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mercoledì 7 febbraio 2024

The Warrior - The Iron Claw (2023)

Domenica sera ho convinto il Bolluomo ad andare al cinema a vedere The Warrior - The Iron Claw (The Iron Claw), diretto nel 2023 dal regista Sean Durkin.


Trama: ascesa e caduta della famiglia di wrestler Von Erich, vista attraverso gli occhi del fratello maggiore, Kevin.


Mi sono convinta ad andare a vedere The Iron Claw (ma perché The Warrior??) dopo un ottimo trailer e delle recensioni entusiaste, mettendo per una volta da parte il mio adorato Matthew Vaughn, uscito in contemporanea con Argylle. Mentirei se dicessi che non mi sono un po' pentita e, a questo punto, di non essere anche preoccupata, visto che non riesco più ad entusiasmarmi per i film adorati dalla critica. The Iron Claw racconta la storia vera (in parte. Poi ci torno) dei Von Erich, una famiglia di wrestler facente capo al patriarca Fritz che, a partire dagli anni '70, ha fatto salire i figli sui ring delle più importanti federazioni. Come viene detto nel trailer, Fritz Von Erich ha cercato di preservare i figli dai dolori del mondo facendo di loro degli atleti dal fisico inamovibile, mentre la madre Doris lo ha fatto attraverso la religione, ed entrambi hanno fatto un lavoro "egregio": il risultato, infatti, almeno da ciò che si evince dal film, è stato quello di allevare dei bietoloni soggiogati dal carisma del padre al punto da non riuscire a pensare ad altra strada se non quella decisa a tavolino da questo deprecabile soggetto. Mentre tutti i mali del mondo si riversano sui fratelli Von Erich a causa di una presunta maledizione che ne accompagnerebbe il cognome, non c'è allenamento o divinità che tenga, tanto Fritz se ne lava le mani lasciando che i figli se la vedano da soli, Doris fa altrettanto lasciando che ci pensi Dio (il quale ci pensa, in effetti, ma non nel modo che spererebbe la povera donna), e questi quattro marcantoni pompati di muscoli si ritrovano impreparati ad affrontare incidenti, menomazioni fisiche, fallimenti, senso d'insicurezza, depressione, droghe e chi più ne ha più ne metta. Se pensate che I Malavoglia fossero portatori sani di jella, ricordatevi sempre che l'adorabile famiglia verghiana era frutto di fantasia, mentre i Von Erich sono esistiti davvero. Purtroppo, la sceneggiatura di The Iron Claw non è stata scritta da Verga, e risulta difficile provare pena sincera per personaggi appena abbozzati dotati di emozioni abbastanza semplici e brevi archi narrativi che li caratterizzano con pochi tratti facilmente riassumibili.


Il punto di vista del narratore, tanto per cominciare, è quello di Kevin Von Erich. Kevin viene caratterizzato come "figlio maggiore", quello che il padre, sistematicamente e senza motivo alcuno, mortifica per l'intero film preferendogli, di volta in volta, i fratelli minori. Sarà la parrucchetta di Zac Efron o quella faccia da babbeo che non gli riesce di togliersi, ma non sono riuscita minimamente a farmi coinvolgere dal suo dramma umano né ho trovato credibile il suo continuo abbozzare e accettare a testa china ogni discutibile decisione paterna, così come, alla seconda tragedia, ho cominciato a trovare abbastanza ridicolo il modo di darle in pasto al pubblico: appena un fratello finisce sotto i riflettori, c'è una sequenza malinconica in cui quest'ultimo si confronta con Kevin e lo spettatore ha giusto il tempo di fare gli scongiuri, prima dell'inevitabile funerale o scena strappalacrime che decreta il destino ultimo del poveraccio. A tal proposito, fa un po' ridere la scelta del regista di omettere dal film la figura di Chris Von Erich perché morto in maniera simile a quella degli altri fratelli, per "non appesantire il ritmo del film e caricarlo di ulteriori tragedie" (tranquillo, ciccio, una più una meno... tanto al confronto di The Iron Claw Candy Candy è una passeggiata) ma ciò che ha definitivamente stroncato ogni possibile entusiasmo da parte mia è l'imbarazzante sequenza imperniata su un immaginario aldilà, totalmente avulsa dal registro dell'opera e messa lì appositamente per commuovere gli spettatori più sensibili, peraltro categoria nella quale credevo di rientrare in pieno. Peccato, perché la ricostruzione dell'ambiente cialtrone, caciarone e maschio del wrestling non mi è dispiaciuta affatto e Holt McCallany, Maura Tierney Jeremy Allen White ce la mettono tutta per dare un minimo di spessore ai loro personaggi, ma in definitiva The Iron Claw rappresenta uno di quei casi in cui il trailer è meglio dell'opera finita.


Di Holt McCallany (Fritz Von Erich), Maura Tierney (Doris Von Erich), Zac Efron (Kevin Von Erich), Harris Dickinson (David Von Erich) e Lily James (Pam) ho già parlato ai rispettivi link. 

Sean Durkin è il regista della pellicola. Canadese, ha diretto film come La fuga di Martha e The Nest - L'inganno ed episodi della serie Inseparabili. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 43 anni. 


Jeremy Allen White
interpreta Kerry Von Erich. Star della serie The Bear, ha partecipato film come Comic Movie e The Rental. Anche sceneggiatore e produttore, ha 33 anni e un film in uscita. 



venerdì 20 maggio 2022

Firestarter (2022)

Il multisala e i soliti amici hanno collaborato ben poco, ma sono lo stesso riuscita a guardare Firestarter, diretto dal regista Keith Thomas e tratto dal romanzo L'incendiaria di Stephen King.


Trama: quando Charlie perde il controllo dei suoi poteri pirocinetici, lei e il padre sono costretti a fuggire da un'organizzazione che li vorrebbe studiare per i loro scopi...


Per Firestarter mi ero preparata guardando il film tratto da L'incendiaria nel 1984 (quello col nome troppo lungo da scrivere), visto che il romanzo l'ho letto non troppi mesi fa e lo ricordavo ancora abbastanza bene, ma dopo pochi minuti dalla visione mi sono resa conto che prepararsi non serviva a granché, visto che Firestarter non segue alla lettera le due opere che l'hanno preceduto. Per carità, il canovaccio è sempre quello, dagli anni '80, con Charlie e suo padre costretti a fuggire da chi vuole sfruttarne i poteri, ma mentre in passato ci si focalizzava molto sulla cosiddetta Bottega e sulla battaglia per l'anima di Charlie, combattuta tra il padre e la terribile combo Cap Hollister/John Rainbird, qui il fulcro dell'intera faccenda è proprio Charlie, una ragazzina ben più grande della frugola interpretata da Drew Barrymore, che non ci sta tanto a farsi comandare o guidare da chicchessia. La Charlie del 2022 è molto più vicina, concettualmente, a un mutante della Marvel o a uno dei ragazzini di Stranger Things (e qui si crea un bel cortocircuito visto che la serie Netflix pesca a piene mani dall'immaginario Kinghiano, Incendiaria e Carrie in particolare): percepisce la sua stranezza, ne soffre, conduce una vita scolastica a dir poco aberrante ma, allo stesso tempo, capisce che il suo potere la rende superiore ad altri e lo fa diventare il veicolo per sfogare la sua frustrazione crescente, la sua rabbia. La Charlie degli anni '80 non controllava il suo potere ma non era bizzosa, quella del 2022 non riesce a tenere a bada il suo potere neppure davanti a episodi stupidi, e la sua natura resta avvolta da un'aura di ambiguità anche sul finale, diametralmente opposto rispetto a quello del libro e assai aperto all'incertezza di quale sarà la strada che la giovane deciderà di percorrere. Questo non è il solo cambiamento effettuato in fase di sceneggiatura, la quale, tra le altre cose, concede un po' più di spazio alla madre di Charlie e fornisce un diverso background a Rainbird, ciò nonostante anche questa volta il risultato è più superficiale di quanto avrei voluto e condanna Firestarter a soffrire diversi problemi di ritmo, che lasciano lo spettatore a bocca asciutta proprio sul più bello.


Nonostante gli innegabili difetti, comunque, Firestarter non mi è dispiaciuto. Ryan Kiera Armstrong è la cosa migliore del film e si porta dietro tutto il bagaglio accumulato nel corso delle riprese di American Horror Story: Blood Tide, dove anche lì la fanciulletta era la punta di diamante, impegnata nel ruolo di bambina resa malvagia dalla sua ambizione (e da una droga potente), un piccolo mostro detestabile ma comunque impossibile da odiare; qui, ovviamente, spesso e volentieri Charlie fa tenerezza, eppure quando la sua parte oscura si scatena non sfigurerebbe accanto alle varie Fenici e Wanda della Marvel, con l'aggiunta che qui si parla di un film della Blumhouse e i risultati dello sfogo dei suoi poteri si vedono eccome. Altra cosa molto bella di Firestarter sono le inconfondibili musiche create da Carpenter padre e figlio. Il primo avrebbe dovuto girare Fenomeni paranormali incontrollabili, poi non se n'è fatto nulla perché La Cosa è stato un flop al botteghino, ma stavolta ha potuto mettere mano almeno a una parte del film e, bisogna dirlo, è davvero una delle parti migliori. Dopo la visione di Firestarter, dunque, rimane un po' di amaro in bocca. I mezzi ci sarebbero stati, così come la bravura del regista e degli attori, tuttavia il risultato (benché migliore del film dell'84, ci mancherebbe anche) supera appena la sufficienza di una pellicola che difficilmente ricorderò la prossima settimana e che somiglia anche troppo al pilot di una serie... che, per carità, non mi dispiacerebbe neppure vedere. Chissà se qualcuno avrà la lungimiranza di allacciare la storia di Firestarter a quella di The Institute, creando un film o magari una serie à la Castle Rock


Di Zac Efron (Andy McGee) e Kurtwood Smith (Dr. Joseph Wanless) ho parlato ai rispettivi link.

Keith Thomas è il regista della pellicola. Americano, ha diretto The Vigil. E' anche produttore e sceneggiatore.


Gloria Reuben interpreta il Capitano Hollister. Canadese, la ricordo per film come Lincoln e serie quali Alfred Hitchcock presenta, Flash, Lassie, Numb3rs, E.R. Medici in prima linea e Cloak and Dagger. Anche produttrice, ha 58 anni e un film in uscita. 


Come già scritto nel post, Ryan Kiera Armstrong era la cosa migliore dell'ultima serie di American Horror Story, dove interpretava la terrificante, odiosissima Alma. Se Firestarter vi fosse piaciuto recuperate Fenomeni paranormali incontrollabili, Carrie lo sguardo di Satana, Thelma, Chronicle e L'angelo del male - Brightburn. ENJOY!

domenica 12 maggio 2019

Ted Bundy - Fascino criminale (2019)

Spinta da un trailer intrigante, non ho potuto fare a meno di recuperare Ted Bundy - Fascino criminale (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile), diretto dal regista Joe Berlinger.


Trama: Ted Bundy, studente di legge legato a una ragazza con figlia a carico, viene fermato dalla polizia per una semplice infrazione stradale e finisce processato per mezza dozzina di terrificanti omicidi.


Lo so, lo hanno già fatto tutti ma sapete che ho una (de)formazione "linguistica", pertanto non posso non soffermarmi sull'orrore di un titolo italiano sbagliatissimo per cominciare a parlare di Ted Bundy - Fascino criminale, perché l'adattamento nostrano offre una chiave di lettura del film completamente errata. Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile è una definizione estrapolata direttamente dal processo a Ted Bundy, riferita alla natura dei suoi crimini. Estremamente malvagia, in primis. Quasi sovrannaturale, un male disumanizzato, da orco delle fiabe, tanto da non sembrare nemmeno possibile, atto a recare alle vittime quanto più danno possibile. Nell'accezione italiana, Wicked e Evil avrebbero anche potuto accorparli in un Estremamente, terribilmente malvagio, in realtà c'è differenza tra wicked ed evil: l'uno viene utilizzato per il male compiuto verso altri, l'altro è pertinente alla sfera della moralità, ma non stiamo a spaccare il capello. Arriviamo a Vile. Come in italiano. Vile, abietto, spregevole, ignobile. Quindi estremamente, terribilmente malvagio e ignobile. Questo era Ted Bundy. Questi erano i suoi crimini. Definizione di fascino: potenza di attrazione e seduzione. Se ad esso si aggiunge "criminale", mi da ad intendere che qualcuno possa trovare affascinante l'idea di un pazzo che, nel tempo, ha ucciso, stuprato e mutilato almeno una trentina di giovani donne, che teneva alcune delle loro teste mozzate come trofeo, che, non pago, talvolta ha infierito sessualmente anche sui cadaveri. Un titolo simile mi fa pensare che, consapevoli di tali aberranti azioni, le donne americane lanciassero comunque mutandine addosso a Bundy, oppure che quest'ultimo sia stato connotato come antieroe romantico nel sentire comune, un po' come un Clyde Barrow qualsiasi, ma non c'è UN SOLO minuto di tutto il film in cui si percepisce una cosa simile, per fortuna.


E' vero, verissimo, che Joe Berlinger mostra interviste di ragazze incapaci di convincersi di come quel bel ragazzo dal modo di fare spigliato e gentile possa essere un serial killer efferato, ed è anche vero che Carole Ann Boone ha scelto di sposarlo durante il processo, ma queste scelte ed opinioni non nascono dal fascino: nascono, appunto, dall'incapacità di credere, a prescindere da tutte le prove disponibili, ché la teoria del GomBloDDoH non è qualcosa nata ora su internet. Un'incapacità (o, meglio, mancanza di volontà) di credere che non ha impedito comunque a Elizabeth Kloepfer, all'epoca fidanzata con Bundy, di sospettare e superare ogni tipo di sentimento davanti a coincidenze un po' troppo grandi per poter essere ignorate. E, aggiungo, il Ted Bundy del film avrà anche il visetto di Zac Efron ma non è affascinante per niente, anzi. Nonostante non venga mai mostrato Bundy nell'atto di compiere i suoi crimini, lasciando così virtualmente il beneficio del dubbio almeno fino alla fine, il ritratto che emerge è quello di un ragazzo pieno di sé, strafottente, consapevole di essere bello e pronto ad esibirsi in numeri di inaudita, ridicola sfacciataggine anche per un sistema giudiziario consacrato allo spettacolo come quello americano ma tuttavia incapace di convincere poliziotti, avvocati e giudici, convinti a ragione di avere davanti agli occhi un mostro di una malizia immane. Il risultato è sconvolgente perché uno pensa all'esagerazione dello strumento cinematografico e poi si trova a dover testimoniare come molte delle intemperanze di Bundy, riportate sui titoli di coda attraverso filmati d'epoca, fossero vere, reali quanto l'allegria guascona mostrata nelle interviste, da far accapponare la pelle.


Merito di uno che l'argomento lo conosce bene, visto che il regista Joe Berlinger ha sfornato per Netflix anche la serie Conversazioni con un killer: il caso Bundy, che non mancherò di recuperare nei prossimi giorni. Il regista ha scelto l'approccio psicologico e giudiziario, lasciando da parte l'efferatezza, affidando interamente il dolore e lo sconcerto delle vittime alla Liz Kendall della brava Lily Collins, fanciulla uscita indenne fisicamente dalla relazione con Bundy ma completamente annientata nell'animo al pari dell'altra povera crista che si è ritrovata a sostituirla, ingannata dal bel Ted tanto da aiutarlo in tribunale e condannare una bambina a portare il suo stesso cognome. Tra canzoni inserite qui e là ad hoc, sapienti ricostruzioni processuali, flashback inquietanti e confronti al cardiopalma, mai mi sarei aspettata di dover ammettere che Zac Efron è un Ted Bundy perfetto, terribilmente inquietante nel suo atteggiamento da bravo ragazzo piacione e capace di mangiarsi tutto il resto del pur valido cast. L'unico a cui, se permette, non gliela si mena, è un meraviglioso John Malkovich che compare poco ma lascia il segno (e pensare che il giudice vero era realmente così caustico, severo, scoglionato ma giusto come lo interpreta Malkovich) anche più del protagonista. In soldoni, film interessante e godibilissimo, con un unico, enorme difetto: è stato distribuito ovunque su Netflix, che lo produce, tranne in Italia, dove ovviamente potete trovarlo in ben pochi cinema oltre che mal titolato. C'è solo da sperare che la piattaforma on line se l'accaparri presto anche da noi, soprattutto perché visto in lingua originale rende ovviamente molto di più.


Di Lily Collins (Liz Kendall), Zac Efron (Ted Bundy), Jeffrey Donovan (John O'Connell, avvocato difensore dello Utah), Dylan Baker (David Yocom, pubblico ministero dello Utah), Haley Joel Osment (Jerry), Brian Geraghty (Pubblico difensore Dan Dowd), Jim Parsons (Pubblico ministero Larry Simpson) e John Malkovich (Giudice Edward D. Cowart) ho parlato ai rispettivi link.

Joe Berlinger è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2 prima di convertirsi ai documentari, tra i quali segnalo Paradise Lost 3: Purgatory e Conversazioni con un killer: il caso Bundy. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 58 anni.


Kaya Scodelario interpreta Carole Anne Boone. Inglese, ha partecipato a film come Moon e Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar. Ha 27 anni e due film in uscita tra cui Crawl.


James Hetfield, cantante dei Metallica, compare per la prima volta nel ruolo di attore come Bob Hayward, un poliziotto. Se la figura di Ted Bundy vi interessa, parecchi film e serie si sono dedicati a lui: Il mostro, film per la TV del 1986, Ted Bundy, Ted Bundy - Il serial killer e Bundy, più virato sull'horror e con Kane Hodder tra i protagonisti, senza dimenticare ovviamente Conversazioni con un kiler: il caso Bundy, diretto sempre da Joe Berlinger e disponibile su Netflix. ENJOY!

venerdì 23 febbraio 2018

The Disaster Artist (2017)

Come avrete già intuito dal post su The Room, oggi parlerò di The Disaster Artist, diretto nel 2017 dal regista James Franco e tratto dal libro omonimo di Greg Sestero e Tom Bissell, candidato all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: il giovane Greg, attore di belle speranze, viene attirato dalla carismatica figura di Tommy Wiseau, anch'egli desideroso di diventare attore ma assolutamente NON portato per intraprendere la carriera. Nonostante tutto, i due diventano amici e decidono di realizzare il loro film, The Room, senza immaginare che l'opera verrà consacrata ai posteri come il Quarto potere dei film brutti.



Il mondo del cinema è davvero un universo a parte dove può succedere di tutto. Ci sono film oggettivamente belli che magari la gente dimentica dopo due o tre giorni, ci sono i capolavori che vengono riconosciuti subito, quelli che ci mettono anni per ottenere questo status, le robe orrende che giustamente vengono subito stroncate e condannate all'oblio... e poi ci sono film come The Room. The Room è una schifezza diretta coi piedi, scritta da un pazzo, "recitata" da cani maledetti se mai ne sono esistiti, eppure con gli anni è diventata un cult, un'aberrazione talmente affascinante e con un background così assurdo da raccogliere attorno a sé miriadi di adepti persino tra gli addetti ai lavori. Qui casca l'asino, ovvero James Franco, attore/regista/sceneggiatore talmente folle da scegliere di realizzare un docupic interamente dedicato alla creazione di The Room e alle due figure che si nascondono dietro di essa, Tommy Wiseau e Greg Sestero. Quest'ultimo, furbone matricolato alla faccia del suo aspetto da "bambolino", ha pensato bene di scrivere un libro autobiografico per cavalcare l'inaspettato successo postumo del Quarto potere dei film brutti e consacrarlo ancor più ad imperitura memoria, libro all'interno del quale viene raccontata la genesi dell'amicizia tra lui e Wiseau e tutti gli assurdi dettagli della produzione, realizzazione e distribuzione di The Room, un "dietro le quinte" che Franco ripropone (romanzandolo parecchio) con un amore tangibile, cercando di raccontare una storia molto umana piuttosto che mettere alla berlina i coinvolti o scavare nel torbido. Lo spettatore viene così portato a condividere il punto di vista di Greg Sestero, ragazzo dalla faccia pulita e dalle limitate doti di attore, che si ritrova suo malgrado a dover arginare la debordante personalità di Tommy Wiseau, uomo dalle origini sconosciute, di età indefinita e zeppo di soldi che compensa la sua assoluta incapacità attoriale (assieme a quella relazionale) con una totale mancanza di vergogna e percezione di sé. La strana amicizia tra i due nasce nel segno di James Dean e si accende dell'entusiasmo di Wiseau, che propone a Greg di condividere un appartamento a Los Angeles e da lì partire per realizzare i rispettivi sogni; purtroppo, mentre Greg comincia piano piano ad ottenere delle piccole parti e trova persino una bella fidanzata, Tommy viene scoraggiato da più parti e rimane sempre più solo, al punto da arrivare quasi a rinunciare, almeno finché Greg, per consolarlo e spronarlo, non propone incautamente di realizzare un film tutto loro. Il resto, come si suol dire, è storia. Una storia non sempre bella, certo, anche perché l'inadeguatezza di Tommy si trasforma in quattro e quattr'otto in arroganza e cattiveria sul set, alimentata da frustrazione personale e dalla convinzione di essere un genio incompreso, mentre persino Greg a un certo punto perde la pazienza e decide di lasciare Wiseau al suo destino, vergognandosi di avere partecipato ad un film condannato in partenza ad essere un flop.


Il bello di The Disaster Artist è proprio questa sua capacità di raccontare la storia di una persona VERAMENTE strana dotata di un sogno irrealizzabile, qualcosa di fruibile anche da chi The Room non l'ha mai visto. Il disagio di Greg si avverte palpabile per tutto il film, così come il suo desiderio di non ferire Tommy e di sostenere comunque l'amico che nonostante tutto lo ha aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo; allo stesso modo, Wiseau sarebbe da prendere a schiaffi per la sua tracotanza e testardaggine ma spesso suscita anche sentimenti di tristezza e pietà, ché non dev'essere facile essere troppo weird persino per Hollywood e venire etichettati come "cattivi" solo per il proprio aspetto quando invece si vorrebbe recitare nei panni dell'eroe. Per chi invece ha visto The Room, il film di Franco assume una valenza ancora diversa e porta non solo a guardare con maggiore indulgenza agli enormi difetti dell'opera di esordio di Wiseau, ma anche a capirne la natura di "comfort zone", di universo a sé stante dove Tommy poteva non solo essere protagonista ma anche raccontare la sua storia, il suo desiderio di essere eroe buono ed incompreso, avere il controllo di qualcosa dal quale la macchina di Hollywood lo avrebbe sempre tenuto fuori. Ecco che allora il folle desiderio di perfezione assoluta (emblematica la scena in cui Tommy umilia l'attrice che interpreta Lisa davanti a tutti), il fastidio di venire criticato da persone palesemente più competenti di lui, la necessità di distinguersi dagli altri in ogni modo possibile e immaginabile diventano comprensibili, benché non giustificabili, e lo spettatore comincia a sentirsi come Greg, un po' in colpa per quelle sensazioni di vergogna, disgusto e ilarità provate guardando The Room. E anche se il trionfo raccontato sul finale non c'è mai stato, perché la natura involontariamente comica di The Room è stata riconosciuta solo in seguito, grazie alle già citate proiezioni di mezzanotte, c'è della soddisfazione (perversa?) nel veder celebrare una creatura ambigua come Wiseau in tutta la sua gloria, assistendo alle risate e alle urla di una platea in visibilio per cotanta trashissima sfacciataggine. E questo, se permettete, è l'unico vero difetto di The Disaster Artist, perché rischia di spingere la gente a guardare un film che, lungi dal divertire, fa soltanto cadere le balle da quanto è noioso.


Per il resto, The Disaster Artist è tanta roba, a partire soprattutto da James Franco. Il suo annullamento all'interno del personaggio di Wiseau è da antologia, con quel terrificante accento europeo (pardon, di New Orleans) strascicato e la fisicità tracotante; perfettamente in bilico tra commedia e tragedia, il Wiseau di Franco colpisce nei momenti più esilaranti del film ma tocca il cuore in quelli più seri ed "introspettivi" e dispiace che l'attore sia stato tenuto fuori dalla corsa agli Oscar per l'ennesimo scandalo a sfondo sessuale perché, ora come ora, tra lui e Gary Oldman avrei delle serie difficoltà a scegliere un vincitore. Ma non c'è solo questo, perché Franco merita il plauso anche e soprattutto per il modo certosino con cui ha ricostruito alla perfezione la maggior parte delle scene (s)cult di The Room, alcune inserite nel film, altre utilizzate nei titoli di coda per fare un confronto con le sequenze originali, con risultati da lasciare a bocca aperta. Molto bravo anche il fratello Dave, che normalmente viene relegato a ruoli di belloccio inespressivo e che qui riesce a reggere la scena senza farsi troppo eclissare dal più carismatico James, creando così una sorta di equilibrio all'interno delle varie sequenze, e intelligente l'utilizzo di buona parte della solita combriccola di Franco, con gli amici di sempre ingaggiati per ruoli più o meno importanti (mi ha fatto molto piacere vedere l'adorato Rogen, nei panni del cinico Sandy, sottolineare gli stessi difetti di "anatomia sessuale" che ho evidenziato io nel post su The Room). In buona sostanza, The Disaster Artist merita di finire in un'ideale Top 5 di film visti in preparazione della notte degli Oscar e vi consiglio di correre a vederlo, cercando possibilmente un cinema che lo proietti in v.o. altrimenti lasciate pure perdere, ché l'interpretazione di Franco si aggiudica un buon 60% di merito per la riuscita del film.


Del regista James Franco, che interpreta anche Tommy Wiseau/Johnny, ho già parlato QUI. Dave Franco (Greg Sestero/Mike), Seth Rogen (Sandy), Zac Efron (Dan/Chris R), Josh Hutcherson (Philip/Denny), Sharon Stone (Iris Burton), Bob Odenkirk (insegnante Stanislavsky), Tommy Wiseau (Henry, MI RACCOMANDO NON OSATE ALZARVI PRIMA DELLA FINE DEI TITOLI DI CODA!!!!), Zoey Deutch (Bobbi), Judd Apatow (produttore di Hollywood), Christopher Mintz - Plasse (Sid), Jason Mitchell (Nate) e Greg Sestero (Agente di casting) li trovate invece ai rispettivi link.

Ari Graynor interpreta Juliette, ovvero "Lisa". Americana, ha partecipato a film come Mystic River, Whip It e a serie quali I Soprano, Veronica Mars, CSI - Miami e Numb3rs; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie The Cleveland Show, I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, ha 35 anni e un film in uscita.


Alison Brie interpreta Amber. Americana, ha partecipato a film come Scream 4, The Post e a serie quali Hannah Montana e GLOW; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Robot Chicken, American Dad!, Bojack Horseman e nel film The Lego Movie. Anche produttrice, ha 36 anni.


Megan Mullally interpreta Mrs. Sestero. Americana, meravigliosa Karen Walker della serie Will & Grace, ha partecipato a film come Che cosa aspettarsi quando si aspetta e ad altre serie quali La signora in giallo, Frasier, Innamorati pazzi, Una famiglia del terzo tipo, How I Met Your Mother e 30 Rock; inoltre ha doppiato episodi di Batman e il film Hotel Transylvania 2. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 60 anni.


Melanie Griffith interpreta Jean Shelton. Americana, la ricordo per film come Omicidio a luci rosse, Una donna in carriera, Il falò delle vanità, Lolita e Pazzi in Alabama, inoltre ha partecipato a serie quali Starsky & Hutch, Miami Vice, Nip/Tuck e ha anche doppiato episodi di Robot Chicken e il film Stuart Little 2. Anche produttrice, ha 61 anni.


Nei panni di loro stesse compaiono star di Hollywood come Ike Barinholtz, Kevin Smith, Keegan-Michael Kay, Adam Scott, Danny McBride, Kristen Bell, J.J. Abrams, Lizzy Caplan, Bryan Cranston e Dylan Minnette; in particolare, da Barinholtz alla Caplan si tratta di veri fan di The Room, che spiegano perché il film di Wiseau li affascini ancora oggi. Sono invece rimasti fuori dal film i camei di Zach Braff e Jim Parson. Se The Disaster Artist vi fosse piaciuto recuperate OVVIAMENTE The Room, aspettate l'uscita di Best F(r)iends (il film scritto da Greg Sestero dopo aver visto The Disaster Artist, che riunisce finalmente lui e Tommy Wiseau) e aggiungete Ed Wood. ENJOY!

martedì 3 dicembre 2013

Parkland (2013)

Il 26 novembre si commemoravano i 50 anni della morte di John Fitzgerald Kennedy e io mi sono schiaffata davanti alla TV a vedere Parkland, film a tema diretto dal regista Peter Landesman e presentato proprio quest'anno alla Mostra del Cinema di Venezia.


Trama: il film racconta gli istanti successivi all’attentato di JFK, a partire dal vano ricovero nell’ospedale di Parkland, passando poi per il famoso video girato dal signor Zapruder, con uno sguardo sui servizi segreti, Harvey Lee Oswald e la sua famiglia.


Ma da quando alla Mostra del cinema di Venezia sono diventati così lassisti per quel che riguarda i film da presentare al pubblico? Parkland è davvero solo una pellicola buona per una serata davanti alla TV visto che è un mix tra una puntata di E.R. – Medici in prima linea e qualche epigono di 24 con l’aggiunta di un nutrito gruppetto di attori che definire sprecati è dir poco. Non è che il film non sia piacevole da guardare, intendiamoci, ma scorre come l’acqua e alla vicenda Kennedy non aggiunge nulla di diverso da quello che si potrebbe imparare da qualsiasi servizio televisivo o documentario, con l’attenzione dello sceneggiatore che si concentra poco su tutti i coinvolti, così da fornire allo spettatore un affresco ampio ma, in fin dei conti, superficiale e freddo. Nel corso di Parkland ci vengono presentati diversi personaggi che vengono toccati (e cambiati) in qualche modo dalla morte del Presidente ma, tranne forse per quel che riguarda Robert Oswald, fratello del famigerato attentatore e l'elemento più interessante dell’intera pellicola, non c’è mai un vero approfondimento psicologico perché ogni sequenza viene presentata col piglio distaccato del "così è, punto".


Come ho detto, è un peccato, perché nel cast figurano moltissimi attori che, normalmente, farebbero girare la testa a più di un appassionato. I due che si salvano nella mischia sono Paul Giamatti, con il suo personaggio di uomo "della strada" che, all'improvviso, si ritrova addosso gli occhi di tutti ed è combattuto tra il desiderio di portare rispetto al presidente defunto e quello di ricavare un minimo di successo dalla tragedia, e la rivelazione James Badge Dale con il suo umano e tristissimo Robert Oswald, altro uomo "comune" additato come mostro solo per la parentela con l'assassino di Kennedy. Billy Bob Thornton e Jackie Earle Haley toccano forse il nadir della loro carriera ormai relegata a ruoli da caratteristi d'eccezione (viene tristezza se si pensa agli esordi di entrambi...) mentre gli altri interpreti compaiono troppo poco per attirare davvero l'attenzione e consentire allo spettatore di dare un giudizio. E con queste ultime considerazioni si conclude il post perché sull'argomento non c'è davvero nient'altro da dire: Parkland si è rivelato un film senza infamia né lode, che rischia tuttavia di deludere chi è veramente interessato all'argomento e di annoiare chi invece non è appassionato di storia americana moderna. In una parola, evitabile.


Di Zac Efron (Dr. Charles "Jim" Carrico), Paul Giamatti (Abraham Zapruder), James Badge Dale (Robert Oswald), Billy Bob Thornton (Forrest Sorrels) e Jackie Earle Haley (Padre Oscar Huber) ho già parlato ai rispettivi link.

Peter Landesman è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, è al suo primo film come regista. E' anche produttore.


Marcia Gay Harden interpreta l'infermiera Doris Nelson. Americana, la ricordo per film come Spia e lascia spiare, Flubber - Un professore tra le nuvole, Vi presento Joe Black, Pollock (Oscar come migliore attrice non protagonista), Mystic River e The Mist. Ha 54 anni e sei film in uscita.


Ron Livingston (Ronald Joseph Livingston) interpreta James Hosty. Americano, ha partecipato a film come Il ladro di orchidee, L'evocazione - The Conjuring e a serie come Band of Brothers, Sex and the City, Dr. House, Incubi e deliri e Broadwalk Empire. Come doppiatore, ha lavorato ne I Griffin American Dad!. Anche produttore, ha 46 anni e un film in uscita.


Nella miriade di facce conosciute impegnate in ruoli più o meno minori spuntano l'ex Superman di Smallville Tom Welling (una delle guardie del presidente, al secolo Roy Kellerman), un invecchiato Gil Bellows che in Le ali della libertà interpretava il giovane Tommy, Colin Hanks (Dr. Malcom Perry), figlio di Tom Hanks che, tra parentesi, è uno dei produttori del film, e sicuramente tanti e tanti altri caratteristi famosi che non sono riuscita ad identificare ma, giuro, ce n'è una marea. Detto questo, se Parkland vi fosse piaciuto, non mancate ovviamente di guardare JFK - Un caso ancora aperto. ENJOY!

martedì 9 aprile 2013

The Paperboy (2012)

Aaah, la mirabolante abitudine di scegliere i film in base agli attori presenti, mio enorme tallone d'Achille! Questa volta mi è bastato vedere i nomi di John Cusack, Nicole Kidman e Matthew McConaughey per gettarmi a capofitto e con ignoranza crassa su The Paperboy, film diretto nel 2012 dal regista Lee Daniels. La recensione che segue contiene SPOILER di alcune scene... e chiamiamole clou, vah.


Trama: un giornalista cerca di scagionare un uomo condannato alla sedia elettrica per l'omicidio di uno sceriffo. Mentre lui prosegue nelle indagini nell'ambigua Florida degli anni '60, il fratello adolescente si innamora di Charlotte, bellissima ma attempata donna che vorrebbe invece sposare il condannato, conosciuto per lettera... 


Districo le dita delle mani dai capelli e mi accingo a recensire questo The Paperboy, cosa non facile, vista la duplice natura delle reazioni avute a fine visione. La parte buona di me vi dirà che la pellicola diretta da Lee Daniels è un thriller stilosissimo per quanto riguarda i costumi, l'aria vintage e la fotografia "invecchiata", arricchito da una storia molto interessante, ambientato in un'epoca e in un luogo che mi hanno sempre affascinata, ovvero nella paludosa Florida ai tempi del Ku Klux Klan (di cui non si ha traccia, per fortuna); in soldoni, ci troviamo davanti personaggi ignoranti e bifolchi, impegnati tenacemente a non scomparire davanti al progresso, incarnato nei giovani illuminati che vedono i neri come loro pari e non come schiavi da disprezzare, seviziare e condannare per ogni quisquilia. All'interno di questo ambiente malsano, immerso nelle paludi zeppe di alligatori e popolate dalla feccia dell'umanità, si svolgono le difficili indagini di un meraviglioso McConaughey, che tenta di "fare la cosa giusta", ovvero riabilitare un uomo condannato a morte a fronte di prove insufficienti, scontrandosi sia con i pregiudizi e i modi spicci dei locali sia con l'atteggiamento decisamente poco convincente di un John Cusack mai così laido: Van Wetter è davvero innocente o Ward si sta arrampicando sugli specchi basandosi su speranze ed illazioni? Oddio, la risposta salterebbe subito agli occhi, basterebbe guardare Cusack, ma se vogliamo possiamo anche lasciare un po' di spazio all'incertezza, facendoci cullare dalla particolarissima e triste voce di una bravissima Macy Gray, qui nei panni di narratrice. Adesso fatemi dare la buona Bolla in pasto agli alligatori, perché devo lasciare spazio all'incredulità.


Dopo essermi documentata sul romanzo, mi pare di aver capito che in esso non vi sia traccia di quella presa di posizione anti-razzismo che tanto mi ha affascinata, ma se il regista e sceneggiatore si fosse preso solo questa libertà avrei allegramente sorvolato. Il problema è che The Paperboy, così come è stato realizzato, è diventato in tempo zero il trionfo del trash, arricchendosi di tre scene messe lì giusto per “scandalizzare” e che portano lo spettatore a sgranare progressivamente gli occhi trattenendosi dal morire per le grasse risate. Ribadisco: da qui in poi mi butterò nello SPOILER selvaggio. Scena incriminata numero 1: Nicole Kidman, la brava Nicole, mima un rapporto orale a distanza con John Cusack, davanti al resto del cast. Nemmeno a voler essere clementi una roba simile potrebbe risultare seria, con lui che la incita a strapparsi il collant e lei che, molto finemente, sooca dell’aria, mentre il mocciosetto innamorato inorridisce e McConaughey sembrerebbe gradire. Proseguiamo su questa china e passiamo alla scena incriminata numero 2, la mia preferita: nuotando, Zac Efron finisce in un banco di meduse e si trascina a riva più morto che vivo. Tre ragazzine lo vedono e tirano fuori l’ideona! “Servirebbe dell’ammoniaca, ma dove trovarla?” Soluzione: scendi Zac Efron che lo piscio. Se non fosse che, in quella, giunge la possessiva Nicole, che non ha intenzione di darla al moccioso ma si sente in qualche modo legata a lui da un profondo rapporto di amicizia e le blocca in tempo: “NO!!! Se qualcuno deve pisciarlo questa sono io!!” O___O Ed ecco che la vincitrice premio Oscar si profonde nell’imitazione della barzelletta che il buon Quentin raccontava al barista in Desperado e ricopre di urina l’idolo di una generazione di bimbeminkia. Ovviamente, questa scena non serve a nulla per il prosieguo del film, sia chiaro: nel libro l’ipotesi era solo ventilata, qui hanno deciso di metterla in pratica per dare letteralmente colore (giallo) alla storia. Andiamo avanti? Nella scena incriminata numero 3 si scopre nel peggiore dei modi che McConaughey è leggermente gay: il fratellino se lo trova davanti con il chiulo nudo per aria, incaprettato, sanguinante, sfigurato… e circondato da tre mandinghi che lévati. Altra sequenza utile giusto per snaturare uno dei personaggi secondari della pellicola, il nero Yardley, che, dopo qualche tempo, con enorme tatto replica al fratellino sconvolto: “Mbé, che ti aspettavi? Per avere il lavoro ho dovuto fare a tuo fratello quello che la Kidman ha fatto a Cusack!” Gesù. A parte che il personaggio di Yardley nel libro non è nero, ma perché devi anche inserire gratuitamente questo dettaglio, degradante per entrambi i coinvolti e assolutamente ininfluente col resto del film? Faceva colore anche quello? Ma non bastano già le oscene mise di Nicole Kidman e i gruppetti di scemi del villaggio che mangiano il gelato nelle paludi per dar colore?? Mah.

Notare le facce degli astanti, please...
Ora, cerchiamo di trovare un equilibrio tra i due estremi del mio cervellino bacato. Che dire, se non fosse per queste trashate gratuite The Paperboy non sarebbe male. Oggettivamente è ben fatto e ben diretto, la trama spogliata dagli orpelli è valida ed interessante, inoltre è ben recitato: tolto il povero Zac Efron, che ha la verve e l'espressività di un mitile anche se se riesce a riprendersi un po' nel drammatico finale, tutti gli altri attori portano a casa un'interpretazione validissima, nonostante quella della Kidman (pur nominata, se non erro, per il Golden Globe) sia anche troppo borderline, e non in senso buono. Certo, bisogna inghiottire un bel po' di insensatezze prima di arrivare alla fine del film e, ripensandoci, anche il fatto che la vicenda venga narrata in retrospettiva da una persona che non ha praticamente assistito al 90% degli eventi è a dir poco assurdo, però se non altro adesso mi è venuta voglia di cercare e leggere il libro per comprendere il vero senso dell'intera storia, che punta più sull'approfondimento del personaggio di Ward piuttosto che su quello di Jack. Intanto, per amor di discussione, se siete in grado di sopportare le inquietanti scene di cui sopra (o se siete curiosi di testimoniarle di persona!!) vi consiglio di recuperare e vedere questo The Paperboy, se non altro guarderete un film particolare e difficilmente ascrivibile ad un solo genere.


Di John Cusack (Hillary Van Wetter) e Scott Glenn (W.W. Jansen) ho già parlato ai rispettivi link.

Lee Daniels è il regista della pellicola, nonché co-sceneggiatore. Americano, ha diretto anche Precious. Anche produttore e attore, ha 54 anni e due film in uscita.


Zac Efron (vero nome Zachary David Alexander Efron) interpreta Jack Jansen. Americano, ha partecipato a film come High School Musical (con i suoi due seguiti) e alle serie E.R. – Medici in prima linea, CSI: Miami e Zach & Cody al Grand Hotel, inoltre ha doppiato un episodio di Robot Chicken. Ha 26 anni e quattro film in uscita. 


Matthew McConaughey  interpreta Ward Jansen. Americano, lo ricordo per film come Non aprite quella porta IV, Frailty – Nessuno è al sicuro, Tropic Thunder, Killer Joe e Magic Mike. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 44 anni e quattro film in uscita.


Nicole Kidman interpreta Charlotte Bless. Sicuramente una delle mie attrici preferite (soprattutto per quel che riguarda il periodo fine anni ’90 – inizio 2000), la ricordo per film come Ore 10: Calma piatta, Giorni di tuono, Cuori ribelli, Batman Forever, Ritratto di signora, The Peacemaker, Eyes Wide Shut, Moulin Rouge!, The Others, The Hours (film che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista), Dogville, Ritorno a Cold Mountain, La donna perfetta, Birth – Io sono Sean e Australia. Hawaiiana, anche produttrice, ha 46 anni e tre film in uscita, tra cui l’imminente Stoker.


David Oyelowo intepreta Yardley Acheman. Inglese, ha partecipato a film come Derailed – Attrazione letale, L’alba del pianeta delle scimmie, The Help e Lincoln. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 36 anni e tre film in uscita.


Ned Bellamy interpreta Tyree Van Wetter. Americano, ha partecipato a film come Le ali della libertà, Ed Wood, Con air, Essere John Malkovich, Charlie’s Angels, Saw – L’enigmista, FBI: Protezione testimoni 2, Tenacious D in The Pick of Destiny, Twilight, Django Unchained e alle serie Ralph Supermaxieroe, MASH, Hazzard, Ai confini della realtà, 21 Jump Street, MacGyver, La signora in giallo, CSI: Miami, E.R. – Medici in prima linea, Scrubs e 24. Ha 56 anni e tre film in uscita.


Tra gli altri interpreti ri-segnalo ovviamente la presenza della cantante Macy Gray, che interpreta Anita. The Paperboy avrebbe potuto essere un film completamente diverso, visto che Tobey Maguire ha rinunciato al ruolo di Ward per impegni pregressi, Nicole Kidman è stata messa “come rimpiazzo” al posto di Sofía Vergara e Pedro Almodóvar avrebbe dovuto dirigere la pellicola (prima di rinunciare aveva già messo mano allo script). Peccato che il buon Pedro si sia chiamato fuori, non so cosa avrebbe tirato fuori da questo gorgo di perversioni!! E con questo è tutto per oggi… ENJOY!

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