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mercoledì 14 marzo 2018

Bollalmanacco On Demand: Il club delle prime mogli (1996)

Dopo non so nemmeno quanti mesi torna il Bollalmanacco On Demand! Su richiesta della collega Elena stavolta ho guardato Il club delle prime mogli (The First Wives Club), diretto nel 1996 dal regista Hugh Wilson e tratto dal libro omonimo di Olivia Goldsmith. Il prossimo film On Demand dovrebbe essere Déjà Vu - Corsa contro il tempo. ENJOY!


Trama: tre amiche abbandonate dai mariti per delle compagne più giovani decidono di unire le forze onde vendicarsi dei consorti e non fare la fine di una ex compagna di università, morta suicida.



Questo On Demand nasce dal fatto che Elena era troppo sconvolta davanti alla mia confessione di non avere mai visto Il club delle prime mogli, uno dei suoi film cult. Eh, che devo dire, nel 1996 per me esistevano solo Tarantino, Scorsese, Kubrick, Trainspotting, Cronenberg, gli horror, oppure quella roba autoriale che passava il buon Ghezzi a Fuori orario, tirata fuori da mille letture a tema cinema, non esiste che mi abbassassi a guardare un film dove tre catananne si vendicano dei mariti fedifraghi, magari condito (orrore!) anche da qualche momento malinconico/sdolcinato. Quindi sono passati gli anni, sono diventata catananna pure io, magari non ancora ai livelli delle tre protagoniste della pellicola, e in questi giorni mi sono ritrovata a guardare Il club delle prime mogli divertendomi parecchio. La storia di queste tre signore tradite dai mariti e dalla vita, che lottano per riaffermarsi in un mondo dove le donne contano solo quando sono giovani e belle, è molto divertente e fa riflettere in più punti, soprattutto nel momento in cui le tre protagoniste si confrontano seriamente smettendo di dare TUTTA la colpa di una vita insoddisfacente ai loro mariti. Effettivamente, non è che Elise, Annie e Brenda siano dei modelli di virtù, nonostante l'istintiva simpatia che suscitano i loro personaggi: Elise è un'attrice ubriacona che per contrastare lo scorrere del tempo si rovina di chirurgia estetica, Annie è debole ed incapace di esprimere le sue emozioni negative, Brenda non sa valorizzarsi e passa la vita all'ombra di un marito imbarazzante. La scintilla della loro ribellione è la morte di Cynthia, amica di università suicidatasi a causa di uno stile di vita assai simile a quello delle tre "sopravvissute", ed è brutto dire che solo grazie a questa tragedia le "prime mogli" si ritrovano e cominciano a mettere sui giusti binari le loro esistenze, riscoprendosi femmine con le palle, libere e pronte a marciare sulle note di You don't Own Me per ispirare altre donne maltrattate o disperate come loro. Ovvio, per arrivare a questo risultato c'è un'ora e mezza di siparietti esilaranti, vendette spietate e piccole grandi soddisfazioni, con spazio anche per qualche lacrimuccia e momento di sconforto che segue uno degli schemi tipici della commedia americana, quel ciclo di "situazione sfortunata - riscossa - nuova caduta, peggiore della precedente - ascesa definitiva" a cui non si sottrae nemmeno Il club delle prime mogli.


Ciò che rende quindi unico ed indimenticabile questo film è il perfetto terzetto di attrici principali, coadiuvate da personaggi secondari ma non meno memorabili, come la raffinata Gunilla di Maggie Smith e la sua vittima sacrificale, una Sarah Jessica Parker secca come un chiodo e ancora lontana dai fasti glamour di Sex & The City. Le tre "prime mogli" hanno una chimica perfetta sullo schermo e tra battibecchi, rispettive punzecchiature e momenti di grande entusiasmo, senza dimenticare un paio di numeri musicali tra l'improvvisato e il coreografato (il finale in tal senso è liberatorio e decisamente bello per il modo in cui l'esibizione "estemporanea" si coniuga a reali esigenze di spettacolo risultando assai naturale ma anche gradevole all'occhio), conquistano in poco tempo il cuore dello spettatore. Personalmente, ho sempre avuto un debole per la bellissima Goldie Hawn e tra le tre Elise è diventata il mio personaggio preferito grazie alle sfuriate da ubriacona e le pose da star consumata, ma Diane Keaton è l'acqua cheta indispensabile ad impedire che le dinamiche delle altre due trasformino in film nell'elogio dell'isterismo femminile e Bette Midler (nonostante si dica abbia quasi portato il regista alla pazzia con le sue intemperanze) incarna perfettamente la rivalsa della donna middle class, dalla lingua lunga e la battuta pronta: l'interazione tra lei e Goldie Hawn porta a picchi di umorismo esilaranti ma anche ad altri di forte commozione, a dimostrazione che le amiche vere possono sì demolirsi a suon di insulti, però nel momento del bisogno riescono soprattutto a tirarsi fuori dai peggiori casini. Insomma, come al solito il Bollalmanacco on Demand mi insegna che non è giusto evitare i film a priori solo perché non incontrano i nostri gusti "a pelle" e posso solo girarvi questo insegnamento, consigliandovi la visione de Il club delle prime mogli se ancora non l'avete guardato. Potreste rimanere piacevolmente sorpresi, com'è successo a me!


Di Goldie Hawn (Elise Elliot Atchison), Diane Keaton (Annie MacDuggan Paradis), Maggie Smith (Gunilla Garson Goldberg), Dan Hedaya (Morton Cushman), Victor Garber (Bill Atchison), Marcia Gay Harden (Dr.Leslie Rosen), Bronson Pinchot (Duarto Feliz), Eileen Heckart (Catherine MacDuggan), Rob Reiner (Dr. Morris Packman), Timothy Olyphant (Brett Artounian) e J.K. Simmons (Sceriffo federale) ho già parlato ai rispettivi link.

Hugh Wilson, che interpreta anche il regista dello spot, è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Scuola di polizia, Affittasi ladra e Cara, insopportabile Tess. Anche sceneggiatore, produttore e attore, è morto a gennaio, all'età di 74 anni.


Bette Midler interpreta Brenda Morelli Cushman. Hawaiiana, la ricordo per film come Su e giù per Beverly Hills, Hocus Pocus, Get Shorty e La donna perfetta, inoltre ha partecipato a serie quali La tata; come doppiatrice, ha lavorato nel film Oliver & Company e in un episodio de I Simpson. Anche cantante, produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 73 anni e un film in uscita.


Sarah Jessica Parker interpreta Shelly Stewart. Americana, conosciuta ai più come la Carrie di Sex and The City, la ricordo per film come Footlose, Navigator, Pazzi a Beverly Hills, Hocus Pocus, Ed Wood, Extreme Measures - Soluzioni estreme, Mars Attacks!, Sex and the City e Sex and the City 2, inoltre ha partecipato a serie quali Glee. Anche produttrice, ha 53 anni e un film in uscita.


Stockard Channing interpreta Cynthia Swann Griffin. Americana, conosciuta ai più come la Rizzo di Grease, la ricordo per film come Heartburn - Affari di cuore, Luna di fiele, Sei gradi di separazione, A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar, Moll Flanders e Amori & incantesimi, inoltre ha lavorato come doppiatrice nella serie American Dad!. Ha 74 anni.


Stephen Collins interpreta Aaron Paradis. Americano, ha partecipato a film come Tutti gli uomini del presidente, Star Trek, Jumpin' Jack Flash e a serie come Charlie's Angels e Settimo cielo. Ha 71 anni.


Elizabeth Berkley interpreta Phoebe LaVelle. Americana, ha partecipato a film come Showgirls, Ogni maledetta domenica, La maledizione dello scorpione di giada, S. Darko e a serie come Il mio amico Ricky, Raven, Una bionda per papà, Baywatch, Bayside School, CSI - Scena del crimine e CSI: Miami. Ha 46 anni.


Heather Locklear, in quel periodo star della serie Melrose Place, interpreta la nuova moglie di Gil, un cammeo non accreditato; anche Olivia Goldsmith, autrice del racconto da cui è tratto il film, fa una comparsata durante il funerale di Cynthia (è la donna che per prima vede Gil assieme alla nuova moglie) mentre Ivana Trump compare verso il finale nel ruolo di sé stessa. Jessica Lange era tra le candidate al ruolo di Elise, andato poi a Goldie Hawn, mentre Jenny McCarthy ha rifiutato la parte di Phoebe LaVelle. Il romanzo originale è stato riportato (sul piccolo schermo) nel 2016 con un film TV dallo stesso titolo dove figura Alyson Hannigan tra i protagonisti. Non avendolo visto non so se consigliarvelo o meno ma se Il club delle prime mogli vi fosse piaciuto potete recuperare La morte ti fa bella e She-Devil - Lei, il diavolo. ENJOY!

domenica 27 novembre 2016

Robert Altman Day - Gosford Park (2001)


Dopo una lunghissima pausa è arrivata Alessandra di Director's Cult a tirare fuori da letargico torpore il F.I.C.A., gruppetto di blogger sempre pronti ad unirsi per celebrare registi, attori e Cinema in generale. Oggi tocca a Robert Altman, a dieci anni dalla sua morte, finire sotto i riflettori e io ho scelto di riguardare un film che non vedevo dal lontano 2001, Gosford Park, premiato con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. ENJOY!


Trama: a Gosford Park, tenuta dell'opulenta famiglia McCordle, si riuniscono per un weekend tutti i più alti esponenti del parentado e qualche ospite più o meno illustre, oltre ai membri della relativa servitù. Tra una battuta di caccia e un pettegolezzo ci scapperà anche il morto...



Prima di cominciare il post, l'inevitabile premessa: di Altman avrò visto sì e no un paio di film, ovvero l'adorato M.A.S.H. e il bellissimo America oggi, con qualche spezzone di Popeye - Braccio di ferro da bambina. Ciò che ho guardato di suo mi è piaciuto ma non ho mai elevato il regista americano a feticcio, conseguentemente non mi sono mai documentata molto in merito, nemmeno ai tempi dell'università quando, per svariati motivi, mi è capitato di recuperare le pellicole di cui sopra e, ovviamente, Gosford Park. Visto al cinema, per inciso, non perché diretto da Altman ma semplicemente in quanto ambientato in un'Inghilterra affascinante, fatta di Ladyships e Lordships, dove la divisione tra chi sta al piano di sopra (i padroni) e chi in quello di sotto (i servi) è netta ma permeabile. Sì, lo ammetto, le ambientazioni alla Downton Abbey (che, secondo le intenzioni dello sceneggiatore Julian Fellowes, avrebbe dovuto essere uno spin-off del film poi ha preso tutta un'altra direzione) mi sono sempre piaciute tantissimo e il piglio tra il serio e il faceto con cui Altman ha scelto di affrontare questo ambiente probabilmente a lui sconosciuto è talmente interessante che le due ore e passa di film volano via come fossero mezza. Che poi, in soldoni, Gosford Park è un film fatto "di nulla", all'interno del quale l'unico evento davvero degno di nota è l'omicidio di uno dei protagonisti con conseguente investigazione; eppure, nonostante il fulcro dell'azione sia un delitto, chiunque capirebbe che Altman e compagnia non erano interessati a girare un giallo, quanto piuttosto un "documentario" antropologico imperniato sui rapporti tra servitù e padroni, su due microcosmi separati giusto da una rampa di scale. Logorroico e difficile da seguire, Gosford Park immerge subito lo spettatore in un intrico di parentele, nomi e legami dati per scontati ma che si chiariscono solo mano a mano che la pellicola prosegue, e che costringe a mettersi nei panni del servo che raccoglie spizzichi e bocconi di conversazioni per mettere insieme un quadro generale il più possibile esaustivo e, neanche a dirlo, succulento. Inutile fare domande dirette come il povero ispettore Thompson: in Gosford Park ogni informazione passa attraverso l'attenta e silenziosa osservazione, attraverso il rapporto privilegiato tra padroni e valletti personali, fatto di un amore/odio comprensibile soltanto da chi lo vive quotidianamente sulla propria pelle, attraverso riti e consuetudini che sicuramente a noi risultano ridicoli ma comunque imprescindibili per quel tipo di società.


Spinta dalla necessità di riuscire a cogliere anche il più piccolo sussurro e il più sottile degli sguardi indiscreti, la cinepresa di Altman si sdoppia e non sta mai ferma, sguscia dietro porte socchiuse e diventa parte integrante del fermento presente a Gosford Park in un weekend particolarmente difficile, soffermandosi sui mille lavori in cui sono impegnati cuochi, valletti, camerieri ed autisti e non liquidando alcun gesto come inutile o superfluo, neppure quelli dei nobili indolenti. E le emozioni, in tutto questo? In un mondo severamente regolato come quello di Gosford Park l'emotività è di norma riservata agli aristocratici, che la trasformano in un teatrino con il quale è difficile empatizzare. La sofferenza, quella vera in quanto costretta a rimanere celata, è prerogativa di quella servitù tanto disprezzata quanto necessaria, al punto che le scappatelle notturne si sprecano, come se i padroni cercassero disperatamente qualcosa di "reale" a cui appigliarsi al di là dei freddi rapporti tra pari. E' per questo che Gosford Park trova il suo punto di forza principalmente negli attori, sia nei grandi nomi capaci di mangiare la scena con poche battute che nelle semplici comparse, ancora più genuine ed indispensabili in un film corale come questo. Nella miriade di attoroni che popolano i due piani di Gosford Park ce ne sono alcuni che hanno catturato particolarmente la mia attenzione e che reputo degni di menzione, fermo restando che tutti i coinvolti avrebbero meritato l'Oscar. Cominciamo con sua maestà Maggie Smith, un concentrato di wit, cattiveria, taccagneria e sguardi fulminanti, la vecchia carampana che neppure il capofamiglia vuole avere accanto durante il pranzo, e continuiamo scendendo al piano inferiore, dove si nascondono le vere perle: l'impacciata ma decisa Kelly MacDonald, la compassata Helen Mirren, la magnetica Emily Watson, il miserevole Alan Bates e quella faccia da schiaffi di Richard E. Grant che come servo farebbe venire i brividi persino a Tim Curry sono gli attori che mi hanno colpita più di tutti ma probabilmente l'elenco cambierebbe a seconda dello spettatore, tanto non ce n'è uno che sia meno che bravissimo. In conclusione sono dunque felicissima di aver riguardato Gosford Park e di averlo finalmente potuto vedere in inglese, che persino nel 2001 avevo capito quanto più potente sarebbe stato un film simile in lingua originale, quindi grazie Robert Altman per questo particolarissimo esperimento cinematografico!

Robert Altman ha già fatto capolino sul Bollalmanacco col suo M.A.S.H., racconto anti-militare zeppo di humour nero.


I miei compagni di ventura hanno invece partorito questi post, che vi consiglio di leggere:

Director's Cult - I protagonisti
Non c'è paragone - Nashville
Solaris - Radio America
White Russian - I compari



venerdì 6 dicembre 2013

Bollalmanacco On Demand: Invito a cena con delitto (1976)

Torna l’appuntamento con il Bollalmanacco On Demand! Per fortuna ho dei “clienti” clementi che mi propongono di vedere un sacco di film carini; questa volta ringrazio Elenina per aver richiesto Invito a cena con delitto (Murder by Death), diretto nel 1976 dal regista Robert Moore. Il prossimo film On Demand sarà invece L'inventore di favole. ENJOY!


Trama: Il misterioso Lionel Twain convoca nella sua dimora gli investigatori più famosi del mondo assieme ai loro assistenti per sfidarli. Durante la cena, infatti, avverrà un omicidio proprio davanti agli occhi di tutti i presenti… e le menti più brillanti del mondo dovranno cercare di capire l’identità dell’assassino oppure tornare a casa con le pive nel sacco.


Invito a cena con delitto è uno di quei film che avrò visto sicuramente da bambina, magari a pezzi, perché ricordavo benissimo l’esilarante faccetta di un Peter Sellers truccato da investigatore cinese, però non mi era mai capitato di guardarlo tutto e con attenzione. Malissimo, perché Invito a cena con delitto è una delle cose più esilaranti che siano mai state girate, superiore persino a Signori, il delitto è servito, che è uno dei miei film preferiti. Fin dall’inizio, infatti, la sceneggiatura di Neil Simon non lascia un attimo di respiro e snocciola una sequenza ininterrotta di giochi di parole, gag, situazioni paradossali, parodie e chi più ne ha più ne metta, garantendo un divertimento pressoché ininterrotto, sia per chi è appassionato di letteratura gialla sia per chi, come me, ne è quasi totalmente a digiuno. I personaggi sono infatti riconoscibilissimi e ben caratterizzati nei loro tic e vezzi e, soprattutto, nella loro incredibile supponenza davanti a chi non è “del mestiere”, come gli esilaranti e rispettivi assistenti, mogli o figli… e, diciamocelo, vedere sbertucciati i modelli a cui persino i giapponesi si rifanno ancora oggi per la pedanteria e l’infallibilità di Detective Conan fa sempre piacere.


Al servizio di questa sceneggiatura praticamente perfetta troviamo degli attori altrettanto indispensabili per garantire la riuscita dell’operazione e, ovviamente, indimenticabili. Inutile dire che Peter Sellers surclassa i colleghi con il suo geniale Wang, un concentrato di modi di dire cinesi e pura malvagità nei confronti del povero figlio adottato Willie, ma anche gli altri danno letteralmente il bianco. Il mio eterno amore va ad un insospettabile Sir Alec Guinness che, con il suo maggiordomo cieco e i duetti con la cameriera sorda e muta, mi ha fatta ridere fino alle lacrime e non si sottrae nemmeno a scene che lo vedono seminudo o quasi en travesti, ma anche la “badante” di Miss Marbles, un inedito Peter Falk nei panni di un duro da operetta e, soprattutto, la geniale accoppiata belga tra James Coco e un giovanissimo James Cromwell meriterebbero l’Oscar (il dialogo sul cioccolato e le “nuts” all’inizio è da antologia!) della risata. Curatissimi e molto belli anche le scenografie e i costumi, mentre gli effetti speciali mantengono quell'aria volutamente "finta" che rende ancora più efficace la parodia e i titoli di testa, disegnati nientemeno che da Charles Addams, danno all'intera operazione un tocco di eleganza vintage che non guasta mai. Quindi, mi tocca ri-ringraziare Elenina per avermi fatto ripescare questo piccolo gioiellino di humor nero e a voi consiglio di fare la stessa cosa! 


Di Peter Falk (Sam Diamond), Peter Sellers (Sidney Wang), Maggie Smith (Dora Charleston) e James Cromwell (Marcel) ho già parlato ai rispettivi link.

Robert Moore è il regista della pellicola. Americano, ha diretto anche A proposito di omicidi… . Anche attore, è morto nel 1984 all’età di 56 anni.


Eileen Brennan (vero nome Verla Eileen Regina Brennen) interpreta Tess Skeffington. Americana, la ricordo per film come La stangata, Signori, il delitto è servito e Jeepers Creeper; inoltre, ha partecipato alle serie Il tenente Kojak, Love Boat, Magnum P.I., Quell’uragano di papà, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, ER medici in prima linea, Nash Bridges, Innamorati pazzi, Lizzie McGuire, Will & Grace e ha lavorato come doppiatrice per alcuni episodi di Bonkers. E’ morta a luglio, all’età di 80 anni. 


Alec Guinness (vero nome Alec Guinness de Cuffe) interpreta Bensonmum. Inglese, lo ricordo per film come La signora omicidi, Il ponte sul fiume Kwai (Oscar come miglior attore protagonista), Il nostro agente all’Avana, Lawrence D’Arabia, Il dottor Zivago, Fratello sole, sorella luna, Guerre stellari, L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi. Anche sceneggiatore, è morto nel 2000 all’età di 86 anni.


Elsa Lanchester (vero nome Elizabeth Lanchester Sullivan) interpreta Jessica Marbles. Inglese, ha partecipato a film come La moglie di Frankenstein, Torna a casa Lassie!, Il giardino segreto, Mary Poppins ed F.B.I. Operazione gatto. E' morta nel 1986, all'età di 84 anni.


David Niven (vero nome James David Graham Niven) interpreta Dick Charleston. Inglese, ha partecipato a film come Cleopatra, Gli ammutinati del Bounty, Il giro del mondo in 80 giorni, Tavole separate (Oscar come miglior attore protagonista), La pantera rosa, Casino Royale, Una ragazza, un maggiordomo e una lady, Assassinio sul Nilo, Sulle orme della pantera rosa e Pantera rosa - Il mistero Clouseau. Anche produttore e regista, è morto nel 1983 all'età di 73 anni.


La guest star del film è ovviamente Truman Capote, che interpreta il misterioso Lionel Twain. Non essendo appassionata di film o storie di detective non è stato facile per me capire tutti i modelli di riferimento, soprattutto per quel che riguarda la coppia formata da David Niven e Maggie Smith ma, per fortuna, internet mi è venuta in soccorso e ho scoperto che il modello base, in questo caso, sono le pellicole dedicate a L'uomo ombra con William Powell e Myrna Loy la quale, peraltro, ha rifiutato il ruolo di Mrs. Charleston per evitare di autoparodiarsi (il rifiuto dell'attrice, peraltro, ha fatto sì che anche Katharine Hepburn rinunciasse a partecipare). Orson Welles invece è stato costretto a rinunciare al ruolo di Wang perché impegnato a teatro. Se siete fan del film vi verrà il nervoso sapendo che nelle reti TV USA passa una versione con tre scene assenti sia da quella cinematografica che dal DVD, nelle quali si vede Peter Sellers nei panni del tassista di Miss Marbles, Tess che viene quasi investita dai coniugi Charleston e, soprattutto, l'arrivo di Watson e Holmes dopo che tutti gli altri investigatori stanno tornando a casa. Per finire, se Invito a cena con delitto vi fosse piaciuto, recuperate Signori, il delitto è servito.

martedì 21 maggio 2013

Quartet (2012)

E’ ormai passato parecchio da quando, durante il viaggio di ritorno dal Giappone, sono riuscita a vedere Quartet, primo film da regista (anche se aveva già girato alcune scene del film Vigilato speciale) di Dustin Hoffmann, uscito negli USA nel 2012. Riuscirò a buttare giù una recensione sensata? Proviamo!


Trama: una casa di riposo per anziani musicisti rischia di chiudere per mancanza di fondi. L'arrivo di una diva della lirica sarà però l'occasione per riunire un famoso quartetto di grande richiamo...


Era da qualche tempo che volevo vedere Quartet, film che mi aveva intrigata fin dalla visione del trailer. Per fortuna non sono rimasta delusa, perché la pellicola rientra in uno di quei generi che, col tempo, mi sono diventati più congeniali, le commedie dal sapore inglese e dal retrogusto dolceamaro. Quartet, infatti, tratteggia con aggraziata ironia la vita di un gruppetto di anziani ex-musicisti, tutti con le loro peculiarità e i loro problemi, ognuno dotato di una spiccata ed interessante personalità che la sceneggiatura riesce a fare emergere senza togliere spazio a nessuno: c'è il tombeur de femmes che non rinuncia mai ad essere galante, il vecchio trombone scorbutico che si ritiene migliore di tutti gli altri, la diva apparentemente superficiale che nasconde un'incredibile insicurezza, la dolce signora affetta da senilità, il burbero che cerca di dimenticare il passato e rifarsi una vita, ecc. ecc. Tutti questi personaggi interagiscono tra loro in modo assai armonioso, come se fossero strumenti utilizzati per comporre una sinfonia e ogni piccolo gesto, parola o episodio si incastra perfettamente agli altri, formando così uno sfaccettato e coloratissimo quadro.


Dustin Hoffman dirige con mano ferma ma leggera, prediligendo soluzioni classiche e lasciando che siano gli attori, semplicemente meravigliosi, a fare tutto. Al di là dei grandi nomi, Maggie Smith e Billy Connolly su tutti, semplicemente perfetti (quando Jean li manda tutti a quel paese con incredibile dignità e riserbo inglese ho rischiato di ribaltarmi dalla poltrona per il gran ridere, applausi a scena aperta!!), ho amato soprattutto Pauline Collins e la sua dolcissima Cissy, un personaggio che racchiude in sé molti degli aspetti più tristi della vecchiaia; nonostante incarni una delle anime "comiche" del film, Cissy commuove il pubblico in alcune sequenze che mostrano la tragedia della solitudine, il bisogno di avere degli amici o una famiglia accanto, l'impotenza di vedersi sfuggire tra le dita importanti ricordi e persino la consapevolezza di sé stessi. Voi ora forse penserete che Quartet viri sul patetico, ma non è affatto così; questi arzilli vecchietti esprimono vivacità e forza attraverso la musica e, considerando che molti attori sono davvero degli ex musicisti, la passione che mettono nei numeri musicali è autentica e coinvolgente. Quanto al Quartet del titolo, è molto interessante la scelta di non farlo sentire alla fine. Forse perché, come spesso accade, è più importante il viaggio della meta? Molto probabilmente sì ed è anche per questo che consiglio a tutti questo delizioso Quartet.


Del regista Dustin Hoffmann ho già parlato qui. Maggie Smith (Jean Horton), Billy Connolly (Wilf Bond) e Michael Gambon (Cedric Livingston) li trovate invece ai rispettivi link.

Tom Courtenay (vero nome Thomas Daniel Courtenay) interpreta Reginald Paget. Inglese, ha partecipato a film come Il dottor Zivago, Il servo di scena, La bussola d’oro e Treno di notte per Lisbona. Ha 76 anni.


Pauline Collins interpreta Cissy Robson. Inglese, ha partecipato a film come Shirley Valentine – la mia seconda vita, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni e Albert Nobbs, alla miniserie Bleak House e ad alcuni episodi di Doctor Who. Ha 73 anni.


Se il film vi fosse piaciuto consiglio la visione di Billy Eliott e magari anche del divertentissimo Full Monty. ENJOY!!

mercoledì 11 luglio 2012

Hook - Capitan Uncino (1991)

In questi giorni caldi ho deciso di riguardare quello che è praticamente diventato un classico della programmazione televisiva natalizia, ovvero Hook – Capitan Uncino (Hook), diretto nel 1991 dal regista Steven Spielberg.


Trama: Peter Banning è un avvocato che mette sempre la carriera davanti alla famiglia e, soprattutto, ai figli. Durante un viaggio in Inghilterra questi ultimi vengono rapiti da Capitan Uncino; trascinato dalla fatina Trilly sull’Isola che non c’è, Peter arriverà a ricordare che il suo vero cognome non è Banning… ma Pan.


Hook rappresenta uno di quegli incredibili casi in cui, guardando alcuni spezzoni di film, si viene assaliti da una nostalgia canaglia e da un ricordo meraviglioso della pellicola in questione, accompagnati da una potentissima voglia di rivederla. Poi, quando si prende il DVD e ci si immerge nella visione, si rimane inevitabilmente delusi. Intendiamoci, Hook è sempre un film diretto da Spielberg, interpretato da attori della madonna, basato su una delle storie per l’infanzia più belle di sempre… ma la delusione deriva proprio dal fatto che, con tutti questi elementi per le mani, sarebbe dovuto uscire fuori un capolavoro, e invece la sensazione che ho avuto è stata quella di trovarmi davanti ad un’occasione sprecata. L’idea su cui si basa la sceneggiatura è molto intrigante: Peter Pan un giorno ha deciso di andarsene dall’Isola che non c’è e crescere, diventando l’antitesi di tutti i valori promossi nel suo luogo di origine. Ci troviamo quindi davanti un avvocato noioso, tutto lavoro e niente divertimento, talmente impegnato da non avere neppure il tempo di fare il padre e, soprattutto, assolutamente dimentico della sua infanzia. Su queste premesse gli sceneggiatori costruiscono il confronto tra la natura dei due personaggi protagonisti, Peter Pan e Capitan Uncino, che rispettivamente incarnano il desiderio di vivere la vita senza pensare al domani e la paura del tempo che passa, della vecchiaia che incombe; mentre Peter, pur sbagliando durante il percorso, ha deciso di crescere e allontanarsi dall’Isola che non c’è per vivere un’avventura imprevedibile, Uncino ha deciso di rimanere testardamente ancorato alla sua vecchia vita, diventando una sorta di spauracchio eterno, immutabile e inevitabilmente annoiato. A fare da corollario a questo interessante confronto, però, ci sono degli elementi che sgonfiano inevitabilmente la pellicola, banalizzandola.


Accanto, infatti, a momenti esilaranti come i confronti tra Uncino e Spugna o ad immagini poetiche e commoventi come le sequenze in cui Peter ricorda la sua infanzia, il suo stupore nel vedere Wendy invecchiare sempre di più, l’incontro con la sua futura moglie addormentata, oppure quelle in cui i Bimbi Sperduti lo riconoscono e lo accettano come Peter Pan, c’è tutto un corollario di bambinate e secchiate di melassa francamente inutili (Trilly che confessa il suo amore a Peter, tanto per dirne una, o la pedante e ridondante moraletta finale). Anche la regia di Spielberg e le sequenze d’azione sembrano fiacche, quasi dei banali riempitivi attaccati alla bell’e meglio all’ossatura della trama, che senza un attimo di dubbio o incertezza ci scodella un paio di prove organizzate dai bimbi ai danni del vecchio Peter, qualche scontro con il galletto Rufio (talmente “simpatico” che sfido chiunque a piangere davanti al destino che gli prospetta il finale…), una triste canzoncina disneyana e una battaglia contro i pirati priva di suspance e molla quanto il parrucchino del povero Uncino. Quanto agli effetti speciali, ormai il tempo ha lasciato il segno anche su di loro; la lucetta soffusa intorno a Trilly è ancora molto naturale, ma le scene in cui i personaggi volano cominciano a risultare fasulle quanto delle monete da 5 euro.


Sul piano delle scenografie, dei costumi e degli attori, invece, bisogna levarsi il cappello. Le icone dell’Isola che non c’è, come la nave di Uncino, il covo dei Pirati e quello dei Bambini Sperduti, vengono riprodotti in modo splendido, e anche la metamorfosi di Peter da Banning a Pan ha dell’incredibile nella sua semplicità: calzamaglia a parte, il trucco che lo ringiovanisce rispetto all’inizio non è affatto teatrale o pesante, inoltre fa in modo che la naturale vivacità degli occhi di Robin Williams risalti ancora di più, mentre basta solo un’acconciatura leggermente diversa per dare l’impressione che all’attore siano venute le orecchie a punta. Anche la mise di Dustin Hoffman, superbo e malvagio Capitan Uncino, è perfetta perché, pur rifacendosi all’iconografia disneyana del personaggio, lo fa lasciando intravedere il vecchio, debole e patetico essere umano che si nasconde sotto la nera e boccolosa parrucca in stile Re Sole. Tra gli attori inoltre, assieme ai due colossi già nominati, spicca una meravigliosa Maggie Smith che da sola varrebbe la visione dell’intera pellicola: all’età di soli 57 anni l’attrice inglese è stata costretta a vestire i panni della novantaduenne e lo fa con una sensibilità, una grazia, una dignità tali che verrebbe voglia di prendere la malinconica nonna Wendy, costretta a lasciare l’amato Peter Pan alla figlia abbandonando per sempre le avventure vissute sull’Isola che non c’è, e abbracciarla forte. In conclusione, se non avete mai visto Hook ve lo consiglio nonostante le imperfezioni, mentre se, come me, ne conservate un meraviglioso ricordo, forse è il caso di non recuperarlo a meno che non vogliate guardarlo con i vostri bimbi, che sicuramente ne rimarranno deliziati!


Del regista Steven Spielberg (che interpreta anche un pirata) ho già parlato qui, mentre Dustin Hoffman (Capitan Uncino), Julia Roberts (Campanellino) e Maggie Smith (nonna Wendy) li potete trovare ai rispettivi link.

Robin Williams interpreta Peter Banning. Sicuramente uno dei più grandi attori americani viventi (anche se da parecchi anni la sua carriera ha subito un discreto declino), lo ricordo per film come Popeye – Braccio di ferro, Good Morning, Vietnam, L’attimo fuggente, Cadillac Man, Mister occasionissima, Risvegli, La leggenda del re pescatore, Toys – Giocattoli, Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre, Nine Months – Imprevisti d’amore, A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar, Jumanji, Piume di struzzo, Jack, L’agente segreto, Hamlet, Harry a pezzi, Flubber – Un professore fra le nuvole, Will Hunting – Genio ribelle (che gli è valso l’Oscar come miglior attore non protagonista), Al di là dei sogni, Patch Adams, L’uomo bicentenario, A.I. Intelligenza Artificiale, One Hour Photo e Insomnia; inoltre ha partecipato alle serie La famiglia Bradford, Happy Days, Mork e Mindy, Friends e doppiato il personaggio del Genio nel film Aladdin. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 61 anni e tre film in uscita. 


Bob Hoskins (vero nome Robert William Hoskins) interpreta Spugna, ruolo che ha ripreso inoltre nella miniserie Neverland. Altro grandissimo attore americano, sicuramente uno dei miei preferiti, lo ricordo per film come Brazil, Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Sirene, Super Mario Bros., Gli intrighi del potere, L’agente segreto e Michael; ha doppiato inoltre uno dei personaggi di Balto. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 70 anni e un film in uscita. 


Caroline Goodall interpreta Moira. Inglese, ha partecipato a film come Cliffhanger, Schindler’s List e serie come Oltre i limiti, CSI e Alias. Ha 53 anni e un film in uscita.


Charlie Korsmo (vero nome Charles Randolph Korsmo) interpreta Jack. Americano, ha partecipato a film come Dick Tracy e Giovani, pazzi e svitati. Ha 34 anni.


Nel 1992 il film ha ricevuto cinque nomination agli Oscar: miglior scenografia, migliori costumi, migliori effetti speciali, miglior trucco e miglior canzone originale per la melensa When You’re Alone, unica canzone superstite del musical Hook che John Williams aveva cominciato a scrivere nel 1985 prima di abbandonare il progetto. Tra le guest star figurano nomi parecchio famosi, come Phil Collins (è l’ispettore che investiga sul rapimento di Jack e Maggie), una diciannovenne e non ancora famosa Gwyneth Paltrow (Wendy da giovane), una Glenn Close ben camuffata nei panni del pirata che viene chiuso nella cassa con gli scorpioni, e per finire Carrie Fisher e George Lucas che si baciano sul ponte mentre Campanellino porta via un infagottato Peter verso l’Isola che non c’è.  Kevin Kline avrebbe dovuto interpretare proprio Peter Pan, ma le riprese del demenziale Bolle di sapone glielo hanno impedito mentre invece David Bowie, purtroppo, ha rifiutato il ruolo di Capitan Uncino. Infine se, come me, vi siete sempre chiesti che significato avesse il “Bangarang” urlato spesso dai bimbi sperduti, pare sia slang giamaicano e che significhi semplicemente “Casino!” E con questo concludo dicendo che, se il film vi fosse piaciuto, potreste recuperare Jumanji, Inkheart - La leggenda del cuore d'inchiostro, Stardust e, per approfondire l'argomento, Peter Pan (il cartone Disney e la versione del 2003 con Jason Isaacs) e Neverland - Un sogno per la vita. ENJOY!!!


mercoledì 20 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte - parte II (2011)

Avete ripassato tutti i libri? Avete riguardato tutti i film o, perlomeno, il penultimo? Sarebbe meglio, visto che sto per imbarcarmi nella recensione di Harry Potter e i doni della morte – parte II (Harry Potter and the Deathly Hollows – part II), il finale della saga del maghetto creato da J.K.Rowling, diretto dall’ormai veterano David Yates.



Trama: avevamo lasciato Harry, Ron ed Hermione a Villa Conchiglia, salvi grazie al sacrificio dell’elfo Dobby, mentre il buon Lord Voldemort, dopo aver profanato la tomba di Silente, si appropriava dell’invincibile bacchetta di Sambuco. Ora i nostri devono penetrare alla Gringott, dove sicuramente è nascosto un altro Horcrux, e tornare a Hogwarts per la battaglia finale…



Lasciatemi subito dire una cosa: sono soddisfatta di questo ultimo capitolo, sicuramente uno dei pochi che è riuscito a mantenere un miracoloso equilibrio tra fedeltà all’opera originale ed esigenze cinematografiche. La saga di Harry Potter si è così degnamente conclusa con un film che, effettivamente e purtroppo, approfondisce poco e si distacca quasi completamente dalle spiegazioni filosofiche e morali della Rowling, ma che nel compenso ci regala delle splendide immagini e, finalmente, una battaglia conclusiva degna di questo nome, dopo le clamorose mancanze del sesto episodio.



All’ingresso del cinema, avevo “solo” tre punti fermi che regista e sceneggiatori avrebbero dovuto mantenere, a costo di partire per gli USA e fare sommaria giustizia: il duello tra Bellatrix e Molly, il tanto atteso bacio tra Ron ed Hermione e, soprattutto, una degna rappresentazione del passato di Piton. Sono stata esaudita in parte perché, se è vero che la sequenza dedicata a Severus è commovente, poetica e molto dolorosa (splendide le immagini delle foglie tramutate in mille piccoli uccellini e quella, straziante, della scoperta del cadavere di Lily, che mi ha fatto versare copiose lacrime) e il bacio tanto bramato è stato accolto in sala da un’ovazione da stadio, il duello che la Rowling è riuscita a rendere toccante ed emozionante in due parole viene invece trattato nel film come una mera postilla, quasi un riempitivo. Per il resto, sufficienza piena con qualche riserva. La trama viene sfoltita parecchio, semplificata ma non impoverita, vengono aggiunte nuove scene, trovate nuove soluzioni per descrivere quello che già ci aveva mostrato la scrittrice inglese, la figura di Silente viene quasi completamente “ripulita” (per la serie: che ci frega che, in fin dei conti, fosse un uomo di mmmm…? D’altronde, chi se l’è mai filato?!? Però magari qualche parola in più sul passato di Aberforth, Ariana e Grindelwald potevano spenderla a beneficio di chi è digiuno dai romanzi…) e il parallelo con Gandalf viene infine reso in tutta la sua ovvietà, trasformando il barbuto mago in una sorta di Yoda che elargisce al povero Harry dei consigli inutili quanto il sostegno dei defunti che lo accompagnano al confronto finale con Voldemort.



E che confronto!! Le scene della battaglia, come ho detto, sono epiche. Dopo un’introduzione da brivido, con agghiaccianti urla femminili ad accompagnare la voce di Voldemort, alla faccia dei 300 e di Hero i Mangiamorte salutano Hogwarts con una pioggia di scintille manco fosse il quattro luglio, prima di una corsa mozzafiato su un ponte in pieno stile action movie e, per tornare in tema Signore degli Anelli, arrivano anche giganti armati di falci e statue di pietra semoventi. Il ritmo del film diventa così talmente frenetico che, prima della pausa tra un attacco e l’altro, sembra siano passati solo una ventina di minuti dall’irruzione dei nostri alla Gringott, altra sequenza diretta magistralmente, con una vorticosa discesa nelle segrete della banca e un’impressionante fuga a dorso di Drago (non di Draco. A quello ci arriviamo dopo!). Dopo averci mostrato, comunque, il destino di Piton, il film giustamente e necessariamente rallenta per introdurci nella parte più “riflessiva”, per darci il tempo di piangere i defunti (punto a sfavore: la morte di Fred manca assolutamente di pathos, un altro episodio “di passaggio”, messo tanto per dare un contentino) e prepararci alla necessaria riflessione con morale annessa e inevitabile nostalgia per il tempo che fu, accompagnata alla consapevolezza che questa (a meno che la Rowling non ci ripensi) sarà l’ultima volta che vedremo Harry, Ron ed Hermione, ormai cresciuti e pronti a congedarsi dal pubblico (lacrimuccia, lacrimuccia). Rimane giusto il tempo per uno stacco temporale che ci porta in avanti di 19 anni, ma qui subentriamo nei difetti del film e nei momenti esilaranti. Apriamo quindi un altro paragrafo!



Lucius... vabbé, lo sai cosa mi necessita... :Q______


Ah, l’ironia, la sublime ironia. A volte volontaria, e questo Harry Potter e i doni della Morte – Parte II è molto più ironico del cupo libro della Rowling, ricco di momenti esilaranti affidati ad un Ron che, come sempre, è mattatore ma stavolta anche fichissimo eroe, ad un Neville che viene schernito dai Mangiamorte manco fossimo in un film dei Vanzina e si profonde in dichiarazioni amorose ad una perplessa (e meravigliosa) Luna Lovegood, ad una splendida Minerva MacGrannitt che manda a spigolare il povero Gazza (costretto a pulire fino all’ultimo) e ad un incazzosissimo Voldemort che per ogni “Mio Signore…” pigolato da uno dei suoi lacché risponde con un inequivocabile “AVADA KEDAVRA!!” che fa a pugni con la sua vocina dolce e sommessa (il doppiatore italiano in questo caso merita voto 10). Per quanto riguarda l’ironia involontaria sconfinante nel trash la palma d’oro va invece all’inutile ultimo capitolo, quel “19 anni dopo” che è commovente ed indispensabile nel libro della Rowling, ma che al cinema mette solo una gran tristezza. Colpa dei truccatori, gente. Un conto è sbattersi per rendere credibile Brad Pitt in un film come Il curioso caso di Benjamin Button, dove gli effetti speciali e il make – up per ringiovanire o invecchiare il protagonista dovevano essere al top pena la rovina dell’intera pellicola, ma qui si vede che han fatto proprio un lavoro a tirar via. Ma io mi chiedo QUALE trentottenne andrebbe in giro conciato come i protagonisti da adulti???? Gli unici che se la cavano sono Harry ed Hermione, ma Ron con la buzza che gli tende un’orrenda camicia di flanella non si può guardare, e Ginny versione Desperate Housewife con capello rosso cotonato e calza 90 denari viola è semplicemente imbarazzante, anche se il peggio conciato è lo stempiatissimo Draco Malfoy, che dimostra più o meno 90 anni (i geni di Lucius non hanno attecchito pare. Oddio, ho detto Lucius. Scusate, la bava, ehm…). Inguardabile anche il ringiovanimento al computer di Piton durante i flashback, salvato solo dall’innegabile bravura di Alan Rickman. E fu così che arrivammo a parlare degli attori…



Ovviamente, in un film così corale ci possono essere poche figure di spicco (nonostante il protagonista, Daniel Radcliffe, sia sempre espressivo come un gatto di marmo…) e tante piccole parti che invece non sviluppano appieno il loro potenziale, ma lasciatemi levare il cappello davanti alla misurata, dolce interpretazione di Evanna Lynch nei panni di Luna Lovegood, troppo poco sullo schermo, ahimé, ma abbastanza per entrare nel cuore. Sempre bravissimi Rupert Grint ed Emma Watson, che qui duettano in modo superbo nel mostrare il nuovo legame nato tra Ron ed Hermione; magistrale Alan Rickman nel suo ambiguo, profondissimo ruolo, che purtroppo perde sempre nel doppiaggio italiano (la sua vera voce è insostituibile, sorry); stupenda Helena Bonham Carter nel doppio ruolo di un’Hermione sotto effetto della pozione polisucco, impacciata sui tacchi ed imbarazzata, e in quello della solita, perfida e affascinante Bellatrix; immancabile Jason Isaacs, a confermare come non importa quanto il suo personaggio sia abbruttito, sfigato e vessato da Voldemort (un po’ deludente, per essere il villain, lo ammetto, anche se Ralph Fiennes è sempre bravo!!), perché basta il sangue puro a rendere sexy un mago, anche quando fugge a gambe levate dalla battaglia! Infine, un applauso a Matthew Lewis che, dopo sette film, ha finalmente l’occasione di mostrare tutta la bellezza del suo sottovalutato Neville Paciock, l’anima umile e sfigata di ogni spettatore che avrebbe voluto andare a Hogwarts. Compresa la sottoscritta, ovvio.



Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Julie Walters (Molly Weasley), Jason Isaacs (Lucius Malfoy), Robbie Coltrane (Hagrid), Ralph Phiennes (Voldemort), Michael Gambon (Albus Silente), Emma Thompson (la professoressa Sibilla Cooman), Gary Oldman (Sirius Black) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).

Maggie Smith (vero nome Margaret Natalie Smith) interpreta la professoressa Minerva McGrannitt. Una delle più grandi attrici inglesi viventi, vincitrice di due Oscar, la ricordo, oltre che per tutti i film della serie Harry Potter, per pellicole come Invito a cena con delitto, Camera con vista, Hook – Capitan Uncino, Sister Act – Una svitata in abito da suora (e seguito) e Gosford Park. Ha 77 anni e due film in uscita.



Kelly MacDonald interpreta il fantasma di Helena Corvonero. Scozzese, la ricordo per film come Trainspotting, Elizabeth, Gosford Park, Neverland – Un sogno per la vita e Non è un paese per vecchi, inoltre ha partecipato ad un episodio della serie Alias. Ha 35 anni e tre film in uscita.



Ciarán Hinds interpreta Aberforth Silente. Irlandese, ha partecipato a film come Excalibur, Mary Reilly, Il mistero dell’acqua, Era mio padre, Calendar Girls, Il fantasma dell’Opera e Il rito. Ha 58 anni e cinque film in uscita, tra cui il seguito dell’orrendo Ghost Rider, che uscirà nel 2012 (speriamo il mondo finisca prima!!) e che avrà per protagonista sempre Nicolas Cage. Orrore.



David Thewlis (vero nome David Wheeler) interpreta Remus Lupin. Inglese, ha partecipato a film come Poeti dall’inferno (ma poveraccio, non se lo ricorderà nessuno visto che gli occhi delle bimbeminkia dell’epoca erano tutti per Leonardo Di Caprio..), Dragonheart, Sette anni in Tibet, Il grande Lebowski, Gangster N°1 e The Omen. Anche regista e sceneggiatore, ha 48 anni e tre film in uscita.



Warwick Davis interpreta sia il professor Vitious che il folletto Unci Unci. Voi forse non lo sapete, ma ci siete cresciuti con il nanetto inglese, e lo capirete scorrendo i titoli dei film a cui ha partecipato, cose come Il ritorno dello Jedi, Labirynth dove tutto è possibile, Willow e soprattutto Leprechaun (e tutti i seguiti, gente, il Leprechaun è LUI!!). Anche sceneggiatore e produttore, ha 41 anni e due film in uscita.



E con questo si concludono sia la recensione che la serie di Harry Potter. Grazie a J.K.Rowling per avere creato un mondo così fantasioso popolato da personaggi così reali. Grazie a tutti gli attori e i registi che, tra alti e bassi, si sono adoperati per rendere immortale la saga del maghetto anche su pellicola. Per parafrasare Silente: “Certo, tutto questo è solo nelle nostre teste… ma perché diavolo dovrebbe essere meno reale?” Vi lascio con un piccolo tributo a tutti questi anni di avventure cinematografiche, se ne trovate uno migliore fatemelo sapere, provvederò a metterlo. ENJOY!!!

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