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martedì 15 luglio 2025

The Surfer (2024)

In occasione della triste ed inaspettata dipartita di Julian McMahon ho deciso di guardare il suo ultimo film, The Surfer, diretto nel 2024 dal regista Lorcan Finnegan.


Trama: un uomo d'affari torna nella cittadina costiera australiana dov'è nato, nella speranza di acquistare la vecchia casa di suo padre e fare surf col figlio nella spiaggia della sua infanzia. Nel frattempo, purtroppo, il posto è diventato ritrovo di una gang di surfisti ostili nei confronti degli autoctoni...


Lorcan Finnegan
si era imposto all'attenzione degli amanti dell'horror in tempo di pandemia, quando col suo Vivarium aveva dato voce al terrore claustrofobico di una vita ripetuta sempre nelle stesse modalità e all'interno dello stesso ambiente ristretto. Insomma, era uscito col film giusto al momento giusto, alimentando incubi radicati in una percezione tristemente attuale della realtà dell'epoca. Nel frattempo, sono usciti Nocebo Nightmare Radio: The Night Stalker, due film che purtroppo devo ancora recuperare, quindi non saprei dire se il suo discorso sulla progressiva perdita dell'individualità e sui non luoghi che inducono alla pazzia sia proseguita ininterrotta; di sicuro, però, The Surfer ha molte similarità con Vivarium. La sceneggiatura racconta di un uomo senza nome (il "surfista", nei titoli di coda), nato in Australia ma vissuto in America fin dall'adolescenza, che torna nella cittadina dove ha passato l'infanzia per ricomprare la casa paterna. Il protagonista è molto benestante, ma non abbastanza da acquistare l'immobile senza dare fondo a tutte le sue finanze aggiungendo anche ingenti prestiti; ciò, tuttavia, non lo ferma, perché il suo obiettivo è dare al figlio l'opportunità di vivere proprio in quella casa, e fare surf nella spiaggia poco distante. Purtroppo, il luogo è anche ritrovo di una banda di violenti surfisti che lo hanno riservato ad uso esclusivo dei "locals", e il protagonista viene brutalmente invitato ad andarsene e non mettere mai più piede lì. Determinato a non cedere, e a rivivere i tempi felici che furono, l'uomo decide di piantonarsi lì ad aspettare la conferma della banca, decisione che lo condannerà a vivere un incubo sempre più surreale e allucinato, perdendo brandelli di se stesso ad ogni ordalia impostagli dai surfisti. 


Fin da quando ho visto Fuori orario di Scorsese, ho capito che uno dei concetti che più mi inquieta è quello di perdere il controllo della propria vita non per mano di forze sovrannaturali, ma della propria "ingenuità", della "sfiga" e della cattiveria altrui (persino Roba da matti mi mette inquietudine, per dire). In Fuori orario, il protagonista "osava" uscire dalla sua comfort zone e ne pagava le conseguenze rischiando di morire o finire in galera, perdendo tutto ciò che lo caratterizzava. In The Surfer, il concetto di base è un po' diverso, perché il protagonista non è un outsider, almeno dal suo punto di vista, anzi, ritiene di avere tutto il diritto di riottenere ciò che percepisce come "suo", ma il risultato finale non cambia. A differenza di Paul, che non vedeva l'ora di tornare a casa, il protagonista di The Surfer non si smuove di un passo, ed è lui stesso a fornire ai suoi nemici i mezzi per rinchiuderlo saldamente in una realtà da incubo, sia fisica che psicologica. Nonostante la dimensione ridotta della sua prigione, inoltre, il labirinto di insidie di cui è popolata è grande quanto l'intera New York, questo perché l'Australia non perdona; ti frigge il cervello col sole a picco, ti cattura col suo bush, ti minaccia con pericolosi animali, ti isola con l'accento incomprensibile dei suoi abitanti, ti illude con la promessa di una civiltà tanto rara quanto preziosa, travestendosi da paradisiaca meta turistica. La setta di surfisti capitanata da Scally, riccastro che si spara le pose di santone, è figlia del territorio e i suoi membri sfruttano tutti questi elementi per ridurre "l'invasore" a un groviglio di puro istinto animale, andando a pungolare non solo la sua volontà di sopravvivere, ma anche un orgoglio e un pensiero elitario che non lo rende poi così dissimile dai suoi carnefici. A un certo punto, l'alternativa è arrendersi e morire come un guscio svuotato di ogni consapevolezza di sé, oppure lasciarsi assimilare, perdendo comunque la propria individualità; l'aspetto angosciante di The Surfer è proprio il modo infido in cui, pur nella consapevolezza dello schifo incarnato da Scally e soci, instilla nello spettatore una sorta di colpevole sollievo all'idea di riottenere tutti i diritti che dovrebbero essere garantiti da una società civile.  


Lorcan Finnegan
rinfocola il disagio dello spettatore dando vita a un'Australia bruciata dal sole, fotografata con colori nitidissimi in cui prevale un'arancione ambivalente, che rappresenta sia la letterale fornace che minaccia di inghiottire il protagonista privato di cibo, acqua e refrigerio, sia memorie baciate da un ingannevole tramonto. Le inquadrature di Finnegan fanno sentire tutto il caldo che risale a ondate dall'asfalto e indugiano su degradanti, puzzolenti schifezze alternandole a momenti in cui ogni cosa che circonda il protagonista sembra un incubo da disidratazione, mentre un sapiente montaggio contribuisce a instillare dubbi su cosa sia vero e cosa sia falso (il fatto che a un certo punto sia difficile distinguere il protagonista dal barbone è geniale). Non aiuta l'ingannevole colonna sonora chill out, che punteggia ironicamente le inquadrature di Luna Bay e delle onde del mare, irraggiungibili miraggi da cartolina e status symbol di una vita da sogno tenuti saldamente nelle mani abbronzatissime di un Julian McMahon mefistofelico. Ho sempre avuto un debole per Julian, la sua morte mi ha spezzato il cuore, ma sono contenta che la sua ultima interpretazione sia stata questa; carismatico, con sorriso assassino d'ordinanza e una cappa rossa che non avrebbe sfigurato in una puntata di Streghe, l'attore non si lascia rubare la scena da Nicolas Cage e diventa un capobranco da antologia, ma anche un inquietante guru, santone e salvatore di un'orribile umanità che verrebbe voglia di vedere annegata nei flutti. Quanto a Nic, lui fa il suo, e non mi aspettavo di meno. Anzi, stavolta riesce persino ad essere misurato nella sua follia ed angosciante, tristissimo in quella che non è altro che la massima rappresentazione di un'ossessione scambiata erroneamente per sana, doverosa rincorsa verso la felicità. The Surfer lo trovate su quasi tutti i servizi streaming italiani, fatevi un favore e recuperatelo, perché è un film bellissimo!


Del regista Lorcan Finnegan ho già parlato QUI. Nicolas Cage (Il surfista) e Julian McMahon (Scally) li trovate invece ai rispettivi link.



martedì 27 agosto 2024

Longlegs (2024)

Perdonatemi, ma non ce l'ho fatta. E' assolutamente VERGOGNOSO che, in Italia, uno dei film più importanti dell'anno esca con quattro mesi di ritardo rispetto al resto del mondo. Quindi, nell'attesa di riguardarlo come si deve in sala, mi sono permessa di recuperare altrove Longlegs, diretto e sceneggiato dal regista Osgood Perkins, e di parlarne SENZA SPOILER.


Trama: Lee, agente dell'FBI, viene coinvolta nel caso di Longlegs, misterioso assassino che da 30 anni stermina intere famiglie senza lasciare traccia salvo alcune lettere indecifrabili...


Cominciamo a togliere di mezzo la fastidiosa domanda generata dall'intenso battage pubblicitario americano: Longlegs è il film più spaventoso degli ultimi tempi? La risposta sincera è no, ma c'è da elaborare. L'ultimo lavoro di Osgood Perkins, per buona parte della sua durata, non lega la sua narrazione al genere horror, ma svia l'attenzione dello spettatore mirando, apparentemente, al modello di thriller pesantemente contaminati dal nostro genere preferito, come Se7en e Il silenzio degli innocenti. Questi due film balzano subito alla mente guardando Longlegs, non solo perché la protagonista è poco più che una recluta con alcune caratteristiche che la rendono "particolare", ma per una generale aura di plumbea pesantezza e pericolo imminente che sembrano volerla schiacciare fin dalle primissime scene. A dire il vero, a me il film ha però ricordato, piuttosto, alcuni degli episodi di X-Files più riusciti (non a caso, siamo negli anni '90 del sorridente Clinton), e, soprattutto, le prime due stagioni di Twin Peaks. L'elemento lynchiano di Longlegs, se mi passate il termine, risiede nella weirdness (talvolta, ingannevolmente esilarante) di tutti i personaggi presenti nel film, ognuno dei quali, persino quelli che dovrebbero garantire legge, ordine o tranquillità famigliare, hanno una caratteristica che stona all'interno di un contesto verosimile, e offrono di conseguenza il fianco alla possibilità di qualcosa che esista qualcosa di "sbagliato", di perturbante. Longlegs svariona pesantemente e gradevolmente sul finale, ma fino a quel momento cammina su un filo assai equilibrato di incertezza, nel centro perfetto del dualismo di una trama che segue un'investigazione tutto sommato lineare, e una regia che fa di tutto per confermare che di normale, in Longlegs, non c'è proprio nulla. Più volte, nel film, viene consigliato di osservare a lungo, di guardare, ma è difficile farlo quando il nostro punto di vista è condizionato da una regia fatta di grandangoli e prospettive sghembe che schiacciano le immagini rendendole claustrofobiche, spesso centrate su una Maika Monroe ripresa a distanza, come se qualcosa la osservasse, non visto. E quel qualcosa c'è, eccome. Perkins lo schiaffa a tradimento negli angoli nascosti, come un elemento dissonante, un male ineluttabile che agisce di nascosto ma neppure troppo, perché masticare e sputare gli inutili esseri umani è fin troppo facile. Per questo è importantissimo, in Longlegs, sapere dove guardare, in quanto, come nei migliori thriller, tutto è lì fin dall'inizio, e l'arte sta nel rendere spettatori e protagonisti dei burattini da sviare a piacimento, magari focalizzando la loro attenzione su Nicolas Cage.


Il brutto di vivere in un mondo ormai governato da social spoilerosi, è che Nic lo avrete già visto, nel suo trucco che lo rende quasi irriconoscibile, quando sarebbe stato meglio non sapere nulla di lui (e qui torniamo sulla questione dei quattro mesi di gap tra noi e il resto del mondo. Ribadisco, vergogna). Ma non importa, da un certo punto di vista, perché Cage, impegnato in una delle sue migliori performance, non è l'elemento fondamentale di Longlegs. Lui è l'uomo nero, certo, ma apre le porte a domande ben più insidiose, non solo legate all'"altro" da noi, ma proprio a ciò che in noi si nasconde, quello che non possiamo o non vogliamo vedere, quello che mettiamo da parte per qualcosa di più grande, vittime di un amore che diventa terreno fertile per l'orrore più profondo. Cage è la punta dell'iceberg, ma ciò che chiede Longlegs è di scavare, schiantarci come il Titanic contro un film che mette i brividi fin dalla prima inquadratura, che ti fa accendere le luci in casa, perché non sia mai che, al buio, ci sia qualcosa a fissarti. Poi, se volete, vi dico anche che Perkins è un mago della simmetria e delle simbologie nascoste, che riesce a trasformare il formato dei filmini casalinghi in qualcosa di ancora più terrificante di ciò che veniva mostrato in Sinister, che sul finale confeziona alcune delle sequenze e delle singole immagini più belle e agghiaccianti che vedrete quest'anno, e che Longlegs ha una colonna sonora di tutto rispetto e una fotografia da urlo, ma vi lascio il piacere di scoprire tutte queste cose da soli. Per quanto mi riguarda, Longlegs non è il film più terrificante degli ultimi decenni, ché ormai mi risulta difficile spaventarmi davvero, ma mi ha lasciato sicuramente la sensazione come di qualcuno che sia sempre lì a toccarti sulle spalle, pronto a farti "cucù" (e non in modo simpatico come Russell Crowe), oltre alla voglia di rivederlo ancora e ancora. La possibilità che diventi un grande classico e un cult è più che tangibile e io forse ho trovato l'horror dell'anno.


Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins ho già parlato QUI. Maika Monroe (Agente Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs), Alicia Witt (Ruth Harker) e Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Longlegs vi fosse piaciuto, recuperate Il silenzio degli innocenti, Zodiac e Se7en. ENJOY!

lunedì 8 gennaio 2024

Dream Scenario (2023)

Grazie all'imbeccata di Cassidy de La bara volante, oggi ho l'occasione di prendere due piccioni con una fava: fare gli auguri al mitico Nicolas Cage (che ieri ha compiuto ben 60 anni!) e recuperare un film talmente bistrattato dalla distribuzione che nemmeno il cinema d'élite di Savona lo ha programmato, ovvero Dream Scenario, diretto e sceneggiato nel 2023 dal regista Kristoffer Borgli.


Trama: Paul, insegnante di biologia, sposato e con due figlie, comincia inspiegabilmente ad apparire nei sogni delle persone e la sua vita ne viene stravolta...


Siccome il post nasce in occasione del compleanno del nostro Nic Cage, vorrei cominciare con una nota di biasimo rivolta alla I Wonder Pictures, che sul manifesto italiano ha messo questa citazione tratta da un articolo dell'Hollywood Reporter: "Una performance davvero esilarante. Nicolas Cage non è mai stato così divertente". Ora, va bene invogliare la gente ad andare a vedere i film, ci sta cavalcare la moda dei meme dedicati al nostro, ma quel che penso è che l'Hollywood Reporter non abbia capito Dream Scenario, mentre i responsabili marketing della I Wonder Pictures non l'abbiano nemmeno visto. Il personaggio di Cage a me è sembrato tutto meno che divertente, fin dall'inizio. Anzi, a essere sincera mi ha causato un misto di pena e fastidio assai simile a quello provato davanti alla protagonista di Sick of Myself, altra pellicola di Kristoffer Borgli con la quale Dream Scenario condivide parecchi aspetti. Paul Matthews è una persona ordinaria e dimenticabile, dalla vita altrettanto ordinaria e dimenticabile; è come il protagonista de La vita è meravigliosa, non gli manca nulla ma non ha nemmeno quella scintilla che rende speciale lui o le sue giornate e, come la Signe di Sick of Myself, non sopporta di non essere diventato famoso. Sì, vederlo farsi bello davanti alla moglie dopo un colloquio disastroso o cercare mezzucci per capire se la ex è ancora interessata a lui strappa un sorriso e la stessa cosa accade quando Paul comincia a comparire nei sogni delle persone come una presenza "inutile", un mero voyeur delle fantasie altrui, senza polso nella vita come nella dimensione onirica, ma Dream Scenario fa presto a cambiare registro e sbattere in faccia allo spettatore quanto sia facile venire masticati e sputati da una fama costruita sul nulla. Finché Paul si limita a comparire nei sogni, con la sua faccetta rassicurante (cit.), le persone lo trattano come una star e ogni porta gli viene spalancata, e nessuno (lui per primo) si impegna a capire il motivo dello strano fenomeno; quando è la sua stessa vita a diventare un incubo, alimentato dalla paura di chi inizia a vederlo come un mostro, non c'è modo di fermare il disastro o di recuperare anche l'"insoddisfacente" bellezza della normalità, con conseguenze angoscianti e tristissime. Per quanto mi riguarda, Dream Scenario nella sua interezza, ma specialmente nell'ultimo atto, è un'opera di modernissima tristezza, una spietata rappresentazione del male di vivere e della pressione sociale che siamo tutti costretti a subire quotidianamente, e l'ultima sequenza in particolare mi ha fatta sciogliere in lacrime.


Nicolas Cage, il festeggiato, è stato giustamente nominato ai Golden Globes. Non vincerà, anche perché tra i suoi contendenti ci sono Giamatti, Damon e Phoenix, ma la sua interpretazione è una delle migliori degli ultimi anni, un ritorno alla triste, goffa quintessenza dell'uomo medio(cre) che me lo aveva fatto amare in film come Il ladro di orchidee e Al di là della vita: Paul trasuda da ogni poro la volontà di essere celebrato per qualcosa di più, è imbarazzante nei suoi tentativi di elargire sorrisi accattivanti, alimenta un'empatia infinita quando le sue labbra si muovono nel tentativo di dire qualcosa di intelligente o "potente", invano. Cage si contiene e mostra il dito medio a tutti quelli che si sarebbero aspettati il suo overacting, diventando così un perfetto Paul, un protagonista che delude costantemente le aspettative e a cui sembra quasi venga negata ogni possibilità di sfogarsi, sempre schiacciato da qualcosa, persino in un finale talmente poetico e surreale che sembra essere stato preso di peso da un film di Spike Jonze. A tal proposito, Kristoffer Borgli è sulla buona strada per diventare un regista tra i più quotati. Le scene oniriche sono deliziosamente surreali ma mai "esagerate", e la realtà, soprattutto dal secondo atto in poi, prende la connotazione di un sogno grazie a riprese grandangolari ed inquadrature sghembe che lasciano quella sensazione che si prova dopo essersi appena svegliati, ancora intrappolati nelle maglie di un incubo restio ad abbandonare la nostra coscienza. Rispetto a Sick of Myself mi è sembrato che lo stile di Borgli, sia a livello di regia che di sceneggiatura, si sia affinato ancora di più, sacrificando forse un po' di quella rozzezza indipendente e volutamente sgradevole che aleggiava sulla sua pellicola precedente, ma senza indebolire la sua modernissima critica sociale. Nell'attesa del suo prossimo lavoro, vi consiglio Dream Scenario in quanto è uno dei film più belli dell'anno passato e faccio di nuovo gli auguri a Nicolas Cage, di buon compleanno e di altre mille pellicole così interessanti!  


Di Nicolas Cage (Paul Matthews), Julianne Nicholson (Janet Matthews), Dylan Baker (Richard) e Michael Cera (Trent) ho già parlato ai rispettivi link.

Kristoffer Borgli è il regista e sceneggiatore della pellicola. Norvegese, ha diretto il bellissimo Sick of Myself, che potete trovare su MUBI. Anche montatore, attore e produttore, ha 39 anni. 


E ora, un po' di trivia: Dream Scenario è prodotto dalla A24 ed Ari Aster, che in origine avrebbe dovuto dirigere il film con Adam Sandler come protagonista; Marc Coppola, fratello di Nicolas Cage, interpreta Sidney, l'ospite a cena di Richard che somiglia tanto a Paul. Prima di scappare, non dimenticate di leggere anche l'omaggio dei miei altri colleghi!!

Il Zinefilo affronta “L'ultimo dei templari”:

Non quel Marlowe presenta, "Cagis Salomonis: la Clavicola di Nicolas Cage!"

La Bara Volante a caccia di tesori con “Il mistero dei Templari - National Treasure”:

"Knowing" sulle pagine di Vengono fuori dalle fottute pareti:

venerdì 29 gennaio 2021

Nicolas Cage Day: Drive Angry (2011)


Temevo che anche il 2021 sarebbe cominciato male. Non fraintendetemi, eh, è cominciato di merda per motivi che non vi sto a spiegare, ma quando Alessandra ha proposto di rinnovare il Nicolas Cage Day ho davvero temuto che non ce l'avrei fatta nemmeno stavolta. Per incredibile botta di (s)fortuna mi sono ritrovata invece a guardare Drive Angry, diretto e co-sceneggiato nel 2011 dal regista Patrick Lussier


Trama: un uomo fugge dall'inferno per salvare la sua nipotina neonata, presa di mira da un branco di satanisti...


Ma PERCHE' non avevo mai guardato Drive Angry, che ricordo essere passato al cinema nientemeno che in treddì e che, visto oggi su Amazon Prime Video, fa venir voglia di cavarsi gli occhi, da tanto l'indispensabile effetto tanto di moda all'epoca è invecchiato peggio che male? Perché, diamine, visto che Nic Cage qui dà il meglio di sé, o, per meglio dire, interpreta un personaggio già talmente sopra le righe di suo che non deve neppure andare in overacting per renderlo leggendariamente trash? Bastano una parrucchetta bionda e uno di quei suoi soliti sorrisetti da "ti faccio il mazzo ma non lo sai" e Cage si inserisce alla perfezione all'interno di questo horror (?) action zamarro scritto dalla versione adolescenziale ed incazzata di Lussier e Todd Farmer; incazzata perché vabbé, ci sono le macchine che spaccano e gente che muore male per mezzo di fuciloni e altre armi, adolescenziale perché, davvero, come se non bastasse l'idea pirla di uno che scappa dall'inferno per salvare la nipotina dai satanisti che la vogliono uccidere e la cui situazione scatena la voglia di aiutare di una strappona bionda che è un incrocio tra un G.I. Joe e una modella di Victoria's Secret, ci si aggiungono anche dialoghi di rara inutilità, come lo "spiegone che spiegone non è" in cui il personaggio di Cage racconta all'amico di un tempo come diamine è morto. Vi sfido a non trovare delle similitudini con le vostre peggiori interrogazioni alle superiori, quelle in cui non sapevate cosa dire ai prof, da tanto è svogliato il modo in cui la morte di "John Milton" viene riportata scevra di qualunque dettaglio. Sorvolo poi sull'abbondanza di donne nude che vengono malmenate, non voglio nemmeno sapere quanti machos si saranno esaltati davanti al binomio automobili/patata dolorante o mi sale la carogna più di quanto sia necessario con un film simile, considerata anche la fine che fa Amber Heard: costretta a diventare madre e regalata a un vegiu (povero David Morse) che accenderà ogni notte un cero a Nicolas Cage per ringraziarlo di avergli fatto vincere la lotteria della passera. 


Ma qui si sta mancando il punto, ovvero l'omaggio a Cage. Il problema, mannaggia, è che in Drive Angry il prode Nic diventa quasi l'elemento che nobilita il film, se non addirittura il protagonista che viene eclissato in positivo dal meraviglioso contabile di William Fichtner e in negativo dall'orrido, inutile, leppegusu Jonah King di Billy Burke, trovato al discount probabilmente perché Benicio del Toro si era dato alla macchia. Davanti alla gente brutta, ma davvero orripilante, buttata all'interno del cast di Drive Angry, Nic Cage diventa quasi figo e desiderabile, ve lo giuro; non so come abbiano condotto la ricerca di attori ma probabilmente tra i requisiti c'erano cose come "inbred" e "minus habens" altrimenti non si spiega. Ciò detto, Cage si è consacrato comunque anima e corpo al progetto e non mancano momenti epici di pura Cageanità (che avrebbe potuto salire a livelli inenarrabili, visto che il buon Nic avrebbe voluto recitare con la testa rasata e un tatuaggio a tutta capoccia), tra i quali una bevuta finale memorabile, una scopata ancor più leggendaria e un inizio scoppiettante anzichenò. Spiace solo che, visto il personaggio, il solito occhio pazzo Cageano sia stato poco utilizzato ma di sicuro Drive Angry rientra tranquillamente nel novero dei suoi migliori film trash e non merita di finire nel dimenticatoio di alcune sue produzioni recenti che, ahimé, mi cominciano ad evidenziare un po' di vecchiaia.


Se UN Cage non vi basta, recuperate ovviamente gli altri omaggi dei prodi blogger parrucchinomuniti e... ENJOY!


La Bara Volante

In Central Perk

La Stanza di Gordie 

Director's Cult 


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