La challenge horror chiedeva, questa settimana, di guardare un film uscito negli anni '90. Ho scelto così Cure (キュア), scritto e diretto nel 1997 dal regista Kiyoshi Kurosawa.
Trama: un ispettore indaga su una serie di brutali omicidi, caratterizzati da una ferita a forma di X sul collo, compiuti da persone che ricordano il delitto ma non i motivi che le hanno spinte a compierlo.
Dopo Il guardiano di notte, la challenge mi ha portata a guardare a un altro thriller dalle pesanti sfumature horror, Cure, che sconfina spesso e volentieri nel territorio del perturbante, dell'horror psicologico, addirittura nel sovrannaturale, pur non avendo, in realtà, a che fare con quest'ultimo sottogenere. L'impressione, però, è quella, visto che Cure sembra un po' la versione ancora più oscura e pessimista de Il tocco del male. La trama, infatti, è imperniata su una serie di omicidi dai tratti comuni inquietanti. Gli assassini non avevano alcun motivo di uccidere e, di fatto, pur ricordando l'atto non rammentano perché lo abbiano compiuto, e ogni omicidio è seguito dalla mutilazione delle vittime con una raccapricciante X sul collo, come se fosse parte di un rito. L'ispettore Takabe, la cui moglie soffre di disturbi psichiatrici legati a una progressiva, invalidante perdita di memoria, si ritrova a dover cercare il comune denominatore di questi delitti e scopre che gli assassini avevano avuto a che fare, poco prima di impazzire, con un giovane afflitto da un pesante caso di perdita di memoria a breve termine. Il come e il perché questo ragazzo sia fondamentale alla risoluzione del caso, ve lo lascio scoprire se non avete mai visto Cure, preferirei quindi concentrarmi sul perché il film di Kurosawa sia visto come uno dei precursori del J-Horror. Di base, Cure è un'opera fortemente pessimista, dallo stile freddo e asciutto, dove ogni personaggio, anche quelli che hanno una famiglia o degli amici, si ritrova solo ad affrontare, in primis, se stesso e le proprie angosce. Le istituzioni non sono né utili né sicure e persino le persone al disopra di ogni sospetto, come medici, insegnanti o poliziotti, possono essere inghiottiti da un orrore senza nome o divorati dai demoni che li accompagnano quotidianamente, cedendo ad istinti brutali solitamente tenuti sotto controllo. Così, gli omicidi compiuti nel film sembrano frutto di un'epidemia di follia collettiva, da cui nessuno è al sicuro, una "maledizione" che si propaga senza un vero perché (come riportato nel dialogo tra Takabe e lo psicologo Sakuma), come sarebbe accaduto di lì a poco con i film "manifesto" del J-Horror, Ringu e Ju-On. Il mostro di Cure non è sovrannaturale, benché la sua conoscenza dell'animo umano venga percepita come tale, ma i suoi motivi sono imperscrutabili, mossi da una perversa volontà di mostrare la "verità" alle sue vittime, probabilmente di "liberarli" dai vincoli sociali per abbracciare la loro oscura essenza.
Kurosawa, da regista, affronta questa storia terribile con una regia fredda e distaccata, incarnando uno sguardo esterno che non ha pietà delle vittime e le lascia in balia di un destino inevitabile; la cinepresa segue, con lunghe sequenze prive di stacchi, i personaggi su campo lungo, caricando le scene di tensione, in quanto Kurosawa costringe lo spettatore all'attesa di uno scoppio di violenza o follia all'interno di un quadro tutto sommato tranquillo. Il regista, inoltre, non lesina inquadrature raccapriccianti, e lo stile quasi documentaristico si fa, col proseguire della pellicola, più ermetico e onirico, specchio della progressiva perdita di calma e raziocinio di un protagonista costretto ad affrontare un'oscurità sconosciuta. Alcune sequenze sono, inoltre, debitrici dello stile occidentale dei più importanti thriller horror anni '90, quali Seven o Il silenzio degli innocenti; in particolare, alcune interazioni tra Takabe e Mamiya ricordano tantissimo quelle tra Clarice e il dottor Lecter, anche se personalmente ho trovato Mamiya molto più inquietante e bastardo dell'elegante cannibale. L'allora ventiseienne Masato Hagiwara rappresenta la banalità del male, infonde sottile inquietudine con le sue domande reiterate, monocordi, e un terrore reale quando la sua natura si svela senza possibilità di errore (la scena con la dottoressa, dolorosa ed umiliante, e il confronto con Takabe in cella sono da pelle d'oca); Koji Yakusho è un'inamovibile roccia che si erode nel tempo, rivelando, dietro la facciata di integerrimo ispettore, tutto il marcio racchiuso all'interno di un animo ormai stanco, ingabbiato da valori fondamentali quali amore, dovere, rispetto, che in una società come quella giapponese moderna, sono solo belle parole o poco più. Il finale di Cure è più angosciante di quello di tantissimi horror "puri" visti negli ultimi anni, e se riuscirete a dormire sereni, o a non sentirvi nemmeno un po' sporchi, dopo avere guardato questo capolavoro che persino il divin Scorsese ritiene tra i più terrificanti di tutti i tempi, avete il mio rispetto. Provare per credere!
Di Koji Yakusho, che interpreta il Detective Kenichi Takabe, ho già parlato QUI.
Kiyoshi Kurosawa è il regista e sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Pulse - Kairo, Tokyo Sonata, Retribution e Journey to the Shore. Anche attore e compositore, ha 70 anni.
Se Cure vi fosse piaciuto recuperate Memorie di un assassino e I Saw the Devil. ENJOY!
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