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venerdì 7 marzo 2025

A Real Pain (2024)

Poche ore prima della Notte degli Oscar ho recuperato gli ultimi due film candidati che ancora mi mancavano. Uno era A Real Pain, scritto e diretto nel 2024 da Jesse Eisenberg e vincitore di una statuetta per il Migliore attore non protagonista, Kieran Culkin.


Trama: dopo la morte della nonna, due cugini decidono di andare in Polonia, per visitare il paese di nascita dell'anziana parente...


A Real Pain
. Un dolore reale, vero, profondo. Ma potrebbe anche stare per "A Real Pain in the Ass", cosa che, in effetti, è Benji, cugino del precisissimo David. I due non potrebbero essere più diversi ma sono cugini separati alla nascita giusto da pochi giorni, e sono sempre stati molto legati, finché la vita non ci ha messo lo zampino, distanziandoli sempre di più. L'occasione per riconnettersi è la morte della nonna, alla quale Benji era molto affezionato; la donna (fuggita all'Olocausto ed emigrata in America, sopravvissuta grazie ad una serie di non specificati "miracoli") ha chiesto, nel testamento, che i due andassero a fare visita al suo paese natale, in Polonia, quindi i due cugini decidono di fare un viaggio insieme, unendosi a un tour. Una simile trama, tipica di un road movie, normalmente darebbe il la ad uno sviluppo dei personaggi che si concluderebbe con una catarsi e la risoluzione di tutti i loro problemi. D'altronde, la Polonia è la terra d'origine della famiglia di David e Benji, e l'obiettivo finale del viaggio è pregno di simbolismi, per non parlare di tutte le situazioni al limite dell'assurdo, o profondamente spirituali, che i due si ritroveranno a vivere durante il tour. Ma quando il dolore è reale, e non ha una chiara origine o, ancora peggio, ci sembra non sia minimamente paragonabile al dolore di un popolo torturato e distrutto; quando le imprese eclatanti non possono compensare un'assenza durata anni, né quei piccoli gesti necessari a far sì che le persone percepiscano la realtà dei nostri sentimenti o, perlomeno, la nostra presenza; quando il dolore altrui è una misteriosa, tremenda rottura di coglioni perché non lo capiamo quanto capiamo i nostri problemi, soprattutto quando noi tendiamo a tenerceli dentro mentre altri li sbandierano ai quattro venti; in questi casi, quando il dolore ci toglie ogni speranza e l'amicizia quasi fraterna è talmente zeppa di crepe da stare in piedi giusto per miracolo, a cosa serve un ultimo viaggio riparatore? Probabilmente, ci lascerebbe con una serie di belle parole e un ultimo, stupido gesto eclatante prima che tutto torni esattamente come prima, ognun per sé, nella gioia, nel dolore e, soprattutto, nella pigrizia e nella volontà di nascondere la testa sotto la sabbia. Sono cose di cui siamo consapevoli, eppure è così triste e vergognoso vedercelo spiattellare in faccia da un film. Il cinema, in fondo, non dovrebbe farci evadere dalla spiacevole realtà? E nonostante la tristezza, tremenda, che mi ha presa guardando A Real Pain, è proprio la sua franchezza che me lo ha fatto amare. 


D'altronde, da un autore particolare come Jesse Eisenberg non mi sarei aspettata un compitino consolatorio. Però non mi sarei nemmeno aspettata una sceneggiatura che mescolasse così abilmente il dramma ad una farsa quasi triviale, né che il solito personaggio "sfattone" presente in questo genere di film riuscisse a risultare contemporaneamente respingente e meritevole di tutto l'amore del mondo. Benji è davvero un "pain in the ass"; imprevedibile, maleducato, noncurante, privo di filtri tra cervello e bocca, eppure, in tutto ciò che fa, c'è quel fondo di sincerità genuina tipico di chi non agisce per fare male agli altri o prenderli in giro, ma proprio per volontà di fare del bene. Ognuno dei due cugini fugge, a suo modo, dalla realtà, ma David ha scelto la via più "sana", sradicando da sé tutto ciò che lo rendeva strano, mentre Benji ha abbracciato la propria stranezza, facendosi divorare al punto da non avere più nient'altro. Concentrarsi sull'Olocausto, su un orrore tangibile che ha condizionato anche il loro posto nel mondo, è un modo per rimettere le cose in prospettiva. Anche lì, però, non è facile. E non è solo la scrittura di Eisenberg a dimostrarlo, ma anche la regia. Guardando A Real Pain, infatti, ho rivissuto le terribili visite fatte anni fa ai campi di concentramento, come se mi fossi trovata lì coi personaggi. Eisenberg cattura l'orrore di chi non ha mai provato sulla sua pelle esperienze così definitive e traumatiche, la solennità di quei luoghi, la vergogna di trovarsi al loro interno non da sopravvissuti, ma da estranei, quasi da "guardoni", passatemi il termine. E allo stesso modo, attraverso lunghe carrellate panoramiche, fa rivivere gli oziosi giri turistici prima e dopo la visita al campo di concentramento, il modo in cui il cervello dimentica, in un attimo, già proiettato sulle attrattive architettoniche, culinarie, "esotiche" del paese straniero ospitante. Come attore, Eisenberg è un'ottima spalla a un Kieran Culkin travolgente, giustamente meritevole dell'Oscar che gli è stato tributato, e che, di fatto, è protagonista tanto quanto lui, se non addirittura di più. Di fronte a una sovrabbondanza di film che si sbrodolano addosso, dove ogni dettaglio deve venire spiegato e sviscerato raggiungendo lunghezze titaniche, film piccolini come A Real Pain sono gli antidoti che preferisco e che riescono a riconciliarmi con un Cinema per cui faccio sempre più fatica ad entusiasmarmi. Recuperatelo, prima che lo tolgano dalle sale!


Del regista e sceneggiatore Jesse Eisenberg, che interpreta David Kaplan, ho già parlato QUI mentre Kieran Culkin, che interpreta Benji Kaplan, lo trovate QUA.

Jennifer Grey interpreta Marcia. Famosa per avere interpretato il ruolo di Baby in Dirty Dancing, la ricordo per altri film come Una pazza giornata di vacanza; inoltre, ha partecipato a serie quali Friends, Dr. House, Grey's Anatomy e, come doppiatrice, ha lavorato in Si alza il vento, Phineas e Ferb e American Dad!. Americana, anche produttrice, ha 65 anni.


Kurt Egyiawan
, che interpreta Eloge, era Padre Bennett nella serie L'Esorcista. Se A Real Pain vi fosse piaciuto recuperate Little Miss Sunshine e The Farewell - Una bugia buona. ENJOY!


venerdì 19 febbraio 2021

The Social Network (2010)

Grazie a un buono Vodafone, il Bolluomo ha ottenuto 10 euro da spendere su Chili e nella selezione di film fuibili col buono in questione c'era The Social Network, diretto nel 2010 dal regista David Fincher. 


Trama: il giovane laureando Mark Zuckerberg crea il futuro Facebook ma, nel cammino, perde amici storici e si fa nuovi nemici...


Sono passati undici anni dall'uscita di The Social Network e chissà perché lo avevo snobbato fino a questo momento, visto che gli ingredienti per piacermi c'erano tutti e sono stati confermati durante la visione del film. Forse perché, all'epoca, temevo mi sarei trovata davanti una noiosa agiografia di San Zuckerberg da White Plains, invece The Social Network è tutto il contrario: partendo dal libro di  Ben Mezrich intitolato Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, Aaron Sorkin lo riadatta per lo schermo togliendo i gemelli Winklevoss ed Eduardo Saverin dai riflettori ma mantenendo comunque il loro punto di vista pur rendendo Mark Zuckerberg protagonista assoluto, col risultato che molto di quello che viene mostrato sullo schermo è opera di pura fiction basata su un mix di racconti, leggende metropolitane e mera invenzione. Qui scatta il dilemma "morale" che ha tenuti impegnati me e Mirco durante la visione. Nel film, Zuckerberg viene descritto come una sorta di Sheldon Cooper sbruffone, sicuro di sé nonostante una palese incapacità di avere normali rapporti umani, stronzo e, soprattutto, vendicativo ed invidioso; il motore della creazione di Facebook è il pentimento seguito ad un'atroce vendetta nei confronti di una ragazza, al quale seguono moltissime piccole e grandi ripicche nei confronti di amici e nemici in egual modo, cosa che spingerebbe gli animi molto meno critici del mio a partire verso la sede di Facebook con torce e forconi per picchiare selvaggiamente l'eminenza grigia del web. In realtà, molto di quello che si vede nel film è inventato, sopratutto per quello che riguarda l'"uomo Zuckerberg", che si dice sia privo di qualsivoglia capacità di provare emozioni forti o vincolanti, positive o negative che siano, quindi impossibilitato ad agire come una sorta di villain geniale. 


Nonostante questo, il film è molto interessante e non potrebbe essere diversamente visto che la sceneggiatura è di Sorkin, che rifugge la banalità della solita struttura di ascesa-caduta-risalita tipica di molte pellicole simili e si focalizza sull'esperienza di una persona che è perennemente in ascesa e perennemente in caduta, vittima di un cervello che lo rende incomprensibile a tutte le persone che incontra, e conseguentemente inviso anche allo spettatore, almeno in parte. Se i papaverini di Harvard sono giustamente dipinti come dei ricchi minchioni viziati che meritano di venire perculati da Zuckerberg e il creatore di Napster Sean Parker viene descritto come una scheggia impazzita da cui guardarsi, elementi che rendono per reazione più simpatico Zuckerberg, è inevitabile infatti che lo spettatore si senta comunque più vicino a Saverin, "reo" di volere una vita normale e magari di fare qualche soldino in maniera corretta. Non è un caso, dunque, che Saverin abbia la faccetta rassicurante di Andrew Garfield, mentre il bravissimo Jesse Eisenberg convoglia tutto il suo magnetismo un po' nerd nella figura controversa del protagonista, che allo stesso tempo affascina e allontana, un po' come la sua creatura più famosa: la facciata innocua di THE Facebook, che permette agli utenti di cercarsi, collegarsi e sviluppare amicizie, in realtà racchiude dinamiche ben più complesse, spesso incomprensibili, talvolta pericolose per gli utenti tanto incauti da fidarsi. In questo, lo Zuckerberg di The Social Network è una perfetta allegoria di quello che ha creato e probabilmente è lì che risiede l'intero senso della validissima operazione di Fincher, Sorkin e soci. 


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Rooney Mara (Erica Albright), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Armie Hammer (Cameron Winklevoss/Tyler Winklevoss), Max Minghella (Divya Narendra), Justin Timberlake (Sean Parker), Dakota Johnson (Amelia Ritter), Aaron Sorkin (Direttore agenzia pubblicitaria), Caleb Landry Jones (membro della confraternita) e Jason Flemyng (non accreditato, è uno degli spettatori alla regata) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film ha vinto tre premi Oscar, per la Sceneggiatura, il Montaggio e la Colonna Sonora Originale. Andrew Garfield aveva sostenuto l'audizione per il ruolo di Zuckerberg ma alla fine era troppo spontaneo e sincero e il regista ha deciso di affidargli Saverin, mentre Shia Labeouf ha direttamente rifiutato di partecipare al film come protagonista. Se The Social Network vi fosse piaciuto recuperate Steve Jobs e La grande scommessa .ENJOY! 

venerdì 10 aprile 2020

Vivarium (2019)

Qualcuno su Facebook aveva messo in guardia da Vivarium, film diretto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Lorcan Finnegan, in quanto non adatto alla situazione di clausura che stiamo vivendo. Ma qualcuno mi ha persino mandato una mail per consigliarmi di recuperarlo e come potevo esimermi ancora a lungo?


Trama: a una giovane coppia in cerca di un alloggio viene mostrata una casa nei sobborghi della città, in un quartiere nuovissimo. Purtroppo, l'abitazione da sogno diventa ben presto un incubo da cui è impossibile uscire...


Se credevate che l'angoscia di non poter uscire di casa fosse insostenibile, che ne dite di un bel film che vi ricorda, se ce ne fosse bisogno, che è la vita moderna stessa ad esserlo, talmente logorante che nemmeno il Cynar può aiutarci a superarla? Gemma e Tom sono due giovani fidanzati da poco, lei insegnante di scuola, lui giardiniere precario che non può permettersi nemmeno una macchina sua. Stanno insieme da poco, per l'appunto, ma è già abbastanza per mettere il primo punto fermo alla relazione, "altrimenti che coppia siete se non andate nemmeno a vivere assieme?". E così i due pensano già a mettere su casa, step indispensabile e prodromo di una vita regolata, magari in un quartiere tranquillo, una casetta con giardino e tutti i comfort, cameretta per bambino in primis che, anche lì, "che coppia siete se non mettete al mondo nemmeno un bambino?", e con questi buoni propositi in testa finiscono a Yonder, un quartiere appena costruito. Yonder è perfetto e già ansiogeno di suo, con quelle casette tutte uguali, verdine, il cielo fatto di nuvole regolarissime e bianche, su un cielo azzurro primavera, col sole perennemente a splendere... è tutto talmente uguale e regolare e perfetto, in effetti, che Gemma e Tom a un certo punto non riescono più ad uscire dall'intrico di stradine tutte identiche e l'unica nota stonata che rimane all'interno di Yonder è la vecchia Volkswagen di lei, ormai senza benzina, ultimo baluardo di una vita in cui ci si può permettere di ascoltare musica da sballoni come A Message to You Rudy (mai così profetica visto che Rudy dovrebbe "smettere di cazzeggiare, darsi una regolata e pensare al futuro"). Volkswagen che diventa l'unico luogo dove rifugiarsi e respirare qualcosa che non sia l'aria asettica di Yonder, quartiere meraviglioso in cui persino il cibo non sa di nulla e quello che viene comunemente propagandato come il momento più alto della vita di coppia viene imposto come un incubo senza fine.


Premesso che non vi dirò nulla di più relativamente alla trama, è davvero difficile non empatizzare con Gemma e Tom, non soffrire assieme a questi due ragazzi, costretti non solo a subire una vita imposta da altri, ma anche a vedere progressivamente sfaldarsi il sentimento d'amore che li unisce nel momento esatto in cui ai due vengono appioppati determinati "ruoli". Tom, l'uomo, si ritrova così a sfogare nel sudore e nel lavoro le frustrazioni, perdendosi in un'attività spersonalizzante da eseguire da mattina a sera senza ottenere risultati concreti (alzi la mano chi non si è mai sentito così almeno una volta nella vita) mentre Gemma, la donna, vinta dalla propria sensibilità e dal retaggio lavorativo della sua vecchia vita, si ritrova a diventare "custode" della casa, delle abitudini regolari, del dono più prezioso che possa venire concesso ad una coppia, spersonalizzandosi a sua volta e privandosi di qualsiasi scopo nell'esatto momento in cui detto "dono" raggiunge l'indipendenza. La metafora di Vivarium è un po' esagerata, ed è comprensibile se si pensa alla natura sci-fi/horror dell'opera, ma poiché lascia addosso un senso di angoscia fuori scala e una depressione che fa il paio, significa che riesce a farsi portavoce di un disagio presente e condiviso, spesso universale, e lo fa non solo attraverso gli aspetti più horror (deformità assortite, sequenze allucinate e strilli orripilanti) ma soprattutto esasperando gli elementi perfetti e "normali", un po' come già accadeva in Pleasantville, ma senza la stessa garbata ironia. Non c'è nulla di ironico, infatti, in Vivarium, e i due attori principali colpiscono al cuore per il modo in cui la sofferenza, l'esasperazione, il dolore e la paura vengono resi manifesti in ogni gesto; vi sfido a non versare una lacrima davanti al volto stravolto di Imogen Poots, che in pratica si carica sulle spalle la carica emotiva dell'intero film, e a non ripensare a quante volte vi siete guardati allo specchio e avete ritrovato nel riflesso quello stesso desiderio di urlare e piangere per il senso impotente di prigionia che minacciava di farvi esplodere. E magari parlassi solo del momento contingente di pandemia globale. Se sapete di cosa parlo, vi consiglio di guardare Vivarium, anche se a vostro rischio e pericolo.


Di Imogen Poots, che interpreta Gemma, ho già parlato QUI mentre Jesse Eisenberg, che interpreta Tom, lo trovate QUA.

Lorcan Finnegan è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Irlandese, ha diretto un altro lungometraggio, Without Name. Anche produttore, ha 40 anni.


Jonathan Aris interpreta Martin. Inglese, ha partecipato a film come The Jackal, Killer in viaggio, La fine del mondo, Sopravvissuto - The Martian, Rogue One: A Star Wars Story, Morto Stalin se ne fa un altro, Tutti i soldi del mondo e a serie quali Sherlock, The End of the F***ing World e Dracula. Ha 49 anni e un film in uscita.


mercoledì 8 giugno 2016

Bolle di Ignoranza: Now You See Me - I maghi del crimine (2013)

Vi mancavano le recensioni sconclusionate targate "Bolle di Ignoranza", vero? Lo so ma oggi tornano e lo fanno con il film Now You See Me - I maghi del crimine (Now You See Me), diretto nel 2013 dal regista Louis Leterrier e foriero di talmente tanto abbiocco che non me la sono sentita di ingannarvi e far finta di averlo guardato...


Trama: quattro maghi vengono contattati da un misterioso individuo e si uniscono in una serie di spettacoli durante i quali vengono rubati ingenti somme di denaro. Due poliziotti indagano ma non sarà facile acciuffare i "Quattro Cavalieri" della magia...



All'epoca non ero andata a vedere Now You See Me, eppure me ne ero pentita, avendone in seguito letto ottime cose. Con l'arrivo in sala del secondo capitolo della saga ho deciso di recuperarlo assieme al Bolluomo, convinta che mi sarei trovata davanti un live action di Lupin avente per protagonisti dei maghi, con conseguente profluvio di magie, trucchi e stupore perpetuo. E in effetti il film inizia bene, vengono presentati i quattro protagonisti, tra i quali indubbiamente quello che si fa notare di più è il simpatico e cialtrone "mentalista" interpretato da Woody Harrelson, dopodiché si assiste al primo furto della banda, che incuriosisce in quanto gli autori si impegnano a lasciare allo spettatore il dubbio tra la natura realmente magica di ciò che scorre sullo schermo e la spiegazione razionale, legata a qualche artificioso barbatrucco. A seguito di questo primo, interessante furto, vengono introdotti anche dei nuovi personaggi, nella fattispecie Nelson Mandela (un Morgan Freeman particolarmente logorroico e antipatico), Hulk (Mark Ruffalo nei panni dell'investigatore scazzato e iracondo), Shosanna (Mélanie Laurent in versione ispettrice Clouseau dell'Interpol) e Michael Caine, ognuno legato in modo diverso al quartetto di ladri, ognuno un po' nemico un po' alleato, a seconda dei momenti. Ora, sarà che i personaggi sono quasi tutti tagliati con l'accetta e privi di personalità, sarà che il mio interesse si è focalizzato principalmente sull'esito del rapporto tra Hulk e Shosanna, sarà che il film abbonda di spiegoni, sarà che alla vista di Michael Caine il mio cervello ha urlato "NOlan!" e si è spento, sarà che ho cominciato la visione alle 22.30... da quel momento in poi ho dormito, risvegliandomi a sprazzi e perdendomi il secondo furto (di tre), per poi scazzarmi davanti all'ennesimo colpo di scena gestito col chiulo e trasformatosi per magia in colpo di sonno e ritrovarmi a chiedere un resumen dell'accaduto al Bolluomo. Il quale, molto candidamente, tra un "Mandela", un "Hulk" e un "vecchiaccio" (tolta Shosanna, i nomi che ho fatto sopra li ha tirati fuori lui il quale, bontà sua, è ancora abbastanza savio da non ricordare i nomi degli attori di tutti i film che l'ho costretto a guardare da quando sta con me) ha ammesso di non averci capito una mazza e di stare continuando la visione di Now You See Me per inerzia, in quanto troppo lento e complesso. Il finale l'ho guardato per una sorta di orgoglio personale e vi posso assicurare che da quel che ho capito tutto torna, spiegoni, flashback e barbatrucchi compresi, tuttavia la pellicola di Leterrier mi è sembrata di una loffieria e di un'inutilità anche troppo elevate, considerata la natura di blockbuster del titolo. Che dite, sarà meglio evitare il seguito oppure devo pentirmi della poca attenzione prestata al primo capitolo ed espiare andando al cinema?

lunedì 1 agosto 2011

Benvenuti a Zombieland (2009)

Gira che ti rigira i film con gli zombie, come del resto anche gli slasher, sono sempre uguali. Ultimamente però sono uscite parecchie “variazioni sul tema”, tra cui anche il divertente Benvenuti a Zombieland (Zombieland), diretto nel 2009 dal regista Ruben Fleischer.



Trama: un ragazzino nerd dalle mille fobie si ritrova a dover sopravvivere ad un’apocalisse zombie che ha decimato la popolazione degli USA. Vagando per il paese preda dei morti viventi, incontrerà un folle individuo amante delle armi (e dei Twinkies) e due diffidenti sorelle.



Nel 2005 Shaun of the Dead (o L’alba dei morti dementi, ma è un titolo che mi disgusta…) rinnovava l’horror in particolare e il cinema in generale con un film definito “romzomcom”, commedia romantica con gli zombie, e ci mostrava come fosse possibile mescolare l’ilarità ed il senso dell’assurdo tipico delle commedie agli effetti speciali e al gore tipici dei migliori horror. Nasceva così una pietra miliare del genere e nascevano anche un sacco di emuli più o meno riusciti, e questo Benvenuti a Zombieland ne è un esempio, non all’altezza del “capostipite”, ma comunque dignitoso. La morale dei due film è simile, ovvero l’invito a godersi la vita cercando amore, legami, amicizie e migliorando sé stessi, perché se pensiamo che adesso vada male, beh… potrebbe arrivare qualcosa a far precipitare decisamente le cose, tipo un’apocalisse zombie.



Nel nostro caso il protagonista è un povero nerd sfigato che è riuscito a sopravvivere ai morti viventi grazie ad una miracolosa combinazione di fortuna e importantissime “regole”, oltre al fatto di non avere avuto legami di alcun genere con qualsivoglia persona viva (neppure con i genitori, per esempio); nel corso del film però, tra un colpo di fucile e l’altro, arriverà a capire che avere una famiglia e dei legami permette di infrangere le regole e cambiare in meglio. A proposito di queste regole, sono una delle cose che rendono particolare Benvenuti a Zombieland e anche una delle gag più esilaranti. D’altronde, la storia di Zombieland (come viene chiamata l’America dal protagonista) per come ci viene narrata da Columbus ha origine dal fatto che gli americani non sono stati in grado di rispettare innanzitutto il mantenimento della forma fisica (i primi a morire sono stati i ciccioni incapaci di correre velocemente…), la sana abitudine di allacciare le cinture di sicurezza in macchina (quante fughe fallite finite con parabrezza sfondati da incauti autisti…), l’ancor più sana abitudine di sparare due colpi alla testa del nemico invece che uno, giusto per essere sicuri e, infine, si sono sentiti troppo protetti in bagno, luogo da evitare accuratamente. Nel corso del film spuntano ovviamente anche altre regole, tutte mostrate in sovrimpressione, come se Benvenuti a Zombieland fosse essenzialmente un manuale di sopravvivenza correlato da esempi “visivi” e prove pratiche. Le altre gag particolari del film sono la costante ricerca dell’”ultimo Twinkie” da parte del folle Tallahassee, la “zombie kill of the week”(ovvero la settimanale migliore uccisione di uno zombie, idea derivata dal fatto che Benvenuti a Zombieland sarebbe dovuto essere non un film, ma il pilot di una serie televisiva che avrebbe decretato, di settimana in settimana, il vincitore dell’assurdo premio) e l’apparizione speciale di un attore del calibro di Bill Murray nei panni di sé stesso, che da vita ad una serie di omaggi ad alcuni suoi film conosciuti ed apprezzati anche dal pubblico italiano, tra cui Ghostbusters.



A proposito degli attori e dell’aspetto tecnico di Benvenuti a Zombieland, credo che la debolezza del film risieda un po’ nella mancanza di verve degli interpreti. Per carità, Woody Harrelson e Ruben Fleischer sono bravi e divertenti, anche se il primo è un po’ troppo caricaturale per essere sopportato a lungo, ma le due ragazze che li accompagnano sono essenzialmente due gatti di marmo (e pensare che la sorella minore era la piccola Little Miss Sunshine, sigh…) e in generale il film manca della naturalezza e di quel pizzico di “serietà” che riusciva a rendere Shaun of the Dead il capolavoro che è. Gli effetti speciali ed il trucco, per contro, sono ottimi, all’altezza di un qualsiasi horror “normale”, ed alcune scene sono epiche, soprattutto quelle ambientate nel luna park, dove si svolge la parte finale del film e dove compare la summa di tutte le (mie) fobie: un clown zombie!! Beware! E guardate Benvenuti a Zombieland anche se non amate il genere horror, visto che non c’è nulla di cui avere paura, ma solo da divertirsi.



Di Woody Harrelson, che interpreta Tallahassee, ho già parlato qui, mentre di Bill Murray, che interpreta sé stesso, ho parlato qua.

Ruben Fleischer è il regista della pellicola, l’unico film da lui realizzato che conosco. Americano, anche sceneggiatore e produttore, ha 33 anni e due film in uscita.



Jesse Eisenberg interpreta Columbus. Americano, lo ricordo per film come The Village, Cursed – Il maleficio e The Social Network, che gli ha valso una nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Ha 28 anni e quattro film in imminente uscita, tra cui Bop Decameron, l’ultimo di Woody Allen.



Abigail Breslin interpreta Little Rock. Ricordate la dolcissima pupotta di Little Miss Sunshine (ruolo che le ha valso la nomination all’Oscar per migliore attrice non protagonista)? Eccola qui, un pochino più cresciuta e un po’ meno dolce e carina, reduce da altri film come Signs e da serie come Law & Order, NCIS, Ghost Whisperer e Grey’s Anatomy. Americana, ha 15 anni e due film in uscita.  



Amber Heard interpreta la ragazza dell’appartamento 406. Americana, ha partecipato ad un paio di recentissimi film che devo ancora vedere, ovvero The Ward e Drive Angry 3D, oltre alle serie The O.C. e Criminal Minds. Anche produttrice, ha 25 anni e quattro film in uscita, tra cui The Rum Diary, ennesimo incontro tra la penna di Hunter S. Thompson e la faccetta di Johnny Depp.



Emma Stone interpreta Wichita. Americana, ha partecipato a serie come Medium, Zack e Cody al Grand Hotel, Malcom e ha doppiato alcuni episodi di Robot Chicken. Ha 23 anni e sei film in uscita, tra cui The Amazing Spider – Man, dove interpreterà Gwen Stacy.



Tra gli attori conosciuti e ben celati dal makeup zombesco troviamo un inaspettato John C. Reilly nei panni dello “zombie nascosto in bagno” mentre Patrick Swayze ha visto sfumare la sua occasione di apparire nel film a causa del cancro che lo ha portato alla morte proprio nel 2009. Altra occasione sfumata, questa volta volutamente, quella di John Carpenter che non ha (a mio avviso giustamente…) voluto dirigere il film, mentre Megan Fox ha rifiutato il ruolo di Wichita. In quello di Columbus, invece, avrebbe dovuto esserci l’interprete di Billy Elliot, Jamie Bell, che alla fine ha rinunciato. Pare ci sia in cantiere un secondo episodio, ma siccome regista ed interpreti sono ancora tutti da definire, non vedrà la luce prima di un paio di anni. E ora vi lascio con il trailer originale di Benvenuti a Zombieland... ENJOY!!!

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