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martedì 25 luglio 2023

Barbie (2023)

Giovedì sono corsa a vedere uno dei film che aspettavo di più quest'anno, il Barbie diretto e co-sceneggiato dalla regista Greta Gerwig. NIENTE SPOILER, tranne quelli presenti in un trailer per una volta poco rivelatore!


Trama: la vita scorre serena all'interno di Barbieland finché una Barbie comincia a notare stranezze e difetti nella sua esistenza sulla carta perfetta. Per indagare, la Barbie (assieme a Ken) valica i confini che separano il suo mondo da quello umano...


Di Barbie si è già detto e scritto tutto ancora prima che uscisse, quindi non sarà facile scrivere qualcosa di interessante e poco banale, soprattutto senza fare spoiler, ma ci proverò. Preceduto da un trailer accattivante e sciocchino, Barbie, per la prima mezz'ora, è, volutamente, tutto quello che i suoi detrattori pensavano. In un trionfo di rosa e kitsch, veniamo introdotti in quella che è la realtà di Barbieland, un luogo in cui ogni giorno è perfetto ma anche perfettamente uguale a quello precedente, e dove ogni Barbie può essere ciò che vuole, da presidente ad astronauta, in un susseguirsi di scene tra l'esilarante e il paradossale. Furbamente, la Gerwig e Baumbach puntano i riflettori sulla "Barbie" per eccellenza, bionda bella e sorridente, e modellano la perfezione di Barbieland su di lei perché, capirete bene, non tutte le bambine (me compresa) si limita(va)no a pensare noiose quanto glamour giornate di ozio, svago e trionfi per le proprie bambole; questo stereotipo radicato nel tempo da decenni di marketing e pubblicità è però essenziale per rendere ancora più duro lo scontro con la realtà, allorché Barbie, allarmata da terrificanti cambiamenti all'interno della sua routine e dei suoi pensieri, decide di andare nel mondo umano per indagare. E' qui che il film prende una piega inaspettata e devia da quel trailer che ci viene propinato da mesi, diventando una riflessione su un aspetto ben preciso della società, legato a doppio filo al desiderio di Ruth Handler, la creatrice di Barbie, di dare alla figlia e alle donne la possibilità di sognare in grande, proiettando ogni aspirazione su una bambola che non si limitava ad essere solo madre o moglie, ma poteva essere qualunque cosa. Prigione dorat, ehm, rosa dove questo desiderio è portato all'estremo, Barbieland è un'isola felice rigidamente amministrata da un consiglio direttivo della Mattel gestito interamente da uomini, e al suo interno c'è qualcuno che invece NON può essere quello che desidera, perché creato per esistere in funzione di Barbie, ovvero Ken. Si può dunque dire che Barbieland è il riflesso distorto di un'idea di per sé giusta, un luogo che non solo ha creato dei mostri nella realtà, alimentando ideali di bellezza e perfezione irraggiungibili, ma che "vendica" la sopraffazione con una sopraffazione al contrario, dove c'è sempre e comunque qualcuno che soffre e che viene ignorato o considerato "inferiore", a discapito di tutta la tolleranza e l'inclusività moderna predicata dal marchio Barbie.


Alla faccia di tutta la gioiosa idiozia riversataci addosso da trailer, meme ed anteprime, Barbie è un film molto amaro, che non mostra il fianco neppure per un istante a soluzioni semplici ed happy ending posticci. La Gerwig e Baumbach, anzi, sembrano volerci dire che la vita è fatta di scelte e sofferenza, una lotta continua per affermare noi stessi in una società che probabilmente non ci vuole e che ci impone assurdi modelli maschili o femminili; ancora peggio, non esistono cambiamenti nati da illuminazioni improvvise e lo status quo è terribilmente difficile da sradicare, quindi tutto il contrario di ciò che ci è sempre stato insegnato dalla Disney e dai suoi emuli (se poi pensate che l'amore possa vincere su ogni cosa, avete davvero puntato sul film sbagliato). Tutto ciò viene gettato in faccia allo spettatore col sorriso, con i toni garbati di una commedia capace di spingere il pedale sull'acceleratore dell'assurdo senza mai deviare dal suo percorso né imbroccare la via senza ritorno della caciara fine a se stessa, cosa che dimostra l'incredibile lucidità mentale della Gerwig e il suo polso fermissimo sia in fase di scrittura che di regia. Se, a tratti, Barbie vi sembrerà un po' troppo fighetto e "maestrino" nel suo desiderio di aprirci gli occhi al mondo, beh, non sarò io a farvi cambiare idea, perché ogni tanto ho avuto io stessa la sensazione di venire "bacchettata" tra una risata e l'altra (probabilmente avvertivo l'aura di Baumbach, con cui non vado d'accordissimo), ma siccome sul finale sono riuscita persino a commuovermi direi che nel film c'è soprattutto del sentimento, non solo del freddo, cinico calcolo.


Al di là di queste considerazioni che, come avrete capito, non posso sviscerare appieno pena incappare in sgraditi spoiler, Barbie è proprio bello cinematograficamente parlando. Se date un'occhiata QUI, vi farete un'idea di quante, elegantissime fonti d'ispirazione abbiano guidato la Gerwig nella realizzazione del film che, effettivamente, è una gioia per gli occhi fatta di inquadrature iconiche ed intelligenti, con numeri musicali dal sapore vintage, capaci di lasciare a bocca spalancata. Le scenografie sono spettacolari e non potrebbe essere altrimenti: il rosa e i colori pastello delle case dei sogni di Barbieland si accompagnano a fondali disegnati che noi bambine conosciamo molto bene, e non contrastano neppure troppo con la fredda monocromia e regolarità degli uffici della Mattel, proprio a rispecchiare il rigido controllo presente in due mondi strettamente legati. Personalmente, non ho mai avuto molte Barbie con cui giocare ma mi sono ammazzata di cataloghi Mattel (li adoravo, avendo sempre amato disegnare mi davano una fonte d'ispirazione costante per vestire le mie donnine e, in più, erano scritti in almeno un paio di lingue) e non nascondo di avere represso più di un brivido di gioia davanti al rispetto filologico di costumi, pettinature, accessori e linee, spesso utilizzati come ulteriore fonte di ironica presa in giro. La presenza di una narratrice d'eccezione, che spesso sfonda la quarta parete dialogando con spettatori e realizzatori, è l'ulteriore aggiunta a un cast perfetto. Se Michael Cera e Kate McKinnon sfruttano al meglio il poco tempo a loro concesso e Margot Robbie è una Barbie fatta e finita, a rubarle la scena c'è un Ryan Gosling favoloso, che si è gettato anima e corpo in un ruolo che molti avrebbero rifiutato perché troppo "stupido"; l'attore ha reso finalmente giustizia al povero Kentozzi(tm) rendendolo tragico, eroico "imperatore del regno di mille fighe di legno", "monumento" di un algido piccione biondo, che verrebbe voglia di abbracciare per tutta la durata del film. Non mi vergogno a dire che, per quanto mi riguarda, questa è l'interpretazione migliore di Gosling e, prima di venire linciata, vi invito a correre al cinema a vedere Barbie. Lo so, è una cretinata, ma andate con almeno un accessorio rosa, perché vedere una sala gremita di gente tutta vestita a tema, persino nel triste multisala di Savona, è stata un'esperienza bellissima!!


Della regista e co- sceneggiatrice Greta Gerwig ho già parlato QUI. Margot Robbie (Barbie), Kate McKinnon (Barbie), Alexandra Shipp (Barbie), Emerald Fennell (Midge), Ryan Gosling (Ken), Michael Cera (Allan), America Ferrera (Gloria), Helen Mirren (narratrice), Will Ferrell (CEO della Mattel) e Lucy Boynton (Barbie Proust) li trovate invece ai rispettivi link. 

Simu Liu interpreta Ken. Cinese, lo ricordo per film come Shang - Chi e la leggenda dei dieci anelli, inoltre ha partecipato a serie quali Slasher e prestato la voce per I Simpson. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 34 anni e tre film in uscita. 


Rhea Perlman interpreta Ruth. Americana, moglie di Danny De Vito, ha partecipato a film come Matilda 6 mitica e a serie quali Taxi, Blossom, Cin Cin, Innamorati pazzi e Ally McBeal; come doppiatrice ha lavorato ne I Simpson, American Dad!, Robot Chicken e Sing. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 75 anni. 


Tra le mille Barbie e Ken presenti nel film spuntano Dua Lipa e John Cena in versione sirene. Se Barbie vi fosse piaciuto il mio consiglio è di recuperare davvero le fonti di ispirazione della Gerwig, male non farà di sicuro! ENJOY!



domenica 18 agosto 2019

Fast & Furious - Hobbs & Shaw (2019)

Spinta da un trailer tamarro e dalla presenza di attori molto graditi, prima di partire per le ferie sono corsa a vedere Fast & Furious - Hobbs & Shaw (Fast & Furious Presents: Hobbs & Shaw), diretto dal regista David Leitch.


Trama: la presenza di un virus mortale, voluto a tutti i costi da un'organizzazione in grado di creare superuomini, costringe l'enorme Hobbs e l'elegante Shaw a una difficile collaborazione.


Disclaimer: non ho mai sopportato Fast & Furious, così, a pelle, quindi non ho mai visto un singolo episodio della saga. Ciò mi ha portato a spoilerare spiacevolmente UN aspetto del film su Facebook, cosa che cercherò di non ripetere qui (quindi saltate l'elenco degli interpreti, grazie) benché, di fatto, non abbia idea di cosa sia presente sia in Fast & Furious che in Hobbs & Shaw, spin-off della saga. Generalmente parlando, posso dire che Hobbs & Shaw è una simpaticissima tamarrata tirata anche troppo per le lunghe, il cui pregio principale è la contrapposizione tra i due personaggi, il gigantesco, palestrato (ma con un cervello che è un brillante!) Hobbs e il ladro ex spia ex killer ex tutto Shaw, contrapposizione sottolineata da un odio atavico capace di generare le migliori battute e spiritosissimi botta e risposta oltre che di far procedere la trama su più livelli, almeno un paio paralleli; entrambi i protagonisti hanno problemi di famiglia, entrambi hanno un passato di cui vergognarsi, entrambi sono ai limiti della legalità, quindi diciamo che hanno più cose in comune di quanto non vogliano ammettere, il che li rende una squadra perfetta. Per le mani, neanche a dirlo, la più classica delle minacce globali, un virus capace di annientare l'umanità in una settimana, creato in laboratorio da un'organizzazione talmente segreta che al confronto la MAD del Boss Artiglio era una baracconata. L'organizzazione in questione, molto darwinianamente, punta a eliminare i deboli con qualunque mezzo, consentendo ai forti di prosperare e dando loro anche una discreta mano in termini di impianti cibernetici. Ecco dunque, come dal trailer, la pericolosa presenza di un Idris Elba in versione "Superman nero", pronto a spaccare culi, muri, macchine, porte, maniglie, cani, mondi senza apparentemente subire i colpi proibiti di Hobbs & Shaw, i quali potrebbero tranquillamente sputare in un occhio a John Wick e all'Atomica Bionda, due nomi fatti non a caso visto che David Leitch è il regista di entrambi i film e si vede. Le scene action sono delle sboronate mai viste, sia per quanto riguarda il corpo a corpo che per quanto riguarda, neanche a dirlo, gli inseguimenti in macchina, le esplosioni, i disastri aerei e qualunque altra cosa tamarrissima possa venirvi in mente, e ovviamente è tutto girato, montato e fotografato alla perfezione, così che lo spettatore non possa perdersi nemmeno una scintilla o una goccia di sangue (poco, a onor del vero).


Il GROSSO problema di Hobbs & Shaw, invero più grande della stazza di The Rock, è che è tutto talmente telefonato da far pietà (e fin qui, non mi aspettavo nulla di più da un film del genere, lo ammetto) e dotato di una morale così dolciotta da far sputare sì i denti ma non per i pugni, bensì per la carie mista a diabete. L'elogio finale della Famiglia a braccetto con " le macchine sono belle ma gli esseri umani sono meglio, gli amici sono meglio, la famiglia è meglio, quindi vinceremo sempre noi, to', sucamillo!", preceduto dagli sproloqui monotoni e ripetitivi di un Idris Elba che riusciva ad essere più profondo come Heimdall e persino come Roland Deschain (oddio...!) e che a tratti risulta più petulante del Dr. Male è qualcosa di talmente fuori contesto da far cadere i marroni. Privare della grinta due potenziali antieroi e trasformarli in due orsottoni del cuore che sull'isola di Tulla scoprono di volersi proprio tanto tanto bene è probabilmente il più grande autogol del film e priva di pathos zamarro una delle sequenze potenzialmente più sborone del film, alla quale sono arrivatà, ahimé, con gli occhi semichiusi dopo un primo tempo esaltante. Operazione non completamente riuscita quindi, peccato, anche se Dwayne Johnson è sempre una gioia per gli occhi, la bionda Vanessa Kirby è tosta quanto basta e ci sono un paio di guest star che da sole valgono il prezzo del biglietto. Unico appunto, Jason Statham. Sempre a suo agio in questi ruoli di duro che non deve chiedere mai, eh, peccato che sia nato col sembiante di Bruce Willis già vecchio e che manchi completamente del fascino giovanile del buon Bruno. Ah, ci fosse stato Bruccino a limonarsi il pucchiaccone ispano-russo e a fracassare bottiglie di champagne in testa ai cattivi, il mio cuore sarebbe rimasto sul pavimento della sala. Oh, e non alzatevi prima della fine dei titoli di coda, a meno che non abbiate ancora finito di vedere l'ultima serie de Il trono di spade; in tal caso, fuggite perché uno dei personaggi vi spoilererà pesantemente l'episodio finale.


Di David Leitch, che interpreta anche uno dei piloti della ETEON, ho già parlato QUI. Dwayne Johnson (Hobbs), Jason Statham (Shaw), Idris Elba (Brixton), Helen Mirren (Queenie), Eddie Marsan (Professor Andreiko), Cliff Curtis (Jonas), Ryan Reynolds (Locke) e Kevin Hart (Air Marshall Dinkley) li trovate invece ai rispettivi link.

Vanessa Kirby interpreta Hattie. Inglese, ha partecipato a film come Questione di tempo e a serie quali Grandi speranze e The Crown. Anche produttrice, ha 31 anni e un film in uscita.


Eiza Gonzales interpreta Madame M. Messicana, ha partecipato a film come Jem e le Holograms, Baby Driver - Il genio della fuga, Alita - Angelo della battaglia e a serie quali Dal tramonto all'alba - La serie. Ha 29 anni e tre film in uscita.


Pare che Dwayne Johnson abbia provato ad avere Jason Momoa nel ruolo di uno dei fratelli di Hobbs ma l'attore era troppo impegnato per partecipare; in compenso, nella famiglia di Hobbs spunta il wrestler Joe "Roman Reigns" Anoa'i, nella realtà cugino di Dwayne Johnson. Nulla di fatto anche per Keanu Reeves, che ha rinunciato a dare la voce al boss senza volto della ETEON, doppiato in originale da Ryan Reynolds sotto pseudonimo. Detto questo, se Hobbs & Shaw vi fosse piaciuto recuperate per intero la saga di Fast & Furious e aggiungete quella di John Wick, Atomica Bionda e anche i due Deadpool. ENJOY!

martedì 5 giugno 2018

La vedova Winchester (2018)

Benché fosse uscito da parecchio tempo, ho recuperato solo di recente La vedova Winchester (Winchester), diretto e co-sceneggiato dagli Spierig Brothers.


Trama: uno psichiatra dipendente dal laudano e alcolista viene assunto dagli avvocati della Winchester onde accertare le condizioni mentali della vedova del fondatore dell'azienda, proprietaria del 50% delle azioni e di una casa dove accadono cose misteriose...



Sarah Winchester è una signora realmente esistita. Leggenda narra che la donna, erede della fortuna del marito, abbia cominciato a far costruire la Winchester Mansion a seguito della morte di quest'ultimo, convinta che la sua famiglia fosse maledetta; i lavori si sono conclusi solo con la morte di Sarah e nel corso di 38 anni la casa è diventata un incubo architettonico dovuto non solo al terremoto di San Francisco del 1906 (citato nel film) ma soprattutto al fatto che la Winchester, ignorante in materia di progetti e architettura, continuasse a far aggiungere porte, finestre e stanze senza seguire una logica, affidandosi all'estro e abbandonando eventuali lavori quando quella determinata area abitativa le veniva a noia. Ovviamente, si dice anche che questa follia architettonica fosse dovuta alla ferma convinzione della Winchester che la sua famiglia fosse maledetta a causa di tutte le persone morte per mezzo delle armi prodotte dall'azienda e da qui è nata la certezza (tutt'ora in vigore) che la Winchester Mansion fosse infestata dagli spiriti. Elementi sufficienti, questi, per affascinare produttori televisivi, documentaristi, studiosi del paranormale, sceneggiatori/registi cinematografici e persino mangaka: La vedova Winchester non è la prima opera basata sulla storia di Sarah Winchester e probabilmente non sarà l'ultima né una delle più innovative. Per quel che mi riguarda, le uniche cose davvero memorabili del film sono le scenografie e i costumi, le prime ancora più mirabili poiché ricostruite in studio, in quanto i veri interni della Winchester Mansion sono ben più stretti e difficili da riprendere. Certo, nelle mani di un regista più visionario probabilmente la casa "incriminata" sarebbe diventata un fantasioso delirio di dedali infiniti e prospettive sghembe ma lo stesso le scenografie del film danno l'idea di un posto non solo pericoloso e decadente ma anche caotico, un affronto a tutte le leggi dell'architettura e il luogo ideale come nascondiglio per spiriti iracondi.


Per il resto, La vedova Winchester percorre sentieri già battuti e non raggiunge le vette di delirio del film precedente degli Spearig Brothers, l'intrigante Predestination. Abbiamo una "banale" storia di fantasmi vendicativi, eccentriche signore costrette a sopportarli in quanto maledette da blandi poteri psichici (solo a me il personaggio di Sarah ha ricordato un po' quello di Lin Shaye in Insidious?), luminari dal tragico passato che dapprima sono scettici poi diventano il mezzo per sconfiggere le entità importune e pargoli nati per essere contenitori del maligno; a proposito di quest'ultimo, gli sceneggiatori mettono a segno un bel twist inaspettato, l'unico che mi ha lasciata davvero sorpresa assieme al primo jump scare piazzato a mezz'ora dall'inizio del film, per il resto posso onestamente dire che La vedova Winchester è persino un po' soporifero. Peccato per questa "debolezza" diffusa, perché in realtà Helen Mirren ha una presenza scenica non da poco e conferisce elegante fascino e persino un pizzico di ambiguità alla misteriosa figura di Sarah Winchester, al punto da eclissare il pur bravo Jason Clarke che dovrebbe essere il protagonista della pellicola, o comunque l'eroe. Il resto del cast è invece sottotono, con una Sarah Snook che a momenti nemmeno riconoscevo (e anche lì, quanto l'avevo adorata in Predestination!) e un Eamon Farren che faceva faville giusto in Twin Peaks ma che qui mostra diversi limiti attoriali. Come ho detto prima, peccato. Non è che La vedova Winchester sia brutto, però speravo in qualcosa che mi emozionasse ed intrigasse di più, per il resto non posso sconsigliarlo, anche solo per la presenza della divina Mirren e per la voglia che mi ha messo di fare un salto negli USA, a visitare la casa infestata più famosa del Nord America.


Degli Spierig Brothers, registi e co-sceneggiatori della pellicola, ho già parlato QUI. Helen Mirren (Sarah Winchester), Sarah Snook (Marion Marriott) e Jason Clarke (Dr. Eric Price) li trovate invece ai rispettivi link.

Eamon Farren interpreta Ben Block. Australiano, lo abbiamo odiato nella terza serie di Twin Peaks ma ha partecipato anche a film come Lion - La strada verso casa. Ha 33 anni e un film in uscita.


Somma idiozia delle leggi di copyright: siccome la Lionsgate ha acquistato i diritti cinematografici e fotografici legati alla Winchester Mistery House (visitabile al modico prezzo di 39 dollari a testa!), ai turisti che la visitano è ora vietato fare foto all'interno perché ciò sarebbe come fare "concorrenza" al film. Nel 2009 anche la Asylum ha deciso di realizzare una pellicola basata sul mistero della Winchester Mansion e ha fatto uscire Haunting of Winchester House, una roba immagino bruttissima che non vi consiglierei di recuperare conoscendo la Asylum; piuttosto, se il genere vi piace guardate The Conjuring e il suo sequel. ENJOY!


domenica 27 novembre 2016

Robert Altman Day - Gosford Park (2001)


Dopo una lunghissima pausa è arrivata Alessandra di Director's Cult a tirare fuori da letargico torpore il F.I.C.A., gruppetto di blogger sempre pronti ad unirsi per celebrare registi, attori e Cinema in generale. Oggi tocca a Robert Altman, a dieci anni dalla sua morte, finire sotto i riflettori e io ho scelto di riguardare un film che non vedevo dal lontano 2001, Gosford Park, premiato con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. ENJOY!


Trama: a Gosford Park, tenuta dell'opulenta famiglia McCordle, si riuniscono per un weekend tutti i più alti esponenti del parentado e qualche ospite più o meno illustre, oltre ai membri della relativa servitù. Tra una battuta di caccia e un pettegolezzo ci scapperà anche il morto...



Prima di cominciare il post, l'inevitabile premessa: di Altman avrò visto sì e no un paio di film, ovvero l'adorato M.A.S.H. e il bellissimo America oggi, con qualche spezzone di Popeye - Braccio di ferro da bambina. Ciò che ho guardato di suo mi è piaciuto ma non ho mai elevato il regista americano a feticcio, conseguentemente non mi sono mai documentata molto in merito, nemmeno ai tempi dell'università quando, per svariati motivi, mi è capitato di recuperare le pellicole di cui sopra e, ovviamente, Gosford Park. Visto al cinema, per inciso, non perché diretto da Altman ma semplicemente in quanto ambientato in un'Inghilterra affascinante, fatta di Ladyships e Lordships, dove la divisione tra chi sta al piano di sopra (i padroni) e chi in quello di sotto (i servi) è netta ma permeabile. Sì, lo ammetto, le ambientazioni alla Downton Abbey (che, secondo le intenzioni dello sceneggiatore Julian Fellowes, avrebbe dovuto essere uno spin-off del film poi ha preso tutta un'altra direzione) mi sono sempre piaciute tantissimo e il piglio tra il serio e il faceto con cui Altman ha scelto di affrontare questo ambiente probabilmente a lui sconosciuto è talmente interessante che le due ore e passa di film volano via come fossero mezza. Che poi, in soldoni, Gosford Park è un film fatto "di nulla", all'interno del quale l'unico evento davvero degno di nota è l'omicidio di uno dei protagonisti con conseguente investigazione; eppure, nonostante il fulcro dell'azione sia un delitto, chiunque capirebbe che Altman e compagnia non erano interessati a girare un giallo, quanto piuttosto un "documentario" antropologico imperniato sui rapporti tra servitù e padroni, su due microcosmi separati giusto da una rampa di scale. Logorroico e difficile da seguire, Gosford Park immerge subito lo spettatore in un intrico di parentele, nomi e legami dati per scontati ma che si chiariscono solo mano a mano che la pellicola prosegue, e che costringe a mettersi nei panni del servo che raccoglie spizzichi e bocconi di conversazioni per mettere insieme un quadro generale il più possibile esaustivo e, neanche a dirlo, succulento. Inutile fare domande dirette come il povero ispettore Thompson: in Gosford Park ogni informazione passa attraverso l'attenta e silenziosa osservazione, attraverso il rapporto privilegiato tra padroni e valletti personali, fatto di un amore/odio comprensibile soltanto da chi lo vive quotidianamente sulla propria pelle, attraverso riti e consuetudini che sicuramente a noi risultano ridicoli ma comunque imprescindibili per quel tipo di società.


Spinta dalla necessità di riuscire a cogliere anche il più piccolo sussurro e il più sottile degli sguardi indiscreti, la cinepresa di Altman si sdoppia e non sta mai ferma, sguscia dietro porte socchiuse e diventa parte integrante del fermento presente a Gosford Park in un weekend particolarmente difficile, soffermandosi sui mille lavori in cui sono impegnati cuochi, valletti, camerieri ed autisti e non liquidando alcun gesto come inutile o superfluo, neppure quelli dei nobili indolenti. E le emozioni, in tutto questo? In un mondo severamente regolato come quello di Gosford Park l'emotività è di norma riservata agli aristocratici, che la trasformano in un teatrino con il quale è difficile empatizzare. La sofferenza, quella vera in quanto costretta a rimanere celata, è prerogativa di quella servitù tanto disprezzata quanto necessaria, al punto che le scappatelle notturne si sprecano, come se i padroni cercassero disperatamente qualcosa di "reale" a cui appigliarsi al di là dei freddi rapporti tra pari. E' per questo che Gosford Park trova il suo punto di forza principalmente negli attori, sia nei grandi nomi capaci di mangiare la scena con poche battute che nelle semplici comparse, ancora più genuine ed indispensabili in un film corale come questo. Nella miriade di attoroni che popolano i due piani di Gosford Park ce ne sono alcuni che hanno catturato particolarmente la mia attenzione e che reputo degni di menzione, fermo restando che tutti i coinvolti avrebbero meritato l'Oscar. Cominciamo con sua maestà Maggie Smith, un concentrato di wit, cattiveria, taccagneria e sguardi fulminanti, la vecchia carampana che neppure il capofamiglia vuole avere accanto durante il pranzo, e continuiamo scendendo al piano inferiore, dove si nascondono le vere perle: l'impacciata ma decisa Kelly MacDonald, la compassata Helen Mirren, la magnetica Emily Watson, il miserevole Alan Bates e quella faccia da schiaffi di Richard E. Grant che come servo farebbe venire i brividi persino a Tim Curry sono gli attori che mi hanno colpita più di tutti ma probabilmente l'elenco cambierebbe a seconda dello spettatore, tanto non ce n'è uno che sia meno che bravissimo. In conclusione sono dunque felicissima di aver riguardato Gosford Park e di averlo finalmente potuto vedere in inglese, che persino nel 2001 avevo capito quanto più potente sarebbe stato un film simile in lingua originale, quindi grazie Robert Altman per questo particolarissimo esperimento cinematografico!

Robert Altman ha già fatto capolino sul Bollalmanacco col suo M.A.S.H., racconto anti-militare zeppo di humour nero.


I miei compagni di ventura hanno invece partorito questi post, che vi consiglio di leggere:

Director's Cult - I protagonisti
Non c'è paragone - Nashville
Solaris - Radio America
White Russian - I compari



martedì 16 febbraio 2016

L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo (2015)

Dopo qualche giorno di pausa si torna a parlare di Oscar, nella fattispecie di L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo), diretto nel 2015 dal regista Jay Roach e tratto dall'omonima biografia scritta da Bruce Cook, per il quale Bryan Cranston è candidato come miglior attore protagonista.


Trama: il film racconta la storia dello scrittore e sceneggiatore Dalton Trumbo, costretto a lavorare sotto falso nome in quanto inserito in una lista nera di professionisti guardati con sospetto a causa del loro credo politico.


Quando si parla di America si pensa subito ad una Nazione dove i diritti vengono tutelati e chiunque può godere di libertà praticamente assoluta, soprattutto per quel che riguarda il suo credo religioso e politico. Certo, di tanto in tanto arrivano anche in Italia allarmanti notizie riguardanti imbarazzanti "incidenti" a sfondo razziale, che hanno per protagonisti soprattutto polizia e afroamericani, ma nel complesso è raro che si senta parlare di grandi personalità perseguitate per le loro idee: d'altronde, Travolta e Cruise sono sostenitori di Scientology, Trump è in corsa per la presidenza e nessuno li ha ancora presi a schiaffoni oppure interdetti per sempre dal mostrarsi in pubblico. Sul finire degli anni '40, invece, l'America era finita preda di un'imbarazzante ed assurda "caccia al comunista", che ha portato non solo l'uomo della strada a guardare con sospetto il proprio vicino ma addirittura alla costituzione della cosiddetta Commisione per le attività anti-americane da parte della Camera dei rappresentanti; vero, questa Commissione esisteva già all'epoca della seconda guerra mondiale ma è solo a ridosso degli anni '50 che ha cominciato ad estendere i suoi "tentacoli" anche ai quei rappresentanti della scena culturale accusati di essere comunisti e quindi, automaticamente, sovversivi, spie, Russi mancati, ecc. ecc., quindi diffidati dal continuare a fare il loro lavoro e, in generale, trattati come dei paria nell'ambito di qualsiasi realtà sociale. All'interno di questa imbarazzante pagina di Storia Americana si muove il caustico ed ironico Dalton Trumbo, costretto ad intraprendere un'estenuante battaglia fatta di sotterfugi e sofferenza "solo" per poter non soltanto consentire a lui e alla sua famiglia di sopravvivere ma anche per tornare ad esibire con orgoglio il proprio nome in calce alle sceneggiature da lui scritte. La pellicola di Jay Roach viene costruita come una biografia "surreale", nel senso che la situazione descritta ha dell'incredibile non solo per lo spettatore odierno, ma anche per chi si è trovato a viverla, inizialmente convinto che un Paese come l'America non sarebbe mai arrivato a boicottare dei rispettabili e famosi cittadini, men che meno a metterli in carcere. Alle quasi scanzonate scaramucce iniziali tra quelli che sarebbero diventati "I 10 di Hollywood" e feroci anti-comunisti come Hedda Hopper e John Wayne si sostituiscono a poco a poco la disperazione di chi finalmente comprende gli estenti del terrore da guerra fredda, di chi è costretto a tradire gli amici per continuare a lavorare, di famiglie costrette a mentire sulle attività dei propri cari e a vergognarsi di portare un determinato cognome, di vene creative prosciugate dall'inattività o dalla necessità di procacciarsi da vivere.


L'intera vicenda viene mostrata attraverso gli occhi di Dalton Trumbo, sceneggiatore colpito forse più di altri dall'amara ironia di questa situazione insostenibile, vincitore di due Oscar finiti in mano ad altri (il primo, per la sceneggiatura di Vacanze Romane, al prestanome Ian McLellan Hunter, il secondo, per quella de La più grande corrida, direttamente all'associazione degli sceneggiatori, visto che Robert Rich era solo uno pseudonimo), ritirati soltanto una volta che l'America intera era rinsavita da quell'assurda caccia alle streghe comuniste. Immerso all'interno della sua vasca, Trumbo affronta con incredibile arguzia e presenza di spirito l'opprimente atmosfera di una Guerra Fredda apparentemente infinita, senza smettere un attimo di battere le dita sui tasti della macchina da scrivere, vuoi per orgoglio, egoismo o semplice spirito di sopravvivenza; attorno a lui ruotano familiari giustamente sull'orlo di una crisi di nervi, parassiti della peggior specie, vendicativi paladini della "purezza occidentale" ma anche comunisti duri e puri che vorrebbero vederlo se non morto perlomeno schiacciato dalla sua (molto) altalenante dedizione alla causa e ciò che accomuna tutti i personaggi realmente esistiti è proprio la sfortuna di essere capitati in un periodo storico agghiacciante, doloroso ed umiliante sia per le vittime che per i carnefici. Non a caso, Trumbo è un film prevalentemente attoriale, interamente basato sulle performance di chi è riuscito a riportare sullo schermo, con una sensibilità incredibile, tutti i protagonisti di questa storia "senza vincenti". Bryan Cranston in primis meriterebbe l'Oscar perché il suo Dalton Trumbo è perfetto: in primo luogo, per l'aderenza a quello vero, come si può evincere da uno stralcio d'intervista riportato durante i titoli di coda, secondariamente per l'intensità messa nell'interpretazione, tanto che spesso ci si commuove davanti a quest'uomo che rifiuta, cocciutamente, di venire messo in ginocchio da un sistema sbagliato. Persino le figure più "banali" (mi si passi il termine) o più caricate risultano realistiche, questo vale sia per la figlia Nikola, interpretata da una Elle Fanning che ormai ha surclassato la sorella Dakota (a proposito, che fine ha fatto??), sia per l'enorme Frank King, incarnato da un John Goodman in stato di grazia; a queste persone magari poco conosciute si aggiungono le magistrali rappresentazioni di miti viventi quali John Wayne, Kirk Douglas, un esilarante Otto Preminger e la stronzissima "regina del gossip" Hedda Hopper, ennesimo ruolo capace di confermare la grandezza di una Helen Mirren che non sbaglia un colpo, che Dio la benedica.  L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo è un film che ha cuore, una pellicola interessantissima e capace di causare nello spettatore l'insana voglia di saperne di più non solo sullo sfortunato Dalton Trumbo ma anche e soprattutto su un periodo nerissimo della storia di Hollywood in particolare e dell'America in generale. Ecco perché in Italia lo hanno distribuito solo in una cinquantina di sale, bravi!!


Del regista Jay Roach ho già parlato QUI. Bryan Cranston (Dalton Trumbo), Michael Stuhlbarg (Edward G. Robinson), Helen Mirren (Hedda Hopper), Alan Tudyk (Ian McLellan Hunter), Roger Bart (Buddy Ross), Elle Fanning (Niki Trumbo) e John Goodman (Frank King) li trovate invece ai rispettivi link.

Diane Lane interpreta Cleo Trumbo. Americana, ha partecipato a film come I ragazzi della 56ma strada, Rusty il selvaggio, Charlot - Chaplin, Dredd - La legge sono io, Jack, L'uomo d'acciaio e ha lavorato come doppiatrice per il film Inside Out e il corto Il primo appuntamento di Riley. Ha 51 anni e tre film in uscita, tra cui Batman vs Superman: Dawn of Justice.


Louis C.K. (vero nome Louis Szekely) interpreta Arlen Hird. Americano, ha partecipato a film come Blue Jasmine e American Hustle - L'apparenza inganna. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 48 anni e un film in uscita, Pets - Vita da animali.


Christian Berkel interpreta Otto Preminger. Tedesco, ha partecipato a film come L'uovo del serpente, The Experiment, Bastardi senza gloria, Operazione U.N.C.L.E. e a serie come L'ispettore Derrick e Il commissario Rex. Ha 59 anni e un film in uscita.


Dean O'Gorman, che interpreta Kirk Douglas, era il nano Fili in tutti i film della trilogia de Lo Hobbit. Steve Martin non ha nulla a che vedere col film ma per qualche tempo, nei primi anni della sua carriera, è stato il fidanzato della figlia minore di Trumbo, Mitzi, senza avere idea di chi fosse Dalton Trumbo prima di conoscerlo di persona. Detto questo, se L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo vi fosse piaciuto, recuperate magari alcuni film scritti dallo sceneggiatore (tra i più famosi, anche relativamente recenti, ci sono i già citati Vacanze romane e La più grande corrida ma anche Spartacus e Always - Per sempre) e magari Good Night and Good Luck. ENJOY!


domenica 15 dicembre 2013

Hitchcock (2012)

Piano piano sto recuperando tutti quei film meritevoli che, nonostante questo, non hanno mai trovato distribuzione dalle mie parti e questa volta è toccato al bellissimo Hitchcock, diretto nel 2012 dal regista Sacha Gervasi e tratto dal libro Alfred Hitchcock and the Making of Psycho di Stephen Rebello.


Trama: dopo Intrigo internazionale, Alfred Hitchcock trova una nuova fonte d'ispirazione nel libro Psycho di Robert Bloch. Osteggiato da produttori e giornalisti, indebitato e totalmente immerso nel lavoro, non si accorge di quanto la moglie Alma si stia allontanando da lui...


Hitchcock è un film interessantissimo e frizzante, sia per gli appassionati di Hitch che per chi vuole gustarsi un'ora e mezza di sano intrattenimento cinematografico, magari imparando qualcosa su uno dei massimi esponenti della settima arte. Mescolando episodi legati alla vita privata del regista, una ricostruzione del making of di Psyco e le inquietanti suggestioni di un Ed Gein negli inediti panni di Grillo Parlante, Hitchcock pone sotto i riflettori una parte assai importante e difficile della carriera del Maestro della Suspance, un momento in cui al successo si accompagnano le inevitabili incertezze, il timore di sbagliare, la paura di diventare mero fenomeno commerciale svilito da un'avventura televisiva di successo, un attimo di crisi derivata dalla vecchiaia e dal desiderio di risvegliare sensazioni sopite alimentandole con la fantasia. Nella pellicola, infatti, Hitchcock comincia a perdere progressivamente il contatto con la realtà com'era accaduto ad Ed Gein e Norman Bates (meravigliosa la scena in cui, davanti a una Vivien Leigh urlante e terrorizzata, sfoga tutta la sua rabbia mostrando alla troupe come girare la famosa sequenza della doccia), terrorizzato dall'idea di venire tradito e abbandonato da tutti, attrici, moglie, pubblico, critici. Un indebolimento mentale che si accompagna ad una debolezza fisica manifestata nella febbre e nella fame compulsiva e che mostra un Hitchcock terribilmente imperfetto e molto più umano dell'ironica e sarcastica "sagoma" che, come spettatori, siamo arrivati a conoscere.


Ed è bello, finalmente, fare anche la conoscenza di Alma, la grande donna dietro un grande uomo e, forse, la vera protagonista del film, interpretata da una grandissima Helen Mirren che più di una volta eclissa il pur bravissimo Anthony Hopkins (truccato così bene che il film è stato candidato all'Oscar per il miglior make-up). Alma è una capacissima donna con tutti gli attributi necessari per sostenere l'ingombrante (in tutti i sensi) marito e, a quanto pare, è anche la mente che ha trasformato una pellicola schifata persino da Hitchcock nello Psyco che tutti noi conosciamo e amiamo; all'interno del film possiamo vedere come la crisi creativa e umana che ha colpito il marito ricada pesantemente anche su Alma, costantemente messa in ombra dalla fama del consorte o dall'insana passione di quest'ultimo per le bionde star dei suoi film. Nel corso della pellicola, Alma cerca di ritrovare una sua indipendenza allontanandosi da Hitchcock e trovando conforto in un Danny Huston sempre più a suo agio nei panni del viscido piacione, ed è buffo e molto commovente vedere come due persone che si conoscono e si aiutano a vicenda da anni arrivino a non capirsi più, ad evitarsi o parlarsi solo tramite feroci punzecchiature reciproche. Alla crisi coniugale corrisponde un terribile momento di empasse nel corso della realizzazione di Psyco e ad un conseguente calo della qualità del lavoro di Hitchcock e il regista Sacha Gervasi è molto bravo a giostrare queste due anime del film senza scadere nel melodramma sentimentale o nel freddo documentario, facendoci così affezionare ai due testardi protagonisti e intrigandoci con i retroscena di un Capolavoro del cinema che, per quanto sia conosciuto, nasconde comunque molti segreti. La presenza di un cast affiatato e valido e l'ironica cornice alla Alfred Hitchcock Presenta, infine, contribuiscono a rendere Hitchcock un gioiellino ancora più prezioso, che vi consiglio di recuperare il prima possibile.


Di Anthony Hopkins (Alfred Hitchcock), Helen Mirren (Alma Reville), Scarlett Johansson (Janet Leigh), Danny Huston (Whitfield Cook), Toni Collette (Peggy Robertson), Jessica Biel (Vera Miles), James D’Arcy (Anthony Perkins) e Kurtwood Smith (Geoffrey Shurlock) ho già parlato ai rispettivi link.

Sacha Gervasi è il regista della pellicola. Inglese, prima di Hitchcock ha diretto solo il documentario Anvil: The Story of Anvil. Anche sceneggiatore e produttore, ha 47 anni. 


Michael Wincott (vero nome Michael Anthony Claudio Wincott) interpreta Ed Gein. Canadese, lo ricordo per film come Talk Radio, Nato il quattro luglio, The Doors, Robin Hood – Principe dei ladri, I tre moschettieri, Il corvo, Dead Man e Alien – La clonazione; inoltre, ha partecipato a serie come Miami Vice. Ha 55 anni e due film in uscita. 


Tra gli altri attori compare anche, nei panni dello sceneggiatore Joseph Stefano, l’ex Karate Kid Ralph Macchio. Andrew Garfield invece era stato convocato per il ruolo di Anthony Perkins ma ha dovuto rinunciare per i suoi impegni teatrali. Detto questo, se Hitchcock vi fosse piaciuto recuperate ovviamente i film del corpulento maestro della suspance e magari anche Ed Wood e Il discorso del re! ENJOY!

venerdì 6 settembre 2013

Red 2 (2013)

Con un po' di ritardo questa settimana sono riuscita a vedere Red 2 del regista Dean Parisot, seguito di quel Red che tanto mi era piaciuto nel 2010.


Trama: Frank e Sarah ormai stanno insieme e vivono le "gioie" di una vita tranquilla e noiosa. Questo, ovviamente, finché il folle Marvin non decide di coinvolgerli in una crisi internazionale innescata da una bomba atomica e uno scienziato pazzo...


I Reduci Estremamente Distruttivi sono tornati e, sebbene Red 2 non raggiunga le vette del primo, sorprendente e simpatico capitolo, riescono comunque ancora a divertire e spaccare culi nonostante la veneranda età. Se Red presentava i personaggi e il mondo dello spionaggio attraverso gli occhi affascinati di una donna di provincia desiderosa di avventure in Red 2 il focus si sposta prepotentemente sulla coppia Sarah/Frank e tutta la vicenda non è altro che un modo per aiutarli a capire come impostare un rapporto che credevamo idilliaco e che invece soffre la noia e la routine di una vita normale. I personaggi "secondari" (e chiamiamoli così...) come Victoria e Marvin diventano così, tra una sparatoria e l'altra, i consulenti dei due piccioncini e dispensano consigli o tramano riavvicinamenti sfruttando i pericoli incombenti. In questo caso, gli sceneggiatori hanno deciso di fare ripiombare i personaggi in piena guerra fredda e di farli girare come trottole in giro per il mondo, inserendo villain e/o riluttanti alleati che rispecchiano in pieno i cliché spionistici, con quel goccio di esotico che non guasta mai. Il risultato è un film allegro, spigliato, condito dalle solite, accattivanti scene d'azione/inseguimenti/sboronate ma anche, ahimé, troppo pieno di luoghi comuni e, soprattutto, prevedibilissimo sul finale, risolto con un terribile escamotage da bambini delle elementari.


Ma poi, alla fine, chi diavolo era andato a vedere Red 2 per la trama? Non certo io, per carità, che puntavo invece a ritrovare "solo" i miei amati vecchietti e gli attori che li interpretano! Bruce Willis è sempre fico ma questa volta è un po' sottotono, devo ammetterlo: la simpatica e frizzante Mary Louise Parker e, soprattutto, un'indescrivibilmente meravigliosa Helen Mirren gli rubano la scena in più di un'occasione, soprattutto quando quest'ultima si profonde nella folle imitazione della Regina (citando sé stessa in diverse pellicole, tra l'altro), spara o duetta in macchina con Byung-Hun Lee. A proposito del quale posso solo asciugare le bave e rantolare un "tante cose belle e buone": quest'uomo è un incredibile pezzo di fico, che stia fermo o che combatta, sia nudo che vestito. Dico solo che persino la sua tartaruga ha la tartaruga e va bene così! Catherine Zeta Jones invece delude per mancanza di carisma e abbondanza di bruttezza a causa dell'inguardabile taglio di capelli ma Anthony Hopkins compensa col suo fare gigione e Malkovich da il bianco soprattutto grazie alle sue espressioni e al guardaroba da denuncia con cui i costumisti amano vestirlo (a proposito di abiti: le scarpe della Mirren e della Parker mi hanno commossa per lo stile da sbavo. Le voglio ora.), sebbene il suo personaggio risulti più forzato e meno divertente rispetto al primo capitolo. Per finire, da nerd ho molto apprezzato l'uso dei disegni di Cully Hamner (che assieme a Warren Ellis aveva realizzato la serie a fumetti) nei titoli di testa del film e la ripresa del suo stile nei vari "stacchi" che segnalano i diversi spostamenti dei nostri eroi. In definitiva, Red 2 è quindi un simpatico film per passarsi due orette di sana, violenta e disimpegnata allegria ma comincia già a mostrare i primi segni del detto "un gioco è bello se dura poco". Speriamo non decidano di fare un terzo capitolo perché non credo gli andrà più così bene!


Del regista Dean Parisot ho già parlato qui. Bruce Willis (Frank Moses), John Malkovich (Marvin), Mary-Louise Parker (Sarah), Helen Mirren (Victoria), Anthony Hopkins (Bailey), Byung-Hun Lee (Han Cho Bai), Catherine Zeta-Jones (Katja), David Thewlis (La rana) e Brian Cox (Ivan) li trovate invece ai rispettivi link.

Neal McDonough interpreta Jack Horton. Americano, ha partecipato a film come Darkman, L’insaziabile, Minority Report, The Hitcher, Capitan America: Il primo Vendicatore e a serie come Più forte ragazzi, X-Files, Desperate Housewives, CSI: NY e CSI – Scena del crimine. Anche produttore e sceneggiatore, ha 57 anni e sei film in uscita.


Ernest Borgnine avrebbe voluto riprendere il ruolo dell’archivista del primo film e in effetti le sue scene erano già state scritte per il sequel ma purtroppo il grande attore è venuto a mancare nel 2012 e le sequenze sono state girate da Titus Welliver, non riportato nei credits. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Red. ENJOY!!

martedì 27 agosto 2013

Monsters University (2013)

Domenica sera siamo andati con una coppia di amici (io ero la figlioletta viziata, ovviamente) a vedere il seguito dell'amato Monsters & Co., Monsters University del regista Dan Scanlon.


Trama: Mike Wazowki ha una sola aspirazione nella vita, cioé andare alla Monsters University e diventare il miglior spaventatore esistente. Per dimostrare il proprio valore dopo essere finito nei guai per colpa del bulletto fancazzista Sulley, il nostro eroe decide di partecipare ad una sorta di olimpiadi dello spavento mettendo su una squadra a dir poco sgangherata....


L'ho sempre detto, fin dalla prima visione di Monsters & Co.: Mike è il mio personaggio preferito e meriterebbe un film tutto suo. Ecco, con Monsters University sono stata accontentata perché il monocolo verde è diventato praticamente il protagonista assoluto e i realizzatori si sono divertiti ad indagarne il carattere adorabile, scoppiettante e deciso. Il cartone animato è uno dei migliori racconti di formazione che abbia mai visto su grande schermo, in primis perché non si concede al facile happy ending e poi perché, per una volta, non incoraggia i bambini ad impegnarsi per realizzare un sogno assurdo (che so, mi vengono in mente le sciacquettine di quei film sulla danza che, dal nulla, diventano le più brave della scuola tanto per...) bensì li spinge a tirare fuori il meglio di sé stessi per diventare quello per cui sono più portati anche se questo cozza con le loro speranze e, cosa ancora più importante in questo mondo dove viene celebrato il successo a tutti i costi, insegna ad accettare con filosofia un eventuale fallimento. Imbastendo una trama divertente ed emozionante gli sceneggiatori si sono collegati perfettamente al primo film non solo con rimandi e citazioni, come l'apparizione di Roz o i titoli di testa animati, ma anche tramite un filo logico che spiega come, quando e perché Sulley, Mike e Randal sono diventati i personaggi che abbiamo conosciuto in Monsters & Co.


Assieme ai personaggi vecchi, ovviamente, ne troviamo anche di nuovi, uno più bello dell'altro. Per una volta, a dire la verità, i villain sono un po' insipidi e poco divertenti ma compensano tutti i membri della Oozma Kappa con le loro assurde trovate, soprattutto il meraviglioso, cicciosissimo Squishy che, peraltro, io e la Noruzza abbiamo indicato come il più spaventoso in assoluto e, dall'alto del suo aplomb britannico, anche la temibile rettrice Tritamarmo si becca tutta la mia ammirazione. Gag a profusione, dunque, e momenti in cui ci si riesce a commuovere, sebbene senza lacrimuccia, rendono Monsters University, assieme al suo messaggio edificante, un film adattissimo per i bambini con alcuni regali anche per noi grandi, tutti sull'onda del citazionismo vintage: Animal House, La rivincita dei nerds, Carrie e il ritorno di una delle icone degli anni '80, la terribile bibliotecaria dei Ghostbusters! Per quanto riguarda la tecnica, invece, sono stati fatti dei passi da gigante e i personaggi sono più belli, colorati e realistici che mai, senza contare la meraviglia degli edifici esterni del campus e l'interno dell'inquietante, splendida sala dove i nostri fanno lezione la prima volta.


Come avrete capito, Monsters University è un film godibile quasi quanto il capostipite e ve lo consiglio senza riserve, avvertendovi di rimanere fino alla fine dei lunghissimi titoli di coda (anche dopo i nomi dei doppiatori italiani) per una simpatica scena post credits. E detto questo, lasciatemi spendere due parole anche per il delizioso corto che, come da tradizione Pixar, precede la pellicola, ovvero The Blue Umbrella di Saschka Unseld. La storia dell'ombrellino blu è pura poesia condensata ed effettivamente non dispone al meglio ad affrontare la strabordante cazzoneria di Monsters University ma la vista della città felice ed accarezzata dalla pioggia, la semplicità di uno sguardo e un tocco tra un ombrello blu e un'ombrellina rossa e la musica delicata che accompagna questo corto sono dei grandissimi esempi di come basti davvero poco a prendere il cuore e la mente dello spettatore ed accompagnarli lontano, lontano...


Billy Crystal (Mike), John Goodman (Sulley), Steve Buscemi (Randy), Helen Mirren (Abigail Tritamarmo – Dean Hardscrabble in originale), Joel Murray (Don), Charlie Day (Art), Nathan Fillion (Johnny Worthington) e Bonnie Hunt (Mrs. Graves) li trovate tutti ai rispettivi link.
 
Dan Scanlon è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo secondo film. Americano, anche doppiatore, animatore e produttore, ha 36 anni.


Sean Hayes presta la voce a Terri, che da noi è doppiato da Francesco Mandelli (mentre la seconda testa Terry è doppiata dal Biggio). Indimenticabile Jack della serie Will & Grace, ha partecipato anche al film Il gatto… e il cappello matto e ad episodi di Scrubs e 30 Rock. Anche produttore e sceneggiatore, ha 43 anni.


Alfred Molina presta la voce al professor Knight. Inglese, lo ricordo per film come I predatori dell’arca perduta, Ladyhawke, Specie mortale, Boogie Nights – L’altra Hollywood, Magnolia, Chocolat, Identità, Spider-Man 2 e Il codice DaVinci, inoltre ha partecipato alle serie Miami Vice e Monk. Anche produttore, ha 60 anni e undici film in uscita. 


Pare che i realizzatori si fossero ricordati del piccolo particolare che ho notato durante la visione di Monsters & Co., ovvero quel dialogo in cui Mike rinfaccia scherzosamente a Sulley di essere stato geloso del suo aspetto sin dalle elementari, e che avessero provato ad inserire in Monsters University un breve incontro che sarebbe stato poi dimenticato da entrambi, ma l’idea è stata accantonata perché avrebbe distolto l’attenzione dal vero fulcro della storia. A parte questo, l’anno prossimo dovrebbe uscire un corto dal titolo Party Central con protagonisti tutti i mostri della Monsters University e che molto probabilmente finirà nel DVD del film principale. Nell’attesa, se il film vi è piaciuto recuperate Monsters & Co. oppure cambiate genere e buttatevi su Animal House e La rivincita dei Nerds. ENJOY!!

venerdì 20 maggio 2011

Red (2010)

L’ho già detto per Source Code ma ripetersi non fa male. È un peccato che la distribuzione italiana penalizzi alcuni film pubblicizzandoli poco oppure facendoli uscire a ridosso di megaproduzioni o blockbuster. È un peccato perché, attirati da cose come Thor, l’ultimo episodio dei Pirati dei Caraibi o Fast 5, gli spettatori rischiano di perdersi un bel film come Red, uscito l’anno scorso in America e diretto dal regista Robert Schwentke.


Trama: Frank Moses è un agente in pensione che passa il suo tempo corteggiando telefonicamente una centralinista, Sarah. I due saranno costretti ad incontrarsi e a fuggire assieme quando la CIA comincerà a mandare i suoi migliori assassini contro Frank e altri suoi amici ed ex “colleghi”, per motivi legati ad un’oscura missione del passato…


Red mantiene quello che un film come L’uomo che fissa le capre prometteva solo nei trailer: una storia semiseria, ai limiti del paradossale, in grado di soddisfare sia lo spettatore che cerca l’action comedy poco impegnato sia quello che cerca quel qualcosa “in più” che distingue la pellicola da altre mille simili. E quel “di più” che caratterizza Red è quello che posso definire solo come “wit” tipicamente inglese, quel misto di arguzia ed ironia che in questo film abbonda, e giustamente, visto che è tratto da una graphic novel (molto più cupa, a dire il vero) di quel geniaccio di Warren Ellis. Ho citato L’uomo che fissa le capre ma forse ho fatto un paragone ingiusto, forse farei meglio ad aggiungere anche The Expendables perché alla fine Red incarna un po’ lo spirito di entrambi i film: la presenza di Bruce Willis assicura quella lieve ed ironica tamarraggine tipica della star di mille film d’azione (emblematica l’immagine di Frank che esce dalla macchina della polizia ancora in movimento con la pistola già spianata…), ma c’è anche una sottile riflessione sui tempi che cambiano, sulla tecnologia che rischia di soppiantare le abilità umane, sul “vecchio” che viene messo da parte, ingiustamente o meno, sui valori che diventano importanti con l’età.


Anche in questo caso ad una bella e intelligente storia si associa una solida regia che non lesina inseguimenti e sparatorie (senza lasciare che ammorbino il pubblico) e che aggiunge tocchi di humor, come l’introduzione con una cartolina di ogni città visitata dai protagonisti e la trasformazione della scena finale nella copertina di uno dei romanzi rosa che legge Sarah, come se l’intera vicenda fosse appunto una sciocchezza, la fantasia di una donna comune che ci viene descritta come un’amante dei viaggi avventurosi e dei romanzetti da quattro soldi. Come al solito, però, il punto di forza di un film ben riuscito sono gli attori, tutti assolutamente perfetti, da un Bruce Willis sempre a suo agio in questi ruoli, ai favolosi Helen Mirren e Brian Cox che regalano una misurata interpretazione di rara leggerezza, senza contare gli interpreti secondari, tutti azzeccatissimi. Ma quello che ha davvero superato sé stesso in Red è John Malkovich nei panni del folle Marvin, un ruolo così ironico e sopra le righe che, una decina di anni fa, sarebbe calzato a pennello per Christopher Lloyd. Per tutto il film John viene sgridato come un bambino dagli altri “Reds”, si porta dietro maiali di peluche rosa (la scena in cui rimane tutto contrito in mezzo all’aeroporto con il porco tenuto per la coda mi ha fatta ridere un’ora…), mostra sorrisetti sarcastici o completamente folli e a un certo punto lo vediamo anche con una deliziosa parrucchetta bionda con le trecce. Vale lui da solo il prezzo del biglietto, garantito. Ma per fortuna non è la sola cosa valida di Red, che consiglio senza riserve.


Di Bruce Willis, che interpreta Frank Moses, ho già parlato qui. Helen Mirren, nei panni di Victoria, è già stata nominata qua, mentre Morgan Freeman (che compare brevemente col personaggio di Joe) lo trovate qui. Dulcis in fundus, qui c’è il post dedicato a John Malkovich, che in Red interpreta Marvin, e qua quello per Richard Dreyfuss, ovvero l’infame Dunning.

Robert Schwentke è il regista della pellicola. Tedesco, ha girato film come Flightplan – Mistero in volo e il pilot della serie Lie to Me. Anche sceneggiatore, ha 43 anni e un film in uscita.


Mary – Louise Parker interpreta Sarah. Durante la proiezione del film s’è creato il solito dibattito “questa dove l’ho già vista…?”: la mia amica la ricordava, giustamente, per il bellissimo Pomodori verdi fritti alla fermata del treno mentre io, un po’ più prosaicamente, dopo averla scambiata per Lauren Graham di Una mamma per amica, ho pensato al telefilm Weeds, dove la Parker è protagonista. Tra gli altri film ai quali ha partecipato l’attrice segnalo Il cliente, Ritratto di signora, Red Dragon e la bellissima miniserie Angels in America. Americana, ha 47 anni e un film in uscita.


Julian McMahon interpreta il vicepresidente Stanton. Cole di Streghe e, soprattutto, il Dr. Troy di Nip/Tuck, ecco i ruoli per i quali verrà ricordato dal pubblico (soprattutto femminile) questo bellissimo attore Australiano, che ha partecipato anche a film come I fantastici quattro, I fantastici quattro e Silver Surfer e a serie come Home and Away e Will & Grace, oltre ad avere doppiato un episodio di Robot Chicken. Anche produttore, ha 43 anni e due film in uscita.


Brian Cox interpreta Ivan. La “versione” di Anthony Hopkins è sicuramente quella più famosa, ma i fan di Hannibal Lecter dovrebbero invece sapere che è stato proprio Cox ad interpretarlo per primo nel film Manhunter – Frammenti di un omicidio. Tra gli altri film dell’attore scozzese ricordo Rob Roy, Braveheart, il bellissimo Rushmore, L’intrigo della collana, The Ring, La 25sima ora, X-Men 2, Troy, Matchpoint e Zodiac. Anche regista, ha 65 anni e tre film in uscita, tra cui Rise of the Planet of the Apes, ennesimo remake/sequel dei film della saga de Il pianeta delle scimmie.


Ernest Borgnine (vero nome Ermes Effron Borgnino) interpreta Henry l’archivista. Storico “pezzo da novanta” del cinema internazionale, lo ricordo per film come Quella sporca dozzina, 1997: fuga da New York, Gattaca – La porta dell’universo, l’orrendo Blueberry e La cura del gorilla, miniserie storiche come Gesù di Nazareth e telefilm come La casa nella prateria, Love Boat, Magnum P.I., La signora in giallo, Quell’uragano di papà, Walker Texas Ranger, Settimo cielo e E.R. medici in prima linea. Ha inoltre prestato la voce per il film Small Soldiers e le serie Pinky and The Brain e Spongebob Squarepants. Americano, anche produttore, ha 94 anni e un film in uscita.


Karl Urban interpreta l’agente Cooper. Probabilmente a causa della parrucca bionda e mossa che indossava non riconoscerete in questo attore l’Eomer della trilogia de Il Signore degli Anelli, ma sappiate che c’era anche lui. Ha partecipato al reboot di Star Trek e lo ritroveremo nell’imminente Priest, inoltre ha recitato anche in alcuni episodi delle serie Hercules e Xena principessa guerriera. Neozelandese, ha 39 anni e tre film in uscita, tra cui il probabile seguito di Star Trek e il remake di Dredd – La legge sono io, che all’epoca come protagonista mostrava l’inossidabile Sylvester Stallone.


Orribile rischio!, John C. Reilly era la prima scelta per il ruolo di Marvin. Non oso pensare come sarebbe potuto risultare il mio personaggio preferito di tutto il film nelle mani di un attore che sopporto davvero poco. Sarebbe stato interessante invece vedere Meryl Streep nel ruolo di Victoria anche se a dire il vero le sarebbe mancato il phisique du rol. Di Red pare sia già in progetto un sequel, ma non si sa ancora nulla né della trama, né del regista né tantomeno del cast. Se vi è piaciuto il film vi consiglio di vedere un altro action movie parecchio ironico (anche se meno bello), A – Team o farvi una bella cultura “Willisiana” cercando tutti i film della serie Die Hard.  E ora vi lascio con il trailer del film... ENJOY!!!

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