In una di queste calde sere d'estate ho recuperato I Don't Feel at Home in This World Anymore, film presente nel catalogo Netflix, di cui quasi tutti avevano parlato benissimo tempo addietro, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Macon Blair.
Trama: dopo aver subito un furto, l'infermiera Ruth si imbarca nella ricerca della refurtiva e dei colpevoli, accompagnata dallo strano vicino di casa, Tony.
Non so se è la vecchiaia che sta cominciando a rendermi ipersensibile ma ultimamente a me sembra che la gente sia impazzita tutta. Sarà che abito in una città costiera dove d'estate il flusso di turisti sempre più "fai-da-te" rende quasi impossibile uscire di casa ma nei weekend mi tocca testimoniare ad esempi di inciviltà e menefreghismo terribili, tra gente che parcheggia a cazzo de cane, getta la spazzatura dove vuole, fa defecare i suoi dolci cagnolini su qualsiasi strada percorribile, addirittura (e non sto scherzando) fa pisciare i suoi ancor più SANTI bambini per strada, DAVANTI ai tavoli dei ristoranti all'aperto, perché portarli in bagno è difficile, per non parlare dei vecchiacci/e che, ansiosi come sono di correre a casa e aspettare la Signora Con La Falce, morire che ti facciano passare alla cassa quando tu hai UN sacchetto del pane e loro la spesa per sei mesi. Insomma, ogni giorno mi/ci tocca testimoniare ad esempi di ordinaria maleducazione sempre più fastidiosa e ciò mi ha fatta immedesimare tantissimo nella protagonista di I Don't Feel at Home in This World Anymore, infermiera timida e tranquilla, amante dell'alcool e della musica country, che all'ennesimo sopruso ingiustificato (nella fattispecie, un furto con scasso preso decisamente sottogamba dalla polizia) decide di dire BASTA. Non "basta" tipo "giorno di ordinaria follia", beninteso, quanto piuttosto un "basta" che diventa desiderio di tutelarsi e di non farsi mettere i piedi in testa, partendo dal condivisibile desiderio di recuperare la refurtiva quando la polizia mostra di non avere interesse a farlo, preferendo trattare Ruth con la miserevole condiscendenza che si offre a chi ha scioccamente lasciato la casa incustodita. Da questa semplice ricerca della refurtiva, durante la quale Ruth si allea con lo strampalato vicino di casa amante delle arti marziali, nasce un film che, nonostante il tono leggero e grottesco, racconta l'angoscia di chi non si sente più parte di questo mondo e vive ogni giorno con triste rassegnazione, sentendosi sempre più lontano da un'umanità che corre allegramente verso il baratro dell'autodistruzione, della mediocrità, dello schifo.
Tra una gag e un momento decisamente splatter, soprattutto sul finale, le riflessioni di Ruth inducono lo spettatore a gettare uno sguardo non troppo indulgente sulla propria vita, a pensare a quanto sia giusto "lasciarsi vivere" e farsi scivolare addosso tutto sopportando con una pazienza che sconfina pericolosamente nell'atarassia e nel menefreghismo; la consapevolezza che un buon 99% di noi non lascerà alcun segno nella storia non deve diventare una scusa per far sì che la deboscia abbia il sopravvento perché si può lasciare comunque un buon ricordo ad amici, parenti e semplici conoscenti... oltre che, se possibile, cercare quel minimo di soddisfazione e felicità anche per noi, ovviamente. E' per questo che la storia di Ruth, con tutte le sue inevitabili esagerazioni e licenze "poetiche" e al netto dell'indiscutibile assurdità dei personaggi di cui è popolata, rischia di radicarsi nel cuoricino dello spettatore, che può tranquillamente rispecchiarsi nella protagonista in almeno un paio di sequenze chiave; per lo stesso motivo, I Don't Feel at Home in This World Anymore è più profondo di quanto parrebbe ad una prima, distratta occhiata e non è proprio uno di quei film da guardare col cervello spento, benché l'occhio venga coccolato da una messa in scena accattivante e un montaggio dinamico. Melanie Lynskey, attrice bravissima e fortunatamente distante dai canoni di bellezza hollywoodiani, cicciottina e dal viso non particolarmente attraente, è perfetta per il ruolo di Ruth ed è un altro, fondamentale veicolo di immedesimazione, mentre Elijah Wood, ormai abbonato ai ruoli weird, incarna l'aspetto più assurdo del film ma, attenzione, anche il suo personaggio non è da prendere sottogamba. Tony, infatti, pur con tutte le sue idiosincrasie, è il perfetto contraltare di Ruth, una persona che, a differenza della protagonista, non si limita a lasciarsi vivere ma cerca di crearsi un'oasi di realizzazione e felicità (per quanto piccola) così da non impazzire ed abbruttirsi. Che poi anche lui cerchi riscatto e lo faccia "uscendo" dal suo guscio tendendo una mano a Ruth, non solo materiale ma anche "spirituale", è l'ulteriore messaggio positivo di un film che magari non cambierà la vostra esistenza ma probabilmente vi spingerà a riflettere sul modo migliore di affrontare questo mondo dove tutti, io per prima, rischiamo di non sentirci per nulla "a casa".
Di Melanie Lynskey (Ruth), Elijah Wood (Tony), Derek Mears (Monkey Dick) e Jane Levy (Dez) ho parlato ai rispettivi link.
Macon Blair è regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, inoltre interpreta l'uomo che al bar spoilera il libro a Ruth. Americano, anche produttore e stuntman, ha 44 anni.
Film folle ma decisamente non così leggero come si potrebbe pensare. Ammetto di ricordare poco dalla visione, se non quanto sono fantastici i due protagonisti e quell'assurdo finale sanguinolento. Insomma, strano ma bello!
RispondiEliminaSì, anche io lo credevo molto più divertente, invece è malinconico e a tratti persino condivisibili i sentimenti che muovono la protagonista. E strano, molto.
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