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venerdì 7 marzo 2025

A Real Pain (2024)

Poche ore prima della Notte degli Oscar ho recuperato gli ultimi due film candidati che ancora mi mancavano. Uno era A Real Pain, scritto e diretto nel 2024 da Jesse Eisenberg e vincitore di una statuetta per il Migliore attore non protagonista, Kieran Culkin.


Trama: dopo la morte della nonna, due cugini decidono di andare in Polonia, per visitare il paese di nascita dell'anziana parente...


A Real Pain
. Un dolore reale, vero, profondo. Ma potrebbe anche stare per "A Real Pain in the Ass", cosa che, in effetti, è Benji, cugino del precisissimo David. I due non potrebbero essere più diversi ma sono cugini separati alla nascita giusto da pochi giorni, e sono sempre stati molto legati, finché la vita non ci ha messo lo zampino, distanziandoli sempre di più. L'occasione per riconnettersi è la morte della nonna, alla quale Benji era molto affezionato; la donna (fuggita all'Olocausto ed emigrata in America, sopravvissuta grazie ad una serie di non specificati "miracoli") ha chiesto, nel testamento, che i due andassero a fare visita al suo paese natale, in Polonia, quindi i due cugini decidono di fare un viaggio insieme, unendosi a un tour. Una simile trama, tipica di un road movie, normalmente darebbe il la ad uno sviluppo dei personaggi che si concluderebbe con una catarsi e la risoluzione di tutti i loro problemi. D'altronde, la Polonia è la terra d'origine della famiglia di David e Benji, e l'obiettivo finale del viaggio è pregno di simbolismi, per non parlare di tutte le situazioni al limite dell'assurdo, o profondamente spirituali, che i due si ritroveranno a vivere durante il tour. Ma quando il dolore è reale, e non ha una chiara origine o, ancora peggio, ci sembra non sia minimamente paragonabile al dolore di un popolo torturato e distrutto; quando le imprese eclatanti non possono compensare un'assenza durata anni, né quei piccoli gesti necessari a far sì che le persone percepiscano la realtà dei nostri sentimenti o, perlomeno, la nostra presenza; quando il dolore altrui è una misteriosa, tremenda rottura di coglioni perché non lo capiamo quanto capiamo i nostri problemi, soprattutto quando noi tendiamo a tenerceli dentro mentre altri li sbandierano ai quattro venti; in questi casi, quando il dolore ci toglie ogni speranza e l'amicizia quasi fraterna è talmente zeppa di crepe da stare in piedi giusto per miracolo, a cosa serve un ultimo viaggio riparatore? Probabilmente, ci lascerebbe con una serie di belle parole e un ultimo, stupido gesto eclatante prima che tutto torni esattamente come prima, ognun per sé, nella gioia, nel dolore e, soprattutto, nella pigrizia e nella volontà di nascondere la testa sotto la sabbia. Sono cose di cui siamo consapevoli, eppure è così triste e vergognoso vedercelo spiattellare in faccia da un film. Il cinema, in fondo, non dovrebbe farci evadere dalla spiacevole realtà? E nonostante la tristezza, tremenda, che mi ha presa guardando A Real Pain, è proprio la sua franchezza che me lo ha fatto amare. 


D'altronde, da un autore particolare come Jesse Eisenberg non mi sarei aspettata un compitino consolatorio. Però non mi sarei nemmeno aspettata una sceneggiatura che mescolasse così abilmente il dramma ad una farsa quasi triviale, né che il solito personaggio "sfattone" presente in questo genere di film riuscisse a risultare contemporaneamente respingente e meritevole di tutto l'amore del mondo. Benji è davvero un "pain in the ass"; imprevedibile, maleducato, noncurante, privo di filtri tra cervello e bocca, eppure, in tutto ciò che fa, c'è quel fondo di sincerità genuina tipico di chi non agisce per fare male agli altri o prenderli in giro, ma proprio per volontà di fare del bene. Ognuno dei due cugini fugge, a suo modo, dalla realtà, ma David ha scelto la via più "sana", sradicando da sé tutto ciò che lo rendeva strano, mentre Benji ha abbracciato la propria stranezza, facendosi divorare al punto da non avere più nient'altro. Concentrarsi sull'Olocausto, su un orrore tangibile che ha condizionato anche il loro posto nel mondo, è un modo per rimettere le cose in prospettiva. Anche lì, però, non è facile. E non è solo la scrittura di Eisenberg a dimostrarlo, ma anche la regia. Guardando A Real Pain, infatti, ho rivissuto le terribili visite fatte anni fa ai campi di concentramento, come se mi fossi trovata lì coi personaggi. Eisenberg cattura l'orrore di chi non ha mai provato sulla sua pelle esperienze così definitive e traumatiche, la solennità di quei luoghi, la vergogna di trovarsi al loro interno non da sopravvissuti, ma da estranei, quasi da "guardoni", passatemi il termine. E allo stesso modo, attraverso lunghe carrellate panoramiche, fa rivivere gli oziosi giri turistici prima e dopo la visita al campo di concentramento, il modo in cui il cervello dimentica, in un attimo, già proiettato sulle attrattive architettoniche, culinarie, "esotiche" del paese straniero ospitante. Come attore, Eisenberg è un'ottima spalla a un Kieran Culkin travolgente, giustamente meritevole dell'Oscar che gli è stato tributato, e che, di fatto, è protagonista tanto quanto lui, se non addirittura di più. Di fronte a una sovrabbondanza di film che si sbrodolano addosso, dove ogni dettaglio deve venire spiegato e sviscerato raggiungendo lunghezze titaniche, film piccolini come A Real Pain sono gli antidoti che preferisco e che riescono a riconciliarmi con un Cinema per cui faccio sempre più fatica ad entusiasmarmi. Recuperatelo, prima che lo tolgano dalle sale!


Del regista e sceneggiatore Jesse Eisenberg, che interpreta David Kaplan, ho già parlato QUI mentre Kieran Culkin, che interpreta Benji Kaplan, lo trovate QUA.

Jennifer Grey interpreta Marcia. Famosa per avere interpretato il ruolo di Baby in Dirty Dancing, la ricordo per altri film come Una pazza giornata di vacanza; inoltre, ha partecipato a serie quali Friends, Dr. House, Grey's Anatomy e, come doppiatrice, ha lavorato in Si alza il vento, Phineas e Ferb e American Dad!. Americana, anche produttrice, ha 65 anni.


Kurt Egyiawan
, che interpreta Eloge, era Padre Bennett nella serie L'Esorcista. Se A Real Pain vi fosse piaciuto recuperate Little Miss Sunshine e The Farewell - Una bugia buona. ENJOY!


lunedì 3 marzo 2025

Oscar 2025

Buon lunedì a tutti! Stanotte gatta Sandy ha pensato di svegliarmi in tempo per i premi più succulenti, consentendomi di testimoniare il ritorno di un Quentin in grandissima forma. Ero onestamente poco interessata, quest'anno, agli Academy Awards, consapevole che i due film per i quali facevo il tifo (The Substance e Nosferatu) sarebbero rimasti a bocca asciutta o quasi. La mia previsione si è rivelata, ovviamente, azzeccata, ma qualche sorpresa interessante c'è stata, tra cui il ridimensionamento di film che mi hanno lasciata un po' freddina, quali A Complete Unknown, giustamente snobbato, Conclave e il favoritissimo The Brutalist. Sono molto contenta per il successo di Anora, ma non mi nascondo dietro a un dito: la marea di premi piovuti sul film di Sean Baker, soprattutto quelli per miglior film e miglior attrice protagonista, derivano da crudissime polemiche sulle quali non mi sento nemmeno di spendere due parole, che hanno tolto dai giochi Emilia Pérez (che pur non ho amato), Fernanda Torres e lo stesso The Brutalist. La cosa buona è che finalmente, forse, Anora godrà di una ri-distribuzione migliore qui in Italia e magari, come auspicato da Baker, il cinema indipendente e le sale cinematografiche ritroveranno l'importanza perduta... Sognare non costa nulla. ENJOY!


Alla faccia di Brady Corbet (credo non dimenticherò MAI il modo in cui si è alzato in piedi, convinto che Quentin stesse per pronunciare il suo nome come miglior regista, un istante prima che il cameramen inquadrasse precipitosamente Sean Baker, reale vincitore), Anora ha vinto la statuetta come miglior film e Baker quella come miglior regista. I due importantissimi premi sono arrivati dopo le statuette per Mikey Madison come miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio. Ribadisco, sono MOLTO contenta delle vittorie di Anora ma trovo francamente esagerati i riconoscimenti di miglior regia e miglior attrice protagonista. Il premio di miglior film dipende da una serie di fattori talmente soggettivi che non sto nemmeno a discuterli, ma la regia della Fargeat e quella di Corbet mi sono sembrate nettamente migliori, e a stringere la statuetta come miglior attrice avrebbe dovuto essere Demi Moore, pochi cazzi. La Madison è bravissima ma non c'era paragone col mix di fascino, disgusto e pietà veicolato dalla povera Elizabeth. 


Nessuna sorpresa invece per la vittoria di Adrien Brody come miglior attore protagonista in The Brutalist (film di cui parlerò domani). Bravissimi Fiennes e Sebastian Stan, bellissimo ed intenso Colman Domingo mentre Chalamet può andare a mangiare ancora un po' di pane e Nutella, per quel che mi riguarda, ma non c'era paragone con l'intensità di Brody, visibilmente commosso sul palco. The Brutalist esce fortemente ridimensionato rispetto ai pronostici e alle candidature ricevute, vincendo solo altri due Oscar, quello per la miglior colonna sonora (che io avrei dato a Il robot selvaggio, ma vedere il giovanissimo Daniel Blumberg salire sul palco a mo' di novello Nosferatu di Murnau, talmente emozionato che sembrava dover scoppiare in lacrime da un momento all'altro, mi ha fatto tanta tenerezza) e quello, prevedibilissimo ma scandaloso, per la miglior fotografia. Quelle di Maria e Nosferatu, a mio parere, erano nettamente superiori.

Non riuscivo a staccare gli occhi dalla spilla della designer Elsa Jin. Splendida.

Vince l'Oscar come miglior attrice non protagonista Zoe Saldaña. Questo premio era sicuro quanto quello andato al suo "collega" di categoria e quello all'attore protagonista, anche se, come al solito, deriva dalla furba scelta di non candidare l'attrice come miglior protagonista, nonostante lo fosse. Comunque, un premio dovuto, la Saldaña è la "cosa" più bella di Emilia Pérez, film che a me ha detto davvero poco, al punto che ho dovuto riascoltare El mal, vincitrice del premio alla miglior canzone originale, per ricordare in quale scena fosse. 


Altro Oscar prevedibile ma graditissimo è quello andato a Kieran Culkin come migliore attore non protagonista in A Real Pain (anche se vale lo stesso discorso fatto per la Saldaña. E' protagonista Culkin quanto Jesse Eisenberg!), un film di cui parlerò nei prossimi giorni e che vi consiglio di recuperare, visto che è al cinema proprio adesso. Mi spiace per il dolcissimo Yura Borisov e per il mefistofelico Mark Strong, ma quest'anno non c'erano speranze, signori.


Conclave
, altro stra-favorito lasciato quasi a bocca asciutta, vince la miglior sceneggiatura non originale. E che vi devo dire; non è che gli altri candidati fossero granché, ma quello di Peter Straughan mi è sembrato un lavoro parecchio banale e svogliato.


E a proposito di favoriti caduti in disgrazia, Io sono ancora qui si "accontenta" del premio come miglior film straniero. Fernanda Torres, davanti alla vittoria della Madison, era incazzata nera, ma se non altro la statuetta è andata a un film bello ed importante. Ovviamente, avrei preferito una vittoria di The Girl with the Needle, ma era una speranza vana fin dall'inizio.


La vera sorpresa della serata è stata la vittoria di Flow, di cui parlerò nei prossimi giorni, come miglior lungometraggio animato. Mi ha lasciata basita non perché non mi sia piaciuto, anzi, l'ho adorato e sono felicissima della sua vittoria, ma a livello di animazioni era molto migliore Il robot selvaggio. Comunque, spero che il premio spinga più gente possibile a recuperare questo delizioso capolavoro!


Per concludere, riassumo (con la morte nel cuore, ve lo giuro) i premi "tecnici" andati ad altre pellicole. Perché con la morte nel cuore? Perché The Substance ha vinto un ridicolo contentino per il Miglior make-up, evidentemente l'unica categoria a cui possono ambire gli horror che non dissimulano la loro vera natura e osano "esagerare". Wicked si accontenta della Miglior scenografia e dei costumi (e se posso dirlo, ancora grazie!), mentre al grandioso Dune - Parte 2 sono stati "concessi" Miglior sonoro e Migliori effetti speciali. Aggiungo, come ogni anno, quelle categorie di cui non ho assolutamente conoscenza: No Other Land vince come Miglior documentario, In the Shadow of the Cypress come Miglior corto animato, I'm not a Robot come miglior corto live action e The Only Girl in the Orchestra: la storia di Orin O'Brien come Miglior corto documentario. E anche questi Oscar se li semo levati dalle... : da domani vi puppate i post dei film che ho visto durante l'Oscar Death Race e che non sono riuscita a pubblicare ma, per fortuna, tornerò anche a parlare di horror!

Il momento migliore della serata! aMMore!


martedì 7 gennaio 2025

Golden Globes 2025

Ieri sono stati assegnati i Golden Globes, ma siccome era la Befana, ho passato la giornata in famiglia, a mangiare come se non ci fosse un domani e a perdere a Scala 40 con papà. Dei premi parliamo dunque oggi, con la tradizionale, ignorantissima disamina! 


Miglior film drammatico
The Brutalist
(USA/UK/Canada, 2024)

Non ho mai visto un trailer, mai una foto spoiler, non so nemmeno di cosa parli questo film che si è preso ben tre Golden Globes. L'unica certezza è che parrebbe un film imperdibile, che dura più di tre ore e che, in Italia, uscirà il 23 gennaio. Attenderò fiduciosa, che vi devo dire.


Miglior regista
Brady Corbet per The Brutalist

Di Corbet avevo visto solo Vox Lux, affascinante ma non particolarmente entusiasmante, né memorabile, quindi sono decisamente curiosa di capire cosa abbia fatto di così favoloso dietro la macchina da presa. Avendo visto solo Conclave e The Substance, tra i film candidati per la categoria,  non posso fare altro che fidarmi e aspettare.

Miglior film - Musical o commedia
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Sono, ovviamente, dispiaciutissima per The Substance, ma ho sentito dire solo cose belle su Emilia Pérez e, in effetti, il trailer visto prima di Maria mi ha invogliata parecchio. Tra qualche giorno, sempre che la distribuzione savonese mi venga in aiuto, capirò come mai la giuria ne è rimasta conquistata.


Miglior attore protagonista in un film drammatico
Adrien Brody in The Brutalist

Tra i candidati ho visto "in azione" solo Ralph Fiennes, il quale mi ha entusiasmata poco, anche in virtù di un doppiaggio poco ispirato. Adrien Brody è un attore che ho sempre amato tantissimo, quindi ho molte aspettative! 

Miglior attore non protagonista
Kieran Culkin in A Real Pain

Affronto questa categoria in totale ignoranza ma sono felice per Kieran, anche se continuo a preferirgli il fratello Rory. A Real Pain, tra l'altro, è uno di quei film che aspetto tantissimo, purtroppo in Italia arriverà solo il 27 febbraio, giusto in tempo per gli Oscar.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Fernanda Torres in Io sono ancora qui

Non conosco la Torres, non ho assolutamente idea di cosa parli Io sono ancora qui, mi dispiace moltissimo per la Jolie, che in Maria mi ha fatto venire i brividi. Anche in questo caso, non resta che attendere il 30 gennaio, giorno dell'uscita italiana del film.

Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Sebastian Stan in A Different Man

Benché io sia molto dispiaciuta per Hugh Grant e Jesse Plemons, entrambi favolosi, ho sempre amato Sebastian Stan e A Different Man è un film che mi incuriosisce tantissimo. Purtroppo, il film uscirà solo il 20 marzo. Per fortuna, prepararsi in tempo per gli Oscar è comunque possibile. 

Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Demi Moore in The Substance

E qui, la notizia mi ha fatta saltellare di gioia, perché l'interpretazione della Moore è splendida, sicuramente una favolosa rinascita per un'attrice che aveva perso molto del suo smalto e stava scomparendo in film bruttarelli. Spero che il premio coincida davvero con una ripresa, se lo meriterebbe!


Miglior attrice non protagonista
Zoe Saldana in Emilia Pérez

Niente male per un'attrice che, finora, aveva legato il suo nome alla bellezza e all'atleticità surreali di personaggi celati da trucco oppure effetti speciali. Mi spiace per la Qualley ma è giovane e sulla cresta dell'onda, avrà molto tempo per rifarsi! 

Miglior sceneggiatura
Peter Straughan per Conclave

Giuro che non capisco l'entusiasmo. Conclave, di cui parlerò nei prossimi giorni, è un thriller religioso molto all'acqua di rose, obiettivamente perfetto per un pubblico anglofono, ma già solo The Substance (l'unico altro film visto tra i candidati) era molto più fantasioso e particolare. Mah. 


Miglior canzone originale
"El Mal" di Clément Ducol, Jacques Audiard e Camille per Emilia Pérez

Mi fido dei giurati, visto che non conosco neppure una delle canzoni in gara.

Miglior colonna sonora originale
Challengers di Trent Reznor e Atticus Ross

Cosa avevo scritto il 3 maggio 2024? "La struttura stessa del film è quella di una partita a tennis, cadenzata dalla truzzissima colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (so che tanti l'hanno odiata, io l'ho adorata, non riuscivo a smettere di andare a tempo con la testa)". Amore batte odio 15 a 0!


Miglior cartone animato
Flow
(Straume - Lettonia/Belgio/Francia, 2024)

E io bestemmio, ché Flow lo hanno tenuto pochissimi giorni a orari per bambini, col risultato che non sono potuta andare al cinema a vederlo. Mi si spezza davvero il cuore, perché come posso essermi persa un film avente per protagonista un micino nero?

Miglior film straniero
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Continuo a non capire il motivo di premiare lo stesso film per due categorie simili, ma, non conoscendo le altre opere in gara, me ne sto sulla fiducia. 

Cinematic and Box Office Achievement
Wicked
(USA, 2024)

L'anno scorso questo contentino era andato a Barbie, quest'anno a un altro film che avrebbe dovuto fare sfracelli, ovvero Wicked. Contentino per contentino, lo avrei dato a Il robot selvaggio, che non ho ancora visto ma mi si dice essere bellissimo.


Come al solito, anche con le serie TV vado FORTISSIMA!! Sono preparata solo sul premio a Jodie Foster come Miglior Attrice in una Serie Limitata, Antologica o Film TV per la serie True Detective Night County. Per il resto, mi limito a segnarmi un improbabile recupero di Shogun, Baby Reindeer e Hacks, le serie che hanno ottenuto più premi. La award season tornerà in occasione del consueto riassuntone degli Oscar, il 3 marzo! ENJOY!

martedì 2 ottobre 2012

Margaret (2011)

In questi giorni mi sono buttata nella visione di un film solo per il gusto di vedere alcuni attori sullo schermo, senza curarmi della trama, come facevo parecchio tempo fa. Il metodo mi ha regalato spesso perle di cinema che, diversamente, magari non avrei avuto occasione di scoprire… vediamo se Margaret, diretto nel 2011 dal regista Kenneth Lonergan, è una di queste.


Trama: la diciassettenne Lisa viene coinvolta in un incidente stradale che costa la vita ad una donna. Convinta di essere, almeno in parte, colpevole dell’accaduto, la ragazza cerca di fare ammenda in ogni modo…


La trama del film, ovviamente, non è così semplice, anche perché la pellicola dura ben due ore e mezza, attenzione. Quindi, a prescindere dalla qualità o meno del film, sarà meglio iniziare la recensione con un’avvertenza: se non siete pronti né intenzionati a guardarvi un lunghissimo, a tratti lento e spesso irritante psicodramma americano radical – chic passate ad altro o verrete a cercarmi a casa per fustigarmi come merito. In Margaret non troverete infatti amicizia, cortesia, simpatia, convenienza, ampio parcheggio; non c’è un solo personaggio anche solo vagamente sopportabile tra quelli ritratti, salvo forse il povero Ramon di Jean Reno, che tuttavia si vede poco. Detto questo, il film a me è piaciuto. Non è un capolavoro, è troppo prolisso e appesantito da personaggi e sequenze francamente inutili e, lo ammetto, almeno all’inizio ho fatto fatica a seguirlo, tanto che pensavo non lo avrei mai finito, ma se ci si mette con pazienza certosina e si inghiotte il desiderio di fare sommaria giustizia dei personaggi, alla fine si riuscirà ad apprezzare una triste e spietata riflessione sulla realtà della società americana in particolare e sulla vita in generale, arricchita da prove attoriali notevoli, quella di Anna Paquin in primis.


Tornando un attimino più seri, poiché l’argomento trattato lo richiede, Margaret è in sostanza un racconto di formazione nel quale un’immatura diciassettenne viene presa a schiaffi dalla brutalità della vita e, soprattutto, della morte. L’incidente iniziale, causato dalla frivolezza della ragazzina e dalla criminale inettitudine dell’autista di un autobus, diventa il catalizzatore di una sorta di tempesta che sconvolge il mondo e la psiche di Lisa, la quale cerca così di responsabilizzarsi in modo sbagliato e, ancor peggio, senza una guida. Lonergan, infatti, vuole innanzitutto mostrarci l’incredibile, alienante solitudine alla quale sono condannati gli abitanti di una grande metropoli moderna, dove TUTTI, dal bambino all’adulto, devono arrangiarsi a vivere senza poter contare sugli altri, perché sono l’egoismo e l’incapacità di ascoltare le persone (figuriamoci poi a sostenere un dialogo…) a farla da padrone. Lisa è sicuramente una ragazzetta irritante e vanerella, pronta a battersi per i diritti delle persone che non conosce per dimostrare di essere “profonda” ma assolutamente incapace di relazionarsi con chi le sta accanto, tuttavia è anche vero che gli adulti che la circondano sono dei casi umani da show della D’Urso: il padre è fisicamente e mentalmente lontano, una mera presenza telefonica, la madre attrice reagisce come una quindicenne ad ogni provocazione della figlia, l’insegnante di matematica è l’emblema della passività mentre quello di letteratura si rifà (e come dargli torto…) sugli studenti imbecilli che lo prendono in giro. Davanti a questi ottimi esempi, capirete bene che di amici nemmeno a parlarne, e meno male, anche perché la santa Lisa non si fa scrupoli a perdere la verginità col ragazzo della migliore amica o a illudere e poi mandare a quel paese l’unico amico che la vorrebbe davvero.


L’incidente, come ho detto, porta Lisa ad aprire gli occhi sulla realtà, ma in maniera sbagliata. “Pungolata” dall’insegnante di matematica che la accusa di non avere interesse per ciò che la circonda, la ragazza decide di sfogare il senso di colpa e lo shock di avere tenuto tra le braccia una donna morente cercando innanzitutto di conoscerne il passato, sebbene assai superficialmente. In qualche modo Lisa “drammatizza”, come ben sottolinea l’odiosa amica della vittima, l’intera questione, decidendo di rendersi più interessante e responsabile (agli occhi degli altri e di sé stessa) vestendo i panni dell’eroina, della paladina degli oppressi, della fanciulla segnata da un trauma insormontabile, arrivando addirittura ad illudersi di essere stata, almeno per cinque minuti, incarnazione della figlia della vittima, morta giovanissima per una malattia. Tanto idealismo, altruista od egoista che sia, si scontra però con l’ennesima testimonianza della natura quasi kafkiana della società americana e della pochezza degli esseri umani; i parenti della defunta vogliono solo i soldi e non sono assolutamente interessati ad avere giustizia, facendo magari licenziare l’autista che ha causato l’incidente, la compagnia degli autobus mira solo a non far finire la storia sui giornali e cerca in tutti i modi, di conseguenza, di tutelare un dipendente palesemente inadatto a fare suo lavoro, in tutto questo gli avvocati riescono a calcolare gli indennizzi in base a quanto una persona è rimasta in vita e quanto ha sofferto prima di morire. Follia pura.


La chiave per l’interpretazione del film e il significato del titolo, comunque, risiedono soprattutto nella poesia che Matthew Broderick legge in classe, Spring and Fall di G. M. Hopkins, nella quale una ragazzina di nome Margaret, guardando le foglie cadere, comincia a comprendere la natura della morte e del dolore che essa porta con sé. Un dolore ancora immaturo, suscitato da oggetti inanimati, che diventerà più profondo e consapevole col tempo e l’esperienza, un percorso assai simile a quello che dovrà intraprendere nella vita Anna, cercando magari di non diventare come l’unico personaggio che mostra di voler prendere a modello, ovvero la migliore amica della vittima, una donna disillusa, dura, prevaricatrice e segnata dalla vita. Interpretata da un’attrice bravissima, così come è eccezionale Anna Paquin, la cui performance, a tratti, è così piena di emozione da mettere i brividi, soprattutto da metà film in poi. Un po’ come la colonna sonora, minimale,  triste e malinconica, adattissima a sottolineare le atmosfere delle pellicola che, come avrete capito, nonostante la lunghezza e la lentezza mi ha coinvolta parecchio.  


Di Anna Paquin (Lisa), Mark Ruffalo (Maretti), Jean Reno (Ramon), Matt Damon (Mr. Aaron) ed Allison Janney (Monica Patterson) ho già parlato nei rispettivi link.

Kenneth Lonergan è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto anche Conta su di me. Anche attore, ha 50 anni.


Kieran Culkin interpreta Paul. Fratello di Maculay e Rory, ha partecipato a film come Mamma ho perso l’aereo, Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York, Le regole della casa del sidro e Scott Pilgrim vs. the World (dove interpreta Wallace. Sto mostro? Ma stiamo scherzando???). Ha 30 anni e un film in uscita.


Matthew Broderick interpreta John. Attore americano famosissimo negli anni ’80, che col tempo si è un po’ perso a dir la verità, lo ricordo per film come Wargames – giochi di guerra, il meraviglioso Ladyhawke, Sono affari di famiglia, Il rompiscatole, Godzilla, Inspector Gadget, inoltre ha doppiato Simba da adulto ne Il re leone. Anche regista e produttore, ha 50 anni.


Se non ho capito male il film dovrebbe risalire addirittura al 2006 ma, per problemi legati al montaggio e a diverse cause legali intentate dagli studios a finanziatori e regista, Margaret non è stato distribuito fino al 2011, anno in cui, finalmente, due pezzacci da 90 come Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker sono riusciti a tirare fuori un final cut in grado di soddisfare il regista. Che, per inciso, è un pazzo. Se il film vi fosse piaciuto, consiglio la visione del bellissimo Carnage. ENJOY!

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