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mercoledì 11 maggio 2022

Fenomeni paranormali incontrollabili (1984)

Siccome domani dovrebbe uscire il nuovo Firestarter, ho deciso di recuperare Fenomeni paranormali incontrollabili (The Firestarter), diretto nel 1984 dal regista Mark K. Lester e primo film ad essere stato tratto dal romanzo L'incendiaria di Stephen King.


Trama: Andy e la figlia Charlie sono in fuga dagli uomini della Bottega, che li cercano per studiare e sfruttare i loro poteri psichici. In particolare, la Bottega è molto interessata a Charlie, dotata di una potentissima e incontrollabile pirocinesi...


Ci credete che, fino a pochi giorni fa, non avevo mai visto Fenomeni paranormali incontrollabili? Eppure, a ripensarci, era un film che passavano spessissimo in TV quando ero ragazzina, ma nonostante fosse tratto da un romanzo di King che ho letto parecchie volte non mi è mai venuto voglia di guardarlo. Ora posso dire che non è uno dei film Kinghiani "imprescindibili" e il motivo è presto detto, anche se probabilmente farà inorridire tutti i Fedeli Lettori: è identico al romanzo, che segue in maniera pedissequa dall'inizio alla fine. Come sappiamo, gli adattamenti "fantasiosi" sono spesso e volentieri il male e non sarò io a negarlo (qualcuno ha detto La torre nera? Qualcuno ha detto L'acchiappasogni?) ma anche inchinarsi al genio di King spesso fa più danni che il colera, soprattutto quando, come nel caso de L'incendiaria, inchinarsi davvero vorrebbe dire prendere l'abbondantissimo approfondimento psicologico di Andy, Charlie e persino Rainbird e costruirci sopra un film, altrimenti rimane solo un susseguirsi di eventi che, talvolta, presi da soli risultano monodimensionali, quando non addirittura noiosi. Sarà per l'atmosfera pesantemente anni '80 del film, ma è un po' difficile affezionarsi o provare interesse per le vicende di Andy (Charlie è un altro paio di maniche e ci mancherebbe. E' un topolino biondo con un musetto adorabile e l'attrice migliore del mucchio, nonostante i grandi nomi coinvolti), inseguito da agenti che sembrano uscire dritti da qualche episodio di Hunter, non solo anonimi ma proprio squallidi, perché viene poco approfondito il terrore del padre davanti a una figlia pericolosissima (anche l'episodio di Vicky viene relegato a una pennellata di colore) e, soprattutto, viene ignorata la fascinazione di Charlie verso un potere che la seduce e la rende libera, e che la terrorizza proprio per questo motivo.


In Fenomeni paranormali incontrollabili la "soddisfazione" di Charlie nell'utilizzare la pirocinesi viene ridotta a una sbruffonata da bimba, e così si perde un po' tutto ciò che sta dietro, lasciando che il film di Lester sia "semplicemente" una buona produzione dal budget importante, una pellicola che scorre liscia dall'inizio alla fine senza mai diventare memorabile. L'unica cosa davvero entusiasmante del film è il finale. Se pensate che Fenomeni paranormali incontrollabili è stato realizzato ormai quasi 40 anni fa, rimarrete a bocca aperta quando vi renderete conto che lo sfogo di Charlie nelle ultime sequenze non è invecchiato di un giorno; merito, ovviamente, di effetti speciali fisici e pericolosissimi, che hanno richiesto la presenza di vere palle infuocate attaccate a dei fili, stuntman che prendevano davvero fuoco, edifici che esplodevano realmente, il tutto con una Drew Barrymore troppo piccola per girare di notte e a volte sostituita da una controfigura. Il resto, in effetti, è un po' invecchiato maluccio, a cominciare dalla colonna sonora dei Tangerine Dreams, non particolarmente adatta se posso permettermi, per concludere con gli attori principali: George C. Scott ce la mette tutta ed è un villain molto intenso, per quanto leggermente weird, Martin Sheen invece è un cartonato privo del carisma necessario ad interpretare Cap Hollister e David Keith vive della luce riflessa della dolcissima Drew Barrymore, ma nelle scene in solitaria non regala particolari emozioni. In tutto questo, credo che Fenomeni paranormali incontrollabili sia da recuperare almeno una volta, se non altro per rimpiangere la bellezza del cinema artigianale dopo la scorpacciata di CGI che sicuramente saremo costretti a fare col film di Keith Thomas.


Di Drew Barrymore (Charlie McGee), Martin Sheen (Capitano Hollister), George C. Scott (John Rainbird) e Louise Fletcher (Norma Manders) ho già parlato ai rispettivi link.

Mark L. Lester è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Classe 1984, Commando e Classe 1999. Anche produttore e sceneggiatore, ha 76 anni.


David Keith
interpreta Andrew McGee. Americano, ha partecipato a film come Ufficiale e gentiluomo, U-571, Men of Honor, Carrie, All Souls Day: Dia de los Muertos e a serie quali Happy Days, Oltre i limiti, Walker Texas Ranger, Più forte ragazzi e CSI: Miami. Anche regista, produttore e stuntman, ha 67 anni e un film in uscita.


Heather Locklear interpreta Vicky McGee. Americana, ha partecipato a film come Fusi di testa 2: Waynestock, Il club delle prime mogli,  Scary Movie 5 e a serie quali CHIPs, La famiglia Bradford, Fantasilandia, Love Boat, Dynasty, Melrose Place, Ally McBeal, Scrubs, Due uomini e mezzo, Hannah Montana; come doppiatrice ha lavorato in Batman e Hercules. Anche produttrice, ha 60 anni.


Il film avrebbe dovuto venire diretto da John Carpenter e scritto dallo sceneggiatore de La cosa, ma dopo il fallimento al botteghino del film, la Universal ha tolto loro dalle mani il progetto. Per quanto riguarda il ruolo di Charlie, la Barrymore ha vinto su nomi del calibro di Jennifer Connelly e Heather O'Rourke. Esiste un seguito del film, una miniserie televisiva dal titolo L'incendiaria che racconta le disavventure di Charlie dopo 10 anni e che vede tra gli attori protagonisti Dennis Hopper e Malcom McDowell nei panni di un redivivo John Rainbird. Onestamente, avrei paura a guardarla, quindi se Fenomeni paranormali incontrollabili vi fosse piaciuto potreste recuperare L'occhio del gatto. ENJOY! 


venerdì 9 aprile 2021

Judas and the Black Messiah (2021)

Altro giro di Oscar, altro regalo. Esce oggi sulle varie piattaforme di streaming Judas and the Black Messiah, diretto e co-sceneggiato dal regista Shaka King e candidato a ben 6 statuette (Miglior Film, Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield migliori attori non protagonisti, Miglior Canzone Originale, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia).


Trama: Billy O'Neal è un ladruncolo di colore che, per evitare il carcere, viene costretto dall'FBI ad infiltrarsi nelle Pantere Nere di Chicago e avvicinarsi a Fred Hampton, il presidente della sezione.


Io non capisco se quest'anno non sono dell'umore per i biopic oppure se la gente (e non parlo solo di quelli che hanno riversato mille candidature su Judas and the Black Messiah e One Night in Miami, ma anche degli spettatori che si sono profusi in lodi) si impegna a trovare questi film splendidi per paura di risultare razzista, ma anche la pellicola di Shaka King ha messo a dura prova la mia capacità di attenzione e, per dirla semplicemente, "mi ha lasciata come mi ha trovata", quindi adesso mi sento anche un po' scema ed ignorante. Quest'ultimo aggettivo in particolare mi turba perché, di base, guardando Judas and the Black Messiah uno rischia di non imparare davvero nulla sul movimento delle Pantere Nere e sul leader del ramo di Chicago, il giovanissimo Fred Hampton. Con tutto il bene che voglio a Daniel Kaluuya, che ha messo tutto se stesso nel personaggio e si vede, l'attore ha 32 anni mentre Hamtpon ne aveva 21 quando è morto, il che è sconvolgente. Vero, i tempi sono cambiati così come la percezione dell'età anagrafica, e di certo un ventunenne nero nell'America razzista degli anni '60 non poteva essere imbecille come un ventunenne attuale, ma il pensiero che a fare la rivoluzione (non "giocare", è diverso) razziale e sociale dell'epoca, imbracciando fucili ed idee politiche radicali che nel film vengono appena accennate, fossero dei ragazzini stravolge tutta la percezione di un film che punta più sugli slogan vuoti e sulla natura di agitatore di masse di Fred Hampton, nonché sulla love story più sciapa del mondo, che sull'offrire un ritratto a tutto tondo del suo giovane e sicuramente incredibile protagonista.


Non è un caso, per l'appunto, che sia Billy O'Neal, il Giuda del titolo originale, a focalizzare maggiormente le attenzioni del pubblico, tanto che gli attori sono stati candidati entrambi come Non Protagonisti per par condicio. Ma, anche lì, Billy O'Neil non era uno scafato ladro di auto trentenne con atteggiamenti da pimp, era un teenager di 17 anni che si è ritrovato in una storia più grande di lui e che ha fatto quel che ha fatto (attenzione: non è certo che abbia avvelenato lui Hampton, come invece viene mostrato nel film) probabilmente spinto da un mix di paura, esaltazione, incoscienza e Dio solo sa quante altre emozioni, emozioni che traspaiono in maniera molto blanda da Lakeith Stanfield, affidate giusto a qualche atteggiamento spavaldo, qualche "fuck" di troppo e alcuni scambi zeppi di cliché attraverso i quali si sviluppa il rapporto con l'agente Roy Mitchell, "buono" costretto dai mala tempora ad inghiottire in silenzio tutto il razzismo dell'FBI e ad agire come vogliono i superiori. A questo stravolgimento "anagrafico", che rende i personaggi più belli, patinati e maturi di quanto non fossero, si aggiungono una messa in scena e una scrittura "piacevoli" e prive di difetti, che concorrono a rendere digeribile un capitolo controverso della lotta sociale nera anche al pubblico bianco, mostrando le Pantere come un gruppo inclusivo (c'è pure la parentesi coi personaggi gay, scritti su un foglio di carta velina) di benefattori col vizio di atteggiarsi un po' da guappi e di inneggiare alla lotta armata, con un capo che, dietro tutti i paroloni e gli atteggiamenti minacciosi, è un pupazzetto dolciotto bisognoso d'amore. La morte su schermo di Hampton si priva così della sua valenza tragica, di giovane carismatico falciato dalla manazza del Governo spaventato e razzista, e quella di O'Neil, apparentemente suicidatosi dopo la sua prima intervista televisiva all'età di 40 anni, viene relegata alla solita riga di spiegazioni prima dei titoli di coda ma il suo senso di colpa, se mai c'è stato, non viene quasi mai trasmesso allo spettatore. Insomma, anche stavolta, un film che dimenticherò nel giro di una settimana e che spero vivamente non porti a casa neppure una delle troppe statuette per cui è candidato. 


Di Daniel Kaluuya (Fred Hampton), Lakeith Stanfield (Billy O'Neal), Jesse Plemons (Roy Mitchell), Martin Sheen (J. Edgar Hoover) e Robert Longstreet (Leslie Carlyle) ho già parlato ai rispettivi link.

Shaka King è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto anche un altro film, Newlyweeds. Anche produttore e attore, ha 41 anni.


Se Judas and the Black Messiah vi fosse piaciuto, recuperate Il processo ai Chicago 7. ENJOY! 

mercoledì 3 dicembre 2014

The Departed - Il bene e il male (2006)

Per il debutto del Bollalmanacco su V-Radio (a proposito, per chi se lo fosse perso il podcast è QUI) mi è stato chiesto di parlare di The Departed - Il bene e il male (The Departed), diretto da Martin Scorsese nel 2006 e vincitore di quattro premi Oscar (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura non originale, Miglior Montaggio). E forse, vista la qualità dell'opera, è bene parlarne anche un po' qui!


Trama: Colin Sullivan è appena diventato agente di polizia e la sua carriera è in costante ascesa; purtroppo, il ragazzo è un poliziotto corrotto al soldo del boss Frank Costello. Anche Billy è un novellino ma a lui è toccato invece lo scomodo compito di infiltrarsi nella gang di Costello per riuscire ad assicurare il boss alla polizia. Quando le strade dei due si incroceranno la situazione precipiterà inevitabilmente...


Lo sapete perché non avevo visto The Departed quando era uscito al cinema? Molto probabilmente anche perché ero in Australia ma soprattutto perché Leonardo Di Caprio mi stava incredibilmente sulle scatole e non potevo accettare che il mio Martino si abbassasse a collaborare con quel mocciosetto imberbe. Poi sono arrivati Scorsese e Nicholson e mi hanno presa a schiaffi forti sulla faccia perché The Departed è il più bel film recente diretto dal regista, perfetto in ogni suo aspetto, dalla trama alla regia, dagli attori alla colonna sonora. Sì, anche se è stato Mark Wahlberg (quasi irriconoscibile!) l'unico a portare a casa una nomination, tutti gli attori sono favolosi, anche e soprattutto Di Caprio, che non sfigura affatto né durante i duetti con il mostro sacro Jack Nicholson né davanti ai suoi colleghi, pur essendo costretto ad interpretare il personaggio più difficile della pellicola. Dei due protagonisti, Billy è infatti quello che, per come è stato costruito, rischiava di venire banalizzato oppure troppo caricato; un ragazzo proveniente da un ambiente malavitoso che è riuscito ad allontanarsi dalle sue radici solo per essere brutalmente ricacciato nel sottobosco criminale e che, ogni giorno, perde la sua identità e la sua sanità mentale. Di Caprio riesce a rendere il suo Billy credibile ed umano, fragile e duro al tempo stesso, mentre Matt Damon da vita a uno degli esseri più abietti mai visti al cinema, un codardo profittatore talmente falso e miserabile da risultare patetico, un verme celato da un'apparenza di bellezza, professionalità e carisma che in realtà non è altro che un lacché facilmente malleabile dalle sataniche mani di Frank Costello. Ecco, ovviamente Jack Nicholson da il bianco con un personaggio totalmente imprevedibile, un vero e proprio agente del Caos in grado di spezzare gli equilibri con uno schioccare di dita; ogni volta che la "partita" a carte coperte tra Colin e Billy, il loro gioco del gatto e del topo, sembra arrivare da qualche parte e favorire l'uno o l'altro inconsapevole contendente, spunta Costello a rimescolare tutto e a schiacciare lo spettatore con un costante senso di ansia e di imminente, sanguinosa tragedia.


Scorsese da par suo dirige con la solita finezza, dando vita a sequenze indimenticabili che acquistano ulteriore profondità grazie al montaggio della fantastica Thelma Schoonmaker e che creano sì un'atmosfera tesa ma anche molto grottesca, quasi una prefigurazione di quello che sarebbe stato poi The Wolf of Wall Street; ad una scena drammatica ne segue subito un'altra quasi farsesca (la morte di uno dei personaggi principali colpisce allo stomaco proprio perché è inaspettata visto il "clima" goliardico del momento), senza soluzione di continuità. Lo spettatore assiste così ad un vero e proprio balletto dalle mosse finemente pianificate, un'emozionante e tesissima corsa che ci fa arrivare alla fine senza fiato, cadenzata dalla splendida colonna sonora di Howard Shore, uno stranissimo mix di melodie latine (il cui ritmo somiglia molto a quello di un tango) e chitarre "americane", tipiche dei film polizieschi, a cui ovviamente si aggiungono pezzi già conosciuti come la devastante I'm Shipping Out to Boston dei Dropkick Murphys che, non so voi, ma a me esalta sempre un sacco e soprattutto incarna perfettamente un certo spirito irlandese. Oltre alla perfezione "formale", la tensione e il ritmo sono quindi assicurati in ogni aspetto di The Departed e lo spettatore viene inevitabilmente catturato da quel mondo fatto di sangue, religione, criminalità ed ipocrisia che ha sempre affascinato Martin Scorsese e che rende i suoi film migliori dei capolavori unici nel loro genere, da vedere, ascoltare e vivere fino in fondo. E pazienza se stavolta la sceneggiatura non è originale ed è stata addirittura tratta dal film hongkonghese Internal Affairs, pazienza se ci allontaniamo dai miei adorati mafiosi italo-americani per addentrarci nei meandri della mala irlandese: il cuore nero e malato dell'America, il malcelato senso di colpa di vivere una vita al di fuori dei dettami cattolici e sociali, il desiderio di diventare altro da sé non hanno confini né limiti e Martin lo sa bene!


Del regista Martin Scorsese ho già parlato QUI. Di Leonardo Di Caprio (Billy), Matt Damon (Colin Sullivan), Jack Nicholson (Frank Costello), Mark Wahlberg (Dignam), Ray Winstone (Mr. French), Vera Farmiga (Madolyn), Alec Baldwin (Ellerby), Kevin Corrigan (Cugino Sean) e James Badge Dale (Barrigan) ho già parlato ai rispettivi link.

Martin Sheen (vero nome Ramon Antonio Gerard Estevez) interpreta Queenan. Americano, padre di Charlie Sheen ed Emilio Estevez, lo ricordo per film come Apocalypse Now, Gandhi, La zona morta, Fenomeni paranormali incontrollabili, Wall Street, Hot Shots! 2 e Prova a prendermi, inoltre ha partecipato a serie come Colombo, Due uomini e mezzo e doppiato episodi delle serie Capitan Planet e i Planeteers e I Simpson. Anche produttore e regista, ha 74 anni e quattro film in uscita.


Anthony Anderson interpreta Brown. Americano, ha partecipato a film come Io, me & Irene, Urban Legend: Final Cut, Scary Movie 3 - Una risata vi seppellirà, American Trip - Il primo viaggio non si scorda mai, Scary Movie 4, Scream 4 e a serie come Tutto in famiglia e The Bernie Mac Show; come doppiatore ha invece partecipato a film come Cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 44 anni e un film in uscita.


Per partecipare a The Departed Leonardo Di Caprio ha rifiutato il ruolo di protagonista in The Good Shepherd - L'ombra del potere, subito sostituito da Matt Damon, mentre Robert De Niro ha rifiutato il ruolo di Queenan proprio per partecipare a quel film; Ray Liotta, invece, ha dovuto rinunciare al ruolo di Dignam per impegni pregressi e lo stesso è successo a Mel Gibson, scelto per il ruolo di Ellerby ma già impegnato sul set di Apocalypto. Brad Pitt invece, dopo aver rifiutato la parte di Colin Sullivan (e Tom Cruise avrebbe dovuto essere Billy), è diventato uno dei produttori della pellicola. Tra gli altri "rifiuti" c'è anche quello di RZA, per fortuna, contattato per la parte di Brown ma impegnato in altri progetti. Come ho detto nel post, inoltre, The Departed è praticamente il remake di Internal Affairs e dei suoi due seguiti, di cui contiene alcuni elementi. Se il film vi fosse piaciuto potreste provare a guardarli, altrimenti buttatevi fiduciosi su The Town, Heat - La sfida e Donnie Brasco. ENJOY!

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