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mercoledì 7 agosto 2024

Bolla Loves Bruno: La vita a modo mio (1994)

Torna la rubrica Bolla Loves Bruno con La vita modo mio (Nobody's Fool), diretto e sceneggiato nel 1994 dal regista Robert Benton a partire dal romanzo omonimo di Richard Russo e candidato a due premi Oscar (Paul Newman miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale).


Trama: l'anziano Sully è un perdigiorno che vive di lavoretti saltuari ed è molto amato, salvo rare eccezioni, dalla sua comunità. L'incontro con un nipotino lo spingerà a ripensare alle sue priorità...


Dopo Genitori cercasi, anche La vita a modo mio è un altro di quei film in cui Bruce Willis compare per un tempo molto breve (qui sarà una mezz'oretta scarsa di minutaggio) ma, per fortuna, è comunque un'opera che val la pena vedere e che mi rende felice di avere pensato a questa lunga e discontinua rassegna. La vita a modo mio sarebbe stato perfetto all'interno della filmografia di Lasse Hallström, in quanto slice of life avente per protagonista un personaggio peculiare, abitante di una cittadina di provincia composta da persone interessanti quanto lui, anche nella loro banale quotidianità. Sully è un signore già avanti con gli anni che vive di lavoretti saltuari come tuttofare e muratore, caratterizzato da un'indipendenza "randagia" nei confronti degli affetti stabili, soprattutto familiari. A dispetto di ciò, e di una vita comunque un po' ai margini dell'illegalità, Sully è benvoluto e rispettato da tutti i cittadini, anche da chi gli è dichiaratamente nemico come Carl Roebuck (interpretato da Bruce Willis), padrone della ditta di costruzioni che, di tanto in tanto, da lavoro a Sully, nonché marito fedifrago della donna più bella del paese, alla quale il vecchiaccio non è così indifferente. Il film, almeno all'inizio, è costruito appunto su tanti piccoli episodi di quotidiana sopravvivenza che vedono protagonista Sully e che tessono la trama dei legami interpersonali tra i vari abitanti della cittadina, e il divertimento sta proprio in queste interazioni; la svolta della trama è l'arrivo di Peter, il figlio di Sully abbandonato all'età di un anno per motivi che non verranno mai chiariti e, in particolare, del nipotino Will, che si rivelerà fondamentale affinché il nonno cominci a mettere un po' di sale in zucca. Il film è essenzialmente tutto qui. Si ride, e parecchio, del carattere pratico ma rozzo di Sully, di recurring joke come quello dello spazzaneve, di tutta una serie di personaggi che sembrano usciti da un episodio de I Simpson, ma si arriva anche a volere sinceramente bene al protagonista, vero cuore di una cittadina che, senza di lui, sarebbe sicuramente più triste, con tutti quegli animi solitari e fragili che non saprebbero a chi aggrapparsi (o di chi ridere, con chi scontrarsi, con chi vantarsi di una vita apparentemente migliore!) per trovare conforto.


Per questo, pur non essendo un film triste, sono arrivata al finale con le lacrime agli occhi. La vita a modo mio è il ritratto di un'America che di sicuro non è mai esistita, ma al suo interno ho ritrovato tanti elementi (pur con tutte le esagerazioni legate ad esigenze cinematografiche) in grado di ricordarmi le peculiarità dei paesi come quello in cui vivo tutt'ora, soprattutto quel "conoscersi tutti" che ormai si è perso, la pazienza di sopportare i difetti caratterizzanti una persona di base buona, la volontà di stare accanto a chi ha bisogno, che sia una vecchia insegnante o un ragazzone tardo di comprendonio. E' un modo di vivere che sta scomparendo per colpa di quelli della mia generazione, io per prima, e a questa considerazione se ne sono aggiunte altre legate alla somiglianza tra il carattere burbero, "tirabelino" ma gentile di Sully, e quello di mio papà, che ha spalancato le porte al terrore sempre più pressante e vicino di perdere lui, mia mamma o tutti e due. A fronte di queste personali riflessioni, può quindi essere che La vita a modo mio sia un film banale e bruttino, e che io lo abbia amato per questioni puramente soggettive, ma mi sento di mettere la mano sul fuoco relativamente al cast superlativo. Nel 1995 Paul Newman non avrebbe mai potuto vincere l'Oscar (Cristo, era l'anno di Morgan Freeman in Le ali della libertà e John Travolta in Pulp Fiction, anche se non ci fosse stato Tom Hanks col suo Forrest Gump sarebbe stata dura!) ma la sua interpretazione è quella di un vecchio piacione consumato, dal cuore rozzo ma tenero, ed è arduo non lasciarsi travolgere dal puro carisma che trasuda. Fortunatamente, nonostante Newman spicchi, La vita a modo mio non è uno di quei casi in cui un attore si mangia tutti gli altri, anzi, le interpretazioni delle "spalle" vengono notevolmente arricchite, anche se è brutto definire tali gente del calibro di Jessica Tandy (alla quale il film è dedicato, in quanto ultima pellicola girata prima di morire), Melanie Griffith e Pruitt Taylor Vince (c'è persino un Philip Seymour Hoffman praticamente agli esordi e già adorabile). Quanto a Bruce Willis, nel ruolo di stronzo mangiadonne dalla faccetta di cazzo è perfetto, e i duetti fra lui e Newman sono tra i più spassosi dell'intero film, Non guasta anche vederlo in un apprezzato momento strip poker, anche se, per concludere il post rimanendo in tema "oggettificazione sessuale", l'unico vero difetto di La vita a modo mio è quello di presentare giovani personaggi femminili dotati dello spessore di un foglio di carta velina, caratterizzati o come zoccole, o come tristi innamorate dell'uomo sbagliato, o come rompicoglioni sfasciafamiglie. 


Del regista e sceneggiatore Robert Benton ho già parlato QUI. Paul Newman (Sully), Jessica Tandy (Miss Beryl), Bruce Willis (Carl Roebuck), Melanie Griffith (Toby Roebuck), Pruitt Taylor Vince (Rub Squeers), Philip Seymour Hoffman (Agente Raymer), Margo Martindale (Birdy) ed Elizabeth Wilson (Vera) li trovate invece ai rispettivi link.

Dylan Walsh interpreta Peter. Indimenticato Dr. McNamara della serie Nip/Tuck, ha partecipato anche a film come Il segreto di David ed altre serie quali Oltre i limiti, The Twilight Zone e CSI Scena del crimine. Americano, anche costumista e sceneggiatore, ha 61 anni. 




mercoledì 14 settembre 2022

Bolla Loves Bruno: Il falò delle vanità (1990)

Pensavate che mi fossi dimenticata della rubrica dedicata a Bruce Willis? Nemmeno per sogno! Oggi parliamo de Il falò delle vanità (The Bonfire of the Vanities) diretto nel 1990 da Brian De Palma e tratto dal romanzo di Tom Wolfe.


Trama: un giornalista alcoolizzato ottiene soldi e successo raccontando lo scandalo che ha coinvolto un brocker di Wall Street, accusato di avere investito un ragazzo di colore e di essere fuggito, lasciandolo in coma...


Il falò delle vanità è stato uno dei film più odiati del 1990. Lo dimostrano non tanto le nomination a quasi tutte le categorie dei Razzie Award, quanto piuttosto il fatto che Tom Wolfe lo abbia praticamente disconosciuto, Hanks lo abbia definito il peggior film della sua carriera, Morgan Freeman non l'abbia mai guardato e De Palma ricordi l'esperienza come un incubo dentro e fuori dal set. Per quanto riguarda Bruce Willis, pare che se la tirasse un sacco in quanto attore sulla cresta dell'onda, tanto che sul set lo odiava persino Tom Hanks, irritato dal suo "sorrisetto mangiamerda". Insomma, un trionfo. Eppure, a me Il falò delle vanità era piaciuto sia la prima volta che l'avevo visto, tantissimi anni fa, che durante questo rewatch, pur riconoscendo che la trama è l'emblema del cerchiobottismo e si mantiene molto ambigua (però non ho mai letto il romanzo di Tom Wolfe, quindi non posso sapere se questa caratteristica si ritrova anche nell'opera cartacea). Per chi non avesse mai visto il film, Il falò delle vanità è la fiera dell'ipocrisia e dell'arrivismo ed è incentrato sulla caduta dall'Olimpo di Sherman McCoy, ricchissimo operatore di Wall Street il quale, dopo aver investito un ragazzo di colore assieme all'amante, diventa il mezzo attraverso cui una serie di personaggi deprecabili cercano di ottenere fama, denaro e successo (in primis il giornalista in disgrazia Peter Fallow) spacciando le loro azioni come spasmodica ricerca di giustizia. L'intenzione dell'opera è quella di essere una satira spietata verso personaggetti di varie etnie, con le mani in pasta nel settore economico, giudiziario e religioso, i quali apparentemente cercano di fare l'interesse delle classi più povere e disagiate (che escono a loro volta con le ossa rotte da una descrizione impietosa) ma, in realtà, perseguono semplicemente il loro tornaconto, travolgendo con la grazia di elefanti chiunque blocchi loro il passo. A trovarsi in mezzo, stavolta, è Sherman McCoy, che come protagonista è quasi peggio di chi cerca di trascinarlo nel fango; è difficile provare empatia per un paraculo razzista, pavido e bugiardo, ed è ancora più difficile accettare le parole finali con cui Peter Fallow, altro parassita con la coscienza a intermittenza, dichiara come McCoy abbia perso soldi e fama ma abbia ritrovato un'anima, gettando una luce positiva su un personaggio che, a ben vedere, non si redime mai.


Lo stile con cui De Palma cerca di rappresentare questo enorme esempio di pochezza umana è ironicamente pomposo e "teatrale", "ridicolo", se mi passate il termine, tanto quanto la convinzione di Sherman di essere un novello Don Giovanni; la macchina da presa del regista (coadiuvato, in quella che è una delle scene introduttive più belle mai viste, dall'esperto di steadycam Larry McConkey, un piano sequenza talmente immersivo che sembra di essere a fianco di Bruce Willis, ubriachi quanto il suo Peter Fallow) annulla il confine tra realtà e showbusiness, presentandoci alternativamente personaggi ripresi dal basso che incombono sia sullo spettatore che sul loro interlocutore, panoramiche su folle desiderose solo di spettacolo e totalmente noncuranti del vero dramma vissuto dall'oggetto dei loro sguardi e pochi momenti di intimità zeppa di bugie e ripicche, dove persino le persone integerrime arrivano a rinnegare i propri ideali per salvare la faccia. La mano dell'Autore, a mio avviso, si vede eccome, e onestamente non ho trovato male neppure il tanto criticato cast. Certo, se De Palma avesse potuto avere John Lithgow come Sherman McCoy avremmo probabilmente goduto di un capolavoro, ma la faccetta giovane e clueless di Tom Hanks aggiunge quella punta di dabbenaggine in grado di rendere il personaggio ancora più fastidioso e biasimevole e lo stesso vale per "il sorrisetto mangiamerda" di Bruce Willis; Peter Fallow è viscido quanto basta, il finto amico che venderebbe la madre per la fama, e non faccio fatica a credere che l'atteggiamento sul set di Willis abbia contribuito ad arricchire la personalità del giornalista alcoolizzato di interessanti, benché sgradevoli, sfumature. Probabilmente, l'unico vero difetto de Il falò delle vanità è quello di essere uscito in un periodo in cui l'America non era ancora pronta a criticare quell'ipocrisia che è il fondamento dell'utopica idea del self made man, mentre nel 2022 la sua satira risulta ambigua e all'acqua di rose (lo speech finale di Freeman, detestato dallo stesso De Palma, e la chiosa di Willis sono davvero imbarazzanti, bisogna ammetterlo), ma nella sua imperfezione l'ho trovato comunque molto interessante e ben realizzato, così come lo ricordavo. Se vi capitasse sottomano, dategli una chance!


Del regista Brian De Palma (che compare come guardia di sicurezza nella scena iniziale) ho già parlato QUI. Tom Hanks (Sherman McCoy), Bruce Willis (Peter Fallow), Melanie Griffith (Maria Ruskin), Kim Cattrall (Judy McCoy), Morgan Freeman (Giudice Leonard White), Donald Moffat (Mr. McCoy), Kurt Fuller (Pollard Browning), Kirsten Dunst (Campbell McCoy) e  F. Murray Abraham (P.D. Abe Weiss) li trovate invece ai rispettivi link.

Saul Rubinek interpreta Jed Kramer. Tedesco, ha partecipato a film come L'ospedale più pazzo del mondo, Wall Street, Gli spietati, Una vita al massimo, Gli intrighi del potere - Nixon, La ballata di Buster Scruggs e a serie quali Oltre i limiti, Frasier, Lost, Masters of Horror, Grey's Anatomy e Hunters. Anche regista, sceneggiatore, produttore e compositore, ha 74 anni e tre film in uscita. 


Tra le guest star figurano Rita Wilson, la moglie di Tom Hanks, che interpreta la PR che accompagna Fallow nella scena iniziale, e Geraldo Rivera, ovvero il reporter che si occupa della storia di Lamb. La sceneggiatura originale prevedeva che, alla fine, la vittima dell'incidente uscisse dall'ospedale con le sue gambe, chiaro segno di frode, ma gli screen test hanno dimostrato che il pubblico non gradiva questa versione. Siccome nel libro il giudice è ebreo, De Palma avrebbe voluto Walther Matthau o Alan Arkin nel film, ma il ruolo è finito a Freeman quando il regista ha deciso che sarebbe stato più efficace un giudice di colore; per quanto riguarda Sherman, quando ancora il film doveva venire diretto da Mike Nichols, l'attore scelto era stato Steve Martin, mentre sia John Cleese che Jack Nicholson hanno rifiutato quello di Fallow. Per quanto riguarda le quote rose, Michelle Pfeiffer ha rifiutato il ruolo di Maria (tra le altre, Uma Thurman, Lena Olin e Robin Wright non hanno invece ottenuto la parte), mentre Kristin Scott Thomas ha dovuto rinunciare a quello di Judy perché, al momento di fare lo screen test con Tom Hanks, era in vacanza coi figli. Grandi rinunce infine anche tra i registi, con Steven Spielberg e Adrian Lyne in prima linea. ENJOY!

venerdì 23 febbraio 2018

The Disaster Artist (2017)

Come avrete già intuito dal post su The Room, oggi parlerò di The Disaster Artist, diretto nel 2017 dal regista James Franco e tratto dal libro omonimo di Greg Sestero e Tom Bissell, candidato all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: il giovane Greg, attore di belle speranze, viene attirato dalla carismatica figura di Tommy Wiseau, anch'egli desideroso di diventare attore ma assolutamente NON portato per intraprendere la carriera. Nonostante tutto, i due diventano amici e decidono di realizzare il loro film, The Room, senza immaginare che l'opera verrà consacrata ai posteri come il Quarto potere dei film brutti.



Il mondo del cinema è davvero un universo a parte dove può succedere di tutto. Ci sono film oggettivamente belli che magari la gente dimentica dopo due o tre giorni, ci sono i capolavori che vengono riconosciuti subito, quelli che ci mettono anni per ottenere questo status, le robe orrende che giustamente vengono subito stroncate e condannate all'oblio... e poi ci sono film come The Room. The Room è una schifezza diretta coi piedi, scritta da un pazzo, "recitata" da cani maledetti se mai ne sono esistiti, eppure con gli anni è diventata un cult, un'aberrazione talmente affascinante e con un background così assurdo da raccogliere attorno a sé miriadi di adepti persino tra gli addetti ai lavori. Qui casca l'asino, ovvero James Franco, attore/regista/sceneggiatore talmente folle da scegliere di realizzare un docupic interamente dedicato alla creazione di The Room e alle due figure che si nascondono dietro di essa, Tommy Wiseau e Greg Sestero. Quest'ultimo, furbone matricolato alla faccia del suo aspetto da "bambolino", ha pensato bene di scrivere un libro autobiografico per cavalcare l'inaspettato successo postumo del Quarto potere dei film brutti e consacrarlo ancor più ad imperitura memoria, libro all'interno del quale viene raccontata la genesi dell'amicizia tra lui e Wiseau e tutti gli assurdi dettagli della produzione, realizzazione e distribuzione di The Room, un "dietro le quinte" che Franco ripropone (romanzandolo parecchio) con un amore tangibile, cercando di raccontare una storia molto umana piuttosto che mettere alla berlina i coinvolti o scavare nel torbido. Lo spettatore viene così portato a condividere il punto di vista di Greg Sestero, ragazzo dalla faccia pulita e dalle limitate doti di attore, che si ritrova suo malgrado a dover arginare la debordante personalità di Tommy Wiseau, uomo dalle origini sconosciute, di età indefinita e zeppo di soldi che compensa la sua assoluta incapacità attoriale (assieme a quella relazionale) con una totale mancanza di vergogna e percezione di sé. La strana amicizia tra i due nasce nel segno di James Dean e si accende dell'entusiasmo di Wiseau, che propone a Greg di condividere un appartamento a Los Angeles e da lì partire per realizzare i rispettivi sogni; purtroppo, mentre Greg comincia piano piano ad ottenere delle piccole parti e trova persino una bella fidanzata, Tommy viene scoraggiato da più parti e rimane sempre più solo, al punto da arrivare quasi a rinunciare, almeno finché Greg, per consolarlo e spronarlo, non propone incautamente di realizzare un film tutto loro. Il resto, come si suol dire, è storia. Una storia non sempre bella, certo, anche perché l'inadeguatezza di Tommy si trasforma in quattro e quattr'otto in arroganza e cattiveria sul set, alimentata da frustrazione personale e dalla convinzione di essere un genio incompreso, mentre persino Greg a un certo punto perde la pazienza e decide di lasciare Wiseau al suo destino, vergognandosi di avere partecipato ad un film condannato in partenza ad essere un flop.


Il bello di The Disaster Artist è proprio questa sua capacità di raccontare la storia di una persona VERAMENTE strana dotata di un sogno irrealizzabile, qualcosa di fruibile anche da chi The Room non l'ha mai visto. Il disagio di Greg si avverte palpabile per tutto il film, così come il suo desiderio di non ferire Tommy e di sostenere comunque l'amico che nonostante tutto lo ha aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo; allo stesso modo, Wiseau sarebbe da prendere a schiaffi per la sua tracotanza e testardaggine ma spesso suscita anche sentimenti di tristezza e pietà, ché non dev'essere facile essere troppo weird persino per Hollywood e venire etichettati come "cattivi" solo per il proprio aspetto quando invece si vorrebbe recitare nei panni dell'eroe. Per chi invece ha visto The Room, il film di Franco assume una valenza ancora diversa e porta non solo a guardare con maggiore indulgenza agli enormi difetti dell'opera di esordio di Wiseau, ma anche a capirne la natura di "comfort zone", di universo a sé stante dove Tommy poteva non solo essere protagonista ma anche raccontare la sua storia, il suo desiderio di essere eroe buono ed incompreso, avere il controllo di qualcosa dal quale la macchina di Hollywood lo avrebbe sempre tenuto fuori. Ecco che allora il folle desiderio di perfezione assoluta (emblematica la scena in cui Tommy umilia l'attrice che interpreta Lisa davanti a tutti), il fastidio di venire criticato da persone palesemente più competenti di lui, la necessità di distinguersi dagli altri in ogni modo possibile e immaginabile diventano comprensibili, benché non giustificabili, e lo spettatore comincia a sentirsi come Greg, un po' in colpa per quelle sensazioni di vergogna, disgusto e ilarità provate guardando The Room. E anche se il trionfo raccontato sul finale non c'è mai stato, perché la natura involontariamente comica di The Room è stata riconosciuta solo in seguito, grazie alle già citate proiezioni di mezzanotte, c'è della soddisfazione (perversa?) nel veder celebrare una creatura ambigua come Wiseau in tutta la sua gloria, assistendo alle risate e alle urla di una platea in visibilio per cotanta trashissima sfacciataggine. E questo, se permettete, è l'unico vero difetto di The Disaster Artist, perché rischia di spingere la gente a guardare un film che, lungi dal divertire, fa soltanto cadere le balle da quanto è noioso.


Per il resto, The Disaster Artist è tanta roba, a partire soprattutto da James Franco. Il suo annullamento all'interno del personaggio di Wiseau è da antologia, con quel terrificante accento europeo (pardon, di New Orleans) strascicato e la fisicità tracotante; perfettamente in bilico tra commedia e tragedia, il Wiseau di Franco colpisce nei momenti più esilaranti del film ma tocca il cuore in quelli più seri ed "introspettivi" e dispiace che l'attore sia stato tenuto fuori dalla corsa agli Oscar per l'ennesimo scandalo a sfondo sessuale perché, ora come ora, tra lui e Gary Oldman avrei delle serie difficoltà a scegliere un vincitore. Ma non c'è solo questo, perché Franco merita il plauso anche e soprattutto per il modo certosino con cui ha ricostruito alla perfezione la maggior parte delle scene (s)cult di The Room, alcune inserite nel film, altre utilizzate nei titoli di coda per fare un confronto con le sequenze originali, con risultati da lasciare a bocca aperta. Molto bravo anche il fratello Dave, che normalmente viene relegato a ruoli di belloccio inespressivo e che qui riesce a reggere la scena senza farsi troppo eclissare dal più carismatico James, creando così una sorta di equilibrio all'interno delle varie sequenze, e intelligente l'utilizzo di buona parte della solita combriccola di Franco, con gli amici di sempre ingaggiati per ruoli più o meno importanti (mi ha fatto molto piacere vedere l'adorato Rogen, nei panni del cinico Sandy, sottolineare gli stessi difetti di "anatomia sessuale" che ho evidenziato io nel post su The Room). In buona sostanza, The Disaster Artist merita di finire in un'ideale Top 5 di film visti in preparazione della notte degli Oscar e vi consiglio di correre a vederlo, cercando possibilmente un cinema che lo proietti in v.o. altrimenti lasciate pure perdere, ché l'interpretazione di Franco si aggiudica un buon 60% di merito per la riuscita del film.


Del regista James Franco, che interpreta anche Tommy Wiseau/Johnny, ho già parlato QUI. Dave Franco (Greg Sestero/Mike), Seth Rogen (Sandy), Zac Efron (Dan/Chris R), Josh Hutcherson (Philip/Denny), Sharon Stone (Iris Burton), Bob Odenkirk (insegnante Stanislavsky), Tommy Wiseau (Henry, MI RACCOMANDO NON OSATE ALZARVI PRIMA DELLA FINE DEI TITOLI DI CODA!!!!), Zoey Deutch (Bobbi), Judd Apatow (produttore di Hollywood), Christopher Mintz - Plasse (Sid), Jason Mitchell (Nate) e Greg Sestero (Agente di casting) li trovate invece ai rispettivi link.

Ari Graynor interpreta Juliette, ovvero "Lisa". Americana, ha partecipato a film come Mystic River, Whip It e a serie quali I Soprano, Veronica Mars, CSI - Miami e Numb3rs; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie The Cleveland Show, I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, ha 35 anni e un film in uscita.


Alison Brie interpreta Amber. Americana, ha partecipato a film come Scream 4, The Post e a serie quali Hannah Montana e GLOW; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Robot Chicken, American Dad!, Bojack Horseman e nel film The Lego Movie. Anche produttrice, ha 36 anni.


Megan Mullally interpreta Mrs. Sestero. Americana, meravigliosa Karen Walker della serie Will & Grace, ha partecipato a film come Che cosa aspettarsi quando si aspetta e ad altre serie quali La signora in giallo, Frasier, Innamorati pazzi, Una famiglia del terzo tipo, How I Met Your Mother e 30 Rock; inoltre ha doppiato episodi di Batman e il film Hotel Transylvania 2. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 60 anni.


Melanie Griffith interpreta Jean Shelton. Americana, la ricordo per film come Omicidio a luci rosse, Una donna in carriera, Il falò delle vanità, Lolita e Pazzi in Alabama, inoltre ha partecipato a serie quali Starsky & Hutch, Miami Vice, Nip/Tuck e ha anche doppiato episodi di Robot Chicken e il film Stuart Little 2. Anche produttrice, ha 61 anni.


Nei panni di loro stesse compaiono star di Hollywood come Ike Barinholtz, Kevin Smith, Keegan-Michael Kay, Adam Scott, Danny McBride, Kristen Bell, J.J. Abrams, Lizzy Caplan, Bryan Cranston e Dylan Minnette; in particolare, da Barinholtz alla Caplan si tratta di veri fan di The Room, che spiegano perché il film di Wiseau li affascini ancora oggi. Sono invece rimasti fuori dal film i camei di Zach Braff e Jim Parson. Se The Disaster Artist vi fosse piaciuto recuperate OVVIAMENTE The Room, aspettate l'uscita di Best F(r)iends (il film scritto da Greg Sestero dopo aver visto The Disaster Artist, che riunisce finalmente lui e Tommy Wiseau) e aggiungete Ed Wood. ENJOY!

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