Di riffa o di raffa, sono riuscita a recuperare anche The Grudge, diretto e co-sceneggiato dal regista Nicolas Pesce.
Trama: una poliziotta da poco trasferitasi in una nuova cittadina si ritrova per le mani un incidente stradale legato a doppio filo con misteriosi omicidi-suicidi accorsi tempo prima...
Dovessero puntarmi una pistola alla testa e chiedermi qual è la saga che più mi ha terrorizzata tra quella di The Ring e quella di The Grudge, sicuramente nominerei quest'ultima. Samara/Sadako e la sua videocassetta maledetta, col suo uscire a scatti dagli schermi televisivi, è sempre stata un bel trauma, ma Kayako, Toshio e il loro gatto nero sono più insidiosi e implacabili, spuntano dove meno te lo aspetti e hanno il potere di portare alla rovina e alla desolazione intere città, soprattutto se a metterci mano sono i giapponesi. Ora, Nicolas Pesce giapponese non è e non si poteva pretendere che creasse qualcosa di deprimente ed arzigogolato, non ora che i fasti del J-Horror a base di capelli lunghi e facce bianchicce sono passati già da un pezzo, tuttavia il suo modo di reebotare la saga mantenendo un legame con i primi due The Grudge non mi è dispiaciuto, con tutti i limiti del caso e tenendo bene a mente che dei morti occidentali non potranno MAI fare paura quanto contorsioniste nipponiche e demonigattobambini. La storia del nuovo The Grudge comincia prima dell'inizio del remake nipponico del 2004 (quello con Sarah Michelle Gellar per intenderci) e da lì prende una direzione tutta nuova che è anche una direzione tutta vecchia, nel senso che cambieranno Paese e protagonisti ma la maledizione non cambia: si mette piede nella magione dov'è andato a crearsi il "ju-on" e si aspetta pazientemente di venire fatti fuori dagli spettri incazzosi, però stavolta Kayako e il figlioletto non hanno ottenuto il foglio di via e se ne sono rimasti in Giappone, lasciando spazio a un'altra allegra famigliola sopraffatta dal rancore. Poco importa se, nel The Grudge del 2006, erano stati aboliti i confini che separavano l'America e la terra del sol levante, evidentemente a 'sto giro i due yurei erano stanchi e hanno delegato ad altri, creando così una succursale yankee della casa maledetta.
Scherzi a parte, mi aspettavo una schifezza inaudita o una noia mortale alla The Ring 3, invece questo nuovo The Grudge non mi è dispiaciuto. Ho apprezzato molto la scelta di non realizzare una storia lineare ma di spezzettare la trama in microstorie cronologicamente mescolate, unite da un fil rouge investigativo, e più di ogni altra cosa ho amato i titoli di coda silenziosi, che scorrono sulla lapidaria inquadratura finale di una casa. Apprezzabile anche la dose di cattiveria che permea l'intera pellicola, nonostante gli omicidi più efferati avvengano off screen. Anzi, diciamo pure che la sceneggiatura non lesina colpi bassi, soprattutto quando mette in scena personaggi già sfortunati di loro e per nulla antipatici, anzi, decisamente delle brave persone; piagati da una vita che già non è stata tenera, vederli anche soccombere per mano delle spietate entità è un colpo al cuore, e spesso e volentieri sono colpi al cuore assai crudeli, sia quando il gore viene mostrato sia quando viene "solamente" suggerito. Tutto ciò, obiettivamente, mi ha fatta sorvolare sulla presenza di questi anonimi fantasmi occidentali, privi del terrificante carisma dei loro corrispettivi nipponici, e un'altra cosa che mi ha bendisposta più verso The Grudge che verso The Ring 3 è la presenza di caratteristi amati come Lin Shaye e William Sadler, peraltro protagonisti di alcune delle scene migliori. Che ci volete fare, so che vi aspettavate una stroncatura ma io, nonostante tutte le strizzate d'occhio, scopiazzature e remake di intere sequenze, o proprio forse in virtù di tutto ciò, non riesco a non essere indulgente con questa saga che ormai va avanti da vent'anni.
Di Andrea Riseborough (Detective Muldoon), Demián Bichir (Goodman), Lin Shaye (Faith Matheson), John Cho (Peter Spencer), Jacki Weaver (Lorna Moody) e William Sadler (Detective Wilson) ho già parlato ai rispettivi link.
Nicolas Pesce è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Eyes of my Mother e Piercing. Ha 30 anni.
Se il film vi fosse piaciuto avete da recuperare qualunque cosa, in primis The Grudge del 2004 e i suoi sequel, The Grudge 2 e The Grudge 3. Per completezza, ovviamente, aggiungete Ju-On: Rancore, il primo Ju-On, Ju-On 2, Ju-On: Black Ghost e Ju-On: White Ghost, Ju-On: The Beginning of the End, Ju-On: The Final Curse e Sadako vs Kayako. ENJOY!
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mercoledì 18 marzo 2020
martedì 22 ottobre 2019
The Voices (2014)
Quasi un anno fa col Bolluomo abbiamo adottato una gattina e ovviamente l'uomo di casa si è riscoperto gattaro (anche se credo lo sia sempre stato). Approfittando dell'immagine di un gatto particolarmente assurdo, sono riuscita quindi a fargli vedere The Voices, diretto nel 2014 dalla regista Marjane Satrapi e presente sulla piattaforma Amazon Prime Video.
Trama: Jerry lavora come magazziniere in una fabbrica di vasche da bagno, è timido e di buon cuore ma ha anche un grosso problema. La sua schizofrenia lo porta a sentire le voci degli animali di casa, una buona e una cattiva coscienza che arriveranno a confonderlo nel momento esatto in cui si innamorerà di una sua collega...
Ormai ho una memoria labile e fatico a ricordare tutti i film passati sui blog amici di cui bisognerebbe tenere traccia ma, chissà perché, almeno il titolo di The Voices era rimasto e quando è entrato a far parte del catalogo Prime Video l'ho inserito tra i preferiti. Onestamente, non ricordavo né che il protagonista fosse Ryan Reynolds (tanto che, quando è comparso, ho fatto la fatidica domanda "Ma diamine, quello è Ryan Reynolds?" Capitemi, sono miope/astigmatica e lo schermo della cucina/salottino non è enorme) né che la regista fosse Marjane Satrapi, cosa che mi ha creato uno scompenso psichico sul finale, quando il suo nome è comparso durante gli assurdi titoli di coda del film, però sono contenta che un minimo ricordo di The Voices mi sia rimasto perché rischiavo di perdermi una pellicola decisamente riuscita. Strana quanto volete, ovviamente, ché da un Ryan Reynolds ormai lanciatissimo ci aspetteremo mica una cosa normale? Più sconvolgente, invece, l'idea che Marjane Satrapi, dopo il commovente Persepolis, abbia deciso di dirigere una commedia a tratti demenziale (i titoli di coda, l'ho già detto, sono assurdi, uno schiaffo al senso del surreale dello spettatore) ma che più nera non si può, tanto che a un certo punto l'oscurità diventa la parte predominante e ridere delle disgrazie di Jerry diventa molto ma molto difficile. E pensare che, lì per lì, The Voices sarebbe un film anche innocuo: un uomo affetto da schizofrenia passa il tempo libero a parlare col suo cane e col suo gatto, rispettivamente l'angelo e il demone che gli sussurrano sulla spalla e che cominciano a diventare decisamente prodighi di consigli quando Jerry si innamora di Fiona, la nuova collega di origini inglesi. Il film inizia seguendo quindi il pattern di una commedia sentimentale di stampo surreale, con l'ingenuo e timido Jerry che viene preso in giro da Fiona e non si accorge che un'altra sua collega, Lisa, sarebbe seriamente intenzionata a mettersi con lui, ma nel corso di The Voices le aspettative dello spettatore vengono irrise più di una volta, soprattutto quando nel film si inserisce un elemento thriller e anche un po' horror, se vogliamo.
Non mi sento di aggiungere altro sulla trama, perché è interessante capire dove andrà a parare e anche perché a mio avviso è innanzitutto il modo in cui è stato realizzato The Voices a colpire, il modo in cui anche le immagini scivolano dallo stile comedy a quello horror senza soluzione di continuità. Il mondo di Jerry, il suo posto di lavoro, sono connotati da una fotografia luminosa e costumi all'interno dei quali i colori predominanti sono il rosa acceso e il rosso, specchio dei "caldi" sentimenti che esplodono nel cuore di Jerry nel momento in cui si innamora di Fiona, ma non solo, come si verrà a scoprire proseguendo nel film; il flash con cui all'improvviso cambiano i colori che circondano il protagonista, la fotografia e persino la scenografia delle sequenze, così simile a quella di mille serie televisive, è talmente repentino e impercettibile che, lì per lì, il cervello non lo registra nemmeno, almeno finché non subentra lo shock della consapevolezza di quanto, in realtà, l'esistenza di Jerry sia misera e solitaria e di come non ci sia nulla da ridere all'idea che un cane e un gatto (per quanto costruiti secondo gli stereotipi della comicità americana) battibecchino col loro padrone. In questo caso, ben venga l'utilizzo di una CGI poco invasiva ma necessaria per assecondare la schizofrenia di Ryan Reynolds e ben venga anche la sua incapacità attoriale, che rende Jerry in qualche modo "sbagliato" e strano fin dalle prime scene (sarebbe bello però poter vedere il film in lingua originale visto che Reynolds doppia tutte le "voci", peccato che Prime Video non lo consenta). Dal punto di vista del cast femminile, sia Gemma Arterton che Anna Kendrick sono deliziose, soprattutto la Kendrick, ma è fondamentale anche la stralunata professionalità di Jacki Weaver, altro personaggio che scivola senza soluzione di continuità dalla tipica psichiatra delle commedie USA a qualcosa di ben più angosciante. Insomma, non è facile parlare di The Voices senza fare troppi spoiler, lo avrete capito, quindi sarà meglio chiudere qui il post. Se avete Prime Video non perdetelo e fatemi sapere cosa ne pensate!
Della regista Marjane Satrapi ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (Jerry/Mr. Wiskers/Bosco/Cervo/Bunny Monkey), Gemma Arterton (Fiona), Anna Kendrick (Lisa) e Jacki Weaver (Dr. Warren) li trovate invece ai rispettivi link.
Trama: Jerry lavora come magazziniere in una fabbrica di vasche da bagno, è timido e di buon cuore ma ha anche un grosso problema. La sua schizofrenia lo porta a sentire le voci degli animali di casa, una buona e una cattiva coscienza che arriveranno a confonderlo nel momento esatto in cui si innamorerà di una sua collega...
Ormai ho una memoria labile e fatico a ricordare tutti i film passati sui blog amici di cui bisognerebbe tenere traccia ma, chissà perché, almeno il titolo di The Voices era rimasto e quando è entrato a far parte del catalogo Prime Video l'ho inserito tra i preferiti. Onestamente, non ricordavo né che il protagonista fosse Ryan Reynolds (tanto che, quando è comparso, ho fatto la fatidica domanda "Ma diamine, quello è Ryan Reynolds?" Capitemi, sono miope/astigmatica e lo schermo della cucina/salottino non è enorme) né che la regista fosse Marjane Satrapi, cosa che mi ha creato uno scompenso psichico sul finale, quando il suo nome è comparso durante gli assurdi titoli di coda del film, però sono contenta che un minimo ricordo di The Voices mi sia rimasto perché rischiavo di perdermi una pellicola decisamente riuscita. Strana quanto volete, ovviamente, ché da un Ryan Reynolds ormai lanciatissimo ci aspetteremo mica una cosa normale? Più sconvolgente, invece, l'idea che Marjane Satrapi, dopo il commovente Persepolis, abbia deciso di dirigere una commedia a tratti demenziale (i titoli di coda, l'ho già detto, sono assurdi, uno schiaffo al senso del surreale dello spettatore) ma che più nera non si può, tanto che a un certo punto l'oscurità diventa la parte predominante e ridere delle disgrazie di Jerry diventa molto ma molto difficile. E pensare che, lì per lì, The Voices sarebbe un film anche innocuo: un uomo affetto da schizofrenia passa il tempo libero a parlare col suo cane e col suo gatto, rispettivamente l'angelo e il demone che gli sussurrano sulla spalla e che cominciano a diventare decisamente prodighi di consigli quando Jerry si innamora di Fiona, la nuova collega di origini inglesi. Il film inizia seguendo quindi il pattern di una commedia sentimentale di stampo surreale, con l'ingenuo e timido Jerry che viene preso in giro da Fiona e non si accorge che un'altra sua collega, Lisa, sarebbe seriamente intenzionata a mettersi con lui, ma nel corso di The Voices le aspettative dello spettatore vengono irrise più di una volta, soprattutto quando nel film si inserisce un elemento thriller e anche un po' horror, se vogliamo.
Non mi sento di aggiungere altro sulla trama, perché è interessante capire dove andrà a parare e anche perché a mio avviso è innanzitutto il modo in cui è stato realizzato The Voices a colpire, il modo in cui anche le immagini scivolano dallo stile comedy a quello horror senza soluzione di continuità. Il mondo di Jerry, il suo posto di lavoro, sono connotati da una fotografia luminosa e costumi all'interno dei quali i colori predominanti sono il rosa acceso e il rosso, specchio dei "caldi" sentimenti che esplodono nel cuore di Jerry nel momento in cui si innamora di Fiona, ma non solo, come si verrà a scoprire proseguendo nel film; il flash con cui all'improvviso cambiano i colori che circondano il protagonista, la fotografia e persino la scenografia delle sequenze, così simile a quella di mille serie televisive, è talmente repentino e impercettibile che, lì per lì, il cervello non lo registra nemmeno, almeno finché non subentra lo shock della consapevolezza di quanto, in realtà, l'esistenza di Jerry sia misera e solitaria e di come non ci sia nulla da ridere all'idea che un cane e un gatto (per quanto costruiti secondo gli stereotipi della comicità americana) battibecchino col loro padrone. In questo caso, ben venga l'utilizzo di una CGI poco invasiva ma necessaria per assecondare la schizofrenia di Ryan Reynolds e ben venga anche la sua incapacità attoriale, che rende Jerry in qualche modo "sbagliato" e strano fin dalle prime scene (sarebbe bello però poter vedere il film in lingua originale visto che Reynolds doppia tutte le "voci", peccato che Prime Video non lo consenta). Dal punto di vista del cast femminile, sia Gemma Arterton che Anna Kendrick sono deliziose, soprattutto la Kendrick, ma è fondamentale anche la stralunata professionalità di Jacki Weaver, altro personaggio che scivola senza soluzione di continuità dalla tipica psichiatra delle commedie USA a qualcosa di ben più angosciante. Insomma, non è facile parlare di The Voices senza fare troppi spoiler, lo avrete capito, quindi sarà meglio chiudere qui il post. Se avete Prime Video non perdetelo e fatemi sapere cosa ne pensate!
Della regista Marjane Satrapi ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (Jerry/Mr. Wiskers/Bosco/Cervo/Bunny Monkey), Gemma Arterton (Fiona), Anna Kendrick (Lisa) e Jacki Weaver (Dr. Warren) li trovate invece ai rispettivi link.
domenica 13 gennaio 2019
Bird Box (2018)
Inaspettatamente, prima della fine dell'anno Netflix ha messo a segno un altro colpaccio mettendo in catalogo Bird Box, diretto nel 2018 dalla regista Susanne Bier e tratto dal romanzo La morte avrà i tuoi occhi di Josh Malerman.
Trama: il mondo viene funestato da un'epidemia di suicidi causati da misteriose entità. Tra i pochi sopravvissuti c'è Malorie, madre di due bambini assieme ai quali tenta una disperata traversata alla cieca lungo il fiume...
Netflix fa una pubblicità spudorata a rumenta come Sabrina e poi lascia passare gioiellini come Bird Box in secondo piano, al punto che se non avessi letto della presenza di Sarah Paulson nel cast probabilmente non avrei nemmeno dato una chance al film di Susanne Bier. Poi l'ho guardato, ho scoperto che c'era anche John Malkovich e ovviamente ho ri-bestemmiato contro Netflix. Detto questo, Bird Box è un inquietante horror post-apocalittico che priva i personaggi principali di uno dei cinque sensi, rendendo ancora più ardua la sopravvivenza. Benché il romanzo da cui è tratto risalga al 2014, è inevitabile pensare subito a A Quiet Place, all'interno del quale i protagonisti venivano messi in pericolo dai suoni, ma la mente durante la visione è corsa anche al quasi sconosciuto ma pregevole From Within; all'interno di Bird Box, infatti, chi utilizza la vista rischia di scorgere qualcosa di terribile che lo spinge a suicidarsi e i personaggi sono dunque costretti a rimanere chiusi in casa con le finestre oscurate oppure tentare una fuga disperata con gli occhi bendati, a rischio di finire malissimo sia che si incroci lo sguardo con le creature invisibili sia che ci si rompa l'osso del collo perché impossibilitati a vedere (cosa che, per inciso, non succede a nessuno, un'ingenuità a livello di trama che effettivamente fa un po' sorridere visto che, io per prima, come minimo sarei volata in un dirupo). In tutto questo, la protagonista è una donna incinta dotata dello stesso senso materno che potrei avere io la quale, già provata dalla sua indesiderata condizione, si ritrova a un certo punto a dover garantire la sopravvivenza sua e di ben due bambini e ad affrontare scelte che la renderebbero ancora meno umana delle creature che danno loro la caccia. La storia di Malorie e dei sue due figli viene narrata con una serie di flashback che fungono da intermezzo per la loro fuga disperata verso la salvezza, affidata alla corrente di un fiume, scelta narrativa che divide il film in due "generi" ideali: il survival apocalittico in senso stretto e qualcosa di più simile al The Mist di Stephen King, all'interno del quale fanno più paura le dinamiche che intercorrono tra i sopravvissuti piuttosto che la minaccia che li affligge.
La bellezza di Bird Box, dunque, risiede non solo nella storia ma anche nel modo in cui vengono tratteggiati i vari personaggi. Mi verrebbe da dire che il tocco femminile alla regia si percepisce, perché la protagonista viene costretta ad affrontare se stessa prima ancora che la minaccia sovrannaturale incombente ma anche perché persino i personaggi secondari hanno qualcosa da dire, come per esempio un John Malkovich sopra le righe ma capace di regalare almeno un interessante confronto a base di "saggezza popolare", per non parlare dei primi piani di due bimbi tanto espressivi quanto disperati e del modo in cui Sandra Bullock si rapporta con loro. L'attrice, poi, è bellissima e brava come non mai. Il personaggio di Malorie è infatti una protagonista nella quale ci si può ritrovare sotto molti aspetti, è eroica ma anche umanissima ed imperfetta, oltre ad essere pervasa da un dolore che la spinge a comportarsi da stronza persino con i due bambini che si è ritrovata tra le mani, un "boy" e una "girl" ai quali viene letteralmente impedito di affezionarsi alla madre, fino a rischiare inevitabili, nefaste conseguenze. In generale, comunque, mi è parso che ogni dialogo, ogni gesto, ogni interazione non fosse lasciata al caso e il risultato è che, oltre ad avere il cuore in gola durante le sequenze più concitate e prettamente horror (e ce ne sono moltissime), di tanto in tanto guardando Bird Box si riesce anche a riflettere e a commuoversi, soprattutto sul delicato finale che, mi si dice, è molto diverso da quello del libro. Quindi il mio consiglio è quello di recuperare Bird Box per incominciare l'anno cinematografico su Netflix nel migliore dei modi!
Di Sandra Bullock (Malorie), John Malkovich (Douglas), Sarah Paulson (Jessica), Jacki Weaver (Cheryl), Tom Hollander (Gary), Pruitt Taylor Vince (Rick) e David Dastmalchian (Predone che fischia) ho parlato ai rispettivi link.
Susanne Bier è la regista del film. Danese, ha diretto film come Non desiderare la donna d'altri, Dopo il matrimonio, In un mondo migliore e Love Is All You Need. Anche sceneggiatrice, produttrice e attrice, ha 58 anni.
Machine Gun Kelly (vero nome Colson Baker) interpreta Felix. Rapper americano, ha partecipato a film come Nerve e Viral. Anche compositore e produttore, ha 28 anni e quattro film in uscita.
Parminder Nagra interpreta la dottoressa Lapham. Inglese, la ricordo per film come Sognando Beckham, inoltre ha partecipato a serie quali E.R. Medici in prima linea e Agents of S.H.I.E.L.D.. Ha 43 anni e un film in uscita.
Se Bird Box vi fosse piaciuto recuperate The Mist e A Quiet Place. ENJOY!
Trama: il mondo viene funestato da un'epidemia di suicidi causati da misteriose entità. Tra i pochi sopravvissuti c'è Malorie, madre di due bambini assieme ai quali tenta una disperata traversata alla cieca lungo il fiume...
Netflix fa una pubblicità spudorata a rumenta come Sabrina e poi lascia passare gioiellini come Bird Box in secondo piano, al punto che se non avessi letto della presenza di Sarah Paulson nel cast probabilmente non avrei nemmeno dato una chance al film di Susanne Bier. Poi l'ho guardato, ho scoperto che c'era anche John Malkovich e ovviamente ho ri-bestemmiato contro Netflix. Detto questo, Bird Box è un inquietante horror post-apocalittico che priva i personaggi principali di uno dei cinque sensi, rendendo ancora più ardua la sopravvivenza. Benché il romanzo da cui è tratto risalga al 2014, è inevitabile pensare subito a A Quiet Place, all'interno del quale i protagonisti venivano messi in pericolo dai suoni, ma la mente durante la visione è corsa anche al quasi sconosciuto ma pregevole From Within; all'interno di Bird Box, infatti, chi utilizza la vista rischia di scorgere qualcosa di terribile che lo spinge a suicidarsi e i personaggi sono dunque costretti a rimanere chiusi in casa con le finestre oscurate oppure tentare una fuga disperata con gli occhi bendati, a rischio di finire malissimo sia che si incroci lo sguardo con le creature invisibili sia che ci si rompa l'osso del collo perché impossibilitati a vedere (cosa che, per inciso, non succede a nessuno, un'ingenuità a livello di trama che effettivamente fa un po' sorridere visto che, io per prima, come minimo sarei volata in un dirupo). In tutto questo, la protagonista è una donna incinta dotata dello stesso senso materno che potrei avere io la quale, già provata dalla sua indesiderata condizione, si ritrova a un certo punto a dover garantire la sopravvivenza sua e di ben due bambini e ad affrontare scelte che la renderebbero ancora meno umana delle creature che danno loro la caccia. La storia di Malorie e dei sue due figli viene narrata con una serie di flashback che fungono da intermezzo per la loro fuga disperata verso la salvezza, affidata alla corrente di un fiume, scelta narrativa che divide il film in due "generi" ideali: il survival apocalittico in senso stretto e qualcosa di più simile al The Mist di Stephen King, all'interno del quale fanno più paura le dinamiche che intercorrono tra i sopravvissuti piuttosto che la minaccia che li affligge.
La bellezza di Bird Box, dunque, risiede non solo nella storia ma anche nel modo in cui vengono tratteggiati i vari personaggi. Mi verrebbe da dire che il tocco femminile alla regia si percepisce, perché la protagonista viene costretta ad affrontare se stessa prima ancora che la minaccia sovrannaturale incombente ma anche perché persino i personaggi secondari hanno qualcosa da dire, come per esempio un John Malkovich sopra le righe ma capace di regalare almeno un interessante confronto a base di "saggezza popolare", per non parlare dei primi piani di due bimbi tanto espressivi quanto disperati e del modo in cui Sandra Bullock si rapporta con loro. L'attrice, poi, è bellissima e brava come non mai. Il personaggio di Malorie è infatti una protagonista nella quale ci si può ritrovare sotto molti aspetti, è eroica ma anche umanissima ed imperfetta, oltre ad essere pervasa da un dolore che la spinge a comportarsi da stronza persino con i due bambini che si è ritrovata tra le mani, un "boy" e una "girl" ai quali viene letteralmente impedito di affezionarsi alla madre, fino a rischiare inevitabili, nefaste conseguenze. In generale, comunque, mi è parso che ogni dialogo, ogni gesto, ogni interazione non fosse lasciata al caso e il risultato è che, oltre ad avere il cuore in gola durante le sequenze più concitate e prettamente horror (e ce ne sono moltissime), di tanto in tanto guardando Bird Box si riesce anche a riflettere e a commuoversi, soprattutto sul delicato finale che, mi si dice, è molto diverso da quello del libro. Quindi il mio consiglio è quello di recuperare Bird Box per incominciare l'anno cinematografico su Netflix nel migliore dei modi!
Di Sandra Bullock (Malorie), John Malkovich (Douglas), Sarah Paulson (Jessica), Jacki Weaver (Cheryl), Tom Hollander (Gary), Pruitt Taylor Vince (Rick) e David Dastmalchian (Predone che fischia) ho parlato ai rispettivi link.
Susanne Bier è la regista del film. Danese, ha diretto film come Non desiderare la donna d'altri, Dopo il matrimonio, In un mondo migliore e Love Is All You Need. Anche sceneggiatrice, produttrice e attrice, ha 58 anni.
Machine Gun Kelly (vero nome Colson Baker) interpreta Felix. Rapper americano, ha partecipato a film come Nerve e Viral. Anche compositore e produttore, ha 28 anni e quattro film in uscita.
Parminder Nagra interpreta la dottoressa Lapham. Inglese, la ricordo per film come Sognando Beckham, inoltre ha partecipato a serie quali E.R. Medici in prima linea e Agents of S.H.I.E.L.D.. Ha 43 anni e un film in uscita.
Se Bird Box vi fosse piaciuto recuperate The Mist e A Quiet Place. ENJOY!
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