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martedì 17 dicembre 2019

Che fine ha fatto Bernadette? (2019)

Nonostante il trailer non mi avesse detto granché, ho comunque recuperato Che fine ha fatto Bernadette? (Where'd You Go, Bernadette?), diretto e co-sceneggiato dal regista Richard Linklater partendo dal romanzo omonimo di Maria Semple.


Trama: Bernadette, moglie, madre ed ex architetto in profonda crisi creativa, deve affrontare la sua condizione di reclusa volontaria e far ripartire la sua vita...


Come ho scritto sopra, il trailer di Che fine ha fatto Bernadette? non mi aveva invogliata molto, ma siccome Cate Blanchett ha ricevuto una nomination ai Golden Globe ed è un'attrice che solitamente adoro veder recitare, ho deciso di dare comunque una chance al film. Non me ne sono pentita, perché Che fine ha fatto Bernadette? non è per nulla malvagio, tuttavia è una di quelle opere che, per funzionare e diventare indimenticabile, avrebbe dovuto finire tra le mani di Wes Anderson, non di un Linklater in versione anonima. I personaggi, infatti, hanno tutte le caratteristiche tanto amate dal regista di Houston, soprattutto quello principale: Bernadette è un architetto geniale, vive in un ex collegio cattolico femminile che sta cadendo in rovina, è piena di tic e fobie che le impediscono di avere una vita normale, detesta la gente ma ha una figlia che la adora, è piagata da un passato di frustrazione professionale che non riesce a superare. Basterebbe questo a farla diventare un membro onorario de I Tenenbaum, per dire, e non è meno atipico il metodo scelto per riprendere tra le mani le redini della sua vita, ovvero una fuga in Antartide, probabilmente il luogo meno ospitale del mondo. Eppure, con tutto questo, parrebbe quasi di guardare un film perfetto per i pomeriggi di Canale 5 o Rete 4, con l'unica differenza che sì, Cate Blanchett è davvero brava e si è palesemente divertita un mondo a interpretare la "strana" Bernadette, riuscendo allo stesso tempo a conferire una dimensione umana a un personaggio con il quale è difficile relazionarsi al 100%, come dimostra il marito ormai incerto sulla natura della donna che ha sposato.


Il problema di fondo di Che fine ha fatto Bernadette, comunque, è proprio questo: il divertimento. La malattia di Bernadette non è così sciocca e banale: parliamo di una donna che ha vissuto per anni una carriera frenetica all'apice del successo e che ha finito per svuotarsi, per rinnegare il suo lato creativo diventando così una persona prona alla depressione e incapace di relazionarsi con altri che non siano la sua paziente, giovane figlia. La questione della malattia mentale viene trattata invece come un gioco, un plot device facile da superare con una fuga rocambolesca e un'ancor più rocambolesca arrampicata verso la libertà e il ritorno della creatività a lungo rifiutata. Il dramma umano di Bernadette rischia di passare completamente inosservato, sviscerato com'è in 5 minuti di monologo davanti a un attonito Laurence Fishburne oppure confidato dal marito a una psichiatra che si perde nel mucchio di guest star, e quello che rimane di Che fine ha fatto Bernadette? è semplicemente l'idea di una simpatica, eccentrica matta con qualche problemino di comunicazione e tutti i soldi che vuole per risolverli nel modo più atipico possibile, abbracciando un happy ending scontato che consolerà tutta la famiglia (per dire, nel romanzo si parla di una relazione tra il marito di Bernadette e la sua assistente, cosa che nel film è completamente assente, e il finale mi pare abbastanza "sospeso"). E' vero, le tragedie e la serietà a tutti i costi non sempre pagano, soprattutto in questi tempi così pessimisti, ma lo stesso vale per la volontà di essere leggerini a sproposito; non ho letto il romanzo di Maria Semple e magari poi il tono dell'opera cartacea è simile a quello del film, ma riguardo a quest'ultimo devo ammettere che l'avrei preferito un po' meno confuso sul registro da utilizzare, con buona pace di una Blanchett comunque bravissima.


Del regista e co-sceneggiatore Richard Linklater ho già parlato QUI. Kristen Wiig (Audrey), Cate Blanchett (Bernadette Fox), Billy Cudrup (Elgie Branch), Judy Greer (Dr. Kurtz), Laurence Fishburne (Paul Jellinek), Megan Mullally (Judy Toll) e Steve Zahn (David Walker) li trovate invece ai rispettivi link.



venerdì 23 febbraio 2018

The Disaster Artist (2017)

Come avrete già intuito dal post su The Room, oggi parlerò di The Disaster Artist, diretto nel 2017 dal regista James Franco e tratto dal libro omonimo di Greg Sestero e Tom Bissell, candidato all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: il giovane Greg, attore di belle speranze, viene attirato dalla carismatica figura di Tommy Wiseau, anch'egli desideroso di diventare attore ma assolutamente NON portato per intraprendere la carriera. Nonostante tutto, i due diventano amici e decidono di realizzare il loro film, The Room, senza immaginare che l'opera verrà consacrata ai posteri come il Quarto potere dei film brutti.



Il mondo del cinema è davvero un universo a parte dove può succedere di tutto. Ci sono film oggettivamente belli che magari la gente dimentica dopo due o tre giorni, ci sono i capolavori che vengono riconosciuti subito, quelli che ci mettono anni per ottenere questo status, le robe orrende che giustamente vengono subito stroncate e condannate all'oblio... e poi ci sono film come The Room. The Room è una schifezza diretta coi piedi, scritta da un pazzo, "recitata" da cani maledetti se mai ne sono esistiti, eppure con gli anni è diventata un cult, un'aberrazione talmente affascinante e con un background così assurdo da raccogliere attorno a sé miriadi di adepti persino tra gli addetti ai lavori. Qui casca l'asino, ovvero James Franco, attore/regista/sceneggiatore talmente folle da scegliere di realizzare un docupic interamente dedicato alla creazione di The Room e alle due figure che si nascondono dietro di essa, Tommy Wiseau e Greg Sestero. Quest'ultimo, furbone matricolato alla faccia del suo aspetto da "bambolino", ha pensato bene di scrivere un libro autobiografico per cavalcare l'inaspettato successo postumo del Quarto potere dei film brutti e consacrarlo ancor più ad imperitura memoria, libro all'interno del quale viene raccontata la genesi dell'amicizia tra lui e Wiseau e tutti gli assurdi dettagli della produzione, realizzazione e distribuzione di The Room, un "dietro le quinte" che Franco ripropone (romanzandolo parecchio) con un amore tangibile, cercando di raccontare una storia molto umana piuttosto che mettere alla berlina i coinvolti o scavare nel torbido. Lo spettatore viene così portato a condividere il punto di vista di Greg Sestero, ragazzo dalla faccia pulita e dalle limitate doti di attore, che si ritrova suo malgrado a dover arginare la debordante personalità di Tommy Wiseau, uomo dalle origini sconosciute, di età indefinita e zeppo di soldi che compensa la sua assoluta incapacità attoriale (assieme a quella relazionale) con una totale mancanza di vergogna e percezione di sé. La strana amicizia tra i due nasce nel segno di James Dean e si accende dell'entusiasmo di Wiseau, che propone a Greg di condividere un appartamento a Los Angeles e da lì partire per realizzare i rispettivi sogni; purtroppo, mentre Greg comincia piano piano ad ottenere delle piccole parti e trova persino una bella fidanzata, Tommy viene scoraggiato da più parti e rimane sempre più solo, al punto da arrivare quasi a rinunciare, almeno finché Greg, per consolarlo e spronarlo, non propone incautamente di realizzare un film tutto loro. Il resto, come si suol dire, è storia. Una storia non sempre bella, certo, anche perché l'inadeguatezza di Tommy si trasforma in quattro e quattr'otto in arroganza e cattiveria sul set, alimentata da frustrazione personale e dalla convinzione di essere un genio incompreso, mentre persino Greg a un certo punto perde la pazienza e decide di lasciare Wiseau al suo destino, vergognandosi di avere partecipato ad un film condannato in partenza ad essere un flop.


Il bello di The Disaster Artist è proprio questa sua capacità di raccontare la storia di una persona VERAMENTE strana dotata di un sogno irrealizzabile, qualcosa di fruibile anche da chi The Room non l'ha mai visto. Il disagio di Greg si avverte palpabile per tutto il film, così come il suo desiderio di non ferire Tommy e di sostenere comunque l'amico che nonostante tutto lo ha aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo; allo stesso modo, Wiseau sarebbe da prendere a schiaffi per la sua tracotanza e testardaggine ma spesso suscita anche sentimenti di tristezza e pietà, ché non dev'essere facile essere troppo weird persino per Hollywood e venire etichettati come "cattivi" solo per il proprio aspetto quando invece si vorrebbe recitare nei panni dell'eroe. Per chi invece ha visto The Room, il film di Franco assume una valenza ancora diversa e porta non solo a guardare con maggiore indulgenza agli enormi difetti dell'opera di esordio di Wiseau, ma anche a capirne la natura di "comfort zone", di universo a sé stante dove Tommy poteva non solo essere protagonista ma anche raccontare la sua storia, il suo desiderio di essere eroe buono ed incompreso, avere il controllo di qualcosa dal quale la macchina di Hollywood lo avrebbe sempre tenuto fuori. Ecco che allora il folle desiderio di perfezione assoluta (emblematica la scena in cui Tommy umilia l'attrice che interpreta Lisa davanti a tutti), il fastidio di venire criticato da persone palesemente più competenti di lui, la necessità di distinguersi dagli altri in ogni modo possibile e immaginabile diventano comprensibili, benché non giustificabili, e lo spettatore comincia a sentirsi come Greg, un po' in colpa per quelle sensazioni di vergogna, disgusto e ilarità provate guardando The Room. E anche se il trionfo raccontato sul finale non c'è mai stato, perché la natura involontariamente comica di The Room è stata riconosciuta solo in seguito, grazie alle già citate proiezioni di mezzanotte, c'è della soddisfazione (perversa?) nel veder celebrare una creatura ambigua come Wiseau in tutta la sua gloria, assistendo alle risate e alle urla di una platea in visibilio per cotanta trashissima sfacciataggine. E questo, se permettete, è l'unico vero difetto di The Disaster Artist, perché rischia di spingere la gente a guardare un film che, lungi dal divertire, fa soltanto cadere le balle da quanto è noioso.


Per il resto, The Disaster Artist è tanta roba, a partire soprattutto da James Franco. Il suo annullamento all'interno del personaggio di Wiseau è da antologia, con quel terrificante accento europeo (pardon, di New Orleans) strascicato e la fisicità tracotante; perfettamente in bilico tra commedia e tragedia, il Wiseau di Franco colpisce nei momenti più esilaranti del film ma tocca il cuore in quelli più seri ed "introspettivi" e dispiace che l'attore sia stato tenuto fuori dalla corsa agli Oscar per l'ennesimo scandalo a sfondo sessuale perché, ora come ora, tra lui e Gary Oldman avrei delle serie difficoltà a scegliere un vincitore. Ma non c'è solo questo, perché Franco merita il plauso anche e soprattutto per il modo certosino con cui ha ricostruito alla perfezione la maggior parte delle scene (s)cult di The Room, alcune inserite nel film, altre utilizzate nei titoli di coda per fare un confronto con le sequenze originali, con risultati da lasciare a bocca aperta. Molto bravo anche il fratello Dave, che normalmente viene relegato a ruoli di belloccio inespressivo e che qui riesce a reggere la scena senza farsi troppo eclissare dal più carismatico James, creando così una sorta di equilibrio all'interno delle varie sequenze, e intelligente l'utilizzo di buona parte della solita combriccola di Franco, con gli amici di sempre ingaggiati per ruoli più o meno importanti (mi ha fatto molto piacere vedere l'adorato Rogen, nei panni del cinico Sandy, sottolineare gli stessi difetti di "anatomia sessuale" che ho evidenziato io nel post su The Room). In buona sostanza, The Disaster Artist merita di finire in un'ideale Top 5 di film visti in preparazione della notte degli Oscar e vi consiglio di correre a vederlo, cercando possibilmente un cinema che lo proietti in v.o. altrimenti lasciate pure perdere, ché l'interpretazione di Franco si aggiudica un buon 60% di merito per la riuscita del film.


Del regista James Franco, che interpreta anche Tommy Wiseau/Johnny, ho già parlato QUI. Dave Franco (Greg Sestero/Mike), Seth Rogen (Sandy), Zac Efron (Dan/Chris R), Josh Hutcherson (Philip/Denny), Sharon Stone (Iris Burton), Bob Odenkirk (insegnante Stanislavsky), Tommy Wiseau (Henry, MI RACCOMANDO NON OSATE ALZARVI PRIMA DELLA FINE DEI TITOLI DI CODA!!!!), Zoey Deutch (Bobbi), Judd Apatow (produttore di Hollywood), Christopher Mintz - Plasse (Sid), Jason Mitchell (Nate) e Greg Sestero (Agente di casting) li trovate invece ai rispettivi link.

Ari Graynor interpreta Juliette, ovvero "Lisa". Americana, ha partecipato a film come Mystic River, Whip It e a serie quali I Soprano, Veronica Mars, CSI - Miami e Numb3rs; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie The Cleveland Show, I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, ha 35 anni e un film in uscita.


Alison Brie interpreta Amber. Americana, ha partecipato a film come Scream 4, The Post e a serie quali Hannah Montana e GLOW; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Robot Chicken, American Dad!, Bojack Horseman e nel film The Lego Movie. Anche produttrice, ha 36 anni.


Megan Mullally interpreta Mrs. Sestero. Americana, meravigliosa Karen Walker della serie Will & Grace, ha partecipato a film come Che cosa aspettarsi quando si aspetta e ad altre serie quali La signora in giallo, Frasier, Innamorati pazzi, Una famiglia del terzo tipo, How I Met Your Mother e 30 Rock; inoltre ha doppiato episodi di Batman e il film Hotel Transylvania 2. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 60 anni.


Melanie Griffith interpreta Jean Shelton. Americana, la ricordo per film come Omicidio a luci rosse, Una donna in carriera, Il falò delle vanità, Lolita e Pazzi in Alabama, inoltre ha partecipato a serie quali Starsky & Hutch, Miami Vice, Nip/Tuck e ha anche doppiato episodi di Robot Chicken e il film Stuart Little 2. Anche produttrice, ha 61 anni.


Nei panni di loro stesse compaiono star di Hollywood come Ike Barinholtz, Kevin Smith, Keegan-Michael Kay, Adam Scott, Danny McBride, Kristen Bell, J.J. Abrams, Lizzy Caplan, Bryan Cranston e Dylan Minnette; in particolare, da Barinholtz alla Caplan si tratta di veri fan di The Room, che spiegano perché il film di Wiseau li affascini ancora oggi. Sono invece rimasti fuori dal film i camei di Zach Braff e Jim Parson. Se The Disaster Artist vi fosse piaciuto recuperate OVVIAMENTE The Room, aspettate l'uscita di Best F(r)iends (il film scritto da Greg Sestero dopo aver visto The Disaster Artist, che riunisce finalmente lui e Tommy Wiseau) e aggiungete Ed Wood. ENJOY!

lunedì 7 febbraio 2011

Frankenstein Junior (1974)

Ogni tanto i gestori italiani di sale cinematografiche ne azzeccano qualcuna, e anche l’orrido multisala della mia zona si conforma alle (poche) iniziative degne di nota. In questo caso, la riproposta, in occasione dell’uscita in Blu-Ray, di un classico della demenzialità come Frankenstein Junior, diretto nel 1974 dal regista Mel Brooks.

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Dubito che qualcuno ancora non conosca la trama, ma comunque eccola: il dottor Frederick Frankenstein (si pronuncia franchenstin!) entra in possesso del diario del ben più famoso nonno e decide di recarsi nella sua antica dimora di famiglia in Transilvania. Lì, aiutato dal gobbo servo Igor (si pronuncia AIgor!), dalla procace assistente Inga e dalla misteriosa Frau Blucher, cerca di fare rivivere… la creatura.

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Non so spiegare la sensazione di vedere un simile classico, un simile capolavoro, restaurato e su schermo gigante, in una sala cinematografica. Dopo aver chiuso per un attimo gli occhi e superato lo scandaloso shock di trovare siffatta sala mezza vuota (ma quanto possiamo essere ignoranti e taccagni noi italiani…?), li ho riaperti per ritrovare dei vecchi amici che non vedevo da tempo: Frederick, Aigor, Inga, Frau Blucher, la Creatura, l’esilarante Elisabeth, sono personaggi ormai così incarnati nell’immaginario di ogni cinefilo che si rispetti che rivedere Frankenstein Junior è come avvolgersi ogni volta nella coperta preferita e rilassarsi, ridendo a crepapelle. Non importa che si conoscano a menadito ogni battuta, ogni gag, ogni gesto, ogni sguardo dei protagonisti e ogni nota della colonna sonora, perché ogni volta, comunque, il film raggiunge l’obiettivo e diverte.

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Detto questo, come posso anche solo pensare di essere obiettiva nel recensire Frankenstein Junior o di avere anche solo il diritto di scriverne? Non lo farò, quindi, mi limiterò a darvi un paio di motivi per vederlo assolutamente. Motivo numero 1: Aigor. Marty Feldman al suo meglio, uno dei personaggi più riusciti della storia del cinema, un servo bastardo dalla gobba semovente, dagli occhi pallati e dalla lingua tagliente. Motivo numero 2: il numero messo su da Frankenstein e dalla Creatura sulle note di Puttin’on the Ritz, con il mostro che ripete le parole finali della canzone ululandole e ballando cercando di stare dietro ad un Gene Wilder mai così in forma. Motivo numero 3: le gag ininterrotte, dalla storica “lupo ululà, castello ululì”, al nome Blucher che fa nitrire i cavalli ogni volta che viene pronunciato, all’enorme “swanstuck” della creatura, delizia della verginella fidanzata di Frederick, passando per mille altre deliziose “idiozie”. In due parole: un Mel Brooks in stato di grazia, la quintessenza della comicità inserita in un film talmente curato da poter competere con qualsiasi pellicola “seria”. Da vedere e rivedere, pena il ritrovarsi Frau Blucher in casa!!

Mel Brooks (vero nome Melvin Kaminsky) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Storico autore delle migliori parodie cinematografiche e non solo, lo ricordo per film come Per favore non toccate le vecchiette (che gli è valso un Oscar per la miglior sceneggiatura), Mezzogiorno e mezzo di fuoco, L’ultima follia di Mel Brooks, Balle spaziali, Robin Hood: un uomo in calzamaglia e Dracula morto e contento. Americano, ha 85 anni.

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Gene Wilder (vero nome Jerome Silberman) interpreta il Dottor Frederick Frankenstein. Collaboratore storico di Mel Brooks ed elegante, malinconico comico particolarmente famoso negli anni ’70 – ’80 e particolarmente odiato, chissà perché, da mia madre, lo ricordo per film come Per favore non toccate le vecchiette, l’originale Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, La signora in rosso, Non guardarmi: non ti sento, Non dirmelo… non ci credo e Alice nel paese delle meraviglie. Ha inoltre partecipato ad un paio di episodi di Will & Grace. Americano, ha 78 anni.

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Marty Feldman interpreta Igor. Comico inglese dalla faccia indimenticabile, frutto di disfunzioni alla tiroide e di un intervento andato male, oltre ad essere uno sceneggiatore prolifico e un regista, ha recitato in L’ultima follia di Mel Brooks. E’ morto nel 1982, all’età di 49 anni, per un avvelenamento da cibo, mentre girava il suo ultimo film, Barbagialla il terrore dei sette mari e mezzo. Come sempre, sono i migliori ad andarsene per primi.

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Peter Boyle interpreta la Creatura. Americano, lo ricordo per film come Taxi Driver, Danko, 4 pazzi in libertà, Malcom X, L’uomo ombra, Species II, Il Dottor Dolittle e Scooby – Doo 2: mostri scatenati, e per le partecipazioni ai telefilm NYPD ed X – Files. E’ morto nel 2006 all’età di 71 anni.

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Gene Hackman fa una comparsata nel ruolo del cieco. Famosissimo attore americano, lo ricordo per film come Il braccio violento della legge (che gli ha valso il primo Oscar come protagonista), Superman, Superman II (in entrambi i film interpretava Lex Luthor), Mississippi Burning - le radici dell’odio, Uccidete la colomba bianca, Il socio, Gli Spietati (secondo Oscar come miglior protagonista), Pronti a morire, Allarme rosso, Get Shorty, Piume di struzzo, Extreme Measures – Soluzioni estreme, Potere assoluto, Nemico pubblico, The Mexican, Heartbreakers – vizio di famiglia e I Tenenbaum; ha inoltre doppiato uno dei personaggi di Z la formica. Ha 81 anni.

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Madeline Kahn interpreta Elisabeth. Già collaboratrice di Mel Brooks dai tempi di Mezzogiorno e mezzo di fuoco, la ricordo per film come Barbagialla il terrore dei sette mari e mezzo e Signori il delitto è servito, serie tv come Lucky Luke e per aver doppiato Fievel sbarca in America e A Bug’s Life. Americana, è morta nel 1999 per un cancro alle ovaie, all’età di 57 anni.

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E ora un paio di curiosità. A dimostrazione di quanto sia ben scritto, Frankenstein Junior ha “rischiato” di vincere l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale (scritta da Mel Brooks e Gene Wilder), ma la statuetta gli è stata strappata da un rivale eccelso come Il Padrino parte seconda; inoltre, anche in quanto a scenografie il buon Mel Brooks non ha scherzato visto che, come viene sottolineato nei titoli di testa, il laboratorio utilizzato nel film è lo stesso che si vede nello storico Frankenstein di James Whale. Infine, dovete sapere che di Frankenstein Junior esiste, oltre ad un musical di Broadway, anche un remake turco del 1975 dal titolo Sevimli Frankestayn. Una chicca da cercare, secondo me, ma se non doveste riuscire a trovarla (cosa probabile…), consolatevi con il già citato Frankenstein del 1931, per apprezzare meglio i riferimenti contenuti in questa splendida parodia, oppure con l’altro “affronto” fatto da Mel Brooks ad un classico dell’horror gotico, ovvero Dracula morto e contento. Meno riuscito, ma ugualmente godibile. Vi lascio ora con qualche spezzone del musical tratto dal film, con la geniale Megan Mullally (la Karen di Will & Grace) nei panni di Elisabeth... ENJOY!!!

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