando che Tony Stark ritorni, come annunciato alla fine dei credits, se Iron Man 3 vi fosse piaciuto consiglio intanto il recupero dei primi due capitoli della saga e di The Avengers. ENJOY!!

mercoledì 16 maggio 2012

1921 - Il mistero di Rookford (2011)

Per la serie “il film bello che non ti aspetti”, il post odierno lo dedicherò interamente a 1921 – Il mistero di Rookford (The Awakening), film diretto nel 2011 dal regista Nick Murphy, ovviamente mal distribuito nei cinema italiani e fortunatamente recuperato.


Trama: nel 1921 un’esperta di fenomeni paranormali viene chiamata presso un collegio maschile, dove pare che un fantasma abbia già ucciso uno degli studenti. Inizialmente scettica, la donna dovrà ricredersi quando la misteriosa entità comincerà a prendere di mira proprio lei…


1921 – Il mistero di Rookford è quel genere di thriller soprannaturale che io adoro, sottilmente inquietante, molto malinconico e in grado di tenere incollati allo schermo fino alla fine. L’elemento horror o comunque fantastico viene utilizzato per indagare su emozioni molto reali e umane, come la solitudine, il senso di colpa, il dolore e l’elaborazione del lutto; a fronte di queste sensazioni spesso le persone si chiudono in sé stesse o si svuotano, diventando dei gusci vuoti impenetrabili agli stimoli esterni e incapaci di relazionarsi con gli altri, in pratica dei fantasmi essi stessi. Nella pellicola tra vivi e morti c’è poca differenza, poiché entrambi sono accomunati da un soverchiante senso di perdita e solitudine, incapaci di superare la loro condizione, la protagonista in primis: Florence non riesce a credere all’esistenza degli spiriti, eppure li cerca con una passione quasi disperata, punendosi per non essere riuscita ad essere felice quando l’uomo che amava era ancora in vita, mascherando il dolore con la freddezza e lo scetticismo. Quando scopre che il collegio nasconde effettivamente qualcosa di inspiegabile, saranno la paura e la speranza a incrinare la costante maschera di indifferenza che indossa, e a portarla a scoprire la verità su quel luogo, su se stessa e su chi la circonda.


I personaggi che popolano 1921 – Il mistero di Rookford hanno quindi tutti un loro scheletro nell’armadio, qualcosa che li blocca nella loro condizione di anime infelici. Per fortuna la bravura degli interpreti impedisce alla pellicola di scivolare nel patetico o di creare delle figure stereotipate e monodimensionali, e l’elemento psicologico si fonde perfettamente con quello soprannaturale, creando un film in grado di intrattenere e rendere partecipi allo stesso tempo. La parte thriller, infatti, funziona alla perfezione, perché pone davanti allo spettatore un mistero facilmente risolvibile con un po’ di attenzione e metodi di indagine ortodossi, che tuttavia apre le porte ad una vicenda molto più complicata dove nulla e ciò che sembra, seminando qui e là degli indizi che, nel finale, verranno ripresi per rivelare tutta la verità e nient’altro che la verità. A proposito della quale arriviamo a parlare dell’aspetto tecnico del film.


Nonostante Nick Murphy sia al suo primo lavoro cinematografico, 1921 – Il mistero di Rookford è visivamente molto bello, come raramente succede di questi tempi. La fotografia ha un sapore antico e malinconico, inoltre i personaggi e gli ambienti sembrano immersi in una nebbiolina fredda e costante, come se gli spiriti non li abbandonassero mai. Il regista non cerca il facile espediente horror per far saltare sulla sedia lo spettatore, ma infila qua e là degli elementi inquietanti, come la casetta delle bambole con i pupazzetti che ripropone fedelmente alcune scene del film, oppure inquadrature attraverso passaggi segreti ed aperture che, idealmente, consentono di vedere quello che le persone vorrebbero tenere nascosto. Un paio di sequenze mi sono piaciute molto, in particolare, come quella rivelatoria del finale, dove la stessa scena si ripropone più volte agli occhi della protagonista con un effetto a dir poco vertiginoso, oppure l’inizio, dove l’atmosfera spettrale della seduta spiritica viene cancellata con un inaspettato colpo di mano che rivela la recita messa in piedi da un gruppo di truffatori. Essendo anche curatissimo dal punto di vista della colonna sonora, molto adatta alle tristi atmosfere della pellicola, 1921 – Il mistero di Rookford è una delle poche produzioni recenti che merita sicuramente una visione, sono sicura che non ve ne pentirete.


Di Rebecca Hall, che interpreta Miss Cathcart, ho già parlato qui.

Nick Murphy è il regista della pellicola. Inglese, ha alle spalle episodi di varie serie televisive e documentari. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha un film in uscita.


Dominic West (vero nome Dominic Gerard Fe West) interpreta Robert. Inglese, ha partecipato a film come Sogno di una notte di mezza estate, 300 e Hannibal Lecter – Le origini del male. Anche regista e produttore, ha 43 anni e un corto in uscita.


Imelda Staunton (vero nome Imelda Mary Philomena Bernadette Staunton) interpreta Maud. Inglese, la ricordo per film per aver interpretato la perfida Dolores Umbridge in Harry Potter e l’Ordine della Fenice e Harry Potter e i doni della morte – parte I, inoltre ha partecipato ad altri film come Shakespeare in Love, serie come Little Britain e Doctor Who, doppiato personaggi di Alice in Wonderland e Galline in fuga. Ha 56 anni e un film in uscita.


Se il film vi fosse piaciuto vi consiglio di guardare The Others oppure, andando un po’ più sul "pesante", The Ward di John Carpenter. ENJOY!

martedì 19 ottobre 2010

The Town (2010)

Temo che quest’anno cinematografico mi porterà a dover rivalutare qualche attore e regista che non ho mai amato. Prima mi è toccato ammettere che Leonardo Di Caprio è migliorato nel tempo fino a riuscire a sostenere una meraviglia come Inception, ora mi tocca ammettere che Ben Affleck è un bravo regista (come attore ho ancora qualche riserva, insomma…) e consigliare il suo ultimo film, The Town, tratto dal libro Prince of Thieves scritto nel 2004 dallo scrittore americano Chuck Hogan.

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Trama: Doug MacRay è un abilissimo ladro che, con i suoi tre compagni di sempre, si è specializzato nel rapinare banche e furgoni portavalori. Durante l’ultima rapina lui e i suoi prendono in ostaggio il direttore della banca, Claire. Dopo la traumatica esperienza, la ragazza viene contattata dall’FBI, e Doug decide di avvicinarsi a lei per scoprire quel che sa, solo per ritrovarsi innamorato perso, ricambiato e a rischio di compromettere l’intera banda…

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Io sono un po’ di parte, lo ammetto. Chi mi conosce sa che, forse prima ancora degli horror, i film che mi fanno veramente uscire di testa sono quelli imperniati su piccole bande di malviventi, ladri o mafiosi, pellicole che raccontano modi e luoghi del sottobosco criminale. Inutile dire, quindi, che Casinò e Quei bravi ragazzi di Scorsese, piuttosto che Il Padrino, passando per Sleepers fino ad arrivare a I Sopranos sono cose che riguarderei mille volte senza stancarmi mai. The Town omaggia, in parte, tutti questi film e serie, spostando l’”azione” in una realtà a me sconosciuta, la Charlestown di Boston, che a quanto pare è la culla dei rapinatori di banche. Il film quindi, come i grandi precursori, non si limita a mostrarci semplicemente le rapine, la lotta con l’FBI, le violenze che circondano queste persone, ma anche la loro vita, le personalità e i problemi dei singoli criminali. Ben Affleck in particolare si concentra sui due opposti, il pacato e ragionevole Doug, il cui unico sogno è di lasciarsi alle spalle Charlestown, e il violento Jim, suo migliore amico e quasi fratello, figlio immutabile della realtà in cui è nato e cresciuto. Fulcro del loro contrasto, come in ogni storia criminale che si rispetti, una donna, la semplice Claire, outsider in più di un senso in quanto estranea sia alla realtà quasi mafiosa in cui sono invischiati i protagonisti che alla città in cui vivono, e forse per questo l’unica in grado di catturare occhi e cuore di Doug, portandolo via da amici, complici, ex fidanzate e presunte figlie illegittime.

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The Town è molto ben fatto, come regista Ben Affleck è decisamente meglio che come attore. Splendide le rapine che ci vengono mostrate, con un montaggio serratissimo e l’idea inquietante di far indossare alla banda delle maschere di gomma (le suore fanno molto più senso degli scheletri, effettivamente…), emblematiche alcune immagini, come quella di Claire che cammina bendata e a piedi nudi verso la riva del mare (“Credevo che prima o poi avrei sentito il vuoto e sarei caduta…”) o come quella in cui il bastardissimo fioraio Fergie, tra parentesi il personaggio più riuscito del film assieme al folle Jim, mette il protagonista davanti ad una spiacevole verità mentre ripulisce le rose con un coltello, tagliando con violenza spine e foglie. Purtroppo Affleck, a differenza dei grandi autori, è immaturo ancora e si concede a qualche ingenuità o, peggio, a qualche desiderio del pubblico femminile (le immagini in cui si mostra seminudo a balestrarsi sono sicuramente piacevoli ma inutili, a pensarci bene…), e quel che ne risente è, paradossalmente, proprio la love story che dovrebbe essere il fulcro del film. Troppo inverosimile, nata dal nulla e basata su una reciproca tristezza che, lungi dall’essere commovente, strappa delle matte risate: il direttore di banca sarà anche caruccetto (anche se indossa sempre la stessa roba, bisogna dirlo…) ma vorrei sapere in quale mondo un rapinatore si prenderebbe il tempo di sussurrarle con voce suadente per calmarla mentre cerca di aprire la cassaforte, senza contare che i due si innamorano seguendo battute trite e ritrite con l’aggiunta di roba come: “Ah, che bella giornata di sole!” “No, a me le giornate di sole ricordano quando il mio fratellino è morto…” “Ah diamine, non lo sapevo. Beh, che dire, mia madre ha abbandonato me e quell’ubriacone di mio padre quando ero piccolo, ho passato mesi a cercarla come un fesso, consolati…” Ma ammazzatevi, che sfiga santo cielo!! A fronte di questo, ben venga un personaggio come quello di Jim, che almeno vivacizza il tutto con degli scatti di follia (e per fortuna Affleck non ha tentato l’omaggio a Joe Pesci, dando all’irlandesotto un’impronta abbastanza personale, sennò sarebbe stato passabile di fucilazione) e riporta il film sul giusto binario. Nonostante questo, comunque, The Town è davvero un bel film che merita di essere visto.

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Di Ben Affleck, regista ed interprete del protagonista, ho parlato qui, mentre l’ubiquo Pete Postlethwaite, che interpreta Fergie, lo trovate qui.

Rebecca Hall interpreta Claire. Inglese, ha partecipato a film come The Prestige, Vicky Cristina Barcellona e Dorian Gray. La sua carriera è solo all’inizio quindi! Ha 28 anni e tre film in uscita.

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Jeremy Renner interpreta James Coughlin. Californiano, ha partecipato a film come North Country e 28 settimane dopo oltre che a serie tv come Angel, CSI e Dr. House. Ha 39 anni e quattro film in uscita, tra cui The Avengers, dove avrà il ruolo di Occhio di falco.

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Chris Cooper interpreta Stephen MacRay, il padre del protagonista. Bravissimo attore che ricorderò sempre nei panni dell’ambiguo vicino di Kevin Spacey nello splendido American Beauty, tra gli altri suoi film segnalo Io me & Irene, Il patriota, l’ammorbante Seabiscuit, Capote e Syriana; ha inoltre partecipato a serie come Miami Vice e Law & Order. Americano, ha 59 anni e un film in uscita.

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E ora qualche curiosità: Titus Welliver, che interpreta l’agente Dino, è un attore che sicuramente i fanatici di Lost ricorderanno bene, visto che ha dato volto e voce al fantomatico “Uomo nero”, il fratello/avversario di Jacob nell’ultima serie. Peccato invece per il povero Victor Garber, attore che io adoro e che interpretava il padre di Sydney Bristow in Alias, che si riduce ad una comparsata da sfigato nei primi dieci minuti di film. Vi lascio quindi con il trailer originale del film... ENJOY!




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