mercoledì 24 settembre 2025

The Life of Chuck (2024)

Aspettavo da due anni e finalmente, lunedì, sono riuscita a vedere The Life of Chuck, diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Mike Flanagan, partendo dal racconto Vita di Chuck, contenuto nella raccolta Se scorre il sangue.


Trama: la vita del contabile Chuck Krantz viene raccontata, a ritroso, dalla sua fine all'infanzia...


Amo Stephen King dall'età di 13 anni e adoro Mike Flanagan fin dal suo primo film, quindi forse sarò un po' (tanto) di parte parlando di Life of Chuck. King è Maestro d'orrore, ma quelle rare opere in cui il sovrannaturale sfiora appena i personaggi, e dove il Tessitore di Storie si concentra maggiormente a raccontare della vita, della morte, e di tutto ciò che sta nel mezzo, forse sono quelle che gli riescono meglio. E anche quando l'Orrore è preponderante, King, se è al massimo della propria forma, restituisce a tutto tondo sensazioni e verità universali, una quotidianità che non è mai straordinaria, bensì prosaica, spesso brutale ed ingiusta. In questo, Mike Flanagan è molto simile, e al centro delle sue opere, sia cinematografiche che televisive, mette sempre le persone, e il concetto di come il tempo che hanno da passare su questa terra sia più o meno limitato. Da quest'unione non poteva che uscire fuori un'opera leggera come un passo di danza e profonda come l'immensità dell'universo. The Life of Chuck racconta tre tappe dell'esistenza di Charles "Chuck" Krantz, un ordinario contabile che, a 39 anni, sta morendo per un tumore incurabile. Le tre tappe non vanno in ordine cronologico, ma partono dalla fine, dalla tremenda apocalisse personale che coincide con la morte di ognuno di noi. Nell'ormai stra-abusato "Io contengo moltitudini" si consuma la fine di un micro-universo che contiene il nostro bagaglio culturale, la nostra essenza più profonda, ricordi importanti e presenze durate un battito di ciglia; ogni morte è la fine di un mondo, ed ogni mondo è fondamentale per chi lo ha vissuto, a prescindere dalle carte che ci ha servito la vita, dalla spietata legge delle probabilità che ci hanno voluto banali contabili invece che famosissimi ballerini o cantanti. Che la morte sia ineluttabile e spesso ingiusta è un concetto che accomuna i due autori, la differenza è che King spesso lascia degli spiragli, la speranza che ci sia una luminosa mano esterna a guidarci e, forse, ad accoglierci alla fine; Flanagan è tranchant, e per nulla interessato a raccontarci ciò che verrà dopo, perché probabilmente il "dopo" è solo una nera dissolvenza, un buco nero che ci inghiotte. 


Però, c'è la vita. "The rest is confetti" va di pari passo con "I am wonderful. And I have a right to be wonderful". Siamo dei miracoli e, per quanto la vita faccia spesso schifo, c'è sempre qualcosa che, a un certo punto, ci ha resi meravigliosi, anche solo ai nostri occhi (e magari nemmeno ce ne siamo accorti). Può essere una passione che si riaccende all'improvviso, un ultimo guizzo di eccentricità all'interno di un'esistenza che credevamo ormai regolata da una piacevole, rassegnata routine, un ricordo che ci fa sorridere, una parola fondamentale, un atto di coraggio, quello che volete. E' un concetto semplice, che Flanagan e King rendono lapalissiano senza ricorrere ad enfasi strappalacrime, visto che The Life of Chuck riesce a strappare il cuore pur rimanendo trattenuto dall'inizio alla fine. Se la cosa peggiore è l'attesa (della morte, ma non solo), l'unica fortuna che abbiamo è di scegliere cosa fare di quest'attesa. Aspettare passivamente, schiacciati dal peso di un'idea orribile, oppure aggrapparci all'idea che sì, "l'universo è grande, e contiene moltitudini ma, vaffanculo, contiene anche me" e quindi tanto vale goderci il tempo che ci è stato concesso senza rovinarcelo da soli (ci pensa già il mondo. Il primo capitolo del film è angosciante e sembra uno scorcio di imminente futuro. Ho debellato, a fatica, il principio del primo attacco di panico mai avuto al cinema, a dieci minuti dall'inizio di The Life of Chuck, e non penso fosse dovuto solo alla stanchezza). E, ribadisco, The Life of Chuck non parla di un uomo con chissà quali qualità. Chuck è un uomo comune, un contabile che ha abbandonato i sogni di gloria della giovinezza, e noi non abbiamo idea di cosa sia successo, effettivamente, nei suoi 39 anni di vita, perché non è quella la cosa importante. Ciò che conta, ai fini di un discorso più grande, sono la sua morte, il desiderio di toccare nuovamente con mano la meraviglia, il potenziale inizio dell'attesa e il suo deciso rifiuto.


Siccome sto piangendo mentre scrivo (Romina, se mai leggerai queste righe sì, sono una sega. Beata te che hai il pelo sullo stomaco) è meglio che mi rifugi in un discorso più cinematografico. Flanagan omaggia l'origine letteraria del film ricorrendo a un narratore esterno onnisciente, che a mio avviso non stona all'interno di una struttura che conserva la divisione in tre capitoli del racconto originale. Anzi, contribuisce a tenere "distanti" gli spettatori (quelli normali, non certo quelli emotivi come me) da ciò che viene mostrato sullo schermo, fungendo da filtro talvolta ironico. Quanto ai tre capitoli, la prima parte è quella più horror, perché evoca un'atmosfera apocalittica da manuale e veicola un'angoscia tangibile, di cui sono la prova vivente. La seconda è quella più difficile da incasellare e a molti potrebbe sembrare completamente inutile. In realtà, oltre a contenere (come anche la terza parte) molti degli elementi presenti nel primo capitolo, come attori, melodie, dialoghi e luoghi, rappresenta l'ultimo, rabbioso guizzo di eccentricità di cui ho parlato sopra. Non c'è gioia, non c'è catarsi nel ballo a cui si abbandonano Chuck e Janice, non c'è il glamour di un musical, nonostante l'intera sequenza contenga tutti i cliché del genere. Non si tratta, insomma, dell'inizio di un cambiamento epocale, ma "solo" una parentesi sottolineata dal ritmo di una batteria. E' un momento piacevole condiviso con altre persone, una magia che dura il tempo di un numero musicale, che lascia l'amaro in bocca per tutte le possibilità passate e future sfumate ma che, comunque, non influisce in alcun modo sulla vita di Chuck, trasformandosi in un ricordo prezioso e nulla più, come spesso succede. L'ultima parte ha il sapore e il ritmo di una ghost story malinconica, e la bellezza di uno di quei coming of age di cui King è maestro (a tal proposito, in Se scorre il sangue c'è anche Il telefono del signor Harrigan, racconto molto bello che è stato adattato in maniera orribile per Netflix), oltre a contenere la chiave di volta del film e tante bellissime facce amate. Flanagan, con la sua solita, elegante maestria, è riuscito ad adattare alla perfezione il racconto del Re, smussando le differenze di stile tra i tre capitoli del film pur lasciando ad ognuno una personalità ben riconoscibile, e per quanto mi riguarda ha confezionato l'ennesima opera in grado di toccare in profondità le corde del mio animo e straziarlo, anche se forse non era questa la sua intenzione. Lo amo per questo, ma un po' anche lo odio, e mi farò presto di nuovo del male riguardando The Life of Chuck in lingua originale, ché di piantini non ce n'è mai abbastanza. 


Del regista e co-sceneggiatore Mike Flanagan, che compare nelle scene al cimitero, ho già parlato QUI. Tom Hiddleston (Charles 'Chuck' Krantz), Jacob Tremblay (Charles 'Chuck' Krantz), Chiwetel Ejiofor (Marty Anderson), Karen Gillan (Felicia Gordon), Carl Lumbly (Sam Yarborough), Mark Hamill (Albie Krantz), David Dastmalchian (Josh), Matthew Lillard (Gus), Violet McGraw (Iris), Annalise Basso (Janice Halliday), Kate Siegel (Miss Richards), Heather Langenkamp (Vera Stanley), Carla Gugino (voce del notiziario e delle pubblicità), Axelle Carolyn (voce della reporter francese) e Lauren LaVera (voce della reporter italiana) li trovate invece ai rispettivi link.

Nick Offerman è la voce narrante. Sposato con la mitica Megan Mullally, ha partecipato a film come City of Angels - La città degli angeli, Cursed - Il maleficio, Sin City, L'uomo che fissa le capre, Love & Secrets, 7 sconosciuti a El Royale, Civil War e serie quali E.R. Medici in prima linea, 24, Detective Monk, Una mamma per amica, CSI: NY, Parks & Recreation, Fargo, Will & Grace e Pam & Tommy; come doppiatore, ha lavorato in The Cleveland Show, I Simpson, The Lego MovieL'era glaciale 5 - In rotta di collisione, Sing e Sing 2 - Sempre più forte. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 55 anni e due film in uscita.


Mia Sara
, che interpreta Sarah Krantz, ha avuto un breve ma intenso momento di fama nei primi anni '80, come protagonista dei film Legend e Una pazza giornata di vacanza. Nel film, a colloquio con Anderson, compare Harvey Guillén, visto nella serie What We Do in the Shadows e Companion, mentre i tra i collaboratori fissi o quasi di Flanagan segnalo Michael Trucco (il padre di Dylan), Rahul Kohli (Bri), Samantha Sloyan (Miss Rohrbacher), Molly C. Quinn (La madre di Chuck), Sauriyan Sapkota (Ram), Matt Biedel (Dottor Winston) e Hamish Linklater (voce del reporter americano), senza dimenticare Cody Flanagan, figlio di Mike e Kate Siegel, che interpreta Chuck da piccolino. ENJOY!

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