martedì 28 maggio 2019

Il traditore (2019)

Ero un po' dubbiosa ma domenica, grazie alle parole di Sauro, sono andata a vedere Il traditore, diretto e co-sceneggiato dal regista Marco Bellocchio.


Trama: dopo una vita di "onorata" carriera all'interno di Cosa Nostra, negli anni '80 Tommaso Buscetta decide di diventare il primo collaboratore mafioso della polizia.


Quello di Tommaso Buscetta è un nome che da bambina e ragazzina avrò sentito mille volte nel corso di quei telegiornali che ascoltavo, durante il pranzo o la cena, con un occhio sempre tenuto su un libro o su un fumetto. Riflettendoci, domenica mi sono resa conto che, se di Totò Riina ho ben impresso il viso da vecchio zoticone di campagna, il volto di Buscetta mi era praticamente sconosciuto, così come in generale tutto ciò che era legato alla sua figura di primo collaboratore di giustizia; ho ben chiaro, invece, il ricordo della strage di Capaci, anche se nel tempo è subentrata la sensazione di caldo afoso che accompagnava un'altra strage, quella dove ha perso la vita Borsellino, a dimostrazione di come anche gli eventi più segnanti diventino vittime, col tempo, di una sorta di "smarginatura". Per fortuna esistono i film, che nel caso specifico colpiscono duro nel riproporre la strage di Capaci, momento tristemente fondamentale della storia moderna italiana e anche nella vita di Buscetta, la cui esistenza si è intrecciata saldamente, almeno per un periodo, a quella di Giovanni Falcone. Ma chi era questo Buscetta? Cosiddetto Boss dei due mondi, soldato di Cosa Nostra fuggito in Brasile, dopo essere stato catturato per la seconda volta ha deciso di diventare uno dei primi informatori di giustizia a causa di un perverso senso dell'onore, offeso dalla perdita dei romantici dettami della mafia di un tempo. "Cosa nostra" che diventa "cosa del singolo", col dio denaro come primo ed unico principio da seguire, senza guardare in faccia donne, bambini e "famiglie": così Buscetta arriva a considerarsi paladino della correttezza di Cosa Nostra, dimenticando (o, meglio, sorvolando sul fatto) di essere lui stesso, in primis, assassino, criminale, spacciatore, pronto a suicidarsi pur di non farsi catturare dalla polizia, esponente di spicco di qualcosa già sbagliato e orribile in partenza. Bellocchio, anche co-sceneggiatore, cammina sul filo sottilissimo che separa fascinazione e disgusto, riuscendo a smontare in tempo zero ogni sequenza che rischierebbe di presentarci Buscetta come l'ultimo degli eroi e sottolineando sempre e comunque la sua natura di criminale; emblematici i confronti con Falcone e la pubblica gogna dell'avvocato Coppi (per quanto paraculo difensore di un altro deprecabile, Andreotti), la prima atta ad aprire gli occhi di Buscetta davanti al suo concetto di mafia "onorevole", la seconda atta a sviscerare tutta l'assurdità di un criminale trattato come un vip e la possibilità che, tra 100 verità espresse dal nostro, ci fossero almeno 30 bugie o mezze verità, magari dettate da odio, desiderio di vendetta, voglia di mostrarsi ancora indispensabile allo Stato.


Certo, non è facile distaccarsi dall'inevitabile fascino e carisma di Pierfrancesco Favino. Affascinante anche sotto il make up che lo vuole appesantito e talvolta invecchiato, l'attore da vita ad un Buscetta molto umano non solo a livello di "sentimenti" ma anche per quanto riguarda il modo di esprimersi, di muoversi, di parlare, con quegli occhi che da un momento all'altro diventano lucidi e quel sarcasmo a fior di labbra tremanti, incerte davanti alla consapevolezza di come la cultura e l'arte oratoria talvolta possono veramente poco contro chi è più bestia di te. Il confronto tra Buscetta e Calò, così come tutti i processi mostrati all'interno del film, hanno quel mix di profondità drammatica e trash da tragicommedia che li rendono ipnotici e disgustosi al tempo stesso; si fa, paradossalmente, il tifo per Buscetta, ci si chiede se cose del genere siano accadute veramente, ci si vergogna per aver anche solo pensato di sorridere davanti alle intemperanze di un branco di animali in gabbia e allora arriva il regista a ricordarcelo, magari in maniera un po' didascalica, che ogni mafioso, Buscetta compreso, è una bestia selvatica momentaneamente confinata in una parvenza di civiltà, che non si farebbe scrupoli, una volta libero, a mordere, mutilare e uccidere. Come da "scuola Miller", Bellocchio a 80 anni si dimostra in grado di spaccare culi e confezionare un film violento, moderno sia per la scrittura che per la regia, che tira fuori il meglio dai suoi attori (non solo Favino ma anche Lo Cascio è strepitoso) e lascia lo spettatore spiazzato a più riprese, con flashback che vengono accennati e poi ripresi nel momento esatto in cui il pubblico disattento avrebbe potuto dimenticarli, tra immagini poetiche ed altre talmente terra terra da far venire voglia di vomitare. Personalmente, lo sapete, non sono "nazionalista" e non contesto (non avendo visto le opere in questione) la vittoria a Cannes di Banderas e Bong Joon-ho ma sicuramente questo Il traditore ha meritato di venire visto ed apprezzato al festival e di venire già acquistato da molti distributori esteri, quindi superate il terrore per un'eventuale mattonata (che stava per frenare anche me, lo ammetto) e correte al cinema a guardare l'ultimo film di Bellocchio prima che lo tolgano dalle sale!


Di Pierfrancesco Favino, che interpreta Tommaso Buscetta, ho già parlato QUI mentre Luigi Lo Cascio, nel ruolo di Totuccio Contorno, lo trovate QUA.

Marco Bellocchio è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Piacenza, ha diretto film come Sbatti il mostro in prima pagina, Diavolo in corpo, La balia, L'ora di religione, Buongiorno notte e Bella addormentata. Anche attore e produttore, ha 80 anni.


Tra gli altri interpreti segnalo Bebo Storti nei panni dell'avvocato Franco Coppi. ENJOY!

6 commenti:

  1. bello, mi è piaciuto molto, presto ne parlerò anche io :)

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    1. Sei riuscita dunque ad andare al cinema, mi fa piacere :)

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  2. Sono curiosissimo. Di Bellocchio, nonostante la pesantezza, mi era piaciuto molto Vincere: una Mezzogiorno strepitoso, anche lì lasciata a bocca asciutta.
    Banderas, comunque, il premio lo ha meritato tutto dopo quarant'anni di carriera (e galline per campa').

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    1. Di Bellocchio mi manca tutta la filmografia. Dopo Il traditore potrei provare ad approcciarmi a qualcosa.
      Quanto ad Almodóvar e Banderas... ormai credo aspetterò un'uscita home video!

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  3. Grazie mille per la "citazione"! Sono contento che il film ti sia piaciuto: prima o poi riuscirò a scriverne anch'io... comunque sono d'accordo con tutto quello che hai scritto, in special modo riguardo l'aspetto "belvico" dei protagonisti: siamo abituati a vedere film di mafia "fascinosi" e intriganti, qui invece la mafia viene rappresentata per quella che è, per il suo orrore e la sua ripugnanza. Straordinaria la scena di quando Buscetta/Favino entra nell'aula-bunker ripreso di spalle, con i mafiosi in gabbia che lo vorrebbero "sbranare", e nella sequenza prima, in flashback, si mostrava uno zoo con le tigri... Bellocchio è uno dei registi più "difficili" in assoluto, e questo è forse il suo film più immediato. Ma anche qui non rinuncia al suo stile onirico, stravagante, che lo confraddistingue da sempre. Ti consiglio di vedere "L'ora di religione", uno dei suoi capolavori: film faticoso ma incredibilmente affascinante, pieno di suggestioni. Ottimo per continuare la scoperta di uno dei grandi vecchi del cinema italiano :)

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    1. Di nulla, era doverosa. Aspetto la tua recensione allora :)
      L'ora di religione lo segno per il futuro, chissà che non rimanga folgorata anche da quel film!

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