Visualizzazione post con etichetta william sadler. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta william sadler. Mostra tutti i post

venerdì 11 ottobre 2024

Salem's Lot (2024)

Appena possibile ho recuperato Salem's Lot, diretto e sceneggiato dal regista Gary Dauberman e tratto dal romanzo Le notti di Salem di Stephen King.


Trama: Ben Mears, scrittore in crisi d'ispirazione, torna a Salem's Lot, suo luogo di nascita. Lì scopre che la città e i suoi abitanti sono presi di mira da un antico vampiro...


Uno dei grandi misteri dell'horror recente sarà il motivo per cui questo Salem's Lot è rimasto nel limbo distributivo per ben due anni. Girato nel 2021, completato nel 2022, ha aspettato fino a fine 2024 per vedere l'uscita, per di più direttamente in streaming, sul servizio americano Max. Va bene il Covid, va bene lo sciopero SAG-AFTRA, ma secondo me è un ritardo comunque eccessivo. Sia come sia, Salem's Lot è finalmente arrivato, quindi com'è? Meno peggio di quanto pensassi ma comunque non un lavoro memorabile né capace di rendere finalmente giustizia a uno dei miei romanzi preferiti del Re. Il problema è sempre quello, probabilmente impossibile da evitare per chiunque non sia Mike Flanagan e non abbia a disposizione miniserie di almeno sei puntate: Salem's Lot manca di anima. E non parlo del film, ma della cittadina. Questa però è anche una delle note di merito che darei a Dauberman, perché, memore delle mattonate sui coglioni de Le notti di Salem televisive, lo sceneggiatore non ci ha nemmeno provato ad approfondire la natura della città, degli abitanti e le tante piccole magagne che fanno sì, come dichiarato dallo sceriffo Gillespie, che Salem's Lot fosse già morta "dentro" prima ancora dell'arrivo di Barlow. Questi approfondimenti, appunto, o si fanno bene o è meglio evitarli. Purtroppo, così facendo si hanno anche dei protagonisti e comprimari con lo spessore emotivo di un foglio di carta, al punto che la loro sopravvivenza o meno diventa poco importante (perlomeno, poco sentita dallo spettatore), per non parlare poi dei legami che arrivano a crearsi tra gli stessi. Nel nuovo Salem's Lot, l'unico personaggio leggermente tridimensionale è Matt Burke, gli altri sono dotati di maggior vivacità rispetto ad altre loro controparti televisive/cinematografiche ma è il loro unico pregio (anche stavolta, il mio personaggio preferito, il doloroso, cinico padre Callahan, è una macchia di colore che passa e va) quanto al Dr. Cody dà talvolta l'impressione di essere poco più di un comic relief. Barlow e Straker risultano invece cartonati, e il primo funziona nello stesso modo in cui funzionava quello del 1979, ovvero come mero veicolo di jump scare. L'intenzione di Dauberman era quella di privare la figura del vampiro di attrattiva, e la trovo lodevole, così purtroppo l'ha però prosciugata anche di carisma, ma c'è da dire che, per quanto riguarda Straker e il suo destino, lo sceneggiatore ha avuto un'unica, buona idea originale (che non vi spoilero), perfettamente in tema con la poetica kinghiana e il suo parterre di personaggi ai quali basta una spintarella minima per diventare matti in culo. 


Dunque il Dauberman sceneggiatore ci è andato cauto, tenendosi abbastanza fedele al testo da cui ha preso un paio di note di colore, ma senza allontanarsi troppo dai cliché dell'horror medio recente. A livello di regia ha un paio di belle intuizioni, come l'introduzione di Barlow attraverso la visione limitata di un bambino terrorizzato e il precedente rapimento dello stesso, oppure l'elegantissimo momento in cui basta il riflesso di una finestra per svelare un'umanità già perduta, e in generale è bravo quando si tratta di creare atmosfera e giocare a carte coperte. Più aumenta la consapevolezza dei personaggi, più a me è sembrato però che certe finezze si perdessero, e che Dauberman puntasse esclusivamente a "fare paura", con risultati discontinui, anzi più fallimentari che altro. I jump scare sono infatti prevedibili, lo showdown finale abbastanza sciocco (SPOILER: Nascondersi nei cofani delle macchine al drive-in? Ma mi tiri il belino, esistono le cantine, che senso ha? Alla faccia del caldo!) e il distacco emotivo derivante da personaggi poco approfonditi rende difficile il coinvolgimento anche nei momenti più concitati. Lì la colpa è anche di un casting poco efficace, forse. Lewis Pullman è un Ben Mears ancora più moscio di Hutch, con la differenza che David Soul a 36 anni sembrava già mio nonno, Mears all'epoca delle riprese non ne aveva nemmeno 30 e sembra un ragazzino al college, quindi risulta anche poco credibile. A parte il giovanissimo attore che interpreta Mike e il bravo Bill Camp, poi, appaiono tutti un po' spaesati o pronti a recitare col pilota automatico, anche se il vero spreco, per quanto mi riguarda, è aver ingessato quel gran bel fanciullo di Pilou Asbæk nei panni di old fart britannica, sprecandone il potenziale. Detto ciò, non posso dire che Salem's Lot non sia un prodotto ben confezionato, zeppo di difetti evidenti oppure noioso al punto da indurre al sonno, ma la mancanza di anima lo rende l'ennesimo horror dimenticabile e, passatemi il termine, inutile di questo 2024.


Del regista e sceneggiatore Gary Dauberman ho già parlato QUIAlfre Woodard (Dr. Cody), Bill Camp (Matt Burke), Spencer Treat Clark (Mike Ryerson), Pilou Asbæk (R.T. Straker) e William Sadler (Parkins Gillespie) li trovate invece ai rispettivi link.

Lewis Pullman interpreta Ben Mears. Americano, figlio di Bill Pullman, ha partecipato a film come The Strangers: Prey at Night7 sconosciuti a El Royale Top Gun: Maverick, Ha 31 anni e un film in uscita, Thunderbolts


Nicholas Crovetti
, che interpreta Danny Glick, è il gemello di Cameron, che interpreta il figlio di Homelander in The Boys, e assieme a lui aveva partecipato al dimenticabile remake di Goodnight MommyDerek Mears ha partecipato col ruolo di Hubert Martens, ma le sue scene sono state tutte tagliate in fase di montaggio. Se Salem's Lot vi fosse piaciuto recuperate Le notti di SalemIt e It - Capitolo 2. ENJOY!

venerdì 22 luglio 2022

Bolla Loves Bruno: 58 minuti per morire - Die Harder (1990)

Nonostante il caldo che mi annulla le funzioni mentali, ho cercato comunque di rispettare l'appuntamento con Bolla Loves Bruno, ovvero l'omaggio all'adorato e ormai pensionato Bruce Willis. Oggi tocca a 58 minuti per morire - Die Harder (Die Hard 2), diretto nel 1990 dal regista Renny Arlin e tratto dal romanzo 58 minuti di Walter Wager.


Trama: mentre è in aeroporto ad aspettare il ritorno della moglie per Natale, John McClane si ritrova a dovere sventare una minaccia terroristica costituita da soldati decisi a far fuggire un generale sudamericano...


Gli anni '90 si aprono per Bruce Willis col ritorno del personaggio che lo ha elevato nell'Olimpo degli eroi action. In realtà, ho volutamente saltato il film precedente del nostro, Senti chi parla, che pure adoravo da bambina, e il motivo è semplice: è un film il cui valore risiede nel doppiaggio italiano e nella voce di Paolo Villaggio, sinceramente l'idea di un bambino che parla con la voce di Bruce Willis non mi fa granché ridere, poi potrei anche sbagliarmi. Detto questo, torniamo a 58 minuti per morire. Messo da parte John McTiernan, impegnato a dirigere Caccia a Ottobre Rosso, e dimenticato il romanziere Roderick Thorp per fare spazio a Walter Wager (che col personaggio non aveva nulla a che fare), la nuova avventura natalizia di John McClane lo vede stavolta impegnato ad ingannare il tempo in aeroporto scontrandosi con pericolosi ex soldati americani convertiti in terroristi. Lo sceneggiatore Steven E. de Souza si ricollega alla continuity del film precedente (e anche a Commando, se Val Verde vi dice qualcosa), sempre scritto da lui, ed alza l'asticella del pericolo affrontato dal protagonista; John McClane è ora universalmente riconosciuto come l'eroe, il salvatore del Nakatomi, il matrimonio con Holly è tornato ad essere idilliaco, e giustamente, per la legge del #maiunagioia, la minaccia esterna arriva a superare i confini di un ristretto edificio (in questo caso l'aeroporto) per diventare ancora più infida ed estesa. Aumentano, per la frustrazione di McClane, anche gli ostacoli posti da chi dovrebbe ragionevolmente dargli una mano, tra poliziotti invidiosi del successo ottenuto dal nostro e purtroppo incompetenti, giornalisti che pensano solo agli scoop senza tenere in conto l'incolumità delle persone e chi più ne ha più ne metta, e aumentano ovviamente anche i "boss di fine livello", che in questo caso diventano addirittura tre, uno più carismatico e malvagio dell'altro.


Le minacce dirette a McClane e ai poveri, ignari passeggeri degli aerei tanto sventurati da essersi trovati a passare dall'aeroporto di Dulles nel giorno sbagliato, sono molteplici e la struttura del film segue uno schema in crescendo che vede il protagonista occuparsi (con più o meno successo) del problema contingente per poi trovarsene davanti uno più grosso, magari dopo essersi fatto trarre in inganno da una falsa pista, e la differenza sostanziale con Trappola di cristallo, oltre al bodycount decisamente superiore, è che qui McClane gioca a carte più o meno scoperte, mentre là, per buona metà del film, il suo personaggio doveva cercare di non farsi scoprire. Ciò ovviamente consente a Bruce Willis di gigioneggiare anche più di prima. Il suo personaggio è consapevole sia della sua sfiga costante sia del pericolo che minaccia lui e la moglie e, tra una sparatoria e l'altra, gli tocca armarsi di parecchia ironia per non diventare pazzo o per non spaccare la faccia a chi fa orecchie da mercante davanti alle sue giuste rimostranze; l'adorato Bruno si profonde quindi nelle improvvisazioni che gli riescono meglio, perdendo magari quell'umana debolezza che lo caratterizzava in Trappola di cristallo ma guadagnandoci in cazzimma e "invulnerabilità", per quanto sempre troppo vestito, ahimé, ché con la neve la canottiera d'ordinanza non ci stava (poi vi chiedete perché ricordassi così poco questo film? Dai, quel maglione di lana è inguardabile!!). D'altronde, stavolta gli tocca competere con almeno un paio di attori dal carisma indubbio. Vero è che Franco Nero si vede poco, ma quando compare è magnetico, e a William Sadler vengono addirittura regalate la sequenza più agghiacciante dell'intero film e un'introduzione a dir poco cult, quindi Bruno qui ha il suo bel da fare per diventare ancora più indimenticabile. 


Cambiando argomento, non è solo per la canottiera mancante che 58 minuti per morire è il film della trilogia (lo so, esistono anche Die Hard - Vivere o morire e Die Hard - Un buon giorno per morire ma non li ho mai visti) che ricordavo di meno. Renny Harlin è bravo, nulla da dire, ed è costretto a gestire molta più carne al fuoco rispetto a John McTiernan, ma il suo film risulta più sfilacciato e meno centrato rispetto a Trappola di cristallo, che non aveva un minuto morto o un elemento non funzionale neppure a cercarlo col lanternino, e riusciva ad essere claustrofobico e pieno di inquadrature interessanti; in 58 minuti per morire non mancano le scene epiche e caciarone, d'altronde stiamo comunque parlando di aerei che esplodono, ma difetta di quella scintilla "magica" che sembrava infusa in ogni sequenza del primo Die Hard, e il tempo è stato impietoso con alcuni effetti speciali (Bruce Willis e il sedile eiettabile... 'nuff said). Ciò detto, non si può dire che 58 minuti per morire sia un brutto film, anche se da quel che ricordo Duri a morire è molto, ma molto più bello, e sicuramente in queste serate caldissime è in grado di portare non solo un po' di sano, caciarone divertimento action, ma anche un'illusione di freschezza, grazie a tutta la neve (finta) di cui abbonda. Col prossimo Bolla Loves Bruno si cambia genere, preparatevi! 


Del regista Renny Arlin ho già parlato QUI. Bruce Willis (John McClane), Bonnie Bedelia (Holly McClane), William Atherton (Thornberg), Reginald VelJohnson (Al Powell), Franco Nero (Esperanza), William Sadler (Stuart), John Amos (Grant), Tom Bower (Marvin), Sheila McCarthy (Samantha Coleman), Robert Patrick (O'Reilly), John Leguizamo (Burke), Vondie Curtis-Hall (Miller) e  Mark Boone Junior (Shockley) li trovate ai rispettivi link.


Dennis Franz, che interpreta Carmine Lorenzo, sarebbe diventato famosissimo pochi anni dopo per il ruolo di Andy Sipowicz nel telefilm New York Police Department. Ciò detto, se vi interessa 58 minuti per morire, sappiate che prima dovete guardare Trappola di cristallo e poi, se il genere vi piace, Die Hard - Duri a morire, Die Hard - Vivere o morire e Die Hard - Un buon giorno per morire. ENJOY!

martedì 7 aprile 2020

VFW (2019)

Per la serie #restateacasa , cosa c'è di meglio di un home invasion, anzi, di un bar invasion? VFW, diretto da Joe Begos, potrebbe darvi un mucchio di soddisfazioni.


Trama: un gruppo di anziani veterani di guerra viene attaccato da un branco di drogati in astinenza, tutti pronti a uccidere per recuperare la partita di droga rubata da una ragazza.


VFW, guarda un po' l'ignoranza che avevo prima di guardare il film di Begos, sta per Veterans of Foreign Wars ed è un acronimo utilizzato anche per l'equivalente delle nostre società degli alpini, ovviamente in versione più yankee e spaccaculi. Nel caso specifico, è una "società", per l'appunto, gestita da Fred, veterano che palesemente non ha più uno scopo nella vita e passa le giornate a testimoniare, impotente, il degrado del tessuto sociale della sua città, ormai in mano a bande di delinquenti e hypers, gente dipendente da una potentissima droga. Normalmente, Fred tenderebbe a farsi i fatti suoi, se non fosse che il destino infingardo gli si infila nel locale sotto forma di ragazzina vendicativa (la fanciulla ha rubato al boss del quartiere l'ultima partita di droga per riscattare la morte della sorella, avvenuta per mano del suddetto boss) proprio la sera del suo compleanno, che vede riuniti al bancone i vecchi commilitoni di un tempo con l'aggiunta di un giovane soldato di ritorno dalla guerra. La serata che avrebbe dovuto concludersi in un locale di spogliarelliste vedrà gli arzilli vegliardi a combattere per le loro vite contro orde di drogati in violentissima crisi d'astinenza, che spuntano letteralmente dalle fottute pareti, e se l'idea di un simile scenario non vi scalda il cuore nemmeno un po', signori miei siete delle persone male. Tra atmosfere carpenteriane, una battuta badass e l'altra, momenti di malinconica riflessione sulla vecchiaia e puro celodurismo, VFW si sviluppa in quello che potrei definire un onesto e sanguinosissimo Expendables di noti caratteristi da film action, con l'indubbio pregio di non dover per forza piacere a tutti, in quanto produzione "di nicchia" e quindi libera di venire orchestrata secondo la volontà di regista e sceneggiatori per il divertimento di spettatori e attori.


Dovessi proprio fare le pulci a VFW e trovargli un difetto è la fotografia scurissima che spesso non aiuta a comprendere che diamine stia succedendo sullo schermo, il che è un peccato: Begos immerge i contendenti in un tripudio di ambienti malati, all'interno dei quali la fanno da padrone fioche luci rosse e blu, tuttavia l'abbondanza di sangue spillata da asce, machete e seghe circolari si perde nelle ombre privandosi così di tutta la forza gore che potrebbe avere. E' un peccato, anche perché i "vecchietti" non la mandano a dire e si profondono in mattanze violentissime, arrivando persino a spappolare teste a suon di calci ben dati, con tutto l'entusiasmo che potrebbero avere dei veterani di guerra che non vedono l'ora di poter tornare a menar le mani. E se i ragazzetti, o meglio, i "giovani punk" che hanno la sventura di incrociarli sembrano usciti dritti da un film di Miller, i VFW non riescono a dissimulare la cazzutaggine nemmeno sotto gli abiti dimessi da working class heroes o i più rassicuranti completi da venditori di auto usate: Stephen Lang mi mette soggezione da quando l'ho visto in Man in the Dark, Fred Williamson sembra non essere mai uscito dal Titty Twister (e sono passati 24 anni!!), Martin Kove è sempre una meravigliosa faccia di merda e, al limite, l'unico che poverello si è imbolsito a bestia è William Sadler, ma a lui viene offerta l'arma migliore di tutto il film quindi cosa stiamo a lamentarci? Ce ne fossero di film come questo!

Cosa stiamo a lamentarci?
Del regista Joe Begos ho già parlato QUI. Stephen Lang (Fred Parras), William Sadler (Walter Reed), Fred Williamson (Abe Hawkins), Martin Kove (Lou Clayton) e David Patrick Kelly (Doug McCarthy) li trovate invece ai rispettivi link.

Sierra McCormick interpreta Lizard. Americana, ha partecipato a film come L'odio che uccide e a serie come Supernatural, Criminal Minds, Hannah Montana, Medium e CSI - Scena del crimine. Anche produttrice, ha 23 anni e due film in uscita.


Dora Madison, che interpreta Gutter, era la protagonista di Bliss, sempre di Joe Begos. ENJOY!

mercoledì 18 marzo 2020

The Grudge (2020)

Di riffa o di raffa, sono riuscita a recuperare anche The Grudge, diretto e co-sceneggiato dal regista Nicolas Pesce.


Trama: una poliziotta da poco trasferitasi in una nuova cittadina si ritrova per le mani un incidente stradale legato a doppio filo con misteriosi omicidi-suicidi accorsi tempo prima...


Dovessero puntarmi una pistola alla testa e chiedermi qual è la saga che più mi ha terrorizzata tra quella di The Ring e quella di The Grudge, sicuramente nominerei quest'ultima. Samara/Sadako e la sua videocassetta maledetta, col suo uscire a scatti dagli schermi televisivi, è sempre stata un bel trauma, ma Kayako, Toshio e il loro gatto nero sono più insidiosi e implacabili, spuntano dove meno te lo aspetti e hanno il potere di portare alla rovina e alla desolazione intere città, soprattutto se a metterci mano sono i giapponesi. Ora, Nicolas Pesce giapponese non è e non si poteva pretendere che creasse qualcosa di deprimente ed arzigogolato, non ora che i fasti del J-Horror a base di capelli lunghi e facce bianchicce sono passati già da un pezzo, tuttavia il suo modo di reebotare la saga mantenendo un legame con i primi due The Grudge non mi è dispiaciuto, con tutti i limiti del caso e tenendo bene a mente che dei morti occidentali non potranno MAI fare paura quanto contorsioniste nipponiche e demonigattobambini. La storia del nuovo The Grudge comincia prima dell'inizio del remake nipponico del 2004 (quello con Sarah Michelle Gellar per intenderci) e da lì prende una direzione tutta nuova che è anche una direzione tutta vecchia, nel senso che cambieranno Paese e protagonisti ma la maledizione non cambia: si mette piede nella magione dov'è andato a crearsi il "ju-on" e si aspetta pazientemente di venire fatti fuori dagli spettri incazzosi, però stavolta Kayako e il figlioletto non hanno ottenuto il foglio di via e se ne sono rimasti in Giappone, lasciando spazio a un'altra allegra famigliola sopraffatta dal rancore. Poco importa se, nel The Grudge del 2006, erano stati aboliti i confini che separavano l'America e la terra del sol levante, evidentemente a 'sto giro i due yurei erano stanchi e hanno delegato ad altri, creando così una succursale yankee della casa maledetta.


Scherzi a parte, mi aspettavo una schifezza inaudita o una noia mortale alla The Ring 3, invece questo nuovo The Grudge non mi è dispiaciuto. Ho apprezzato molto la scelta di non realizzare una storia lineare ma di spezzettare la trama in microstorie cronologicamente mescolate, unite da un fil rouge investigativo, e più di ogni altra cosa ho amato i titoli di coda silenziosi, che scorrono sulla lapidaria inquadratura finale di una casa. Apprezzabile anche la dose di cattiveria che permea l'intera pellicola, nonostante gli omicidi più efferati avvengano off screen. Anzi, diciamo pure che la sceneggiatura non lesina colpi bassi, soprattutto quando mette in scena personaggi già sfortunati di loro e per nulla antipatici, anzi, decisamente delle brave persone; piagati da una vita che già non è stata tenera, vederli anche soccombere per mano delle spietate entità è un colpo al cuore, e spesso e volentieri sono colpi al cuore assai crudeli, sia quando il gore viene mostrato sia quando viene "solamente" suggerito. Tutto ciò, obiettivamente, mi ha fatta sorvolare sulla presenza di questi anonimi fantasmi occidentali, privi del terrificante carisma dei loro corrispettivi nipponici, e un'altra cosa che mi ha bendisposta più verso The Grudge che verso The Ring 3 è la presenza di caratteristi amati come Lin Shaye e William Sadler, peraltro protagonisti di alcune delle scene migliori. Che ci volete fare, so che vi aspettavate una stroncatura ma io, nonostante tutte le strizzate d'occhio, scopiazzature e remake di intere sequenze, o proprio forse in virtù di tutto ciò, non riesco a non essere indulgente con questa saga che ormai va avanti da vent'anni.


Di Andrea Riseborough (Detective Muldoon), Demián Bichir (Goodman), Lin Shaye (Faith Matheson), John Cho (Peter Spencer), Jacki Weaver (Lorna Moody) e William Sadler (Detective Wilson) ho già parlato ai rispettivi link.

Nicolas Pesce è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Eyes of my Mother e Piercing. Ha 30 anni.


Se il film vi fosse piaciuto avete da recuperare qualunque cosa, in primis The Grudge del 2004 e i suoi sequel, The Grudge 2 e The Grudge 3. Per completezza, ovviamente, aggiungete Ju-On: Rancoreil primo Ju-On, Ju-On 2, Ju-On: Black Ghost e Ju-On: White Ghost, Ju-On: The Beginning of the End, Ju-On: The Final Curse Sadako vs KayakoENJOY!

venerdì 7 luglio 2017

The Mist (2007)

Siccome la settimana scorsa è uscita la serie The Mist ho deciso di prepararmi recuperando il film omonimo diretto e co-sceneggiato nel 2007 dal regista Frank Darabont, tratto dal racconto di Stephen King La nebbia, che ormai so a memoria.


Trama: dopo una violenta tempesta, una cittadina del Maine viene avvolta da una fitta e misteriosa nebbia. Alcuni residenti e turisti si ritrovano all'interno di un supermarket che diventa l'ultimo baluardo dell'umanità quando dalla nebbia cominciano a fuoriuscire mostruose creature...



Prima di cominciare il post sono necessarie una constatazione e una confessione. La constatazione, inconfutabile al momento (mi riservo il diritto di rimangiarmi queste parole ma ne dubito), è che la serie The Mist è laMMerda, più brutto persino del già aberrante Under the Dome e più ammorbante di Fear the Walking Dead. Complimenti agli autori, davvero, con un materiale di partenza così buono non era facile realizzare uno schifo simile. La confessione invece è che, fino a pochi giorni fa, non avevo mai guardato il film di Frank Darabont, nonostante adorassi il racconto di Stephen King e nonostante tutti me ne avessero detto un gran bene. Il motivo di questa reticenza non lo saprei spiegare neppure io visto che Darabont è l'unico regista e sceneggiatore capace di riportare fedelmente sullo schermo lo spirito delle opere kinghiane (non me ne vogliano Kubrick e De Palma, due Autori che hanno giustamente imposto la LORO visione dei romanzi che hanno trasformato in film sfornando dei capolavori), sta di fatto che erano anni che l'edizione doppia e strafighissima che ho in DVD rimaneva lì a prendere polvere e in effetti l'unica utilità dell'orrida serie TV è stata l'avermi spinta a rimediare alla mancanza. Cosa posso dire quindi, dopo 10 anni di silenzio ignorante, che altri non abbiano già detto meglio di me? Innanzitutto che la visione di The Mist è stata tutto quello che mi aspettavo e anche di più, un viaggio di due ore all'interno di un incubo che non si limita a riempire lo schermo con terrificanti mostri carnivori (anche se la suspance, per quel che riguarda ciò che si cela nella nebbia, è davvero tanta e lo stesso vale per la tachicardia derivante) ma soprattutto scava nell'animo delle vere aberrazioni, ovvero noi maledetti esseri umani, gente a cui basta rimanere due ore "chiusi in un supermarket, senza 911 e senza telefoni" per regredire all'età della pietra e diventare delle bestie senza cervello, mosse essenzialmente da paura, rabbia e superstizione. La signora Carmody, con i suoi sproloqui religiosi e il desiderio di rivalsa su tutti coloro che l'hanno sempre considerata l'eccentrica del paese, fa molta più paura di qualsiasi ragno o vespa gigante perché è l'incarnazione di un male sottile che si insinua nelle maglie di una società apparentemente sicura, fatta di persone conosciute che nascondono i peggiori segreti e che non esitano a trasformarsi in esseri orribili quando tutte le loro certezze vengono meno.


Non va meglio a chi rimane, anche nella tragedia, fondamentalmente buono. Il senso di disperazione e la progressiva disillusione che toccano il protagonista David, padre rimasto solo con un bambino terrorizzato, l'insegnante Amanda, il commesso Ollie, solo per fare i nomi dei personaggi che probabilmente arrivano ad imprimersi maggiormente nel cuore dello spettatore, sono così palpabili e realistici che è difficile non empatizzare con loro e ritrovarsi catapultati dentro quel maledetto supermercato, a soffrire e sperare di non fare una brutta fine. La sceneggiatura di Darabont, del resto, è un cazzotto alla bocca dello stomaco, ché quello che Stephen King ha solo ipotizzato viene brutalmente messo in scena, in uno dei finali più terribili della storia del Cinema, una conclusione che porta a spargere calde lacrime (grazie anche a una colonna sonora che spezza il cuore, per inciso) e a farsi domande molto scomode, oltre a liquidare tutta la macellata avvenuta prima come un "di più" neppure paragonabile in quanto a intensità emotiva. Se cercate però un film "di paura" sappiate che The Mist non è solo bellissimo ma anche terrificante. Quando il regista decide di mostrare ciò che si nasconde nella nebbia c'è da mettersi ad urlare, non tanto per i tentacoli infingardi o per i mostri giganti e nemmeno per le vespe e i pipistrelli, no, anche se tutti concorrono a tingere per bene lo schermo di rosso: io vi sfido a rimanere impassibili davanti a quei disgustosi ragni con la faccia a teschio e alla loro progenie, l'incubo di ogni aracnofobico che si rispetti. E gli attori, poi, santo cielo. Marcia Gay Harden avrebbe meritato l'Oscar per la terrificante interpretazione della già citata Mrs. Carmody ma anche facce che in The Walking Dead richiamavano solo dei gran ceffoni (leggi Andrea "La Cretina" e Dale "Favarini", alias Laurie Holden e Jeffrey DeMunn, anche se la migliore resta Melissa McBride con un'indimenticabile comparsata, per quanto breve) qui esprimono tutta l'intensità propria di attori ben più blasonati e non parliamo poi di Thomas Jane, Toby Jones e William Sadler, praticamente perfetti, al punto che i loro personaggi paiono usciti direttamente dalle pagine del racconto Kinghiano. Di fronte a horror e Stephen King, ormai lo sapete, sono spesso riluttante ad utilizzare questa parola ma stavolta mi sento di dire che The Mist è veramente un capolavoro. Se non l'avete ancora visto non fate come me: bando agli indugi e recuperatelo subito (del film esiste anche una splendida versione in bianco e nero, molto suggestiva peraltro, quindi potete anche guardarlo in due modi diversi)!


Del regista e co-sceneggiatore Frank Darabont ho già parlato QUI. Thomas Jane (David Drayton), Marcia Gay Harden (Mrs. Carmody), Laurie Holden (Amanda Dunfrey), Toby Jones (Ollie Weeks), William Sadler (Jim), Jeffrey DeMunn (Dan Miller) e Frances Sternhagen (Irene Reppler) li trovate invece ai rispettivi link.


Chris Owen, che interpreta Norm, era lo Sherman della serie American Pie mentre la dolce Melissa McBride, ovvero la Carol Peletier di The Walking Dead, è la mamma che torna a casa da sola dopo aver comprensibilmente maledetto tutti i presenti nel supermarket (una prova attoriale talmente bella che giustamente SPOILER il personaggio ricompare sul finale, mentre in origine avrebbe dovuto venire ritrovata morta, intrappolata in una delle ragnatele FINE SPOILER). Un ruolo, probabilmente quello del motociclista andato poi a Brian Libby, era stato tenuto da parte anche per Stephen King, che ha tuttavia declinato l'offerta. Se The Mist vi fosse piaciuto consiglierei di evitare la serie omonima trasmessa dall'emittente americana Spike però vi invito a recuperare il racconto La nebbia, contenuto nella raccolta Scheletri, e a guardare film come The Divide o Fog. ENJOY!

martedì 2 settembre 2014

NOTTE HORROR 2014: Il cavaliere del male (1995)


Buon martedì zombetti! Siete pronti per le ultime battute della Notte Horror Blog Edition? Stasera tocca a me ed Arwen intrattenervi, lei lo farà con Lo squartatore di New York mentre io ho ripescato dal sottosuolo nientemeno che Il cavaliere del male (Tales From the Crypt: Demon Knight), diretto nel 1995 dal regista Ernest R. Dickerson.


Trama: un uomo fugge da un demone deciso a recuperare un'antichissima chiave colma del sangue di Cristo, l'ultimo tassello per fare piombare la Terra nelle tenebre. L'uomo si rifugia in un motel pieno di persone e la fuga diventa una terribile lotta per la sopravvivenza...


Il cavaliere del male è uno di quegli horror che ho guardato fino alla nausea, arrivando a consumare la videocassetta e versando una lacrima per l'impossibilità di reperirlo in DVD ad un prezzo umano. Razionalmente, mi rendo conto che stiamo parlando di un film supercazzola come pochi, affossato da un adattamento italiano zeppo di battute da avanspettacolo persino peggiori di quelle originali, ma come posso non amarlo quando Billy Zane, qui nei panni di un demone, da letteralmente il bianco ed offre la sua interpretazione più gigionesca ed esilarante? Quest'uomo per tutto il film balla, fa il piacione, sputa spugne dalla bocca, ammicca a vecchi ubriaconi circondato da donnine semi-svestite neanche fosse Rocco Siffredi, scatena la "spada de foco" di Verdoniana memoria e seduce ingenue fanciulle bisognose d'affetto, il tutto senza fare (quasi) una piega mentre attorno a lui si consumano carneficine della peggior specie. Il cavaliere del male, infatti, nonostante i costanti richiami ad un tipo di umorismo fumettistico, ribadito anche in una sequenza in cui si alternano scene filmate e vignette, non lesina i momenti splatter e grotteschi, con corpi che vengono letteralmente dilaniati da demoni deformi e brutti come il peccato; ovviamente la colpa di tanta violenza (nonché dell'abbondanza di tette che spuntano generose nel corso di tutto il film) non è di Dickerson, bensì del del vero regista della pellicola, quel graziosissimo e simpatico Crypt Keeper che spadroneggia nelle scene d'apertura e di chiusura e che presenta Il cavaliere del male come accadeva con gli episodi della serie I racconti della cripta.


Il cavaliere del male è un film adorabile anche perché riunisce attori già comparsi nella serie I racconti della cripta, come William Sadler, e vecchie glorie dell'horror e del fantastico come l'inconfondibile Dick Miller, sempre a suo agio nei panni del vecchio ubriacone, il "nuovo" Herman Munster John Schuck nel ruolo dello sceriffo o l'ex psichiatra del primo Nightmare Charlesh Fleisher, recuperato per interpretare il postino svitato ed innamorato; in una girandola di omaggi e citazioni (tra le più evidenti ci sono Psyco, Aliens - Scontro finale e Jason va all'inferno), momenti tesissimi, spacconate assortite e deliziosi attimi gore, Il cavaliere del male prosegue senza una sola battuta d'arresto nonostante la sceneggiatura improbabile (basterebbe solo il modo in cui viene perpetuato il potere della chiave per far mettere le mani nei capelli a più di uno spettatore!) e la sostanziale monodimensionalità della maggior parte dei personaggi, confermandosi comunque un horror disimpegnato che, a modo suo, è riuscito a fare storia. A mio avviso, non poteva essere altrimenti visti i nomi eccellenti di produttori come Walter Hill e Robert Zemeckis o di un compositore come Danny Elfman, che ha creato l'orecchiabile e a suo modo tetro motivetto che accompagna lo spettatore sia nei titoli di coda che nel prefinale. Insomma, riconosco la natura belinesca dell'opera in oggetto ma nonostante questo la difenderò sempre a spada (de foco) tratta e non posso fare altro che consigliarla neanche fosse un caposaldo del cinema di genere. Guardatelo e mi ringrazierete!


Di Billy Zane (il demone), William Sadler (Brayker), Jada Pinkett Smith (Jeryline), CCH Pounder (Irene) e Dick Miller (Zio Willy) ho già parlato ai rispettivi link.

Ernest R. Dickerson (vero nome Ernest Roscoe Dickerson) è il regista della pellicola. Americano, ha diretto episodi delle serie Criminal Minds, CSI: Miami, Heroes, Masters of Horror, E.R. Medici in prima linea, The 4400, Weeds, Medium, Dexter, The Walking Dead, Once Upon a Time e Under the Dome. Anche sceneggiatore e attore, ha 63 anni.


John Cassir, doppiatore originale del Crypt Keeper, ha prestato la voce al personaggio in tutte le sue incarnazioni, anche nella serie Racconti di mezzanotte e nel cartone animato Brividi e polvere con Pelleossa (in originale, Tales from the Cryptkeeper). Il cavaliere del male avrebbe dovuto essere il primo di una trilogia di Racconti della cripta, ma il flop al botteghino nel 1996 de Il piacere del sangue (la cui uscita viene annunciata dal Crypt Keeper alla fine dei titoli di coda de Il cavaliere del male) ha ovviamente interrotto l'operazione fino al 2002, anno in cui è stato distribuito per il solo mercato dell'home video RitualIl piacere del sangue lo ricordo pochissimo e Ritual non l'ho mai visto quindi non ve li posso consigliare, ma se Il cavaliere del male vi fosse piaciuto recuperate assolutamente Sospesi nel tempo, I delitti del gatto nero e La notte dei morti viventi. ENJOY!

E se ve li foste persi ecco tutti i post passati e futuri dell'orrorifica rassegna!!


venerdì 10 maggio 2013

Iron Man 3 (2013)

Non c'è il due senza tre e il quattro vien da sé, dicono. A me basterebbe che venisse a trovarmi Robert Downey Jr. ma, nel frattempo, sono andata a vedere per l'appunto Iron Man 3, diretto dal regista Shane Black.


Trama: dopo aver sgominato dei ed invasioni aliene il povero Tony Stark è comprensibilmente scosso, ma le cose peggioreranno ancora con l'arrivo del Mandarino e di un pericoloso personaggio legato al passato del genio miliardario...



Che bello. Andare in sala e guardare gli Iron Man con Robert Downey Jr. è come ritrovare un vecchio amico. Un vecchio amico figo ed incredibilmente carismatico. Credo che potrebbero mettere delle scimmie a girare la pellicola e dei paguri a sceneggiarla, tanto basterebbe l'attore a reggere e a rendere credibile da solo l'intero film. Non a caso, stavolta il grassissimo Jon Favreau si è ritirato e ha lasciato il timone a Shane Black ma, siamo sinceri, a parte per gli interessantissimi e visionari video del Mandarino si nota la differenza? Sì, forse Iron Man 3 è un po' meno scanzonato rispetto ai precedenti film, ma per il resto è lo stesso tanta roba e, cosa molto importante, riesce a mantenere una sorta di equilibrio tra effetti speciali ed elemento "umano": abbiamo un fottìo di armature per far fremere nerd e fan, ci sono i soldati indistruttibili che prendono fuoco e si rigenerano, ma ci sono anche moltissime sequenze che ci mostrano come Iron Man sia innanzitutto un uomo di nome Tony Stark che deve capire come essere forte e superare le sue paure anche senza nascondersi dentro ad un guscio ipertecnologico.


In Iron Man 3 si gioca molto sul concetto di "maschera" e immagine. Non preoccupatevi, non c'è nulla di troppo cervellotico o psicologico, ma il ragionamento alla base del film è molto interessante e, oltre a riaffermare il tema della tecnologia come valido aiuto e contemporaneamente possibile strumento negativo, da il la ad un maggiore approfondimento del personaggio di Tony Stark (collegando direttamente le vicende del film a quelle di The Avengers e rafforzando così l'idea di una continuity cinematografica Marvel) e ad un paio di twist assai interessanti che colgono lo spettatore di sorpresa soprattutto per quanto riguarda i villain. Non sto ovviamente a fare spoiler ma, credetemi, conoscendo vagamente la storia fumettistica dei personaggi al momento delle rivelazioni concernenti il Mandarino ho dovuto raccogliere da terra la mascella e fare un plauso agli sceneggiatori... che peraltro hanno trovato il modo di mostrare il più possibile Robert Downey Jr. senza armatura e conciato con delle mise un po' streppone ma sicuramente adattissime all'attore, che non mi pento di definire uno gnocco della Madonna e... sì, scusate, sto divagando.


Dicevamo, gli attori. Finalmente la Pepper Potts di Gwyneth Paltrow ottiene lo spazio che avrebbe sempre meritato e ci regala delle sequenze finali da favola, Ben Kingsley nei panni del Mandarino è semplicemente favoloso e imprevedibile, infine Guy Pearce è un villain convincente e un trasformista da paura (il make up è sicuramente fatto bene ma lui ci mette del suo). La palma d'oro per i due migliori gatti di marmo la vincono invece Don Cheadle, incapace di reggere i duetti con Robertino adorato e meno espressivo persino di War Machine, e la povera Rebecca Hall, costretta in un personaggio la cui utilità è pari a quella dell'ubiquo Stan Lee, che compare ormai incartapecorito nel solito cammeo più o meno a metà film. Di Robert Downey Jr. potrei invece tessere le lodi per almeno 1000 post, quest'uomo passa dall'essere un esilarante cialtrone a un eroe sofferente in tempo zero e sempre in modo convincente e che non vi venga in mente di andarvene prima della fine dei lunghissimi titoli di coda perché rischiereste di perdervi una chicca che ve lo renderà ancora più simpatico. Insomma, non sto a farla più lunga del necessario, Iron Man 3 è tutto quello che ci si può aspettare: azione, ironia, suspance, Eiffel 65 (non sto scherzando, l'inizio truzzo è una delle cose più trash e meravigliose del film!) e, soprattutto, Robert. Robert, Robert, Robert. Sia lodato il giorno in cui hai accettato il ruolo di Tony Stark, bello mio.


Di Robert Downey Jr. (Tony “Iron Man” Stark), Gwyneth Paltrow (Pepper Potts), Don Cheadle (Colonnello James Rhodes), Guy Pearce (Aldrich Killian), Rebecca Hall (Maya Hansen, ruolo che avrebbe dovuto andare a Jessica Chastain che però ha dovuto rinunciare per impegni pregressi), Jon Favreau (Happy Hogan), Ben Kingsley (il Mandarino), Paul Bettany (la voce di Jarvis) e William Sadler (il presidente) ho già parlato ai rispettivi link.

Shane Black è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Prima di Iron Man 3 ha diretto solo un altro film, Kiss Kiss Bang Bang e pare che stia per cimentarsi nel remake USA di Death Note. Americano, anche attore e produttore, ha 52 anni.


James Badge Dale (vero nome James Badgett Dale) interpreta Savin. Americano, ha partecipato a film come Il signore delle mosche, The Departed – Il bene e il male, Shame, Flight e alle serie 24, CSI – Scena del crimine, CSI: Miami e CSI: NY. Ha 35 anni e tre film in uscita, tra cui gli imminenti World War Z e The Lone Ranger.


Miguel Ferrer interpreta il vice presidente. Caratterista americano dalla faccia conosciutissima, lo ricordo innanzitutto per Twin Peaks e poi per film come RoboCop, L’albero del male, Fuoco cammina con me, Hot Shots! 2, L’ombra dello scorpione, Stephen King’s Shining, The Night Flier, Mr. Magoo e Traffic. Ha inoltre partecipato alle serie Magnum P.I., Chips, Miami Vice, E.R. Medici in prima linea, Will e Grace, Una famiglia del terzo tipo, CSI – Scena del crimine, Lie to Me, Desperate Housewives e, come doppiatore, ha lavorato in Mulan e nelle serie Hercules, Robot Chicken e American Dad!. Anche regista, ha 58 anni.


Jon Favreau, regista dei primi due Iron Man, ha rinunciato all’offerta di dirigere il terzo capitolo per dedicarsi a Magic Kingdom e Jersey Boys, due film che ancora non hanno né un cast né una data d’uscita. Aspettando che Tony Stark ritorni, come annunciato alla fine dei credits, se Iron Man 3 vi fosse piaciuto consiglio intanto il recupero dei primi due capitoli della saga e di The Avengers. ENJOY!!

lunedì 20 settembre 2010

Le ali della libertà (1994)

Dopo il trash de I mercenari prendiamoci una pausa e torniamo a parlare di Cinema, quello con la C maiuscola. Di un film che ho già visto almeno una decina di volte, e che non mi stancherei mai di rivedere, perché è semplicemente splendido. Parlo di Le ali della libertà (The Shawshank Redemption), diretto nel 1994 dal regista Frank Darabont e tratto dal racconto Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, scritto da Stephen King e contenuto nella raccolta Stagioni diverse, uno dei pochissimi libri del Re a non fare ancora parte della mia collezione.

The-Shawshank-Redemption-poster

La trama: alla fine degli anni ’40 il banchiere Andy Dufresne viene condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie e dell’amante di lei. Trasferito nel carcere di Shawshank, si troverà a dovere sopravvivere ad abusi e soprusi, contando solo sulla sua forza d’animo e su un unico vero amico, l’ergastolano Red.

shawshank_redemption_1

Non è facile scrivere una recensione obiettiva su un film che amo così tanto. Quindi eviterò di esserlo, qual è il problema? Per quanto mi sforzi, in effetti, non riesco a trovare un solo difetto ne Le ali della libertà. Certo, si potrebbe dire che la trama è un po’ facilona, nonostante non manchino pesanti descrizioni sulla dura vita delle prigioni. Il personaggio di Andy nonostante tutto gode di parecchi piccoli privilegi che gli consentono di far filare lisci i suoi piani, e inoltre c’è una divisione talmente netta tra buoni e cattivi che ad un certo punto lo spettatore si chiede come mai tutti gli amici di Andy, Red in primis, siano in prigione visto che, umanamente, sono le persone più simpatiche e buone sulla faccia della terra. Però, ammettiamolo, chi se ne frega? Un film non è la realtà, così come un racconto a volte deve mostrarci una realtà un po’ romanzata, altrimenti apriremmo un quotidiano o ci guarderemmo un telegiornale. Quindi, ignoriamo tutti questi “difetti” e passiamo oltre.

005348_11

La storia di Le ali della libertà è semplice, universale e, per questo, bella. Andy viene condannato (ingiustamente o meno lo si scopre a metà film, ma fino ad allora non è troppo importante) per l’omicidio della moglie e dell’amante di lei. Dopo un processo sommario viene condannato all’ergastolo e chiuso nel carcere di Shawshank, dove si svolge tutta la vicenda. Il senso della film sta tutto nel titolo originale: redemption in inglese significa sia redenzione che liberazione. A dire il vero Andy non si redimerà durante il film, anzi. Paradossalmente imparerà non a diventare malvagio, ma a giocare sporco mantenendosi comunque in linea con i suoi principi. Però redimerà gli altri, ricercando insistentemente la libertà dalla prigione, un traguardo non banalmente fisico, ma mentale: attraverso il triste personaggio di Brooks (vecchietto ormai “istituzionalizzato”, come dice il saggio Red, che dopo aver passato a Shawshank gran parte della sua vita si ritrova impossibilitato ad affrontare il mondo esterno) capiamo come il carcere imprigioni innanzitutto l’animo delle persone, privandole della speranza e dell’umanità, due cose che il protagonista cercherà di ottenere disperatamente, per lui in primis ma anche per gli altri e attraverso di loro. A cominciare dal piccolo squarcio di luce rappresentato dal poster di Rita Hayworth, per poi continuare con la birra, la biblioteca, la filodiffusione de Le nozze di Figaro e infine il diploma del giovane Tommy, la ricerca della libertà da parte di Andy, vista attraverso l’occhio cinico e disilluso (ma via via sempre più meravigliato) di Red continua in un crescendo di gioie, disperazioni ed ingiustizie che si concretizzano alla perfezione in un meraviglioso ed emblematico finale.

7cb7e77c1a266f3ab35056714132f079

Al cuore della vicenda, a sostenere una solida sceneggiatura, ci sono ovviamente gli attori. Tim Robbins interpreta un meraviglioso Andy, conferendogli quell’aria snob di chi è in carcere ma sa di non appartenere affatto a quel mondo; non un eroe nel senso stretto del termine, e nemmeno un perfetto redentore, ma un ometto quasi banale in apparenza, dall’insospettabile forza d’animo. Gli fa da degnissimo contraltare Morgan Freeman, talmente adatto come attore da spingere Frank Darabont a cambiare drasticamente la storia di King: nel libro, infatti, Red è irlandese e non afroamericano. Quando, nel film, Andy gli chiede “Ma perché ti chiamano Red?”, intelligentemente il personaggio risponde “Forse perché sono irlandese” e quindi scoppia a ridere. La regia è assai curata, la macchina da presa si sofferma sui particolari apparentemente più insignificanti e ci regala un paio di scene assolutamente indimenticabili: la prima è la splendida panoramica del carcere, visto dall’alto mentre arriva il furgone che trasporta anche Andy, con tutti i convitti che si radunano, curiosi, vicino alla recinzione. La seconda scena, indubbiamente la più famosa, è quella dove Andy allarga le braccia, a petto nudo, sotto la pioggia, il viso illuminato dai lampi e rivolto verso il cielo, un’immagine splendida che riesce sempre a commuovermi, anche grazie ad una meravigliosa colonna sonora che impreziosisce tutto il film. Insomma, se non lo aveste ancora capito, vado matta per Le ali della libertà, ma come al solito la visione del film vale molto più di qualsiasi parola potrei spendere io, quindi guardatelo!

(111108092709)tn2_shawshank_redemption_4

Del regista Frank Darabont ho già parlato qui, mentre per un piccolo excursus su Morgan Freeman, che interpreta Red, potete andare qua. Il regista è alle prese con una nuova serie che debutterà in tutto il mondo il 31 ottobre e che non vedo l’ora di vedere, The Walking Dead, mentre l’attore sta per tornare sugli schermi con un action assieme al divino Bruce Willis e dovrebbe riprendere il ruolo di Lucius Fox nel prossimo Batman diretto da Christopher Nolan.

Tim Robbins interpreta Andy Dufresne. A mio avviso uno dei migliori attori americani viventi, lo ricordo per film come Quinto potere, Top Gun, Howard… e il destino del mondo, Cadillac Man, Allucinazione perversa, America oggi, il bellissimo Arlington Road – L’inganno, Austin Powers la spia che ci provava, Alta Fedeltà, il meraviglioso Mystic River (per il quale ha vinto un Oscar come miglior attore non protagonista), Anchor Man: The Legend of Ron Burgundy e Tenacious D in The Pick of Destiny. Ha recitato nelle serie tv Santa Barbara, Love Boat, Moonlighting, doppiato un episodio de I Simpson e inoltre è anche regista: suo è infatti Dead Man Walking – Condannato a morte, dove recita, tra gli altri, la ex compagna storica Susan Sarandon). Ha 52 anni e tre film in uscita.

tim-robbins

Bob Gunton interpreta il viscido direttore del carcere, Norton. Americano, tra i suoi film segnalo Nato il quattro luglio, JFK – un caso ancora aperto, Giochi di potere, Demolition Man, L’ultima eclissi, Ace Ventura: missione Africa, Nome in codice: Broken Arrow, Mezzanotte nel giardino del bene e del male e Patch Adams; l’attore è inoltre molto attivo per quanto riguarda le serie televisive, infatti compare in episodi di Miami Vice, Law & Order, Avvocati a Los Angeles, Star Trek: The Next Generation, Perry Mason, Ally McBeal, Oltre i limiti, Greg the Bunny, CSI, Giudice Amy, Monk, Nip/Tuck, Desperate Housewives, Numb3rs e 24. Ha 65 anni e un film in uscita.

10128

William Sadler interpreta il prigioniero Heywood. Per me questo attore ha una faccia conosciutissima, dato che avrò visto almeno 6 volte I racconti della cripta – Il cavaliere del male, dove interpreta uno degli sfortunati avventori del motel, ma è comparso anche in molti altri film, come Poliziotto a 4 zampe, Die Hard 2 – 58 minuti per morire, Freaked – Sgorbi, Bordello of Blood, Il miglio verde (dove compariva nei panni del papà delle due bimbe uccise), The Mist e serie tv come L’ispettore Tibbs, Pappa e ciccia, Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti, Star Trek: Deep Space Nine, Roswell, JAG, Tru Calling, Law & Order, CSI, Numb3rs, Medium, Criminal Minds. Americano, ha 60 anni e la bellezza di dieci film in uscita.

William -Sadler-film

Clancy Brown interpreta il bastardissimo capitano Hadley. Caratterista americano dalla faccia abbastanza riconoscibile, lo potete trovare in film come Highlander, l’ultimo immortale, Cimitero vivente 2, Dead Man Walking – Condannato a morte, Starship Troopers – fanteria dello spazio, Flubber – un professore fra le nuvole e Nightmare (non l’ho mica riconosciuto lì: interpretava il padre di Quentin, ammazza quanto è invecchiato!!) o in telefilm come Hazzard, Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti, ER, Lost e Law & Order. Ultimamente si è specializzato come doppiatore di serie animate, tanto che la sua voce si può sentire in serie come La Sirenetta, Gargoyles, L’incredibile Hulk, Estreme Ghostbusters, Hercules, i divini The Angry Beavers, Superman, Ricreazione, Buzz Lightyear comando spaziale, Le superchicche, Jackie Chan Adventures, Kim Possible, Biker Mice From Mars, Wolverine & The X-Men, American Dad!, I pinguini di Madagascar; in originale tra l’altro presta la voce al Mr. Krabs di Spongebob. Ha 51 anni, un film in uscita e tre serie animate che beneficeranno della sua voce.

clancy-brown-picture

David Proval interpreta Snooze, uno dei carcerati. Proval fa parte dell’infinita schiera di caratteristi utilizzati quasi esclusivamente per ruoli da mafioso (e in questo è assolutamente magistrale nei panni dello schifoso Richie Aprile ne I Soprano) e delinquente; lo ricordo per film come Mean Streets, Scuola di mostri, Viceversa,due vite scambiate, Un poliziotto in blue jeans, Amore all’ultimo morso, Four Rooms, dove interpreta il geniale Sigfried, Relic – l’evoluzione del terrore, Attacco al potere. Per la tv lo troviamo in serie come Il tenente Kojak, Supercar, Miami Vice, Saranno famosi, Jarod il camaleonte, West Wing, Giudice Amy e Tutti amano Raymond. Americano, ha 68 anni e otto film in uscita.

I00005EqDSM336HQ

Segnalo inoltre la guest appearance, nei panni di una guardia semplice, l’attore Paul McCrane, ovvero l’odioso (ma adorabile!!) Dr. Romano di E.R.  E ora.... giusto per sdrammatizzare, beccatevi il trailer fatto con degli spezzoni di una puntata de I Griffin che omaggia palesemente il film. Scusate la blasfemia e... ENJOY!!




Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...