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venerdì 5 maggio 2023

Beau ha paura (2023)

Un altro dei titoli che più aspettavo quest'anno al cinema era Beau ha paura (Beau is Afraid), diretto e sceneggiato dal regista Ari Aster. Niente spoiler, più o meno.


Trama: Beau, uomo di mezza età buono ma tremendamente ansioso, cerca di raggiungere casa di sua madre. Il viaggio si rivelerà una terribile odissea...


Siccome, ovviamente, Beau ha paura non è stato programmato al comodo "multisala" a quindici minuti di macchina da casa mia, martedì sera sono dovuta andare a Genova (in soli, miracolosi 30 minuti) per assistere allo spettacolo delle 21.30 presso il Fiumara. Come ben sanno gli aficionados, 21.30 vuol dire come minimo 22, quindi la visione è finita più o meno all'una, dopodiché, tra una chiusura autostradale e un ininterrotto susseguirsi di semafori che va da Sampierdarena a Prà, sono riuscita ad arrivare a casa alle DUE. Poiché mi sveglio alle 6.45 ogni mattina e sono una vecchia di 42 anni, oggi non so più nemmeno come mi chiamo, questo per dire che non so cosa riuscirò a scrivere del film, soprattutto perché questa via crucis genovese ha aizzato un po' il mio odio verso l'ultima creatura di Ari Aster. La quale, come ho scritto nella trama, è invece un'odissea, quella di un uomo buonino come Lupo de' Lupis e talmente ansioso da sfociare nel patologico. Il titolo del film riassume perfettamente la situazione: Beau ha paura di tutto. E' terrorizzato, a ragione, dal quartiere in cui vive, dalle malattie e dalla morte ma, in particolare, ha una fifa blu di mammina e di ogni scelta a cui viene costretto, da lei o da altri, ché non sia mai la gente resti delusa dal goffo, inetto Beau. La sua paura, c'è da dire, è comprensibile se si pensa che il protagonista ha sempre vissuto all'ombra della madre. Figura soffocante che è stata addosso al figlio come un falco sin dalla nascita, la signora Mona Wasserman è l'incarnazione dell'apprensione e dell'autocommiserazione, tanto da aver fatto un lavoro della prima, mettendo in piedi una sorta di casa farmaceutica di cui, da bambino, Beau era l'addolorato volto. Questo è il quadro generale offerto da Aster allo spettatore per orientarsi, per quanto possibile, all'interno della sua ultima opera, e non andrei a ricamarci sopra ulteriormente, in quanto si tratta solo dell'aspetto superficiale di Beau ha paura


Come direbbe il Vate, Beau ha paura "nun va visto, va vissuto". Il che non vuol dire che Ari Aster abbia fatto le cose a membro di segugio o che non esista un significato univoco, legato strettamente alla visione dell'Autore, per ciò che viene mostrato sullo schermo, quanto piuttosto che Beau ha paura può parlare in modi diversi allo spettatore e io di sicuro non li conosco tutti. Si può vivere l'ordalia di Beau come una lunga seduta psichiatrica trasposta in immagini, durante la quale il protagonista parte da ciò che lo terrorizza per cercare di guardare dentro se stesso e capirsi (il che, ahimé, non necessariamente deve portare ad una rinascita, ma può anche accadere che i problemi non si risolvano); si può guardare al film come a una distopia fantascientifica, magari facendosi solleticare da un paio di rimandi a The Truman Show, e vivere le avventure di Beau come se si avesse davanti un burattino mosso da un'eminenza grigia spietata e folle, che lo illude, da sempre, di avere il controllo della propria misera esistenza (questa è l'interpretazione che mi piace di più, anche perché molti indizi lo lascerebbero supporre); ci si può sedere in poltrona e lasciarsi trasportare dal delirio, sposando entrambe le idee di volta in volta o creandone altre, per esempio pensare a un angosciante circle of life, alla rappresentazione della stupida banalità della nostra vita moderna, dentro la quale siamo tutti dei Beau spaventati in attesa di una fantozziana ed illusoria rivalsa su coloro che ci vessano, perennemente ostacolati da eventi più o meno assurdi, a prescindere che siano negativi o positivi. Potete letteralmente pensare ciò che volete di Beau ha paura, tanto la verità la sa solo Ari Aster


Il regista, questo è sicuro, guarda a grandi modelli, come Aronofsky, Charlie Kaufman o Lynch, senza limitarsi a copiare pedissequamente, bensì infondendo nell'opera la sua personalità, magari senza riuscire a raggiungere un risultato perfetto o coeso, ma almeno provandoci. Volendo dividere il film in segmenti (neanche fosse un'antologia ad episodi), per quanto mi riguarda Beau ha paura è come quella puntata dei Simpson in cui Boe ha aperto la sua Mangiatoia per famiglie e all'inizio canta tutto entusiasta "Qui per te, sai chi c'è, lo Zio Boe, guarda un po'": le prime due, lunghissime disavventure del protagonista sono un agghiacciante mix di immagini angoscianti e grottesche, realizzate con inquadrature e movimenti di macchina inconsueti che aumentano ancora di più il disagio dello spettatore, in sincronia con quello crescente di Beau. E' lì che Aster si riconferma maestro dell'horror inusuale, vissuto persino alla luce del giorno, dove tutto ciò che è "normale" rischia in un attimo di diventare mostruoso e terrificante, e lo stesso stile si ripropone verso il finale, che tuttavia si fa ancora più onirico e assurdo, con una sequenza in particolare che mi ha causato delle risate isteriche con lacrime annesse di cui Florence Pugh andrebbe fierissima. Se Beau ha paura fosse stato tutto così avrei probabilmente urlato al capolavoro. Purtroppo, c'è quella menosissima parte ambientata nel bosco, che per me è stata l'equivalente del Boe scoglionato che lancia i piatti ai bambini bofonchiando "Sai che c'è? Lo zio Boe, prendi un po'". Per carità, la sequenza animata è bellissima e poetica, e l'intero "episodio" serve ad inquadrare ancor meglio il carattere pavido di Beau e il nocciolo di tutti i suoi problemi ma, giusto per assecondare la qualità onirica del segmento in questione, mi sono ritrovata un paio di volte con gli occhi semichiusi e non mi vergogno a dirlo.


Ad Aster servirebbe qualcuno di vessante e intimidatorio come la madre di Beau, che lo portasse a fermarsi e dubitare, invece di dare sfogo a tutto ciò che gli passa per la testa convinto che sia sempre cosa buona e giusta. Anche perché (diciamoci la verità senza timore di scatenare l'ira degli dèi) tre ore del pur bravissimo Joaquin Phoenix con la faccia triste del cane bastonato, che sciorina una lamentela dopo l'altra quando non è impegnato ad uggiolare o a balbettare scuse incomprensibili, sono un po' pesanti da sopportare. Molto meglio Patti LuPone, cazzutissima madre che avrei voluto vedere di più sullo schermo, col suo fastidio a malapena trattenuto verso quella larva di figlio che lei stessa ha contribuito a rendere anche più mollo del lecito, oppure i terribili sposini interpretati da Amy Ryan e
Nathan Lane, il lato vezzoso e "carino" di una realtà da incubo. Lungi da me lamentarmi troppo, comunque. Beau ha paura è un film ostico, elefantiaco (e il prossimo che osa lamentarsi di Babylon verrà legato alla poltrona e costretto a guardare sei ore di Phoenix piangente in loop) eppure terribilmente interessante e sfaccettato, qualcosa di raro in quest'epoca cinematografica di rapido consumo sia a livello di visioni che di recensioni, che merita sicuramente più di una visione o di un giudizio tranchant. Il mio consiglio è quello di andare al cinema a vederlo, magari non a un tardo orario serale come ho fatto io, e godersi lo spettacolo senza troppe pippe mentali né aspettative, nel bene e nel male. Poi fatemi sapere cosa ne pensate, che se c'è un film in grado di alimentare discussioni a non finire questo è proprio Beau ha paura.


Del regista e sceneggiatore Ari Aster ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Beau Wasserman), Nathan Lane (Roger), Amy Ryan (Grace), Stephen McKinley Henderson (Terapista), Zoe Lister-Jones (Mona da giovane), Julian Richings (l'uomo strano) e Bill Hader (fattorino UPS) li trovate invece ai rispettivi link. 

Patti LuPone interpreta Mona Wasserman. Americana, la ricordo per film come 1941: Allarme a Hollywood, Witness - Il testimone, A spasso con Daisy e serie quali Will & Grace, Penny Dreadful, Hollywood e American Horror Story; come doppiatrice ha lavorato in BoJack Horseman e I Simpson. Anche cantante, ha 74 anni e parteciperà all'imminente serie Marvel Agatha: Congrega del Caos.  


Richard Kind interpreta il Dr. Cohen. Americano, ha partecipato a film come Stargate, Confessioni di una mente pericolosa, Hereafter, Argo, Sharknado 2, Bombshell - La voce dello scandalo, ... tick, tick, Boom! e serie quali La tata, That '70s Show, Scrubs e Due uomini e mezzo. Come doppiatore ha lavorato in A Bug's Life - Megaminimondo, Toy Story 3 - La grande fuga, Inside Out, Kim Possible, Phineas e Ferb, I Simpson, I Griffin e American Dad!. Anche sceneggiatore, ha 67 anni e quattro film in uscita. 


Uno dei figli di Beau è Michael Gandolfini (immaginate quindi quanto fossi bollita in quel momento per non averlo nemmeno riconosciuto) mentre il regista David Mamet interpreta il rabbino. Il film è l'"espansione" del corto Beau, diretto e sceneggiato da Ari Aster nel 2011. Se Beau ha paura vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete Madre!, Strade perdute e Mulholland Drive. ENJOY! 

venerdì 10 giugno 2022

Vicious Fun (2020)

Cercate una commedia horror con le palle? Vicious Fun, diretto e co-sceneggiato nel 2020 dal regista Cody Calahan, potrebbe fare al caso vostro.


Trama: un critico cinematografico abbastanza sfigato si ritrova involontario testimone di una riunione di serial killer i quali, ovviamente, cercheranno di sfogarsi su di lui...


Vicious Fun
, inserito anch'esso nella Summer of Chills di Shudder, è una spassosa commedia horror dall'ancor più spassoso assunto, che lascia lo spettatore con la speranza di vedere presto un sequel (o anche una serie TV. Sarebbe perfetta, anche solo per sapere cos'è successo in quello Utah che non si può nominare). Nonostante contenga due elementi che, ultimamente, sono arrivata a soffrire poco, ovvero l'ambientazione anni '80 e la presenza di un protagonista esperto in film horror, i realizzatori di Vicious Fun sono riusciti a non renderli le caratteristiche preponderanti e a utilizzarli piuttosto come mezzi per farsi due risate in più, costringere i protagonisti a rimanere senza telefonino, con conseguente uso creativo e talvolta contundente dei telefoni fissi, oppure dare il là alla strepitosa sequenza origine di tutte le sfighe di Joel, costretto a ricorrere a tutta la sua conoscenza del genere per tentare di sopravvivere a una riunione di serial killer. La sequenza in questione, oltre ad essere il cuore del film, è davvero una delle cose più esilaranti che possiate vedere quest'anno: immaginate, infatti, una riunione di "alcolisti" anonimi composta da Jason Vorhees, Patrick Bateman, John Wayne Gacy, Hannibal e qualsiasi altro serial killer cinematografico o reale vi venga in mente, pronti a scambiarsi confidenze su come condurre una vita normale alla faccia delle pulsioni omicide o, perché no, su come farla franca, il tutto posto con lo stesso tono conciliante e anche un po' drammatico delle terapie di gruppo, e non avrete più motivo di snobbare Vicious Fun (aggiungo anche una delirante sequenza molto maschia sul "non denigrare i baffi di un uomo". Quella è la mia preferita).


Se il tono del film è molto scanzonato, gli omicidi perpetrati dai vari serial killer, sui quali poi tornerò, vengono presi tremendamente su serio. Calahan non è uno scemo e non getta tutto in caciara solo perché l'atmosfera del film imporrebbe leggerezza, ma ci dà pesante con sangue, intestini in bella vista e un paio di sequenze ad alto tasso di disgusto, una delle quali contiene anche un occhio cavato (so che tra i miei lettori c'è chi non apprezza), e anche i personaggi più simpatici o caricaturali non fanno una bella fine. Se amate un determinato attore del mucchio (qualcuno ha detto David Koechner?) la cosa potrebbe darvi fastidio, ma tolto di mezzo il caratterista più famoso e messo da parte un protagonista carismatico fino a un certo punto, ciò che rimane è da leccarsi i gomiti. La bionda e violentissima Amber Goldfarb è un osso duro da cui dovrebbe guardarsi persino Freddy Krueger, Julian Richings e Robert Maillet, dopo Anything for Jackson e Becky, sono diventati due dei miei "mostri" preferiti e sono perfetti per i personaggi che sono toccati loro in sorte, mentre l'overacting di Ari Millen è qualcosa di commovente, che rischia di rendere il suo Bob uno degli emuli di Patrick Bateman più adorabili di sempre. Vicious Fun è perfetto per una fresca serata estiva a base di horror divertenti, cercate qualche altro film a tema da accoppiagli per una maratona e non ve ne pentirete!


Di Julian Richings (Fritz), Robert Maillet (Mike) e David Koechner (Zachary) ho parlato ai rispettivi link.

Cody Calahan è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Canadese, ha diretto film come The Oak Room. Anche produttore, attore e stuntman, ha 39 anni.  



Ari Millen, che interpreta Bob, aveva già partecipato al film The Oak Room, sempre di Cody Calahan. ENJOY!

venerdì 19 marzo 2021

Anything for Jackson (2020)

Piano piano comincio a risalire la classifica della top 20 di Lucia, recuperando quei pochi horror che avevo perso l'anno scorso. Uno era Anything for Jackson, diretto e co-sceneggiato nel 2020 dal regista Justin G. Dyck.

Trama: due anziani coniugi rapiscono una donna incinta per consentire al nipotino Jackson, morto qualche tempo prima, di reincarnarsi...


Cosa non si farebbe per amore e per dolore? Qualunque cosa, a giudicare dal titolo di Anything for Jackson e dalla storia di Henry e Audrey, una coppia di anziani che ricorrerebbero ad ogni mezzo pur di riportare in vita il nipotino Jackson, compreso rapire una donna incinta per darla in pasto al Demonio e offrire a Jackson il neonato per reincarnarsi. Non si direbbe che i due possano arrivare a tanto, visto che lui è  uno stimato medico e lei un'elegante casalinga, peccato che nel tempo libero si dilettino entrambi ad officiare riti satanici con una congrega altrettanto improbabile. Tra vecchietti pasticcioni, apparenze ingannevoli e wannabe satanisti ce ne sarebbero di cose per trasformare Anything for Jackson in una commedia e in effetti alcuni momenti del film sono leggeri ed umoristici, ma è solo illusione, perché il film di Dyck non ci mette molto a diventare serio e tanto triste. Henry e Audrey, infatti, saranno anche satanisti in erba ma sono molto determinati, lei perché vittima di un dolore inenarrabile che è arrivato quasi a ucciderla e lui perché è totalmente innamorato della moglie e l'unico modo per dimostrarle amore, per viverlo, è assecondarla anche in questa terribile follia che rischia non solo di uccidere la giovane Shannon ma anche di mettere in pericolo loro.


Man mano che il film procede e i nostri protagonisti scomodano forze al di là della loro comprensione, il tono di Anything for Jackson si fa sempre più cupo e carico di orrore; fa ridere, in effetti, che Justin G. Dyck abbia nel curriculum quasi solo film per la televisione a base di Natale, amore e famiglie, perché, pur non concedendosi al jump scare facilone, il film non lesina sequenze molto spaventevoli dove gli effetti speciali sono ridotti praticamente all'osso e altre decisamente gore e scioccanti (una in particolare se, come me, soffrite davanti a qualunque cosa abbia a che fare coi denti, vi conviene non guardarla proprio). Anche gli attori hanno il loro perché e comunicano allo spettatore tutta la banalità del male e il senso del ridicolo che spesso l'accompagnano, in particolare con il personaggio di Ian, mentre Julian Richings e Sheila McCarthy più che mettere paura fanno spesso tenerezza e creano un non disprezzabile circuito mentale che induce a odiarli e provare pietà nello stesso tempo. Leggendo il post avrete capito che Anything for Jackson non racconta nulla di nuovo, eppure i singoli elementi di cui è composto vengono ricombinati con una freschezza che riesce a renderlo un horror imprevedibile ed emozionante, decisamente inaspettato vista la non dimestichezza del regista col genere. Un'altro piccolo gioiellino targato Shudder che vi consiglio di recuperare!


Di Julian Richings, che interpreta Henry, ho già parlato QUI.

Justin G. Dyck è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Anche produttore, ha diretto svariati film TV a tema natalizio. 


Sheila McCarthy
interpreta Audrey. Canadese, ha partecipato a film come 58 minuti per morire, Antiviral e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta. Anche sceneggiatrice, produttrice e regista, ha 65 anni. 




martedì 25 ottobre 2016

Urban Legend (1998)

E' giunto il momento di parlare di uno degli horror che preferivo negli anni dell'adolescenza, Urban Legend di Jamie Blanks, uscito nel 1998.


Trama: in un college americano gli studenti cominciano a venire uccisi da qualcuno che ha deciso di riproporre nella realtà le più famose leggende metropolitane...



"Mi ha detto mio cuGGino che una volta si è svegliato in un fosso tutto bagnato che gli mancava un rene!". Così cantavano gli Elii nell'immortale Mio cuggino, la celebrazione tutta italiana delle cosiddette leggende metropolitane, situazioni paradossali e fondamentalmente terrificanti che TUTTI giureremmo siano capitate all'amico, dell'amico, dell'amico del cuGGino appunto. Le leggende metropolitane sono nate in America, almeno quelle più famose, ma alzi la mano chi non se n'è mai sentita raccontare una da ragazzino: io da bambina tremavo ascoltando quella della "mano leccata" ma girava anche la versione cattolica di Bloody Mary, quella in cui se qualcuno avesse recitato l'Ave Maria al contrario (ma perché???) davanti allo specchio avrebbe visto Satana nel riflesso, e sicuramente mille altri racconti atroci che ora non rammento. Scopo delle leggende metropolitane, così si dice, è quello di educare l'utente a non compiere le azioni che condannano i protagonisti alla morte o alla follia (se sei una baby sitter poco attenta probabilmente un assassino arriverà ad ucciderti) oppure a fare attenzione all'ambiente che lo circonda (bisognerebbe controllare SEMPRE il sedile posteriore della macchina, se non addirittura quello che si cela sotto la stessa) e, in generale, contengono una morale assai simile a quella delle antiche fiabe. Il film di Jamie Blanks si basa interamente su questo folklore moderno americano e crea un serial killer particolarmente fantasioso che sceglie di trasformare i malcapitati studenti di un college nei protagonisti di queste leggende metropolitane, imbastendo attorno a questi omicidi una storia fatta di sospetti, segreti passati e vendette postume. Il risultato di questo collage di leggende è una pellicola simpatica, zeppa di citazioni e guest star, interessante nella misura in cui lo spettatore decide di farsi prendere dalla curiosità e approfondire l'argomento: per esempio, io conoscevo la fonte primaria di tutti gli omicidi tranne uno e cercando in rete per colmare questa lacuna ho scoperto il macabro retroscena legato alla canzone Love Rollercoaster , peraltro presente nella colonna sonora di Urban Legend.


Poi, ovviamente, c'è da dire che guardare Urban Legend a diciott'anni non è proprio come guardarlo ora. All'epoca sorvolavo su moltissime cose e badavo essenzialmente all'aspetto folkloristico e gore della pellicola, visto oggi il film di Jamie Blanks è una belinata, per quanto simpatica, e diventa ancora più scemo per chi, come me, si è divorato la prima stagione di Scream Queens. Nella serie creata da Murphy, Falchuk e compagnia i personaggi e le situazioni sono caricati all'estremo ma la somiglianza con Urban Legend ha dell'incredibile: al di là dei soliti studenti stereotipatissimi, ci sono una guardia giurata di colore (mai stupenda quanto Denise Hempville, ah-ha, no sir!), lo studentello giornalista che si atteggia manco lavorasse per il Time e decide di aiutare la protagonista a risolvere il mistero, professori e "decani" che guardano dall'altra parte scegliendo di coprire gli scandali della scuola, killer mosso da sentimenti condivisibili che tuttavia sbrocca facendola fuori dal vaso e scemenza distribuita a palate, tutti aspetti della trama che sono praticamente gli elementi cardine di entrambe le opere. Gli attori, nemmeno a dirlo, sono dei mezzi cani ed era giusto il doppiaggio italiano a mettere una pezza alle vocette monocordi di tutti i coinvolti. L'unico che ancora oggi merita considerazione e simpatia è Joshua Jackson, talmente pronto a prendersi in giro per l'iconico personaggio di Pacey da prestarsi non soltanto alla gag della macchina che si accende sparando "annouannauei" a tutto volume (cosa che mi fa ridere tuttora) ma anche ad omaggiare una delle scene madri di Animal House. E se è vero che Robert Englund, John Neville, Brad Dourif e Danielle Harris sono sempre un bel vedere, soprattutto all'interno di un horror, bisogna anche ammettere che Alicia Witt è una protagonista senza nerbo, Jared Leto un povero minchietta alle prime armi e Rebecca Gayheart un'imbarazzante quasi trentenne costretta nei panni palesemente troppo giovani di una studentessa del college. A parte questo, per passare una serata tra leggende metropolitane e strilli di terrore Urban Legend è perfetto e per mille motivi, non ultima una questione di amore nostalgico, non mi sento di volergli male.


Di Jared Leto (Paul Gardener), Alicia Witt (Natalie Simon), Rebecca Gayheart (Brenda Bates), Joshua Jackson (Damon Brooks), Tara Reid (Sasha Thomas), Robert Englund (Prof. William Exler), Danielle Harris (Tosh Guaneri) e Brad Dourif (che interpreta il benzinaio Michael McDonnel, non accreditato) ho già parlato ai rispettivi link.

Jamie Blanks è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto film come Valentine - Appuntamento con la morte. Anche compositore, sceneggiatore e produttore, ha 55 anni.


Michael Rosenbaum interpreta Parker Riley. Americano, ha partecipato a film come Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Cursed - Il maleficio, Catch .44 e a serie come Smallville (dove interpretava Lex Luthor). Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 44 anni e un film in uscita.


Loretta Devine interpreta Reese Wilson. Americana, ha partecipato a film come Nikita, spie senza volto, Urban Legend: Final Cut, Mi chiamo Sam e a serie come Ally McBeal, Supernatural, Cold Case, Glee e Grey's Anatomy; inoltre, ha doppiato un episodio di The Cleveland Show. Anche produttrice, ha 67 anni e un film in uscita.


John Neville interpreta il decano Adams. Inglese, lo ricordo per film come Le avventure del Barone di Munchausen, Baby Birba - Un giorno in libertà, Piccole donne, Il quinto elemento, X-Files - Il film e Spider, inoltre ha partecipato a serie come X-Files. E' morto nel 2011, all'età di 82 anni.


Julian Richings interpreta il bidello. Inglese, ha partecipato a film come Il pasto nudo, Mimic, Cube - Il cubo, X-Men - Conflitto finale, Saw IV, Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti, The Conspiracy, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, The Witch e a serie come Kingdom Hospital, Mucchio d'ossa, Hemlock Grove, Supernatural e Hannibal. Ha 61 anni e un film in uscita.


Sarah Michelle Gellar aveva accettato il ruolo di Sasha ma aveva dovuto rinunciare perché già impegnata con le riprese della serie Buffy - L'ammazzavampiri mentre sia Reese Witherspoon che Melissa Joan Hart hanno rifiutato la parte di Natalie. Tra i mille inside joke di cui il film è pieno, molti dei quali comprensibilissimi anche per il pubblico italiano, ce n'è uno che effettivamente può essere apprezzato solo dagli americani: sul finale, una delle studentesse dice "E scommetto che Brenda era la ragazza nella pubblicità della Noxzema" ed effettivamente Rebecca Gayheart, che interpreta Brenda, aveva partecipato a parecchi spot di quel marchio. Il film ha generato ben tre seguiti, tutti di qualità discutibile: Urban Legend: Final Cut è l'unico in qualche modo direttamente collegato poi ci sono Urban Legend 3 (dai risvolti sovrannaturali e legato alla figura di Bloody Mary) e Ghosts of Goldfield (nato come ennesimo capitolo della serie e poi andato per i fatti suoi), entrambi distribuiti straight-to-video; se Urban Legend vi fosse piaciuto eviterei tutti e tre i sequel e punterei invece su So cos'hai fatto, la saga di Scream e Final Destination. ENJOY! 


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