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venerdì 25 agosto 2023

La casa dei fantasmi (2023)

Mercoledì ho fatto ciò che nessun cinefilo mi perdonerà mai, ovvero sono andata a vedere La casa dei fantasmi (Haunted Mansion), diretto dal regista Justin Simien, e ho saltato a pié pari Oppenheimer per vari motivi. Tranquilli, sono già stata punita!


Trama: Gabbie e il figlioletto sono costretti a chiedere aiuto ad un eterogeneo gruppo di presunti esperti del paranormale quando la loro nuova casa si rivela infestata...


Quando parlo di punizione, non è perché La casa dei fantasmi non mi sia piaciuto, quanto piuttosto perché, proprio in questi giorni di caldo record, la sala del cinema aveva un'aria condizionata ridottissima o forse addirittura non funzionante (il che mi porterà a tenere conto delle temperature domenica, per decidere se andare a vedere Oppenheimer questa settimana o la prossima, ché tre ore immersa nel sudore non le merito). Questo, lo ammetto, ha condizionato non poco la mia fruizione del film, tanto che, a metà del secondo tempo, devo essere praticamente svenuta per la pressione bassa perché ricordo pochissimo di tutto ciò che accade dopo la guest appearance di Winona Ryder e prima del ritorno di Ben e company alla magione. Mi è dispiaciuto abbastanza, perché La casa dei fantasmi, pur non essendo un capolavoro, è una di quelle pellicole all star e molto curate che regalano due ore di divertimento per tutta la famiglia e che potrebbero diventare il primo passo di un bambino/preteen all'interno del favoloso regno dell'horror. Remake (o reboot, fate voi) dell'omonimo film uscito nel 2003 e ugualmente ispirato a una delle più famose attrazioni di Disneyland, La casa dei fantasmi mette in scena la lotta di un gruppo di "esperti" del paranormale contro gli innumerevoli fantasmi che hanno infestato la casa di Gabbie e di suo figlio; come già accadeva in Ju-On, gli spettri non si limitano a perseguitare le persone nei confini della magione ma si accozzano alle loro vittime, seguendole, anche se queste ultime sono così intelligenti da fuggire, e ciò spiega perché i protagonisti del film non agiscono mossi da dabbenaggine o curiosità ma per mero spirito di autoconservazione che, con l'evoluzione della trama, si trasforma in sincera preoccupazione per i propri compagni. Il "cuore" del film è Ben Matthias, brillante fisico quantistico che, per vicende che verranno spiegate e non vi spoilero, si ritrova a fare da disillusa e misantropa guida turistica a New Orleans (splendida città purtroppo utilizzata solo per dare un vago tocco di colore). Attraverso lui, la pellicola veicola l'immancabile messaggio Disneyano di dialogo e crescita, inserendo all'interno di una trama molto avventurosa e, a modo suo, inquietante, un percorso di formazione capace di rendere quasi tutti i personaggi abbastanza tridimensionali, e non dei meri portatori di skills necessarie per sconfiggere il cattivone finale. In questo senso, il cast all star giova. Tolti Danny DeVito e Jamie Lee Curtis, abbastanza carismatici e amati da permettersi il ruolo di adorabili "strambi" di lusso, LaKeith Stanfield, Rosario Dawson, Owen Wilson e Tiffany Haddish si alternano con elegante equilibrio tra momenti di stupidera assoluta e serietà quasi commovente, palesando quanto si siano divertiti sul set senza mai prendere sottogamba un film che, a livello di profondità di trama, non brilla particolarmente.


E' evidente, infatti, che i realizzatori si siano concentrati principalmente sull'aspetto visivo della pellicola. Non conoscendo il film del 2003 (e non essendo mai stata a Disneyland!) non so quanti dei fantasmi, ambienti e trappole che costellano il film siano frutto della farina del sacco di Justin Simien e della sceneggiatrice Katie Dippold, ormai abbonata alle commedie con fantasmi, ma dal basso della mia ignoranza mi è sembrato sia stato fatto un lavorone. Avrei paura, sinceramente, di guardare un backstage e capire quanto della casa infestata sia effettivamente stato costruito in qualche studio o location da manovalanze esperte e quanto sia stato generato da computer mentre gli attori erano costretti a recitare davanti a un green screen ma, anche così, le scenografie mi sono piaciute moltissimo e lo stesso vale per i costumi non solo indossati dai fantasmi, ma anche per le mise di LaKeith Stanfield, Tiffany Haddish e quel trionfo messo addosso a Jamie Lee Curtis, che mi ha ricordato tantissimo gli abiti dell'adorato Grosso guaio a Chinatown. Mi sono sembrati buoni anche gli effetti speciali. Non ho avvertito il solito "mal di testa da CGI" nemmeno nelle scene in cui è stata utilizzata in modo più invasivo, specie quando si è trattato di rendere, almeno in parte, un'idea di altromondo, e l'unico appunto che faccio all'intera operazione è che manca un po' di coraggio nell'imbroccare scelte di sequenze, montaggio e make-up che siano davvero spaventosi o memorabili, considerato quanto erano terrificanti per noi bambini pellicole come Qualcosa di sinistro sta per accadere, Nel fantastico mondo di Oz, Gremlins o lo stesso Ghostbusters. Anche se molte recensioni lo stroncano e lo additano come prodotto pensato per venire programmato su Disney + , il mio consiglio è quello di andarlo a vedere comunque in sala con figli o nipoti, perché potrebbero divertirsi molto, soprattutto sarebbe carino se fosse la loro prima volta al cinema!  


Di LaKeith Stanfield (Ben Matthias), Rosario Dawson (Gabbie), Owen Wilson (Padre Kent), Danny DeVito (Bruce Davis), Tiffany Haddish (Harriet), Jamie Lee Curtis (Madame Leota), Jared Leto (Crump/Hatbox) e Winona Ryder (non accreditata, interpreta Pat) ho già parlato ai rispettivi link.

Justin Simien è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Dear White People e Bad Hair. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 40 anni.


Il film avrebbe dovuto essere prodotto e diretto da Guillermo del Toro, che alla fine non ha avuto a che fare col progetto, per motivi sconosciuti. Il film è il remake de La casa dei fantasmi con Eddie Murphy (che avrebbe voluto un compenso spropositato per un cameo, quindi è stato estromesso dal film di Simien) che, a dire il vero, non ho mai visto. Se avete curiosità, recuperatelo! ENJOY!

martedì 10 ottobre 2017

Blade Runner 2049 (2017)

Nonostante avessi tutto contro (weekend con matrimoni, il terrore del Bolluomo all'idea di affrontare tre ore di film, gli orari maffi del Multisala), sabato sono riuscita a vedere Blade Runner 2049, sequel di Blade Runner diretto dal regista Denis Villeneuve.


Trama: durante un'operazione di routine il Blade Runner replicante K scopre un segreto che minaccia di sovvertire l'ordine mondiale e, durante le indagini, viene a conoscenza di cose che riguardano il suo stesso passato.


L'inevitabile premessa del post è che, pur avendo apprezzato moltissimo il Blade Runner di Ridley Scott, non sono mai stata una di quei fan che ne ricordano ogni singola battuta, né mi sono fracassata la testa sull'ambiguo finale, di fatto credo di non avere mai visto neppure tutte e tre le versioni del film realizzate nel corso degli anni ed immesse sul mercato dell'home video. Sono quindi andata a vedere Blade Runner 2049 col cuore molto leggero, senza contare che Villeneuve è un regista che mi piace tantissimo, e giustamente sono riuscita così a godermi un film che, nonostante le quasi tre ore di durata, scivola via che è un piacere, tenendo incollato lo spettatore allo schermo non tanto per la trama, pur interessante, ma per l'incredibile bellezza delle sequenze girate da Villeneuve; probabilmente, senza nulla togliere a Scott e senza desiderio di attirarmi gli strali dei fan di Blade Runner, nel 1982 gli spettatori sono rimasti ipnotizzati davanti allo schermo allo stesso modo, immersi nella nebbia, nella pioggia oscura e negli incredibili giochi al neon di una Los Angeles cosmopolita, mentre le orecchie si aprivano stupite alle note di un Vangelis sparato a tutto volume. L'omaggio di Villeneuve a quelle vecchie atmosfere tecno-noir è palese, così come lo è quello di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch per quel che riguarda la colonna sonora, eppure Blade Runner 2049 non è semplicemente una strizzata d'occhio continua ai fan ma un film malinconico e grandioso dotato di una sua personalità, fatto di creature che si dibattono alla ricerca di risposte su sé stesse e possibilmente di un motivo per continuare ad esistere, siano esse replicanti in crisi d'identità, demiurghi desiderosi di velocizzare il progresso, intelligenze artificiali innamorate o vecchi detective che hanno rinunciato a tutto per proteggere le cose più importanti della loro vita. Il futuro o, per meglio dire, il presente dei protagonisti si riallaccia così in modo naturale al mitico passato in cui Rick Deckart arrivava a mettere in dubbio il suo ruolo di Blade Runner e a scoprire l'amore, il tutto filtrato attraverso gli occhi artificiali di un replicante diventato cacciatore dei propri simili eppure lo stesso incredibilmente umano, talmente bisognoso di relazioni da arrivare a crearsene una con un'Intelligenza Artificiale creata appositamente per soddisfare i desideri degli utenti, quella Joi così simile nei modi e nell'interazione col suo "padrone" da ricordare lo struggente Her di Spike Jonze. I misteri che circondano l'ultimo ritrovamento di K diventano così l'inizio di un percorso non solo verso la verità e verso la possibile risposta alle domande che gli spettatori si ponevano da trent'anni ma anche verso riflessioni più ampie relative ad umanità, ricordi e considerazioni "scomode" sulla vita artificiale, magari non delle più innovative viste al cinema negli ultimi anni ma comunque capaci di tenere desta l'attenzione dello spettatore.


Ma, ribadisco, quello che a me è saltato letteralmente all'occhio non è tanto la bravura degli sceneggiatori nel creare una storia senza sbavature e coerente con ciò che aveva mostrato Scott negli anni '80 (continuo a dire che Blade Runner per me è un ricordo più visivo che narrativo) quanto piuttosto la bellezza delle riprese di Villeneuve, che si riconferma regista elegante ed incredibilmente emozionante. I grattacieli immersi nel fumo e nella nebbia, i mezzi volanti così piccoli al confronto della megalopoli da venirne inghiottiti, l'incessante pioggia, il punto di vista che si allarga da un punto preciso per mostrare allo spettatore la grandiosità di strutture regolari praticamente infinite, il caos di neon nei bassifondi della città, l'interazione col gigantesco e coloratissimo ologramma di una Dea, una scazzottata in mezzo ai video olografici di un vecchio hotel, l'aspetto malato di una Las Vegas radioattiva, la neve malinconica, soprattutto i colori caldi che si alternano alle ombre e ai riflessi acquatici del sancta sanctorum di Niander Wallace sono tutti ricordi che mi bruciano nel cervello da sabato sera e sono immagini che spero di non dimenticare mai più, rese ancora più emozionanti dalla bellissima colonna sonora di Zimmer e Wallfisch. E se rivedere Harrison Ford nei panni di Deckart non mi ha fatto né caldo né freddo (come ho scritto su Facebook, due bestemmie e qualche modo di dire ligure in bocca e sarebbe diventato la controfigura di mio padre) e Jared Leto sarà anche andato in giro con le lenti opache per provare davvero cosa vuol dire essere ciechi ma il suo personaggio mi ha detto proprio poco, ho apprezzato enormemente non solo Ryan Gosling ma anche e soprattutto la dolcissima e sensuale Ana de Armas, Dave Bautista (nonostante compaia pochissimo) e la bastardissima Sylvia Hoeks, alla quale è bastato un cambio di tinta per sembrare quasi orientale oltre che una stronza da primato. Mi soffermo un attimo su Ryan Gosling. Sono io la prima ad essermi quasi spaccata il cranio contro quello del Bolluomo nel momento in cui, all'unisono, siamo scoppiati a ridere quando non ricordo quale personaggio si è complimentato con K per sapere anche sorridere, però l'interpretazione "fissa" del bel Ryan è assolutamente perfetta in questo caso e quella faccetta da cane bastonato mi è entrata talmente dentro che sul finale ho persino speso una lacrima, commossa dalle vicende di questo replicante "più umano degli umani" e gabbato da un destino beffardo. D'altronde, non è che Harrison Ford sia mai stato un attore granché espressivo e invecchiando sul suo volto si percepisce sempre una sola emozione: quella del vecchio incarognito perché alla riunione di condominio non è riuscito ad impedire che si stanziassero fondi per l'ascensore nuovo. A parte questo sproloquio finale, confermo la bellezza di Blade Runner 2049, un film che più di altri quest'anno merita di essere visto al cinema, alla faccia dei detrattori e degli incassi miserrimi che sta avendo in patria.


Del regista Denis Villeneuve ho già parlato QUI. Ryan Gosling (K), Dave Bautista (Sapper Morton), Robin Wright (Tenente Joshi), Ana de Armas (Joi), Jared Leto (Niander Wallace), Harrison Ford (Rick Deckart) e Sean Young (Rachael) li trovate invece ai rispettivi link.

David Dastmalchian interpreta Coco. Americano, ha partecipato a film come Il cavaliere oscuroPrisonersAnt-Man, The Belko Experiment e a serie quali E.R. Medici in prima linea, CSI - Scena del crimine Twin Peaks. Anche sceneggiatore e produttore, ha 40 anni e cinque film in uscita tra cui Ant-Man and the Wasp.


Sylvia Hoeks interpreta Luv. Olandese, ha partecipato a film come La migliore offerta. Ha 34 anni e un film in uscita.


Edward James Olmos riprende il ruolo di Gaff dopo Blade Runner. Americano, ha partecipato a serie quali Il tenente Kojak, Starsky & Hutch, Chips, Miami Vice, CSI: NY, Dexter, Agents of S.H.I.E.L.D. e ha lavorato come doppiatore per episodi de I Simpson e per il corto Blade Runner: Black Out 2022. Anche, ha 70 anni e sei film in uscita, tra i quali Coco e The Predator.


Mackenzie Davis interpreta Mariette. Canadese, ha partecipato a film come Sopravvissuto - The Martian e a serie quali Black Mirror e Halt and Catch Fire. Anche produttrice, ha 30 anni e un film in uscita.


Lennie James interpreta Mister Cotton. Conosciuto come Morgan della serie The Walking Dead, ha partecipato a film come I miserabili, Snatch - Lo strappo e Lockout. Inglese, anche sceneggiatore, ha 52 anni.


David Bowie era la prima scelta di Villeneuve per il ruolo di Wallace ma il cantante è morto prima che cominciassero le riprese; il regista Ridley Scott ha invece lasciato il posto al collega (rimanendo come produttore), probabilmente per girare Alien: Covenant. Tra Blade Runner e il suo sequel ci sono tre corti, uno diretto da Shinichiro Watanabe, ovvero Black Out 2022 e due diretti da Luke Scott, ovvero 2036: Nexus Dawn (con Jared Leto) e 2048: Nowhere to Run (con Dave Bautista); se Blade Runner 2049 vi fosse piaciuto avete quindi un bel po' di roba da recuperare! ENJOY!




venerdì 9 dicembre 2016

American Psycho (2000)

Proprio il giorno delle elezioni americane ho guardato, giusto per restare in tema, American Psycho, diretto nel 2000 dalla regista Mary Harron e tratto dal romanzo omonimo di Bret Easton Ellis



Trama: Patrick Bateman è ricco, bello e pieno di donne. La sua sarebbe una vita perfetta se non fosse che Patrick è soprattutto pazzo e, la sera, abbandona le vesti di yuppie per indossare quelle di folle killer...



Quello con American Psycho è stato un amore nato leggendone trama ed interpreti su Ciak, che all’epoca, signora mia, mica c’era l’adsl in connessione continua. E’ stato un amore nato affittando la videocassetta, visto che al cinema di Savona, probabilmente, il film della Harron non era arrivato neppure per sbaglio. E’ stato un amore continuato leggendo il romanzo di un Bret Easton Ellis che non era ancora la parodia di sé stesso, incrociando le dita perché non finisse mai nelle mani sbagliate (quelle di MMadreee, per esempio) con tutti quei tubi-topo e perversioni assortite di cui era infarcito e gioendo perché la libreria con i fondi di magazzino all’epoca situata vicino alla spiaggia aveva tutti i romanzi dell’autore (gioia svanita dopo la lettura, ché American Psycho è rimasto inarrivabile). E’ un amore, di fatto, mai finito, visto che riguardarne la versione cinematografica mi ha fatto venire una voglia matta di rileggere il libro, se non fosse per tutti gli altri libri che poverini ancora stanno aspettando che li apra, ultimo di Stephen King compreso. E’ un amore che secondo me affonda le radici in quello ben più profondo per Arancia Meccanica e in un conseguente, malsano interesse per i protagonisti folli e negativi di entrambe le opere, nonostante il romanzo di Burgess affronti il tema della libera scelta mentre quello di Easton Ellis sia l'emblema del vuoto cosmico e quindi, di fatto, la storia di Alex sia totalmente diversa da quella di Patrick. Sarà un amore nato quindi dalla follia? Sicuramente, perché io ancora adesso non riesco a volere così tanto male a Patrick Bateman, figlio degli anni '80 tanto bello fuori quanto marcio e vuoto dentro, nonostante tutte le brutture che passano per la sua mente malata. Intendiamoci, il 90% di quello che costui fa sia nel film che nel libro mi fa accapponare la pelle ma Patrick è fondamentalmente un figlio dei suoi anni, un povero scemo dalla testa vuota al quale il cervello è andato in pappa per lo sforzo di mantenere la migliore apparenza possibile; gli unici pensieri profondi espressi a voce dal protagonista sono legati ai suoi amati dischi (sebbene suonino falsi e costruiti come tutto ciò che lo circonda) e a una sorta di "relazione" con lo spettatore/lettore al quale, di fatto, viene proposto l'inaffidabile stream of consciousness di un uomo che non riesce più a distinguere la realtà dall'immaginazione e che trasmette al fruitore della sua storia le stesse, confuse ed inquiete sensazioni. D'altronde, quanto può essere affidabile e/o consapevole una persona che, a furia di seguire la moda e lo stile di chiunque "conti" all'interno della sua cerchia di amici e colleghi, viene confuso da quelle stesse persone con altri individui? I dialoghi di American Psycho, pesantemente influenzati da alcool, droga e vanità, sono la fiera del grottesco e della banalità, tanto che spesso ci si ritrova amaramente a ridere davanti agli sforzi di Patrick di "appartenere" a qualcosa, di ricercare l'umanità di cui è privo negli abiti griffati, nei biglietti da visita o nelle impossibili prenotazioni al ristorante di lusso in voga al momento.



Davanti a questa realtà spersonalizzante e stressante, sembra quasi inevitabile che Patrick arrivi a sfogarsi uccidendo e torturando, "cercando" la carne e il sangue di cui lui si sente privo. Ma anche lì, siamo proprio sicuri che gli scoppi di follia di Patrick non siano semplicemente il frutto della sua mente ormai allucinata? Ricordo all'epoca di avere voluto leggere il romanzo non tanto per il gusto di capire come fosse scritto ma per decifrare il finale del film di Mary Harron, che si conclude nel modo più ambiguo possibile dopo che il protagonista ha letteralmente gettato alle ortiche la perfetta maschera di razionalità indossata per non trarre in inganno il prossimo e approfittare al meglio della propria condizione agiata. "Questa confessione non ha nessun significato" sono le parole con le quali Patrick si accomiata sia nel film che nel libro e hanno una triplice valenza, lasciata all'interpretazione dell'ascoltatore: può riferirsi all'inutile confessione fatta all'avvocato, al senso di vuoto provato da un protagonista assolutamente privo di qualsivoglia emozione che non sia uno spiccato narcisismo, oppure potrebbe voler dire che tutto ciò che è accaduto nel film si è svolto solo nella mente di Patrick e che quindi confessarlo sarebbe inutile. Ancora peggio, Bateman potrebbe essere solo uno dei tanti American Psycho che popolano la New York dipinta nel film, tanto che ogni sua azione, anche la più depravata, rischia di perdersi in una società fatta, fondamentalmente, di manichini egoisti che si lasciano vivere persi nel tedio di giornate tutte uguali, prive di legami che possano essere definiti tali. Nel microverso yuppie in cui il forte ingoia il debole chi, tra i conoscenti di Patrick, potrebbe essere in grado di accorgersi della scomparsa di un amico o un collega, men che meno delle persone che popolano i bassifondi newyorchesi? Davanti a un film come American Psycho, che si limita a sollevare domande piuttosto che fornire risposte, non resta altro da fare che allacciare le cinture e godersi il viaggio allucinante di Patrick Bateman, interpretato da un Christian Bale praticamente agli esordi e in formissima, un attore con le palle capace di annullarsi interamente in un personaggio scomodo e consacrarlo per l'eternità nell'iconografia cinematografica (il Dandy di American Horror Story è un perfetto omaggio alla fisicità di Bale) tra una serie di addominali fatta guardando Non aprite quella porta, un omicidio perpetuato indossando l'impermeabile, una botta d'ansia causata dai biglietti da visita e un threesome dall'esito sanguinoso. Il tutto, ovviamente, con estrema, vuota eleganza, ci mancherebbe.



Di Christian Bale (Patrick Bateman), Justin Theroux (Timothy Brice), Josh Lucas (Craig McDermott), Bill Sage (David Van Patten), Chloë Sevigny (Jean), Reese Witherspoon (Evelyn Williams), Jared Leto (Paul Allen), Willem Dafoe (Donald Kimball) e Cara Seymour (Christie) ho già parlato ai rispettivi link.

Mary Harron è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Canadese, ha diretto film come Ho sparato a Andy Wharol, The Moth Diaries ed episodi di serie quali Six Feet Under e Constantine. Anche produttrice e attrice, ha 63 anni e un film in uscita.


Samantha Mathis interpreta Courtney Rawlinson. Americana, ha partecipato a film come Super Mario Bros., Piccole donne, The Punisher, American Pastoral e a serie come Oltre i limiti, Salem's Lot, Doctor House, Incubi e deliri, Lost, Grey's Anatomy, Under the Dome e The strain; inoltre, ha lavorato come doppiatrice in film come Ferngully - Le avventure di Zack e Crysta. Ha 46 anni.


Matt Ross interpreta Luis Carruthers. Americano, ha partecipato a film come L'esercito delle 12 scimmie, Face/Off, The Aviator, Good Night and Good Luck e a serie come Rose Red, Six Feet Under, Bones, CSI:Miami, Numb3rs, CSI - Scena del crimine e American Horror Story. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 46 anni.


Il casting di American Psycho è stato un processo lungo e travagliato, che ha visto a un certo punto la Harron abbandonare il progetto quando gli studios hanno scelto di offrire a Leonardo Di Caprio il ruolo di Patrick Bateman, cosa che ha portato Oliver Stone a subentrare come regista. Quando Di Caprio ha deciso di partecipare invece al film The Beach, Stone ha mollato ed è tornata Mary Harron, la quale ha ovviamente tenuto il cast che avrebbe voluto lei (via James Woods e Cameron Diaz quindi, rispettivamente scelti per il ruolo di Kimball ed Evelyn). Negli anni '90 invece era stato Stuart Gordon a progettare una trasposizione cinematografica in bianco e nero del libro, con Johnny Depp come Patrick Bateman e lo stesso Bret Easton Ellis come unico sceneggiatore, poi è stato il turno di David Cronenberg con Brad Pitt come protagonista ma tutti questi progetti si sono persi in fase di produzione. Il film ha generato un sequel a dir poco imbarazzante, ovvero quell'American Psycho II nato dall'unione tra un banalissimo thriller originale e un subplot legato al personaggio di Patrick Bateman, mentre Le regole dell'attrazione è basato sull'omonimo romanzo di Bret Easton Ellis ed è incentrato sulle vicissitudini del fratello minore di Patrick, Sean Bateman: io vi direi di evitarli entrambi ma se American Psycho vi fosse piaciuto consiglio innanzitutto il recupero del romanzo omonimo e poi di aggiungere Kill Your Friends, The Wolf of Wall Street e persino Stress da vampiro. ENJOY!

martedì 25 ottobre 2016

Urban Legend (1998)

E' giunto il momento di parlare di uno degli horror che preferivo negli anni dell'adolescenza, Urban Legend di Jamie Blanks, uscito nel 1998.


Trama: in un college americano gli studenti cominciano a venire uccisi da qualcuno che ha deciso di riproporre nella realtà le più famose leggende metropolitane...



"Mi ha detto mio cuGGino che una volta si è svegliato in un fosso tutto bagnato che gli mancava un rene!". Così cantavano gli Elii nell'immortale Mio cuggino, la celebrazione tutta italiana delle cosiddette leggende metropolitane, situazioni paradossali e fondamentalmente terrificanti che TUTTI giureremmo siano capitate all'amico, dell'amico, dell'amico del cuGGino appunto. Le leggende metropolitane sono nate in America, almeno quelle più famose, ma alzi la mano chi non se n'è mai sentita raccontare una da ragazzino: io da bambina tremavo ascoltando quella della "mano leccata" ma girava anche la versione cattolica di Bloody Mary, quella in cui se qualcuno avesse recitato l'Ave Maria al contrario (ma perché???) davanti allo specchio avrebbe visto Satana nel riflesso, e sicuramente mille altri racconti atroci che ora non rammento. Scopo delle leggende metropolitane, così si dice, è quello di educare l'utente a non compiere le azioni che condannano i protagonisti alla morte o alla follia (se sei una baby sitter poco attenta probabilmente un assassino arriverà ad ucciderti) oppure a fare attenzione all'ambiente che lo circonda (bisognerebbe controllare SEMPRE il sedile posteriore della macchina, se non addirittura quello che si cela sotto la stessa) e, in generale, contengono una morale assai simile a quella delle antiche fiabe. Il film di Jamie Blanks si basa interamente su questo folklore moderno americano e crea un serial killer particolarmente fantasioso che sceglie di trasformare i malcapitati studenti di un college nei protagonisti di queste leggende metropolitane, imbastendo attorno a questi omicidi una storia fatta di sospetti, segreti passati e vendette postume. Il risultato di questo collage di leggende è una pellicola simpatica, zeppa di citazioni e guest star, interessante nella misura in cui lo spettatore decide di farsi prendere dalla curiosità e approfondire l'argomento: per esempio, io conoscevo la fonte primaria di tutti gli omicidi tranne uno e cercando in rete per colmare questa lacuna ho scoperto il macabro retroscena legato alla canzone Love Rollercoaster , peraltro presente nella colonna sonora di Urban Legend.


Poi, ovviamente, c'è da dire che guardare Urban Legend a diciott'anni non è proprio come guardarlo ora. All'epoca sorvolavo su moltissime cose e badavo essenzialmente all'aspetto folkloristico e gore della pellicola, visto oggi il film di Jamie Blanks è una belinata, per quanto simpatica, e diventa ancora più scemo per chi, come me, si è divorato la prima stagione di Scream Queens. Nella serie creata da Murphy, Falchuk e compagnia i personaggi e le situazioni sono caricati all'estremo ma la somiglianza con Urban Legend ha dell'incredibile: al di là dei soliti studenti stereotipatissimi, ci sono una guardia giurata di colore (mai stupenda quanto Denise Hempville, ah-ha, no sir!), lo studentello giornalista che si atteggia manco lavorasse per il Time e decide di aiutare la protagonista a risolvere il mistero, professori e "decani" che guardano dall'altra parte scegliendo di coprire gli scandali della scuola, killer mosso da sentimenti condivisibili che tuttavia sbrocca facendola fuori dal vaso e scemenza distribuita a palate, tutti aspetti della trama che sono praticamente gli elementi cardine di entrambe le opere. Gli attori, nemmeno a dirlo, sono dei mezzi cani ed era giusto il doppiaggio italiano a mettere una pezza alle vocette monocordi di tutti i coinvolti. L'unico che ancora oggi merita considerazione e simpatia è Joshua Jackson, talmente pronto a prendersi in giro per l'iconico personaggio di Pacey da prestarsi non soltanto alla gag della macchina che si accende sparando "annouannauei" a tutto volume (cosa che mi fa ridere tuttora) ma anche ad omaggiare una delle scene madri di Animal House. E se è vero che Robert Englund, John Neville, Brad Dourif e Danielle Harris sono sempre un bel vedere, soprattutto all'interno di un horror, bisogna anche ammettere che Alicia Witt è una protagonista senza nerbo, Jared Leto un povero minchietta alle prime armi e Rebecca Gayheart un'imbarazzante quasi trentenne costretta nei panni palesemente troppo giovani di una studentessa del college. A parte questo, per passare una serata tra leggende metropolitane e strilli di terrore Urban Legend è perfetto e per mille motivi, non ultima una questione di amore nostalgico, non mi sento di volergli male.


Di Jared Leto (Paul Gardener), Alicia Witt (Natalie Simon), Rebecca Gayheart (Brenda Bates), Joshua Jackson (Damon Brooks), Tara Reid (Sasha Thomas), Robert Englund (Prof. William Exler), Danielle Harris (Tosh Guaneri) e Brad Dourif (che interpreta il benzinaio Michael McDonnel, non accreditato) ho già parlato ai rispettivi link.

Jamie Blanks è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto film come Valentine - Appuntamento con la morte. Anche compositore, sceneggiatore e produttore, ha 55 anni.


Michael Rosenbaum interpreta Parker Riley. Americano, ha partecipato a film come Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Cursed - Il maleficio, Catch .44 e a serie come Smallville (dove interpretava Lex Luthor). Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 44 anni e un film in uscita.


Loretta Devine interpreta Reese Wilson. Americana, ha partecipato a film come Nikita, spie senza volto, Urban Legend: Final Cut, Mi chiamo Sam e a serie come Ally McBeal, Supernatural, Cold Case, Glee e Grey's Anatomy; inoltre, ha doppiato un episodio di The Cleveland Show. Anche produttrice, ha 67 anni e un film in uscita.


John Neville interpreta il decano Adams. Inglese, lo ricordo per film come Le avventure del Barone di Munchausen, Baby Birba - Un giorno in libertà, Piccole donne, Il quinto elemento, X-Files - Il film e Spider, inoltre ha partecipato a serie come X-Files. E' morto nel 2011, all'età di 82 anni.


Julian Richings interpreta il bidello. Inglese, ha partecipato a film come Il pasto nudo, Mimic, Cube - Il cubo, X-Men - Conflitto finale, Saw IV, Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti, The Conspiracy, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, The Witch e a serie come Kingdom Hospital, Mucchio d'ossa, Hemlock Grove, Supernatural e Hannibal. Ha 61 anni e un film in uscita.


Sarah Michelle Gellar aveva accettato il ruolo di Sasha ma aveva dovuto rinunciare perché già impegnata con le riprese della serie Buffy - L'ammazzavampiri mentre sia Reese Witherspoon che Melissa Joan Hart hanno rifiutato la parte di Natalie. Tra i mille inside joke di cui il film è pieno, molti dei quali comprensibilissimi anche per il pubblico italiano, ce n'è uno che effettivamente può essere apprezzato solo dagli americani: sul finale, una delle studentesse dice "E scommetto che Brenda era la ragazza nella pubblicità della Noxzema" ed effettivamente Rebecca Gayheart, che interpreta Brenda, aveva partecipato a parecchi spot di quel marchio. Il film ha generato ben tre seguiti, tutti di qualità discutibile: Urban Legend: Final Cut è l'unico in qualche modo direttamente collegato poi ci sono Urban Legend 3 (dai risvolti sovrannaturali e legato alla figura di Bloody Mary) e Ghosts of Goldfield (nato come ennesimo capitolo della serie e poi andato per i fatti suoi), entrambi distribuiti straight-to-video; se Urban Legend vi fosse piaciuto eviterei tutti e tre i sequel e punterei invece su So cos'hai fatto, la saga di Scream e Final Destination. ENJOY! 


martedì 23 agosto 2016

Suicide Squad (2016)

Il Bollalmanacco sta pian piano uscendo dalle meritate vacanze estive e sabato sera, dopo un tentativo abortito mercoledì, ho fatto il mio dovere andando a vedere Suicide Squad, diretto e sceneggiato dal regista David Ayer.


Trama: terrorizzati da Superman, i più alti esponenti del governo americano accettano la proposta di Amanda Waller e mettono in piedi una squadra di "eroi" composta da pericolosi criminali, così da poter sconfiggere eventuali minacce superumane. Ovviamente, la cosa sfuggirà di mano...


Non essendo andata a vedere Batman vs Superman ed essendo ben più ferrata in materia Marvel, mi sono approcciata a Suicide Squad avendo solo una vaghissima idea di cosa avrei guardato e, soprattutto, dei personaggi che mi sarei trovata davanti. Da sporadiche letture, qualche film e ovviamente dalla visione della splendida serie a cartoni animati anni '90 dedicata a Batman, conoscevo giusto qualcosa su Joker e Harley Quinn quindi non ho potuto fare come i saputissimi spettatori alle mie spalle che hanno smontato Suicide Squad come un mobile Ikea venuto male, conseguentemente il post che seguirà sarà scritto dal punto di vista prevalentemente ignorante di uno spettatore occasionale. Del film di Ayer avevo sentito dire le peggio cose ma preso come puro intrattenimento serale ci sta: la DC ha creato il suo film Marvel, senza flagellazioni (oddio, non troppe ma il momento saudade è sempre dietro l'angolo) e con tanti trenini brigittebardòbardò, offrendo in pasto al pubblico la versione "malvagia" dei Guardiani della Galassia, con una colonna sonora gradevole ma non altrettanto accattivante. Allo stesso modo, a differenza del film di Gunn quello di Ayer non tiene il ritmo di un inizio deflagrante che presenta al meglio i protagonisti per poi bloccarsi lì ed afflosciarsi nella parte centrale in una serie ripetitiva di battaglie contro esseri letteralmente intercambiabili e privi di qualsivoglia personalità, diventando la versione cinematografica di uno sparatutto, prima di recuperare con un finale simpatico nonché probabilmente foriero di qualche sequel. Tuttavia il problema ENORME del film, oltre alla trama risibilissima e i tempi sbagliati, è che la Squadra avrebbe potuto tranquillamente essere formata da eroi minori del cosmo DC visto che la cattiveria dei membri del gruppo viene prevalentemente millantata a parole e sottolineata (pure troppo!) in ogni dialogo ma grazie al meraviglioso visto censura PG-13 americano il massimo di malvagità mostrata si concentra in qualche rivoltellata agli esseri ancora più cattivi che si ritrovano ad affrontare i protagonisti, un paio di rapine e un omicidio interrotto sul più bello da visioni di lacrimose pargolette. Il Deadpool cinematografico a questi cattivoni della Distinta Concorrenza avrebbe strappato il cuore per poi mangiarselo, scuotendo la capoccetta perplesso davanti a tanto bisogno d'aMMore dissimulato da crudeltà all'acqua di rose, lasciandosi giusto il piacere di tenere la bellissima Harley Quinn come giocattolo sessuale, tanto ci ha già pensato Ayer ad inquadrarle le natiche ogni due per tre.

Beviamoci su
A proposito di donne, sesso e amore. Non è un segreto che il 90% del battage pubblicitario di Suicide Squad sia stato giocato sulla bellezza innaturale e pazzerella di Margot Robbie, cosa che ha reso il film uno one woman show della bionda Harley Quinn, infilata a mo' di minestra in ogni dove, persino in inutili quanto dannosi flashback, però  ci sono rimasta molto male nello scoprire lo one man show di quel mollusco di Will Smith, protagonista maschile nei panni di Deadshot. Mettiamo un attimo da parte gli altri membri della squadra che non si è filato nessuno (tra cui gli unici a spiccare sono la bellissima Incantatrice e l'esilarante Capitan Boomerang, gli altri sono la quintessenza della banalità, soprattutto Diablo) e concentriamoci sui due protagonisti de facto del film. Deadshot è una presa in giro, il mercenario prezzolato che non vuole uccidere nessuno perché la figlia non vuole però ti minaccia, fa la faccia bruttabrutta e tira su la difesa da puGGile quando fai lo smargiasso con lui. Enorme BAH al sapor di Muccino. La Harley Quinn della Robbie è perfetta, stilosissima, sensuale da morire, a tratti irresistibilmente carina ma a un certo punto due papagne in faccia se le meriterebbe anche lei, con quella vocetta da bimbo che le hanno appioppato in italiano e il carico da uNNici che si porta appresso, ovvero Puddin', ovvero il Joker. E qui torniamo sul discorso donne, sesso e amore. Ayer, ma che Cristianimento ti abbiamo fatto? L'Incantatrice tenuta a bada da un po' di belino (mollo, tra l'altro. Ma mollo, mollo che lévati, 'sto svedese freddo come uno stoccafisso di Stoccolma), Katana che parla col marito morto e spera solo di ricongiungersi a lui nell'aldilà, Harley Quinn che limona felice col Joker manco fossero in una scena di Twilight, stessa musica e stesso modo di presentarti una povera cretina lieta di farsi "adoperare" da un pericoloso sadico che però è tanto, tanto innamorato di lei. Per carità, io non dico che Jared Leto nei panni di Joker non sia un figo paurosissimo nonostante i denti di latta e il capello verde, il fanciullo ha carisma da vendere, ma che per cambiare un po' caratterizzazione del Joker dopo Jack Nicholson e Heath Ledger si sia dovuti arrivare a renderlo un pimp colmo di amore per la sua Harley (Le parole "ci aspettano succo d'uva e una pelle d'orso" accompagnate da leccata di labbra e ruggito da tigre ha rischiato di farmi strozzare dalle risate), così da far venire ANCHE le palpitazioni alle ragazzine no, dai. Si sono già abbastanza rintronate con Twilight e Cinquanta Sfumature di Grigio, vederle fremere per uno che prima ti getta nell'acido poi ti limona pentito, tra l'altro snaturando quel che ricordo del rapporto tra Harley e il Joker, me lo risparmio volentieri, grazie. Potrei aggiungere altro ma tecnicamente parlando Suicide Squad rientra nella norma delle grandi produzioni DC/Marvel e si candida come miglior remake del finale del primo Ghostbusters, tanto che ad un certo punto ho creduto che sarebbe spuntato Gozer il Gozeriano, per il resto non sono rimasta né particolarmente entusiasta né particolarmente delusa. Se vi piace il genere andatelo a vedere (rimanendo ad aspettare la scena mid credits), altrimenti evitate tranquilli.

L'aMMore
Del regista e sceneggiatore David Ayer ho già parlato QUI. Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Jared Leto (Il Joker), Jay Hernandez (Diablo) e Ben Affleck (Bruce Wayne/Batman) li trovate invece ai rispettivi link.

Will Smith interpreta Deadshot. Americano, lo ricordo per film come Bad Boys, Man in Black Independence Day, Nemico pubblico, Wild Wild West, Alì, Man in Black II, Bad Boys II, Man in Black 3 e The Anchorman 2 inoltre ha partecipato a serie come Blossom, Willy il principe di Bel Air e lavorato come doppiatore per Shark Tale. Anche produttore, cantante, regista, sceneggiatore e compositore, ha 48 anni e cinque film in uscita.


Nei panni di Dexter Tolliver compare lo sceriffo Hopper della serie Stranger Things, alias l'attore David Harbour mentre Adewale Akinnuoye-Agbaje, ovvero Killer Croc, era il Mr. Eko di Lost e Kenneth Choi, Boss della Yakuza ucciso da Katana, il giudice Ito di American Crime Story; a proposito di serie televisive, c'è un'altra comparsata che non spoilero e che penso farà felici molti fan (tra l'altro in una scena diretta da Zack Snyder). Altra gradita guest star è Scott Eastwood nei panni del Tenente Edwards e se avessero dato retta a me gli avrebbero dato il ruolo di Rick Flag, altro che Joel Kinnaman, anche se il migliore sarebbe stato comunque Tom Hardy, che ha rinunciato per partecipare a Revenant - Redivivo. Per concludere, se Suicide Squad vi fosse piaciuto recuperate Deadpool e magari Batman vs Superman - Dawn of Justice, così da capire ciò che ha portato alla nascita della Squadra. ENJOY!

martedì 5 luglio 2016

Bollalmanacco On Demand: Requiem For a Dream (2000)

Quanto siete dolci. Le richieste al Bollalmanacco On Demand si dividono tra esempi di alto cinema trash (ed ogni riferimento ad Obsidian è PURAMENTE casuale) oppure roba che mi prostra a terra per settimane, costringendomi a versare copiosi fiumi di lacrime. A quest'ultima categoria appartiene Requiem for a Dream, diretto e co-sceneggiato nel 2000 da Darren Aronofsky partendo dal romanzo Requiem per un sogno di Hubert Selby nonché richiesto da Arwen Lynch di La fabbrica dei sogni. Il prossimo film On Demand sarà Amadeus e io già fremo d'ignoranza... ENJOY!


Trama: il giovane Harry, la fidanzata Marion e l'amico Tyrone cercano di farsi strada tra gli spacciatori newyorchesi, distribuendo e facendosi di droga, mentre l'anziana madre di Harry, Sara, combatte invano la solitudine tentando di dimagrire per partecipare ad un ambito spettacolo televisivo...



A qualcuno queste parole non suoneranno nuove ma, a costo di ripetermi citerò paro paro un commento postato sulla mia pagina Facebook personale: "Sì, delirante, assurdo, bla bla bla... Ci fosse stata UNA persona che mi avesse detto che avrei pianto come un'imbecille" dopo la visione di Requiem for a Dream. Ma non l'avete ancora capito che sono una creatura sensibilissima, soprattutto alla mia veneranda età di 35enne, nella quale sento arrivare la solitudine e financo la morte per vecchiaia? Io mi aspettavo una roba sragionata come Il teorema del delirio, qualcosa di metaforico come Il cigno nero, non la versione malinconica di Trainspotting, con l'aggravante aggiunta della vicenda di una povera signora abbandonata dal figlio e talmente oppressa dalla solitudine da doversi attaccare alle false speranze offerte da uno show televisivo. Magari anche io dovrei documentarmi prima di affrontare certe pellicole o magari dovrei leggere meglio tra le righe del titolo: d'altronde il film di Aronofsky è davvero il requiem per la morte di quattro sogni metropolitani, sconfitti dalla fredda realtà al punto che l'unico modo di afferrarli è quello di addormentarsi per sempre (nella morte, nella follia, fate voi) o c'è il rischio che diventino degli incubi. Il problema è che se il sogno toccasse solamente chi lo brama, forse la questione potrebbe concludersi senza troppi danni, mentre purtroppo Requiem for a Dream racconta di quattro sogni intrecciati, l'esito positivo o negativo dei quali influenza direttamente quelli degli altri. Harry e Tyrone sognano di farsi un nome (e dei soldi) smerciando droga, Marion sogna una vita idilliaca al fianco di Harry, lontana dai genitori e senza bisogno di dipendere da loro (la conditio sine qua non però è che il ragazzo faccia i soldi), Sara sogna infine che il figlio possa avere un buon lavoro e una famiglia felice, così da poter affrontare con orgoglio e speranza la terribile solitudine della vecchiaia (ma per far avverare il suo sogno Harry deve perseguire il proprio, lasciandola sempre più sola e in balia di una chimera d'accatto). Apparentemente, il mezzo per l'ottima riuscita di tutte queste speranze è la droga, che purtroppo è anche e soprattutto una terribile arma a doppio taglio capace di rendere il mondo idilliaco per un po' prima di pugnalare brutalmente alle spalle trascinando le persone nell'abiezione più impensabile ed infrangendo tutte le loro illusioni.


Il cattivissimo Aronofsky palleggia con abilità le due facce di questa fuga dalla realtà dei quattro protagonisti, alternando momenti di puro idillio amoroso/familiare, con sequenze baciate dal sole in cui Harry e Marion vivono appieno il loro amore quasi adolescenziale e Sara diventa la "diva" del quartiere, curata e riverita da tutte le sue anziane amiche, ad allucinanti momenti da incubo caratterizzati non solo da un fortissimo senso del grottesco (il frigorifero "assassino", le rozze fattezze di Big Tim, di cui viene inquadrato soprattutto il sorriso predatorio, i volgari capelli rossi di cui fa mostra Sara nelle sue allucinazioni, il delirante pubblico del concorso a premi sono solo alcuni esempi) ma anche da una terribile malinconia e da un senso di annullamento definitivo, che mostra i protagonisti sempre più disperati e preda delle loro insane ambizioni. A fare da ironico ed amaro corollario sono le rapide sequenze in cui i personaggi assumono droga, caratterizzate da suoni in grado di palesare l'automatismo delle azioni e la conseguente, incosciente facilità con la quale Harry e gli altri gettano nel cesso la propria esistenza, più o meno inconsapevolmente. La bravura degli attori si sposa alla perfezione con questa crudele bellezza formale ricercata dal regista; accanto ai bravissimi e giovanissimi Jared Leto, Jennifer Connelly (entrambi all'apice della bellezza) e Marlon Wayans spicca una Ellen Burstyn che all'epoca aveva giustamente ricevuto la nomination all'Oscar come miglior attrice protagonista, ahimé strappatole da Julia Roberts per Erin Brokovich; il personaggio della Burstyn, con la sua fragilità emotiva e il bisogno disperato di riempire il vuoto all'interno della famiglia attraverso programmi televisivi ripetuti fino allo sfinimento, buca lo schermo e raggiunge con violenza il cuore dello spettatore facendolo sanguinare, costringendolo a testimoniare impotente mentre gli occhi dell'attrice si fanno sempre più spaventati e folli. Intanto, mentre scrivo a me viene sempre più il magone quindi mi fermo qui e, dopo aver degnamente ringraziato Arwen per la richiesta, vi consiglio di sorvolare sulla natura sproloquiante di questo post e di recuperare uno dei film più belli di sempre!


Del regista e co-sceneggiatore Darren Aronofsky ho già parlato QUI. Ellen Burstyn (Sara Goldfarb), Jared Leto (Harry Goldfarb), Jennifer Connelly (Marion Silver), Ben Shenkman (Dr. Spencer) e Keith David (Big Tim) li trovate invece ai rispettivi link.

Marlon Wayans interpreta Tyrone C. Love. Americano, lo ricordo per film come Scary Movie - Senza paura, senza vergogna... senza cervello!, Scary Movie 2 e Ladykillers. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 44 anni.


Christopher McDonald interpreta Tappy Tibbons.  Americano, ha partecipato a film come Grease 2, Thelma & Louise, Due irresistibili brontoloni, Flubber - Un professore tra le nuvole, The Faculty, L'uomo che non c'era, Spy Kids 2 - L'isola dei sogni perduti, Broken Flowers, Superhero - Il più dotato fra i supereroi e a serie come Hunter, Supercar, Ai confini della realtà, Quell'uragano di papà, Medium, I Soprano, Numb3rs e Broadwalk Empire; come doppiatore, ha lavorato per la serie Kim Possible. Anche produttore e regista, ha 61 anni e sei film in uscita.


Neve Campbell era stata la prima scelta per il ruolo di Marion ma l'attrice ha declinato dopo avere saputo che avrebbe dovuto girare scene di nudo. Detto questo, se Requiem for a Dream vi fosse piaciuto recuperate Perfect Blue di Satoshi Kon (anime citato nella scena in cui Marion urla all'interno della vasca) e ovviamente Arancia Meccanica e Trainspotting. ENJOY!



lunedì 3 marzo 2014

Oscar 2014


Buon lunedì a tutti! Stanotte è stata una delle più importanti per gli amanti del Cinema perché, come sapranno anche i sassi, sono stati assegnati i premi Oscar. Ammetto (ma per certi versi me lo aspettavo) che la premiazione in generale è stata un mezzo diludendo almeno per me, visto che The Wolf of Wall Street è stato snobbato in TUTTE le categorie, mortacci loro… tuttavia è bene cominciare il post con un minimo di orgoglio italiano, visto che l’Oscar come miglior Film Straniero è andato a La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Domani sera mi metterò comoda sul divano assieme alla mamma e mi preparerò a bestemmiare in turco per le infinite interruzioni pubblicitarie.. ma almeno, finalmente, avrò occasione di guardarlo ed esprimere un giudizio in merito. Nel frattempo, sulla fiducia, complimenti a Sorrentino (che pure poteva evitarsi i ringraziamenti a Maradona, possibile che dobbiamo farci SEMPRE riconoscere all'estero???) e a Tony Servillo!


Passiamo ora ai premi più attesi. Senza troppe sorprese, 12 anni schiavo e la storia vera del povero Solomon Northup (che ha vinto, oltre all’Oscar come Miglior Pellicola, anche quello per la miglior Sceneggiatura Non Originale) sbaragliano la concorrenza confermando la prevedibilità dell’Academy che, lungi dal premiare pellicole “scomode” come il mio favorito The Wolf of Wall Street, ha preferito assegnare gli Oscar a qualcosa di più patriotticamente impegnato. Pazienza, il film è bello e sono contenta lo stesso, ma mi duole assai per Martin Scorsese, che si è visto anche soffiare il premio per la miglior regia, finito nelle mani di Alfonso Cuarón. Il regista messicano, d’altronde, è riuscito nella non facile impresa di trasformare le sale cinematografiche di mezzo mondo in squarci di claustrofobico spazio profondo e ha conquistato l’Academy: nonostante la trama un po’ insulsa, Gravity è stato il film più premiato di questa edizione (ha vinto anche nelle categorie Miglior Fotografia, Miglior Montaggio, Miglior Colonna Sonora Originale, Miglior Sonoro, Miglior Montaggio Sonoro e Migliori Effetti Speciali). Chapeau ma, ribadisco, il mio cuore rimane fedele a Scorsese.

Altrettanto scontato lo scorno Di Capriano. Il povero Leo si è visto spernacchiare per l’ennesima volta e nientemeno che dal suo impronunciabile co-protagonista Matthew McConaughey. L’ex bellone di Hollywood si è devastato il fisico e  ha giustamente portato a casa l’Oscar come miglior Attore Protagonista per la sua intensa performance in Dallas Buyers Club, quindi complimentoni anche a lui!


A trionfare nella categoria Miglior Attrice Protagonista è Cate Blanchett. Effettivamente, la sua presenza è l’unico elemento fuori dal comune dell’altrimenti ordinario Blue Jasmine e sono molto contenta che la statuetta sia andata alla bellissima attrice australiana.


Ad affiancare McConaughey nella vittoria post Dallas Buyers Club si aggiunge il bellissimo Jared Leto che conquista la statuetta come miglior Attore Non Protagonista, altro premio indiscutibilmente meritato nonostante la presenza di altri bravissimi sgnoccoloni in gara: il travestito Rayon è un personaggio difficilissimo da interpretare, a rischio macchietta, ma il giovane attore si è profuso in un’interpretazione delicata e molto credibile. Bravo!! E bravi anche parrucchieri ed esperti del make up che, sempre per Dallas Buyers Club, hanno vinto l’Oscar.


Felicissima anche per la (fino ad ora) sconosciuta Lupita Nyong’o, che ha vinto l’Oscar come miglior Attrice Non Protagonista per 12 anni schiavo. Vederla duettare con un mostro sacro come Michael Fassbender e tenergli testa, per quel che riguarda la bravura, in una delle scene più crude e tese degli ultimi anni è stata sicuramente una sorpresa. Le auguro una bella carriera anche se, al momento, non mi pare che l’attrice messicana abbia delle pellicole in uscita.


Passiamo adesso ai premi "minori" che minori non sono. Nonostante non l’abbia ancora visto, sono molto contenta che Spike Jonze abbia vinto il premio per la miglior sceneggiatura originale con il suo Her che, indubbiamente, dev’essere un bel delirio. Altrettanto felice, ovviamente, per la vittoria dello splendido Frozen – Il regno di ghiaccio come miglior Film d’Animazione e della canzone Let it Go, punta di diamante della bellissima colonna sonora di questo gioiellino firmato Disney. Fa quasi pena, invece, il riconoscimento “postumo” a Il grande Gatsby, che conquista due meritatissimi Oscar tecnici, Miglior Scenografia e Migliori Costumi. Troppo poco, troppo tardi mi sa. Per quest’anno è tutto, ragazzi… ci si risente nel 2015! ENJOY e... coraggio, Leo!!





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