venerdì 11 luglio 2025

2025 Horror Challenge: Mon Mon Mon Monsters (2017)

Questa settimana la challenge chiedeva di guardare un horror che non fosse in lingua inglese. Siccome, grazie a questo post di Lucia, avevo da tempo in watchlist il film Mon Mon Mon Monsters (報告老師!怪怪怪怪物!), diretto e sceneggiato dal regista Giddens Ko nel 2017, ho deciso di colmare la lacuna!


Trama: Lin Shuwei è lo zimbello della classe e le cose peggiorano quando viene accusato ingiustamente di avere rubato dei soldi proprio dai veri ladri, il bulletto Renhao e i suoi amici. Quando l'insegnante costringe tutti i ragazzi coinvolti a fare ammenda attraverso lavori sociali, Shuwei e i suoi aguzzini trovano per caso una ragazza mostruosa e cannibale, e decidono di tenerla prigioniera...


Mon Mon Mon Monsters
è uno dei film più ingannevoli visti recentemente. Pubblicizzato, fin dalla giocosa locandina, come una commedia horror, in realtà è un'opera di rara cupezza, colma di personaggi orrendi, che fanno le peggio cose col sorriso sulle labbra. Il pessimismo che permea Mon Mon Mon Monsters è comprensibile, perché la sceneggiatura è stata scritta da Giddens Ko come "reazione" alle pesantissime critiche arrivategli quando ha ammesso di avere tradito la fidanzata di lunga data con una reporter; il regista ha dichiarato di volere "spaventare i Taiwanesi che lo odiavano" ma, in realtà, ciò che traspare dal film è un disgusto totale verso la società, che spinge anche chi è innocente, o cerca di vivere senza dare fastidio a nessuno, a diventare un mostro assetato di sangue altrui. Il fulcro di Mon Mon Mon Monsters non è tanto l'orrore inspiegabile di bulli crudeli che si accaniscono contro i deboli per divertimento, quanto la necessità di chi è bullizzato di "rimediare", in qualche modo, di ottenere l'approvazione dei suoi aguzzini, protetti da un inspiegabile status quo sociale. In particolare, Shuwei si abbassa a diventare il giocattolo di Renhao e soci, andando contro la sua natura mite per venire accettato dal branco; un obiettivo praticamente impossibile da raggiungere, almeno finché un mostro non incrocia il loro cammino, prendendo il posto di Shuwei come bersaglio di vessazioni quotidiane. La situazione precaria di Shuwei, in realtà, cambia poco, anzi, peggiora. Il mostro catturato dal branco, infatti, non è altro che una ragazzina, pericolosa e mortale quanto si vuole, ma non troppo difficile da rendere impotente, e per sopravvivere Shuwei deve lasciare che Renhao e gli altri la torturino, riscoprendosi non già mite ed innocente, quanto piuttosto pavido, egoista, segretamente desideroso di poter a sua volta diventare un bullo ed esercitare potere sugli altri. L'atmosfera da commedia demenziale studentesca che caratterizza le sequenze iniziali si affievolisce in maniera impercettibile ma sempre più inesorabile, e lascia spazio ad un'anima nerissima, che si cristallizza nei pianti disperati di due sorelle, due mostri che, nonostante si nutrano di esseri umani, fanno molto meno schifo e paura dei ragazzi coi quali hanno avuto la sfortuna di scontrarsi. 


Anche la regia e la performance degli attori si evolve pian piano, assecondando i cambiamenti della sceneggiatura. In generale Mon Mon Mon Monsters è realizzato molto bene, ma l'inizio ha i toni pop della tipica commedia adolescenziale asiatica, e i giovani interpreti fanno a gara a chi è più scemo; Shuwei non fa pena, verrebbe voglia di tirargli due schiaffi per svegliarlo, e i bulletti che lo tormentano sembrano ancora più stupidi e innocui di lui. Ad accrescere la sensazione di avere davanti una commedia bizzarra ci pensano la caratterizzazione assurda dell'insegnante responsabile di classe (una giovane professoressa devotissima al buddhismo, che sminuisce ogni lamentela di Shuwei e giustifica ogni angheria di Renhao, almeno finché non le parte la placca col monologo più spietato di sempre) e di un anziano eroe di guerra, amarissimo comic relief di cui ci si vergogna di avere riso, col senno di poi. E' andando avanti che il tormento di Shuwei e la natura mostruosa di Renhao e soci si palesano in tutta la loro forza, mentre l'arrivo delle due creature cancella con un colpo di spugna tutti i cliché della commedia, per spingere il film nel territorio dell'horror. Sangue che scorre a fiumi, corpi mutilati, zanne, strumenti di tortura e persino elementi da body horror si inseriscono perfettamente nella narrazione, e la regia di Giddens Ko li amalgama con un'eleganza che farebbe invidia a registi ben più addentro al genere. Il regista confeziona persino un paio di sequenze memorabili, come il finale (che mi ha lasciata senza fiato e con un gelo addosso che nemmeno le temperature torride hanno potuto alleviare) e quel gioiellino di montaggio e colonna sonora che è l'attacco all'interno dell'autobus, dove immagini di pura carneficina si alternano alla preparazione di uno smoothie all'anguria, con una bella versione di My Way che suona in sottofondo. L'unico difetto di Mon Mon Mon Monsters, se proprio bisogna dirne uno, è che non è proprio facilissimo da trovare, ma merita l'impegno, perché è un film originale, in grado di sorprendere anche gli spettatori più scafati. Provare per credere, con un po' di cautela e senza farsi ingannare dal poster e dai suoi gioiosi caratteri fucsia. 

Giddens Ko è il regista e sceneggiatore della pellicola. Taiwanese, ha diretto film come Till We Meet Again e Miss Shampoo. Anche produttore, ha 47 anni e un film in uscita. 



giovedì 10 luglio 2025

Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan (2025)

Lo so, non si fa, ma non esiste che io aspetti per vedere Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan (LUPIN THE IIIRD 銭形と2人のルパン), ONA diretto dal regista Takeshi Koike.

EDIT: è notizia proprio di oggi che quest'autunno Anime Factory porterà in Italia sia questo ONA, con titolo Lupin III: Zenigata e i due Lupin, che verrà distribuito sulle principali piattaforme streaming, sia Lupin III: La stirpe immortale, che uscirà al cinema (spero non col solito sistema: 3 giorni in tre sale in tre città principali, o piangerò lacrime di sangue). Riguarderò molto volentieri Zenigata e i due Lupin, e spero di riuscire a veder proiettato La stirpe immortale anche dalle mie parti!


Trama: un aeroporto della Federazione di Robiet viene fatto saltare in aria da un terrorista che, sotto gli occhi di Zenigata, si palesa con lo stesso volto di Lupin III. Messosi a caccia del ladro, Zenigata scopre una terribile verità...


No, non mi sento in colpa. A casa ho due versioni de La donna chiamata Fujiko Mine e un cofanetto dedicato alla trilogia di Koike a dimostrare che acquisterò qualsiasi versione home video di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan, quando riterranno opportuno distribuirlo finalmente in Italia, anche se ciò significasse avere in casa un altro cofanetto di bluray. Premesso questo, io lo avevo detto già nel 2017 che avrei voluto un "trattamento Koike" anche per Zenigata, e sebbene il regista, da buon vecchio marpione, abbia preferito dedicarsi prima alle bugie di Fujiko, ha infine esaudito il mio desiderio. E' valsa la pena aspettare così tanto? Sì, dai. Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan punta i riflettori sul bistrattato ispettore, rendendolo un integerrimo uomo di legge dal fascino hard boiled, un poliziotto che nella vita ha visto di tutto, ma si tiene ancora stretta un'integrità morale adamantina, quasi d'altri tempi. Il sentimento che Zenigata prova verso Lupin è un odio smisurato, a livello quasi istintivo, e non stupisce quindi che l'ispettore venga ingannato, all'inizio del film, dal terrificante attentato che spazza via un aeroporto e buona parte degli innocenti passeggeri che hanno avuto la sfortuna di transitare di lì per caso; il terrorista ha il volto di Lupin, Lupin normalmente è un ladro ma è comunque un criminale, quindi il colpevole DEVE essere Lupin. Quel rispetto diffidente che, nelle varie serie dell'anime, è diventato un rapporto assai simile a quello tra Tom e Jerry, con Zenigata costretto nelle vesti di comic relief, nell'universo di Koike non esiste, e ciò che arriva a legare i due personaggi alla fine di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è qualcosa di ancora diverso, ovvero un reciproco riconoscimento delle rispettive abilità che genera la consapevolezza di avere di fronte un avversario formidabile e pericoloso. 


Questo piccolo ma soddisfacente character study viene inserito all'interno di una trama dal sapore anni '70-'80, la quale si snoda in un Paese che richiama tanto l'Unione Sovietica dell'epoca (Robieto, potete pronunciarlo anche "Roviet", direi che l'assonanza è palese), in guerra aperta con gli Stati Uniti di Arka. Una metafora sottile come un tubo Innocenti e altrettanto leggera, ma le storie di Lupin ambientate nei climi da guerra fredda sono anche le migliori, e dovete tenere presente che le opere di Koike hanno sempre un sapore un po' vintaggio. Inoltre, ancor più dei tre film che lo hanno preceduto, Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è asservito ad una trama generale che fa capo a un lungometraggio uscito da pochissimo in Giappone, ovvero Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline. I due Lupin del titolo originale sono, infatti, il vero Lupin e un folle dinamitardo che ha il suo stesso viso, il che ci porta direttamente al primo film dedicato al personaggio di Monkey Punch, che noi avremmo anche intitolato Lupin III e la pietra della saggezza, ma che in originale è "Lupin vs il Clone". L'ombra di Mamo (o di un personaggio che gli somiglia molto), d'altronde, si profila sinistra sin dalle immagini post credit di quel capolavoro di Lupin the IIIrd - La lapide di Jigen Daisuke, a proposito del quale mi sento di dire che l'unico, reale difetto di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è un Jigen sottoutilizzato, relegato un po' al ruolo di beone brontolone che, l'unica volta in cui tira fuori la pistola, è per farsi fregare da Zenigata. E' giusto e doveroso che i riflettori siano puntati sull'Ispettore, ma cosa deve fare una fangirl di Jigen, salvo lamentarsi e sperare in un altro film in solitaria?


Sto divagando, scusate. In realtà, all'inizio del post ho scritto " E' valsa la pena aspettare così tanto? Sì, dai.", quindi qualcosina che non va nell'ultimo ONA diretto da Takeshi Koike c'è, e non è tanto la poca attenzione dedicata a Jigen, quanto la solita tendenza alla sciatteria per quanto riguarda character design e animazioni. Questo stile più asciutto e meno barocco rispetto a La donna chiamata Fujiko Mine e La lapide di Jigen Daisuke era già un grosso difetto di Lupin the IIIrd - Ishikawa Goemon getto di sangue; anche in questo caso, nei campi lunghi e medi i personaggi risultano appena abbozzati, in contrasto con primi piani fatti di linee pesanti e chiaroscuri marcati, una scelta che, probabilmente, aiuta in primis a contenere il budget, ma che non ha mai incontrato il mio favore (per dire quanto disattenti sono animatori e disegnatori, c'è un corpo a corpo tra Jigen e Zenigata in cui il primo è privo del "pizzetto" distintivo di Koike, che parte subito sotto il labbro inferiore, e sembra senza barba, come potete vedere nell'immagine sotto). Chapeau invece alle scene d'azione, il cui montaggio trasforma ogni attentato del Lupin malvagio in uno jump scare coi fiocchi, e all'abbondanza di sangue e violenza che rende soddisfacente anche una scazzottata tra Lupin e Zenigata, al netto di favolose esagerazioni anatomiche che rendono i personaggi praticamente immortali. E, a proposito di "immortali", chiudo dicendo che non vedo l'ora che esca anche in Italia Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline, un film che aspetto quasi più di qualsiasi opera horror o d'autore, anche se segnerà la fine della collaborazione tra  Lupin e Takeshi Koike, l'unico autore capace di infondere nelle creature di Monkey Punch quel fascino underground e adulto che le rende affascinanti ancora oggi. Che la Koch Media mi ascolti, magari senza limitarsi a qualche evento speciale al Lucca Comics, al Far East Festival o alle solite proiezioni di tre giorni che dalle mie parti non si vedono nemmeno per sbaglio, grazie!
 
Ma cosa mi tocca vedere?

Del regista Takeshi Koike ho già parlato QUI.

Ma cosa mi tocca leggere??? O Takeshi!!! MA....!

Il mediometraggio è una prosecuzione degli special dedicati ai singoli comprimari del franchise (Lupin the IIIrd - La lapide di Jigen DaisukeLupin the IIIrd - Ishikawa Goemon getto di sangue Lupin the IIIrd - La bugia di Mine Fujiko), ed è il prequel di Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline, che dovrebbe essere uscito nelle sale giapponesi il 27 giugno e chissà se e quando arriverà mai da noi. Nell'attesa, le opere precedenti di Koike sono racchiuse in un ottimo cofanetto edito da Koch Media, che vi consiglio di recuperare, aggiungendo l'indimenticata serie Lupin the Third - La donna chiamata Fujiko Mine. ENJOY!

martedì 8 luglio 2025

Notte Horror 2025: So cosa hai fatto (1997)

Buona sera a ttutti gli amanti dell'horror e a quelli che sono capitati qui per caso! Oggi comincia la tradizionale Notte Horror Blogger Edition, un omaggio allo storico contenitore di Italia1 che prevede due post a tema (uno alle 21 e uno alle 23) su due blog diversi, ogni martedì. Quest'anno è toccato a me e a Cassidy de La Bara Volante aprire le danze: sul suo blog trovate Autostrada per l'Inferno mentre io parlerò di So cosa hai fatto (I Know What You Did Last Summer), diretto nel 1997 dal regista Jim Gillespie e molto liberamente tratto dal romanzo omonimo di Lois Duncan. La rassegna andrà avanti fino al 9 settembre, quindi avete un sacco di film da recuperare e guardare insieme a noi! ENJOY!


Trama: durante la festa del paese, quattro ragazzi investono involontariamente un pescatore e si liberano del cadavere. Un anno dopo, cominciano a ricevere minacciosi messaggi da parte di qualcuno che, appunto, "sa"...


Correva l'anno 1999 e la Bolla andava al cinema a vedere un horror dall'evocativo titolo di Incubo finale. La protagonista mi sembrava una faccia familiare, ma non avevo visto neanche un trailer, non sapevo di cosa parlasse il film, quindi sono rimasta abbastanza male quando ho capito che Incubo finale presupponeva una conoscenza pregressa da parte dello spettatore, e mi sono parecchio incazzata quando ho capito di essermi spoilerata un altro horror che non avevo mai guardato. Mi sembra di parlare del medioevo, ché ora queste cose non accadrebbero più (non con Facebook, Letterboxd, Imdb, Instagram, Rotten Tomatoes, YouTube, ecc), ma mentirei se dicessi di non avere mai più recuperato So cosa hai fatto a causa della delusione da spoiler; in realtà, la cosa che mi aveva fatto più girare le palle in assoluto, è che a me So cosa hai fatto stava antipatico a prescindere, perché l'ho sempre inteso come un emulo mal riuscito di Scream (in questo, sono un po' come Melissa Joan Hart, d'altronde adoravo Sabrina vita da strega), e la visione del sequel mi avrebbe costretta a guardarlo, anche solo per pignoleria. Non so come, invece, sono riuscita ad evitarlo fino al 2025, anno che segna il ritorno della saga al cinema con un reboot diretto da Jennifer Kaytin Robinson, cosa che mi ha portato a scegliere proprio So cosa hai fatto per Notte Horror. E sapete una cosa? Io e Sabrina avevamo più o meno ragione. Il film di Jim Gillespie non è un rip-off di Scream, bensì il contrario; Kevin Williamson, che ha sceneggiato entrambi i film, lo aveva scritto ben prima, e solo il successo di Scream ha fatto sì che un banale slasher più volte rifiutato sia stato prodotto in tutta fretta dalla Columbia Pictures. Purtroppo, So cosa hai fatto non è Scream, che ragionava sul genere reinventandolo e prendendolo in giro con ironia, e per chi non ama il "normale" genere slasher, come la sottoscritta, è l'equivalente di una mattonata sui marroni.  


Tratto da un romanzo per ragazzi del 1973, So cosa hai fatto non nasce come slasher, quanto piuttosto come thriller, il che ha fatto parecchio arrabbiare la scrittrice Lois Duncan. Posso capirla e mi spiace per lei, ma la struttura di So cosa hai fatto è perfetta per un horror, a partire dalla stupidità mista a cattiveria congenita dei protagonisti, che li rende vittime perfette di un killer mascherato assetato di vendetta. Julie, Helen, Barry e Ray meritano infatti di morire male, senza che lo spettatore investa una singola oncia di empatia per loro; come si fa a dispiacersi per quattro stronzi che investono un uomo e, invece di chiamare i soccorsi almeno da una cabina anonima, ne gettano il cadavere in acqua? Quando dico che i quattro sono anche scemi, è perché il tizio è stato investito dall'unico sobrio del gruppo, al quale sarebbe bastato un alcol test per farla franca. Tutto il pippone del riccastro che piange perché "il suo futuro verrà irrimediabilmente rovinato", con l'aggiunta di "oddio la pena di morte!", non sta in piedi, e lo so che non dovrei fare le pulci a un horror, ma è per dire che, anche legando la suspension of disbelief alla sedia, non c'è motivo per non tifare per il serial killer uncinato. A questo, bisogna aggiungere che, per quanto mi riguarda, gli omicidi sono particolarmente mosci, salvo la bellissima, lunga sequenza che coinvolge due vicoli bui e un negozio (un giro di parole per non fare spoiler), e che l'unica idea simpatica del film è proprio quella di far stringere il culetto delle quattro pavide oloturie con dei bigliettini scritti in stampatello, con tutto il "gioco dei sospetti" che consegue e che, al momento della risoluzione, quando la palpebra era già quasi (ho detto QUASI!! Non ho dormito, ma avrei tanto voluto) irrimediabilmente calata, mi ha fatta dire "aspetta, CHI??". Sulla storia di Billy Blue sorvolo, ho riso talmente tanto per 'sta clamorosa vaccata da avere mal di stomaco.


Poi, per carità, è un teen horror di fine anni '90, con un'estetica ben precisa che deve piacere o, perlomeno, dev'essere fruita da chi è in grado di contestualizzarla. Probabilmente, sarebbe servito se avessi visto So cosa hai fatto all'epoca dell'uscita cinematografica e ne conservassi un bel ricordo ma, così, posso solo farmi del male pensando al tempo che passa per tutti, magari preservando alcuni attori meglio di altri. Di sicuro, ho sorriso alla vista di un power pack di giovani talenti che, in quegli anni, erano sulla cresta dell'onda principalmente per ruoli televisivi, spesso e volentieri riuniti anche in altri film. Sarah Michelle Gellar, all'epoca alla prima stagione di Buffy, risulta anche ad una visione attuale l'attrice più brava del mucchio e, anche se la sua Helen è odiosa, è l'unico personaggio che riesce a veicolare un sincero dispiacere all'idea di aver perso amici e futuro per una scelta terribilmente sbagliata. Sugli altri, ahimè,  c'è da stendere veli pietosi. Jennifer Love Hewitt non mi è mai piaciuta e, come protagonista, è tremenda, non solo nello stile (un'altra cosa che mi ammazza è che il disagio psicologico di Julie sia principalmente reso dai suoi capelli e, soprattutto, dall'orrenda frangetta, unta come se il personaggio non la lavasse da almeno due settimane), ma perché è priva del carisma della final girl; Ryan Phillippe e, soprattutto, Freddie Prinze Jr. (il quale saggiamente, nel 2002 si è sposato la Gellar e vive da allora di gloria riflessa lavorando principalmente come doppiatore), sono due blocchi di tufo, il primo messo lì perché allora era molto bello, il secondo perché aveva una faccia da medioman perfetto per Ray. Passando ai comprimari, stringe il cuore vedere la sfortunata Anne Heche nel ruolo, efficacissimo, della matta malinconica, ed impressiona la fortuna di Johnny Galecki il quale, nel tempo, è riuscito a scampare ad un typecasting da viscido disagiato agguantando un ruolo che lo avrebbe fatto diventare l'idolo di tutti i nerd del pianeta. Tutto sommato, non mi sono pentita di avere guardato So cosa hai fatto, perché è stato un nostalgico viaggio negli anni '90, ma continuo a dire che preferisco non solo Scream, ma anche tutte le parodie che ne hanno tratto.


Di Sarah Michelle Gellar (Helen Shivers), Anne Heche (Melissa Egan) e Johnny Galecki (Max) ho parlato ai rispettivi link. 

Jim Gillespie è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come D-Tox. Anche produttore e sceneggiatore, ha un film in uscita.  


Jennifer Love Hewitt
interpreta Julie James. Americana, la ricordo per film come Sister Act 2 - Più svitata che mai, Giovani, pazzi e svitati, Incubo finale, Heartbreakers - Vizio di famiglia, Lo smoking, Tropic Thunder; inoltre, ha partecipato a serie come Cinque in famiglia, Ghost Whisperer e Criminal Minds. Come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Hercules, I Griffin e nel film Il gobbo di Notre Dame 2 - Il segreto della campana. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 46 anni e un film in uscita, il reboot di So cosa hai fatto


Ryan Phillippe
interpreta Barry Cox. Americano, lo ricordo per film come Allarme rosso, Studio 54, Cruel Intentions, Gosford Park; inoltre, ha partecipato a serie come Oltre i limiti e Will & Grace. Come doppiatore, ha lavorato nella serie Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 51 anni e tre film in uscita. 


Freddie Prinze Jr.
interpreta Ray Bronson. Americano, sposato con Sarah Michelle Gellar, lo ricordo per film come A Gillian, per il suo compleanno, Incubo finale, Scooby-Doo, Scooby-Doo 2: Mostri scatenati e Clerks III; inoltre, ha partecipato a serie come 8 sotto un tetto, Friends, 24 e Bones. Come doppiatore, ha lavorato nella serie Robot Chicken.  Anche produttore e sceneggiatore, ha 49 anni e un film in uscita, il reboot di So cosa hai fatto


So cosa hai fatto
ha generato due seguiti, Incubo finale e Leggenda mortale, oltre a una serie che potete trovare su Prime Video, So cosa hai fatto. ENJOY!

Lo trovate anche sul lato destro del blog, ma ecco qui il bannerone con la programmazione di quest'anno!





venerdì 4 luglio 2025

2025 Horror Challenge: Specie mortale (1995)

La challenge horror di oggi predeva il recupero di un film uscito nel 1995, quindi ho scelto Specie mortale (Species), diretto dal regista Roger Donaldson, che compie 30 anni proprio tra un paio di giorni. 

Il post, anche se non avrei voluto perché il film in questione è parecchio brutto, serve anche a commemorare Michael Madsen, una delle mie grandissime crush cinematografiche nonché emblema di uomo estremamente cool, che è purtroppo morto ieri. Ci vediamo nei film, Michael, ballando leggeri e strafottenti sulle note di Stuck in the Middle With You.


Trama: Sil, ibrido femmina tra umano e alieno, fugge da un laboratorio di ricerca a seguito del tentativo degli scienziati di ucciderla. Sviluppatasi da bambina a donna nel giro di un paio di giorni, Sil si mette in cerca di un uomo con cui accoppiarsi e generare un figlio, lasciandosi dietro una scia di cadaveri...


Aah, che belli gli anni nov... ehm. No, nemmeno gli '80 erano belli ma, Cristo, la monnezza che hanno prodotto i '90. Specie mortale è uno di quei "simpatici" horror sci-fi ad altissimo budget e zeppo di facce famose che non è invecchiato male, di più, e questo nonostante abbia ottenuto tutto ciò che si era sicuramente prefissato, ovvero fare soldi a palate e generare un'infinità di seguiti. Diciamo che, di base, ricordo un battage pubblicitario che puntava essenzialmente sulla bellezza sensuale di Natasha Henstridge, e immagino che chi sia andato al cinema a vedere Specie mortale per godere della vista dell'attrice sia tornato a casa soddisfatto. In realtà, Specie mortale è molto castigato in questo, perché non ha il coraggio dei thriller erotici di fine anni '80 e dell'inizio della decade successiva, e si limita a mostrare la  Henstridge e seno nudo o mentre si profonde in tre amplessi (tra i quali due tentativi che si limitano a una limonata "spinta") sensuali quanto una puntata di Arriva Cristina. Il resto è un "vorrei ma non posso", ovvero un film estremamente maschilista imperniato su una creatura aliena, guidata dall' imperativo genetico dell'accoppiamento a scopo riproduttivo, la quale, in quanto donna, non può perseguirlo senza uccidere i malcapitati che le capitano sotto mano. Sil è una creatura indesiderata fin dall'inizio, da quando il suo viscido creatore Fitch decide di sbarazzarsene salutandola con un gesto della mano e una lacrima, un'aliena che fugge e, nel giro di un paio di giorni, si ritrova vittima di uno sviluppo fisico iperaccelerato che ne cambia completamente le priorità; non più bambina in fuga, bensì donna nel pieno dell'età fertile. Una sceneggiatura non dico intelligente, ma almeno interessante, avrebbe puntato sulla confusione di Sil, extraterrestre prigioniera di un mondo estraneo e anche di un corpo governato da pulsioni sconosciute; avrebbe sfruttato un empatico come andrebbe fatto, utilizzandolo per capire i tormenti della creatura e magari farsene portavoce, creando qualche legame originale, invece di fargli fare da cercapersone e indovino. Invece, abbiamo un gruppo di scienziati capitanati da un mercenario, il cui unico scopo è capire la fisiologia di Sil solo per eliminarla prima che si accoppi e procrei, secondo un pattern abbastanza banale che vede gli umani contro il mostro, senza grandi dubbi morali.


Specie mortale,
se non altro, vanta un design alieno e un paio di sequenze oniriche realizzate da Giger, il quale avrebbe voluto molti più stadi evolutivi per Sil, ma quel paio di guizzi originali fanno a pugni con la piattezza generale della regia di Roger Donaldson, che si "risveglia" giusto nel corso delle sequenze finali ambientate nelle fognature (qui l'unico vero difetto sono, purtroppo, i primi tentativi di motion capture, che rendono Sil un ammasso di pixel appiccicati sullo schermo, inguardabili a livello Il tagliaerbeed è un peccato, perché gli effetti speciali artigianali non sono male). La cosa che fa più "specie" del film è però lo spreco di attoroni da Oscar, i quali vengono surclassati da una novellina come la Henstridge la quale, forse perché insicura e spaesata, conferisce a Sil una sorta di confusa ingenuità che si amalgama alla perfezione con la fredda sensualità dell'attrice, rendendo il personaggio almeno carismatico, se non tridimensionale. Il resto, lo ammetto, mi provoca imbarazzo a parlarne. Andiamo per ordine di credits. Non so cosa avesse visto Ben Kingley, dopo un Oscar per Gandhi e una signora interpretazione in Schindler's List, tranne forse un assegno, per interpretare uno scienziato talmente mal caratterizzato che non viene neanche voglia di sottolinearne la pochezza morale; Michael Madsen all'epoca era all'apice della forma fisica, quindi un figo da primato, ma sfido chiunque a considerarlo un attore capace di portare sulle spalle il ruolo dell'eroe protagonista e, in tutta onestà, il ruolo in cui è costretta Marg Helgenberger (quello della scienziata che non vede l'ora di scoparsi il mercenario muscoloso e misterioso, al punto da fare scenate di frustrazione in pubblico) è svilente per entrambi i coinvolti; Alfred Molina era ai primi ruoli in suolo americano e, preso come comic relief pesantemente connotato come sfigato affamato di patata può anche andare bene, contestualizzando un simile ruolo nell'anno in cui il film è stato girato; Forest Whitaker è un altro che, probabilmente, ha visto un assegno sostanzioso in un momento di magra pre-riconsacrazione a grande attore, perché Dan l'empatico è tutto ciò che uno dotato di simili poteri non dovrebbe essere, oltre a non servire a un cazzo in un contesto di militari e scienziati. Potrei andare avanti ore a ribadire quanto Specie mortale sia un film invecchiato male, ma non vale la pena. Questa è un'altra di quelle opere che può sopravvivere grazie alla nostalgica indulgenza di chi lo ha visto per la prima volta a 16 anni, consacrandolo a film del cuore, e purtroppo per Specie mortale io sono vissuta fino a 44 anni senza averlo mai visto. Ops. 


Di Ben Kingsley (Fitch), Michael Madsen (Press), Alfred Molina (Arden), Forest Whitaker (Dan), Marg Helgenberger (Laura) e Michelle Williams (Sil da piccola) ho parlato ai rispettivi link.

Roger Donaldson è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto film come Cocktail, Cadillac Man - Mister occasionissima e Dante's Peak - La furia della montagna. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 80 anni.


Natasha Henstridge
interpreta Sil. Canadese, ha partecipato a film come Species II, FBI - Protezione testimoni, Fantasmi da Marte, FBI - Protezione testimoni 2, Species III e a serie quali Oltre i limiti e CSI - Miami; come doppiatrice ha lavorato in South Park. Anche produttrice, ha 51 anni e quattro film in uscita. 


Specie mortale
vanta ben quattro seguiti: Species II, Species III e Species IV - Il risveglio, tutti a me sconosciuti. Se volete sapere come prosegue la storia, recuperateli! ENJOY!

mercoledì 2 luglio 2025

Elio (2025)

Benché poco pubblicizzato, la settimana scorsa sono andata a vedere Elio, diretto e co-sceneggiato dai registi Adrian Molina, Domee Shi Madeline Sharafian.


Trama: Elio Solis è un bimbo che, dopo la morte dei genitori, è stato affidato alla zia. Sentendosi solo in un mondo che gli va troppo stretto, Elio sogna di venire rapito dagli alieni, e un giorno questi rispondono al suo appello...


Sapete che non mi perdo un film della Pixar, nemmeno quando orde di bonobi urlanti su internet gioiscono del suo insuccesso senza neppure averlo visto. Elio, che ha avuto la sventura di uscire subito dopo il fortunato live action di Lilo e Stitch e poco prima dell'imminente Fantastici 4, è stato trattato dalla Disney come un lavoretto en passant, da pubblicizzare poco (strano non l 'abbiano inserito subito nel catalogo Disney +!), e ha ovviamente risentito di queste miopi scelte di marketing. Probabilmente, ha anche sofferto i ritardi dovuti al lungo sciopero SAG/AFTRA del 2023, che ha permesso allo studio di rimaneggiare completamente un'opera che avrebbe dovuto essere realizzata essenzialmente dal regista e sceneggiatore Adrian Molina, partendo da sue esperienze autobiografiche, e che poi è stata rivista in un'ottica più "universale" e affidata a Domee Shi a Madeline Sharafian quando Molina è stato chiamato a co-dirigere il seguito del suo fortunatissimo lungometraggio Coco. Insomma, Elio è un film nato disgraziato in partenza, eppure basterebbe dargli una chance per capire che è un'opera dolcissima e fantasiosa, benché non al livello dei capolavori Pixar. Elio racconta, appunto, la storia di Elio Solis, un bambino rimasto orfano che vorrebbe venire rapito dagli alieni e portato su altri mondi. Il perché, è comprensibile. Ad Elio non è rimasto nulla sulla Terra; non ha genitori, non ha amici, la zia gli vuole bene ma non sa come gestirlo e, per crescerlo, ha rinunciato alla sua carriera di astronauta, il che fa sentire il ragazzino ancora più solo e in colpa. Il desiderio di Elio è così forte e doloroso che gli impedisce di accettare o apprezzare ciò che lo circonda, e il protagonista non si rende conto di essere lui stesso a rendersi la vita ancora più insopportabile e difficile di quanto non sarebbe normalmente. Nonostante tutto, un giorno i sogni di Elio diventano realtà: gli alieni lo scambiano per il leader della Terra e lo rapiscono per portarlo su un mondo da sogno, dove tutti gli sono amici e lo reputano importante. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica. Elio capirà presto che solitudine ed incomprensioni sono all'ordine del giorno anche nello spazio e che è solo aprendosi realmente agli altri, con tutti i nostri pregi e difetti, dando fiducia a chi ci vuole bene, che la nostra vita può migliorare pian piano, anche se non è proprio quella che sognavamo. Il messaggio di Elio è chiaro, così come sua la natura di racconto di formazione. A quello di Elio si affianca, infatti, anche il percorso dell'adorabile Glordon, bioccoletto ciccioso che non riesce a comunicare con l'iracondo padre e che vorrebbe sottrarsi a un futuro da tiranno e guerriero che non gli si confà; anche in questo caso, si sottolinea l'importanza della fiducia e del dialogo, che ci porta a considerare nemico chi, in realtà, è goffo ed insicuro quanto noi. In soldoni, spesso l'etichetta di "diverso", di "strano", in accezione negativa, siamo noi stessi ad appiccicarcela addosso, e gli altri si comportano di conseguenza, rendendo ancora più difficile staccarla.


Mettendo un attimo da parte i messaggi profondi, Elio funziona per la verosimiglianza con cui viene ritratto il protagonista, un bambino zeppo di fantasia e iperattivo, la cui "stupidità" ricorda molti dei giochi e dei voli pindarici che facevamo da bambini. La fervida fantasia del protagonista viene rispecchiata dalla varietà incredibile degli alieni che popolano il Comuniverso; la cifra stilistica di Elio è un mix di elementi naturali (presi da creature marine, insetti o invertebrati), design pop al limite del "giocattoloso" e aspetti onirici, quasi psichedelici, che si traducono in un caleidoscopio di colori ammorbidito da una fotografia che definirei quasi "acquatica". La qualità prevalentemente variopinta e dinamica di Elio cozza in maniera assai efficace con l'ambientazione fatta di rossi e neri che definisce tutto ciò che è legato a Grigon e ai suoi scagnozzi, e con sequenze ambientate sulla Terra che farebbero la felicità di ogni appassionato di cinema di fantascienza. Come già accadeva in Toy Story 4, infatti, i realizzatori di Elio si dimostrano fini conoscitori delle dinamiche inquietanti tipiche del genere, specialmente quando contaminato con l'horror, e inseriscono efficacissimi rimandi a La cosa, L'invasione degli ultracorpi, persino Terminator e Venerdì 13 (e chissà quanti altri film che non ho colto) e, onestamente, se non avessi saputo di stare guardando un cartone Pixar, a un certo punto me la sarei fatta abbastanza sotto. Piccole strizzate d'occhio agli adulti, che non snaturano un film pensato essenzialmente per bambini, che tratta con garbo ma senza fare troppi sconti temi difficili come la morte, il bullismo, la natura distaccata di alcuni genitori. Tra le melodie di Rob Simonsen, il musetto triste di Elio, l'espressivissimo Glordon (gli mancano gli occhi, ma vi sfido a non provare pena quando scoppia a piangere disperato) e lo sguardo finale che Olga riserva al nipote, ammetto di essermi sciolta in lacrime e, anche se l'intento del film era diametralmente opposto, ho sperato, per un istante, che qualcuno lassù arrivasse a prendermi per farmi vivere un'avventura galattica, proprio io che non sopporto la fantascienza. Però che bello, per una volta, sognare di visitare mondi lontani, così zeppi di colori e di allucinanti, utilissime tecnologie!


Dei co-registi e co-sceneggiatori Adrian MolinaDomee Shi ho parlato ai rispettivi link. Zoe Saldaña (voce originale di Olga Solís) la trovate invece QUA.

Madeline Sharafian è la co-regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio. Anche animatrice, storyboarder e produttrice, ha 32 anni. 


Se Elio vi fosse piaciuto, recuperate Red, Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria, Lilo & Stitch e Luca. ENJOY!

martedì 1 luglio 2025

M3GAN 2.0 (2025)

Per vari motivi, sono riuscita ad andare già venerdì a vedere M3GAN 2.0, diretto e co-sceneggiato dal regista Gerard Johnstone.


Trama: Gemma e Cady vivono una vita abbastanza serena, e cercano di limitare i danni causati dall'AI qualche anno prima. L'arrivo di un nuovo robot omicida le costringe però a ricorrere all'aiuto di M3gan...


Tre anni fa, M3GAN era stato una hit inaspettata, un divertente mix tra horror e fantascienza avente per protagonista un robot dalla personalità fortissima, capace di accattivarsi le simpatie del pubblico. Subito dopo l'uscita era già stato confermato un seguito e, finalmente, M3GAN 2.0 è arrivato. Il sequel si spoglia subito di ogni elemento horror, per diventare un thriller-action altamente tecnologico fin dalle prime scene. Se, infatti, nel primo film si parlava di fabbriche di giocattoli pronte a fare il passo più lungo della gamba nel tentativo di avere successo commerciale, anche a costo di monetizzare sulle tragedie dei piccoli acquirenti, qui i protagonisti sono entità governative, segreti militari, minacce alla sicurezza nazionale mondiale, e il nume tutelare dell'operazione è nientemeno che Steven Seagal. Nel corso del film ci sono due punti di riflessione fondamentali. Il primo è, ovviamente, un discorso sull'Intelligenza Artificiale e sui pericoli che essa comporta; Gemma, scottata dall'esperienza con M3gan, è impegnata anche socialmente per evitare che l'IA venga sviluppata e utilizzata ulteriormente ma, pur predicando bene, razzola molto male, affidando all'IA segreti e speranze di ricchezza. Il film presenta, assai realisticamente (salvo, ovviamente, quando si parla di impianti neurali e robot, per carità), un mondo completamente governato dalla tecnologia, dove basterebbe uno schiocco di dita per renderci impotenti e rimandarci all'età della pietra. M3GAN 2.0, però, non demonizza le nuove tecnologie; piuttosto, sottolinea l'importanza di un elemento umano consapevole e razionale pronto a gestirle per il bene comune (un'idea anche troppo ingenua ma, come direbbe mio padre, "sun propriu cini"). Da qui, parallelamente, si sviluppa il secondo punto di riflessione, che si traduce nell'ironico coming of age di una creatura che deve imparare a controllare le proprie emozioni e realizzare gli obiettivi imposti dalla sua programmazione nel modo più umano possibile. Un percorso di crescita che, anche questa volta, toccherà Gemma in primis, che da zia "svogliata" si è trasformata in mamma apprensiva, abbracciando l'estremo opposto senza smettere di fare danni, e la povera Cady, traumatizzata non tanto dal tentato omicidio da parte di M3gan, quanto piuttosto dal tradimento ai danni di un'"amica" considerata meno che umana. Insomma, c'è tanta carne al fuoco, e la sceneggiatura scritta a quattro mani da Gerard Johnstone e Akela Cooper non sempre riesce a tenere il filo del discorso, perdendosi in tanti piccoli dettagli apparentemente importanti che vengono lasciati cadere nel corso del film, col risultato di due ore non proprio scorrevolissime, anche per colpa di personaggi logorroici. 


Se si prende però M3GAN 2.0 come un film d'azione zeppo di omaggi alle storiche pellicole anni '80-'90, personaggi tagliati con l'accetta compresi (il robot Amelia è la tipica, fredda bellezza "sovietica" tutta sesso e omicidi, ottimo contraltare all'emancipata, "femminista" M3gan), allora c'è la seria possibilità di divertirsi. Tra surreali montaggi di geni all'opera, scantinati pieni di gadget tecnologici, corpo a corpo PG-13 ma in qualche modo ben fatti, balletti al neon e quelle canzoni cringe che già accompagnavano il primo capitolo, M3GAN 2.0 non si prende mai eccessivamente sul serio e punta più sull'ironia rispetto al suo predecessore, una scelta stilistica che tocca in primis la stessa M3gan. Come dichiarato durante uno dei dialoghi, la sua versione precedente era una bambina senza grande controllo delle proprie emozioni, un robottino pedante ed inquietante che diventava più caustico solo sul finale; la versione 2.0 punta invece molto su un'attitudine sassy, su confronti adulti ed infuocati con Gemma e sulla natura di "bitch" già palesata durante i trailer. Non ci mette molto la combo Amie Donald e Jenna Davis (la prima presta il corpo a M3gan, la seconda la voce) ad eclissare il resto del cast femminile e buona parte di quello maschile, anche se si vede che gli attori si sono divertiti a tornare nei ruoli che hanno donato loro buona parte della fama attuale. Gli unici che spiccano nel mucchio, oltre alla già citata Ivanna Sakhno nei panni di Amelia, soprattutto in virtù della sua particolare bellezza, sono Brian Jordan Alvarez, il cui ruolo di nerd goffo e un po' profittatore è stato molto gonfiato rispetto al primo capitolo, e un Jemaine Clement al quale bastano 10 minuti di screentime per bucare lo schermo con un disgustoso mix di Elon Musk, Jeff Bezos e Quagmire (ma, d'altronde, Clement ha una tale presenza scenica che potrebbe anche stare lì zitto. Sarebbe fantastico ugualmente). L'unico problema di M3GAN 2.0 è la sua natura ibrida. Come Balto, "non è horror, non è action, non è sci-fi, sa soltanto quello che non è", ma in tempi bui di spettatori che vogliono essere rassicurati e vedere sempre la stessa minestra riscaldata, non c'è spazio per le incertezze di film che nascono come matte supercazzole. Io mi sono divertita parecchio, ed è quanto mi basta per essere contenta di averlo guardato, ma se già non vi aveva convinto l'horror blando di M3GAN, consiglio di aspettare un'uscita in streaming, o rischiate di uscire dalla sala inviperiti. 


Del regista e co-sceneggiatore Gerard Johnstone ho già parlato QUI. Allison Williams (Gemma), Jemaine Clement (Alton Appleton) e Violet McGraw (Cady) li trovate invece ai rispettivi link.


Se M3GAN 2.0 vi fosse piaciuto, consiglio il recupero di M3GAN, che vi converrebbe guardare prima, o rischiate di non capire nulla del sequel. ENJOY!

venerdì 27 giugno 2025

2025 Horror Challenge: Il signore del male (1987)

La challenge horror questa settimana chiedeva di guardare un film su un supporto fisico, e io ho colto l'occasione per usare il Blu Ray de Il signore del male (Prince of Darkness), diretto e sceneggiato nel 1987 dal regista John Carpenter.


Trama: un prete chiede l'auto di uno studioso di fisica e dei suoi studenti per capire e contenere un inquietante liquido rinvenuto nei sotterranei di una chiesa, probabilmente un'emanazione fisica di Satana stesso...


Il signore del male
è uno di quei film che devo avere visto almeno due o tre volte nel corso della vita, e ogni volta ho provato sensazioni diverse alla fine della visione. Ammetto di non averlo sempre apprezzato, anche per colpa di un adattamento italiano non particolarmente valido, ma in qualche modo mi ha sempre affascinata e, sicuramente, inquietata come pochi altri film. Anche la scorsa sera, sola in casa e con un caldo che rischiavo di liquefarmi, ho avuto difficoltà a fare il giro delle luci e delle persiane dopo la visione, e il mio sguardo ha accuratamente evitato gli specchi, almeno per una buona mezz'ora. Potere de Il signore del male, e della qualità onirica ed imperfetta della sua sceneggiatura, dotata di quelle stesse caratteristiche che ho nominato proprio poco tempo fa, all'interno del post su Rabid Grannies. Ora, non sto cercando di paragonare i due film, i quali non giocano nemmeno nello stesso campionato, ma anche Il signore del male è zeppo di quei "buchi" logici, di quella cattiveria ineluttabile, di quegli eventi gratuiti che mi mettono sempre angoscia, a prescindere dalla qualità della pellicola, e che spesso si trovano nelle oscure produzioni italiane anni '70-'80 o, salendo parecchi gradini più su, nella trilogia della morte di Fulci. Ecco, nonostante le inquadrature e le melodie de Il signore del male siano tipicamente carpenteriane, il film ha comunque un che di fulciano che mi si insinua sotto pelle e me la fa accapponare, anche se il richiamo più immediato è ovviamente Lovecraft, al quale Carpenter (sceneggiatore accreditato con lo pseudonimo Martin Quatermass) si è ispirato per realizzare il secondo capitolo della sua ideale trilogia dell'Apocalisse. Ma di cosa parla, in definitiva, Il signore del male? Questa volta, il titolo italiano è stato piuttosto azzeccato, perché al centro della trama c'è l'avvento di un Male fisico, di una sostanza misteriosa e senziente che desidera incarnarsi per riportare sulla terra il regno di suo padre, l'Anti-Dio. Un Principe delle Tenebre in forma liquida, di un verde malato, che la Chiesa ha nascosto per secoli affidando il segreto ad una confraternita; quando l'ultimo membro della stessa muore, un prete si ritrova la patata bollente tra le mani e decide di farsi aiutare non già dai suoi pari ma da un gruppo di scienziati, così da provare anche agli scettici la natura di un male che comincia già ad estendere la sua influenza a livello subatomico, e sulle creature più deboli mentalmente e fisicamente. 


Il connubio scienza e religione è molto interessante, e Carpenter mostra di avere più in simpatia la prima, nonostante possa fare ben poco contro l'orrore che compare nel film. Infatti, la Chiesa non ne esce benissimo, tra confraternite che preferiscono mantenere segreti invece di correre ai ripari, e un prete pavido che, sul finale, fa il gallo sulla monnezza dopo aver lasciato che altri si sacrificassero per la causa. A prescindere da dove vadano le simpatie di Carpenter, Il signore del male è comunque molto pessimista, come del resto anche La cosa e Il seme della follia; davanti a esseri che arrivano dallo spazio o da altre dimensioni, la cui caratteristica principale è quella di sfruttare i sensi umani per confonderli e trascinarli nell'abisso, alterando la loro percezione della realtà e persino la loro mente, uomini e donne possono fare ben poco, giusto forse mettere una pezza temporanea per poter almeno provare a vivere tranquilli. Anche così, c'è comunque la consapevolezza che il male esiste, cammina accanto a noi, invisibile agli occhi, e ci osserva aspettando di compiere la sua mossa. L'orrore cosmico de Il signore del male, per quanto ineluttabile ed affascinante, non ha però la complessità matura di un film come Il seme della follia, e "si limita" a tenere in assedio un manipolo di persone, come accadeva già ne La cosa. L'azione della pellicola si svolge interamente all'interno degli ambienti asettici e molto anni '80 (leggi: marroni) di una chiesa, il che concorre a rendere il luogo un labirinto dove può nascondersi qualunque cosa; a peggiorare il tutto, si aggiungono una cripta illuminata solo da candele e dal verde insano del cilindro contenente Satana, e un ambiente esterno che ricorda quasi un fossato, circondato da scale, alte pareti o cancelli dalle punte acuminate, che rende ancora più difficile la fuga ai poveri scienziati protagonisti.


Pochi mezzi dunque, per il buon Carpenter, ma molto ingegno e tantissima espressività. Il make-up di Satana è genuinamente terrificante, un paio di effetti speciali sono disgustosi, e il modo in cui il liquido verde sfida ogni legge della fisica è reso ancora oggi in maniera eccellente, così come la pericolosità dello specchio nel climax del film e nell'agghiacciante finale. A livello tecnico, una delle cose che, ancora oggi, mi terrorizzano sono i messaggi dal futuro (peraltro dei semplici video ripresi mentre venivano riprodotti su uno schermo), probabilmente per la loro incompiutezza reiterata e perché spezzano il ritmo del film aggiungendo ulteriori stranezze ad un film che ne è già pieno, ma il vero "signore del male" è Alice Cooper. L'ho visto in tanti altri horror, non mi ha mai detto nulla, né come uomo né come attore, ma ne Il signore del male mi fa venire voglia di spegnere la TV dal primo momento in cui compare e nascondermi sotto le coperte, perché ha proprio l'espressione vuota di chi potrebbe farti qualunque cosa senza battere ciglio ed è un perfetto araldo della follia demoniaco/possessiva che segue la sua comparsa. E' raro che venga fatto il nome de Il signore del male quando si parla di Carpenter, ed è un peccato, perché è un gioiellino che meriterebbe di essere riscoperto, nonché uno dei pochi horror capaci di farmi davvero paura e di privarmi del sonno per qualche ora. Se non lo avete mai guardato, è il momento migliore per recuperarlo; se lo conoscete, spero di avervi fatto venire voglia di rispolverarlo!


Del regista e sceneggiatore John Carpenter ho già parlato QUI. Donald Pleasence (Prete), Peter Jason (Dr. Paul Leahy) e Alice Cooper (il barbone pazzo) li trovate invece ai rispettivi link.

Victor Wong interpreta il Prof. Howard Birack. Americano, lo ricordo per film come L'anno del dragone, Grosso guaio a Chinatown, Shanghai Surprise, Il bambino d'oro, L'ultimo imperatore e Tremors. E' morto nel 2001.


Jameson Parker
, che interpreta Brian March, era uno dei due Simon del telefilm Simon & Simon; Dennis Dun, che interpreta Walter, era il co-protagonista di un altro film di John Carpenter, Grosso guaio a Chinatown. Se Il signore del male vi fosse piaciuto, recuperate gli altri due film della Trilogia dell'Apocalisse, ovvero La cosa e Il seme della follia. ENJOY!

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