Con l'anno nuovo torna anche la rubrica dedicata a Bruce Willis! Si ricomincia con Ancora vivo (Last Man Standing), diretto e co-sceneggiato nel 1996 dal regista Walter Hill.
Trama: un pistolero sconosciuto arriva in una città di frontiera ai tempi del proibizionismo e mette zizzania tra due gang rivali...
Avevamo lasciato Bruccino adorato alle prese con le mattane di "Simon" in Die Hard - Duri a morire. Nel frattempo, si è permesso una comparsata amichevole all'interno dell'allora assai prolifica Tarantino Factory con Four Rooms e ha ottenuto uno dei suoi ruoli più belli, quello di James Cole in quel capolavoro de L'esercito delle 12 scimmie. Evidentemente, era il periodo in cui Willis aveva piacere a lavorare con autori affermati, per film particolari, altrimenti non si spiega perché abbia scelto di partecipare a un remake de La sfida del samurai di Akira Kurosawa (già rifatto da Sergio Leone con Per un pugno di dollari), diretto da Walter Hill. Voi direte "dove sta la particolarità"? Beh, in pratica Ancora vivo è un'opera ibrida, un noir che trova la sua collocazione ai tempi del proibizionismo, con tanto di duro e puro alla Bogart, voce narrante e gangster azzimati, ambientato però in una città di frontiera e fotografato come se fosse un western. Se non fosse per le auto utilizzate, fin dall'inizio si avrebbe l'illusione di vedere spuntare Clint Eastwood bardato col poncho, invece l'"uomo senza nome" (lì Joe, qui John) e tutti i criminali che popolano la cittadina di Jericho sembrano usciti da Gli intoccabili; solo il barista, lo sceriffo, il becchino e la messicana-indiana Felina indossano abiti senza tempo, assimilabili tranquillamente allo stile del Far West. L'idea non è neanche una delle peggiori del film, anche se personalmente ho percepito un po' troppo lo "scollamento" tra un genere e l'altro. Il vero problema di Ancora vivo, per quanto mi riguarda, è che l'ho trovato mortalmente noioso, perché non sono mai riuscita ad investire neppure il minimo sindacale di empatia nei confronti dei personaggi. John Smith, il protagonista, arriva nella città di Jericho e, prendendo a simpatia (senza motivo alcuno se non per la bellezza esteriore) la pupa messicana del boss irlandese, decide di fare il triplo gioco per mettere le due gang locali una contro l'altra e far sì che si distruggano da sole, ricavandoci il "pugno di dollari" citato da Leone. John Smith è come l'Harry Angel di Angel Heart (giusto per citare un altro ibrido che usa il linguaggio del noir), un protagonista per nulla piacevole, moralmente ambiguo, che si ritrova ad avere a che fare con gente ancora più riprovevole di lui; a differenza di ciò che accade in Angel Heart, qui non mi sono però sentita affatto coinvolta dai magheggi di John, dalle sue motivazioni, da antagonisti che sembrano la summa di tutti gli stereotipi del genere e agiscono, a loro volta, spinti da ragioni risibili. Il film si può riassumere tranquillamente con "John viene minacciato - John si affilia a una banda - John ammazza male i membri dell'altra banda - John fa il doppio gioco - Si ricomincia tutto da capo", con ben poche variabili affidate a un paio di co-protagonisti tra il cringe e il moscio.
Bruce Willis, nei panni di John Smith, recita col pilota automatico. Deciso a dare un'interpretazione "impersonale, classica", al personaggio, risulta monoespressivo, di conseguenza meno affascinante rispetto alla gamma dei suoi antieroi un po' sbruffoni (fortunatamente, a un certo punto viene mostrato seminudo in una vasca, almeno una gioia per gli occhi). In tutto questo, Willis incarna alla perfezione la figura del duro e puro, che non chiede mai, fa strage di cuori femminili, pialla quelli maschili a pistolettate e si rivela comunque la gemma del cast perché, salvo un paio di oneste interpretazioni di Bruce Dern e William Sanderson, il resto è da buttare, e mi si spezza il cuore scrivere una cosa simile per Christopher Walken e Michael Imperioli. Walken arriva come il ben più efficace Mr. Shhh di Steve Buscemi in Cosa fare a Denver quando sei morto, preannunciato da un hype tremendo e personaggi terrorizzati, e si rivela invece un tizio sfregiato a cui piace parlare sottovoce e agitare la mitraglietta automatica; Imperioli, dal canto suo, è in overacting perenne, ben lontano dalle performance che avrebbero reso Christopher Moltisanti uno dei personaggi più sfaccettati delle serie TV. L'overacting, purtroppo, è una cifra stilistica che coinvolge quasi tutti i gangster, e tocca il picco con un David Patrick Kelly a dir poco imbarazzante. Sul cast femminile non mi sento di spendere nemmeno una parola, non vorrei infierire. L'unico aspetto veramente pregevole di Ancora vivo, tolto Willis seminudo e una colonna sonora interessante, sono le sparatorie. Chi ama il genere "John Woo" anni '90, con pistole doppie impugnate da uomini colmi di cazzimma, pallottole infinite e corpi che volano nelle maniere più coreografiche immaginabili, qui può trovare pane per i suoi denti. O, perlomeno, svegliarsi dalla natura soporifera del resto del film, com'è del resto successo a me, costretta a guardare Ancora vivo a puntate per non cadere vittima dei colpi di Morfeo (non Morpheus). Il prossimo film della rassegna, all'epoca, l'avevo adorato. Speriamo non abbia risentito del tempo passato!
Del regista e co-sceneggiatore Walter Hill ho già parlato QUI. Bruce Willis (John Smith), Bruce Dern (Sceriffo Ed Galt), William Sanderson (Joe Monday), Christopher Walken (Hickey), David Patrick Kelly (Doyle), Michael Imperioli (Giorgio Carmonte), Leslie Mann (Wanda) e Lin Shaye (Madame, personaggio elencato nei titoli di coda ma, a mio avviso, assente nel film, probabilmente caduto sotto la scure del montaggio) li trovate invece ai rispettivi link.
John Paxton, che interpreta, Blair Richardson è il padre di Bill Paxton. Se Ancora vivo vi fosse piaciuto recuperate ovviamente La sfida del samurai e Per un pugno di dollari. ENJOY!
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