mercoledì 8 gennaio 2025

Maria (2024)

Un altro film che non volevo assolutamente perdere la prima settimana dell'anno era Maria, diretto dal regista Pablo Larraín.


Trama: il film ripercorre gli ultimi sette giorni di vita di Maria Callas, tra allucinazioni e dolorosi ricordi...


Dopo Jackie e Spencer, Pablo Larraín si cimenta con un'altra dea, anzi, con LA Divina per eccellenza, la soprano Maria Callas. Ora, a scanso di equivoci, io non so nulla né della Callas né dell'opera, mi limito a canticchiare talvolta le arie più famose senza, peraltro, saperle collocare o dare loro dei titoli, e l'unica opera alla quale abbia mai assistito è l'Aida. Nonostante questo, sono anche una di quelle persone particolarmente sensibili al canto lirico, che mi provoca brividi lungo la schiena e mi lascia lì, incantata e a bocca aperta. Guardando Maria, ho provato queste sensazioni per un buon 70% della sua durata; questo perché, come ho scoperto leggendo un paio di articoli a tema, è vero che nel corso della maggior parte del film la voce reale della Callas è stata sovrapposta a quella della Jolie, ma l'attrice ha preso mesi di lezioni e lo sforzo nel canto è visibile, così come il sentimento, il trasporto infuso in esso, finché, sul finale, si possono udire i risultati di tutto il suo impegno, senza ausilio della tecnologia, o quasi. Dunque, ho avuto brividi dall'inizio alla fine di Maria, e mi sono commossa più volte, e non poteva essere altrimenti. Maria non è un film biografico, è letteralmente un'opera in tre atti, più curtain call finale, nella quale l'attrice si confronta con in fantasmi del suo passato e si fa fantasma lei stessa. C'è ben poco di realistico in ciò che si vede sul grande schermo. Ogni cosa, persino il quotidiano con due servitori buoni che sembrano quasi archetipi teatrali, più che persone vere, è filtrato dallo sguardo di una donna che ha vissuto per il bel canto e per la musica fino a diventarne schiava, prigioniera di una gabbia dorata oltre la quale non c'è vita, non c'è la Divina Callas, ma solo l'anonima "Maria". All'inizio del film, la protagonista è morta. La sceneggiatura e la regia confezionano una ghost story in cui la Callas ripercorre gli ultimi giorni della sua vita in forma di intervista per un documentario immaginario, durante i quali non esiste una dimensione temporale definita; come un fantasma, la Divina "infesta" i luoghi a lei più cari, quali l'appartamento di Parigi e il teatro di prova, e passeggia per una Ville Lumière che diventa, alternativamente, un paradiso fatto di visioni di un glorioso passato, o un inferno in cui la protagonista è costretta a rivivere i momenti più dolorosi della sua vita o ad essere apostrofata con violenza da sconosciuti arroganti che vedono le loro aspettative tradite. Lo spettatore viene messo di fronte a una fragilità estrema dissimulata da un carattere forte, volitivo e, talvolta, insopportabile, capricci che diventano reazione al tradimento di un corpo (rivelatosi men che divino) incapace di stare dietro al desiderio della diva di cantare, proprio nel momento in cui il canto sarebbe nato non da necessità, ma da pura volontà, da puro amore.  


La regia di Larraín asseconda la sceneggiatura di Steven Knight creando non-luoghi dall'impianto teatrale squisito e dà vita alle visioni della protagonista, trasformando le vie di Parigi in sontuosi palcoscenici pieni di comparse pronte a mettersi a fare da coro alla Divina, oppure rievocando l'elegante bianco e nero di patinati cinegiornali, nel corso dei quali viene messo in scena il legame tra la Callas e il magnate Aristotele Onassis (fun fact: tra il primo e il secondo tempo c'è stato il delirio di gente, compresa me, impegnata a cercare su wikipedia dettagli scandalistici d'epoca, ché io Onassis lo ricordavo solo con Jackie Kennedy, giusto per ribadire ancora una volta la mia ignoranza!). Questa fusione continua di realtà, visioni, finti documentari e riproposizioni di spettacoli iconici mi ha ipnotizzata tanto quanto l'eleganza, l'alterigia con la quale Angelina Jolie ha rappresentato la "sua" Callas. Non sono mai andata matta per la Jolie, ma stavolta non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo; la potenza della sua interpretazione ha spazzato via anche il doppiaggio italiano, peraltro abbastanza valido, e mi ha trasportata sull'onda di un'altalena di sentimenti contrastanti, alimentati anche dallo splendido uso della colonna sonora, che mi ha annientata poco prima del finale con quel E lucevan le stelle piazzato a tradimento. La Jolie, peraltro, è l'unica attrice femminile degna di nota nel cast, che rappresenta un piccolo ma significativo neo all'interno di un film che ho trovato, altrimenti, ineccepibile. Alba Rohrwacher nei panni della governante e Valeria Golino in quelli della sorella della Callas, infatti, sono da latte alle ginocchia pur essendosi ridoppiate, per fortuna il tenerissimo Favino (ormai sempre più simile a Braccobaldo Bau) e l'affascinante Kodi Smit-McPhee, coi suoi occhi asimmetrici, sono due spalle perfette per la protagonista, e riescono ad arricchirne di ulteriori sfumature la potente interpretazione . Insomma, partivo prevenuta e convinta di addormentarmi in sala, ma mi sono trovata davanti un film meraviglioso. Vi consiglio, dunque, di liberarvi dai pregiudizi e di tentare la visione di Maria, potreste rimanere sorpresi!


Del regista Pablo Larraín ho già parlato QUI. Angelina Jolie (Maria Callas), Pierfrancesco Favino (Ferruccio), Alba Rohrwacher (Bruna), Kodi Smit-McPhee (Mandrax) e Valeria Golino (Yakinthi Callas) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Maria vi fosse piaciuto recuperate Jackie e Spencer. ENJOY!

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