La Joon Bong Ho mania non accenna a diminuire, tanto che in Italia è stato distribuito al cinema, proprio in questi giorni, Memorie di un assassino (Sarinui chueok), da lui diretto e co-sceneggiato.
Trama: nel 1986, in un paesino sudcoreano un assassino comincia a violentare ed uccidere giovani ragazze senza lasciare indizi, con sommo scorno dei poliziotti assegnati al caso.
La Joon Bong Ho mania, si diceva. Sì perché il film era già arrivato in Italia qualche anno fa, straight to video (un DVD venduto ora a prezzi esorbitanti su eBay, per la cronaca), ed ora è stato portato nelle sale, almeno in quelle non chiuse a causa del Coronavirus. Val la pena correre al cinema a vederlo? Secondo me, se non lo avete mai visto, sì, perché è un film che dimostra come Bong Joon Ho avesse le idee chiarissime già diciassette anni fa e fosse già proiettato all'interno di quell'adorabile gioco di contaminazioni di genere e di atmosfere che lo ha consacrato poi con Parasite pochi mesi or sono. Tratto da una storia vera risoltasi, guarda caso l'ironia, proprio l'anno scorso, Memorie di un assassino racconta dei terribili omicidi perpetrati ai danni di giovani donne in un piccolo paese della Corea del Sud, sul finire degli anni '80. Il racconto è profondamente radicato all'interno del clima repressivo della quinta repubblica, un periodo di aspre proteste contro un governo presidenziale che era, di fatto, una dittatura e in cui le forze dell'ordine venivano giustamente criticate per i loro metodi violenti, sconfinanti spesso nella tortura; le indagini dei poliziotti vengono spesso intervallate oppure addirittura si svolgono durante coprifuoco, proteste, esercitazioni militari, simulazioni di attacchi terroristici o chimici, tutti eventi "straordinari" che sono stati ormai inglobati nell'apparente "tranquillità" del paesino che funge da ambientazione e dove l'unica cosa che fa davvero paura è questo serial killer a piede libero. Come spesso accade nei film di Joon Bong Ho, almeno in quelli che ho visto, la pellicola comincia in un'atmosfera grottesca e surreale, più legata ai toni della commedia. I poliziotti capitanati da Park Doo-man, agente superficiale ed ignorante, che si vanta di saper riconoscere i colpevoli "guardandoli negli occhi", sono sbirri da operetta costretti ad operare in un paese di cretini e ficcanaso, e non si fanno scrupoli a torturare dei poveracci per dare finalmente un volto a un assassino infido ed abile; la situazione all'interno della stazione di polizia si fa esplosiva dal momento in cui arriva, da Seul, un giovane investigatore i cui metodi sono molto più ortodossi e, apparentemente, efficaci, il che causa inevitabili attriti tra lui e Park. I due sono accomunati, tuttavia, dal desiderio di arrestare il killer e nel corso del film entrambi cambieranno radicalmente, arrivando persino ad invertire i ruoli, così come cambia, inevitabilmente, il registro della narrazione.
Al di sotto della superficie grottesca e quasi comica delle sgangherate indagini di Park e Seo c'è infatti una tragedia reale, ma non solo. Ogni personaggio, anche il più strambo, cela in sé una profondità insospettabile che gli consente di bucare lo schermo e una frustrazione che comincia a prendere sempre più campo, alterando l'equilibrio dei registri narrativi, così che, da metà film in poi, il dramma comincia a farla da padrone, fino a raggiungere l'insostenibile tensione del pre-finale e la malinconica tristezza dell'ultima sequenza. Come già accadeva in The Host, i protagonisti di Memorie di un assassino non sono i tipici "superpoliziotti" americani; anche Seo, che viene da Seul ed è tra tutti il più serio e competente, si ritrova a un certo punto a dover affrontare la sua natura di essere umano, il comprensibile (benché sbagliato) desiderio di dare la colpa a qualcuno, di dare un senso a mesi di indagini infruttuose, di vendicare donne innocenti che non avevano alcun motivo di venire uccise e profanate in modo così barbaro. Non esiste nulla di risolutorio in Memorie di un assassino, né lo spettatore può trovare consolazione in eventi casuali e salvifici; il poetico finale, in cui Kang-Ho Song guarda dritto in camera dopo che il suo personaggio è stato beffato una volta di più, sottolinea la banalità del male, che indossando una faccia "normale" può nascondersi ovunque, persino all'interno di un cinema sudcoreano nel 2003, dato che l'assassino di Hwaseong è stato scoperto solo nel 2019. I registri che si mescolano passano anche per la regia di Bong Joon Ho, ovviamente. Se è vero che per buona parte del film il taglio è quello che si potrebbe dare a una commedia oppure a un film poliziesco, sfido chiunque a non trattenere il fiato davanti ai due delitti mostrati e al flashback dell'unica sopravvissuta, fatti di sequenze al cardiopalma che mescolano soggettive degne di un giallo all'italiana a stilemi che potrebbero tranquillamente trovarsi all'interno di un k-horror, con tutto il dinamismo di un thriller "americano". Potrei scrivere ancora altri 10 paragrafi, tuttavia descrivere a parole un'opera stratificata come Memorie di un assassino serve a poco: vedere per credere!
Del regista e co-sceneggiatore Bong Joon Ho ho già parlato QUI mentre Kang-Ho Song, che interpreta il detective Park Doo-man, lo trovate QUA.
Hee-Bong Byun interpreta il sergente Koo-He Bong. Sud Coreano, ha partecipato a film come The Host e Okja. Ha 78 anni.
Se Memorie di un assassino vi fosse piaciuto recuperate Prisoners, Se7en e Zodiac. ENJOY!
Dalla visione del trailer si nota che il film ha qualche annetto sulle spalle. Pare comunque un buon lavoro, anche se mi urta un po'il fatto che ora i distributori cavalchino così spudoratamente il trend dell' Oscar vinto.
RispondiEliminaAnzi fino a ieri sono sicuro che mettevano questo film in quella sezione di pellicole che nessuno si sarebbe mai preso la briga di doppiare (come lo stesso Parasite d'altronde che io ho visto coi sottotitoli, ma gustato benissimo ugualmente).
In realtà Memorie di un assassino dovrebbe già avere un doppiaggio italiano visto che è arrivato da noi in DVD un po' di tempo fa. Probabilmente ora l'avranno ridoppiato, ma non ne sono certa al 100%.
EliminaDetto questo, a caval donato non guarderei in bocca: se non altro la gente comincia a guardare fuori dai confini del cinema USA/Uk/Italiano
Certo però, 17 anni!? Peggio dei film di Miyazaki (e Ghibli), o forse no?
RispondiEliminaEh, più o meno siamo lì. Possiamo stare certi però che d'ora in avanti i futuri film del regista arriveranno in Italia, e non solo per tre giorni come fanno con i film Ghibli.
EliminaCerto che aspettare 17 anni....andemo ben come si direbbe in Veneto!
RispondiEliminaAndiamo benissimo. E se pensi che per sto mmminchia di Coronavirus non usciranno un sacco di horror andiamo ancora meglio ç_ç
Eliminagran bel film mi è piaciuto un sacco xD
RispondiEliminaMolto bene!
EliminaFinito ora. Mamma mia!
RispondiEliminaMa mamma mia in senso positivo o negativo?
EliminaA proposito di quella vicenda di cronaca, quando ne parlai sul blog feci una piccola ricerca in rete e su un forum studentesco coreano incappai in un tizio che diceva: "they never caught him, but everyone knows who he is". L'assassino di Hwaseong è stato scoperto solo nel 2019 solo perché sono sufficienti 15 anni, secondo la legge coreana, affinché il colpevole non sia più imputabile.
RispondiEliminaAh. Inquietante come cosa!
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