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martedì 18 luglio 2017

The War - Il pianeta delle scimmie (2017)

Non so nemmeno io perché il reboot de Il pianeta delle scimmie sia diventato una di quelle saghe da seguire no matter what, sta di fatto che domenica sono corsa al cinema a vedere The War - Il pianeta delle scimmie (War for the Planet of the Apes), diretto e co-sceneggiato dal regista Matt Reeves.


Trama: a seguito delle azioni di Koba, tra scimmie e umani è scoppiata una guerra senza esclusione di colpi, che vede da un lato della barricata lo scimpanzé Cesare e dall'altro il sadico Colonnello. Quando la tragedia colpisce Cesare, il capo-branco si imbarca in un viaggio per cercare vendetta e scopre un terribile segreto...



Con The War - Il pianeta delle scimmie si chiude un cerchio, si tira un colpo alla testa dei titolisti italiani che hanno costretto gli adattatori a fare salti mortali per tradurre le didascalie iniziali del film e si aspetta, consapevoli che probabilmente quel mondo nato nel 2011 avrebbe ancora molto da raccontare. O forse no, in quanto per una volta che si chiude in bellezza forse sarebbe meglio non forzare troppo la mano. Lo scimpanzé Cesare, che abbiamo visto nascere, crescere, perdere fiducia nell'umanità e persino verso i suoi stessi simili, torna in The War - Il pianeta delle scimmie come una creatura ormai invecchiata, provata dalla guerra e sempre più in difficoltà a non cedere ad una rabbia bestiale capace di sterminare non solo gli umani ma anche sancire la disfatta delle scimmie; se nel primo film il focus era necessariamente la ricerca di un posto nel mondo di un essere troppo umano per essere scimmia e troppo scimmia per essere umano e nel secondo si parlava di fiducia, odio e speranza, qui il viaggio di Cesare assume molteplici significati e si concretizza in un esodo biblico verso un mondo nuovo, forse peggiore o forse migliore. Echi del Vecchio e del Nuovo Testamento (non c'è il Mar Rosso ma c'è una slavina, non ci saranno corone di spine ma le croci si sprecano, così come le frustate, le frecce nel costato e i Giuda) si uniscono in una trama adulta e ben più riflessiva rispetto al fiacco trionfo di effetti speciali che era Apes Revolution, all'interno della quale pochi personaggi si muovono circospetti, tra atmosfere western e post-apocalittiche, per fuggire da una guerra che li aspetta appena svoltato l'angolo, pronta a ghermirli coi suoi rimandi a campi di concentramento, muri Trumpiani, schiavismo e un senso di apocalisse incombente. L'Apocalisse. Apocalypse Now, fonte prima d'ispirazione dell'intera pellicola, perché quale film (tranne forse Full Metal Jacket) è stato in grado di raccontare l'alienazione, la follia e anche il fascino pericoloso di una cosa orribile come la guerra, meglio di quanto abbia fatto il capolavoro di Coppola?


Le motivazioni che spingono Cesare e compagni sono diverse da quelle di Willard ma l'obiettivo è lo stesso, ovvero raggiungere il "Cuore di Tenebra" e uccidere il Colonnello (non Kurtz ma McCullogh), quello che veniva nominato alla fine di Apes Revolution, un cupissimo babau evocato proprio da quel Koba che ora infesta gli incubi di Cesare, riscopertosi incapace di perdonare il prossimo come già accaduto al suo antico compagno/nemico. Provato da anni di soprusi e difficoltà, Cesare guarda negli occhi la Tenebra e riempie l'enorme vuoto che ha nel cuore della stessa oscurità che emana dal Colonnello, perdendo di vista obiettivi importanti come la famiglia e la sopravvivenza del suo branco solo per perseguire il proprio desiderio di vendetta; dal canto suo, il Colonnello è pervaso dalla stessa follia che albergava in Kurtz, fermo nei suoi propositi come i Vietcong che tagliavano il braccio ai bimbi vaccinati dagli americani e pronto ad ergersi a Dio di un mondo purificato dall'ennesimo virus in grado di sterminare l'umanità. E' il confronto (più che lo scontro) tra questi due personaggi il cuore di The War - Il pianeta delle scimmie, l'aspetto della trama che rappresenta la svolta "adulta" di quello che sulla carta rischiava di essere solo l'ennesimo blockbuster estivo e che invece regala emozioni, rabbia, copiose lacrime in più di un'occasione; una pellicola dove, finalmente, la bontà dell'effetto speciale si mescola ad una reale capacità di gestire sequenze tipiche di un film di guerra (l'inizio e il finale sono spettacolari e concitati) e ad attori umani che non scompaiono di fronte alle espressivissime scimmie. Woody Harrelson qui porta a casa un'interpretazione come non ne offriva da anni, facendo rivivere il fantasma di Marlon Brando nella pelle di Robert Duvall senza risultare né parodico né una semplice fotocopia dei due mostri sacri e stordendo lo spettatore con sentimenti contrastanti di odio puro e altrettanto sincera fascinazione, mentre la giovanissima Amiah Miller è semplicemente deliziosa nei panni di Nova. L'unico a rimetterci, come al solito, è un immenso Andy Serkis che viene sistematicamente sottovalutato in quanto sepolto da un volto e un corpo creati al computer ma senza il quale Cesare non sarebbe lo stesso personaggio vivido, profondo e tragico che ha conquistato il cuore degli spettatori dal 2011. Cosa sarà d'ora in avanti del franchise poco mi importa, sinceramente: Matt Reeves e soci hanno concluso la loro storyline con un'eleganza raramente riscontrabile in questo genere di saghe succhiasoldi e personalmente mi dichiaro molto soddisfatta. Se vi capita di cercare refrigerio al cinema date una chance a Cesare e ai suoi (poco) allegri compagni, non ve ne pentirete!


Del regista e co-sceneggiatore Matt Reeves ho già parlato QUI. Andy Serkis (Cesare), Woody Harrelson (Il Colonnello), Steve Zahn (Scimmia Cattiva), Toby Kebbel (Koba) e Judy Greer (Cornelia) li trovate invece ai rispettivi link.


L'anno scorso si diceva che fosse in progetto un quarto episodio della saga ma al momento non se ne ha notizia quindi, nell'attesa di saperne di più, se The War - Il pianeta delle scimmie vi fosse piaciuto potete recuperare tranquillamente L'alba del pianeta delle scimmie e Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie, assieme magari alla saga originale. ENJOY!

P.S. Dalla Mondadori mi hanno appena inviato una mail comunicando che il libro Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, che ha ispirato in primis il film omonimo del 1968, è disponibile nella collana Oscar Mondadori. Lo trovate nelle librerie e negli store on line se siete interessati.

venerdì 14 luglio 2017

Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (2014)

E' uscito ieri The War - Il pianeta delle scimmie, ultimo capitolo del reboot della serie Il pianeta delle scimmie, iniziato nel 2011. Per l'occasione, ho recuperato Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (Dawn of the Planet of the Apes), diretto nel 2014 dal regista Matt Reeves.


Trama: dieci anni dopo la diffusione del virus che ha distrutto la popolazione umana, il gruppo di scimmie capitanate da Cesare incontra dei reduci nella foresta, intenzionati a far funzionare una centrale idroelettrica per tornare ad avere elettricità e comunicare col mondo esterno. Mentre Cesare cerca di superare la diffidenza verso gli umani, lo scimpanzé Koba medita lo sterminio...



L'alba del pianeta delle scimmie avrebbe dovuto essere questo, ché di rivoluzione primate non se ne vede nemmeno l'ombra. Purtroppo il termine Alba era già stato usato per Rise of the Planet of the Apes e noi italiani ci siamo dovuti accontentare ma, di fatto, anche il secondo capitolo della saga è una sorta di prequel atto a preparare uno scenario in cui i ruoli di "razza superiore" e "razza inferiore" (che brutti termini, lo so) dovrebbero risultare completamente ribaltati, con gli umani soggiogati dalle scimmie. Dieci anni dopo gli eventi del primo film gli umani sono stati decimati da un virus nato, ironia della sorte, per combattere l'alzheimer mentre le scimmie guidate da Cesare vivono tranquille ai margini della foresta, prosperando e moltiplicandosi senza rompere le scatole ai loro pochi vicini glabri, almeno finché questi ultimi non invadono il territorio dei quadrumani. Qui la trama si apre ad un discorso simile a quello portato avanti nel primo film, che era anche uno degli elementi capaci di renderlo piacevole ai miei occhi: più che raccontare la lotta tra scimmie e umani, anche il secondo capitolo della saga punta ad essere una riflessione sulla tolleranza, sul razzismo, sulla difficoltà (ma anche la necessità) di tornare a fidarsi di qualcuno, sul confine sottile tra desiderio di proteggere la propria gente e l'odio irrazionale verso "l'altro", mai attuale come in questi ultimi anni. Le difficoltà incontrate da Cesare nel convincere i suoi simili e sé stesso a dare una seconda chance agli esseri umani considerati nemici vengono ulteriormente acuite dalla presenza di Koba, scimpanzé vittima di torture e per questo ancora più determinato a proteggere la sua specie ma soprattutto guidato da una sete di vendetta capace di trasformarlo da feroce condottiero a folle dittatore, cieco al dolore di chi dovrebbe essere nelle sue stesse condizioni. Non è difficile riconoscere nella sceneggiatura del film un rimando a totalitarismi nati stravolgendo le migliori intenzioni di chi voleva un mondo migliore, sia per quanto riguarda la fazione delle scimmie che per quanto riguarda quella degli umani, ed è questo ciò che rende interessante il film, in quanto si parteggia a turno sia per l'uno che per l'altro schieramento, composti in egual misura da figure positive ed altre deprecabili.


Per quel che riguarda la storia c'è poco altro da aggiungere, anche perché la trama segue un percorso abbastanza ovvio che forse poteva anche essere completato in meno tempo, per quel che riguarda gli effetti speciali invece Apes Revolution non ha una sola sbavatura. Le scimmie sono bellissime, incredibilmente espressive, al punto che verrebbe voglia di vedere un film dedicato solo a loro, senza inutili umani tra i piedi; lo sguardo triste di Occhi Blu, la presa in giro di Koba nei confronti di bipedi troppo stupidi per andare oltre i loro pregiudizi, un Cesare coerentemente invecchiato fanno scomparire d'incanto l'assurdità di vedere dei primati a cavallo oppure maneggiare armi come fosse la cosa più naturale del mondo e le scene d'azione sono altrettanto belle e galvanizzanti, soprattutto nella battaglia finale. Se Andy Serkis e Toby Kebbel, inguainati nelle tutine necessarie alla stop motion e nascosti quindi dall'effetto speciale, meritano l'applauso a scena aperta, lo stesso non vale purtroppo per gli attori "al naturale", tutti abbastanza anonimi, stereotipati e dimenticabili, a partire dalla superstar Gary Oldman che probabilmente era lì con un occhio all'orologio e uno all'assegno milionario da incassare per dieci minuti di girato. Per dire, sono lontani i momenti di pura commozione regalati da un signor attore come John Lithgow e mi sono ritrovata a sentire la mancanza persino di quella faccia da caSSo di James Franco, cosa che non è da me. Nonostante l'abbia trovato inferiore a L'alba del pianeta delle scimmie, Apes Revolution è però un film che merita comunque la visione e, cosa non da poco, invoglia ad andare a vedere il terzo capitolo, sperando che la storia di Cesare riservi ancora qualche sorpresa e non si riduca ad essere un agglomerato di splendidi effetti speciali scimmieschi senz'anima.


Del regista Matt Reeves ho già parlato QUI. Andy Serkis (Cesare), Jason Clarke (Malcom), Gary Oldman (Dreyfus), Keri Russell (Ellie), Toby Kebbell (Koba), Kodi Smit-McPhee (Alexander) e Judy Greer (Cornelia) li trovate invece ai rispettivi link.


Il regista de L'alba del pianeta delle scimmie, Rupert Wyatt, ha rinunciato a dirigere Apes Revolution perché avrebbe dovuto rispettare dei tempi strettissimi, per consentire al film di uscire in una determinata data. Gary Oldman era invece uno degli attori presi in considerazione per il ruolo del Generale Thade (andato poi all'amico Tim Roth) nel Planet of the Apes di Tim Burton. Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie può essere considerato un remake di Anno 2670 ultimo atto, quinto film della saga originale de Il pianeta delle scimmie e avrebbe dovuto concludersi con i militari all'inseguimento di Cesare e soci ma il finale è stato cambiato perché non apprezzato durante le proiezioni in anteprima; tuttavia, se avrete la pazienza di aspettare fino alla fine dei titoli di coda, si sentono dei rumori che lasciano pensare che Koba sia ancora vivo. Se questa supposizione è vera o meno lo sapremo guardando The War - Il pianeta delle scimmie, mentre se Apes Revolution vi fosse piaciuto consiglio il recupero de L'alba del pianeta delle scimmie e magari, per completezza, anche della webserie in tre episodi Before the Dawn, che racconta quanto è successo tra il primo e il secondo capitolo del reboot. ENJOY!


martedì 21 febbraio 2012

Cloverfield (2008)

Oggi parlerò dell’ennesimo mockumentary, genere che va parecchio per la maggiore ultimamente. Nella fattispecie, il Bollalmanacco sta per affrontare quel famoso Cloverfield, diretto nel 2008 dal regista Matt Reeves, che avevo snobbato all’uscita nei cinema (non ricordo se volutamente o meno, in effetti…).


Trama: attraverso un filmino amatoriale assistiamo alla totale distruzione dell’isola di Manhattan, dopo che New York viene invasa da un non meglio specificato mostro marino…


Il mockumentary, si diceva. Una volta, questo sconosciuto, adesso invece genere quotatissimo nell’industria cinematografica. Cloverfield è uno degli ultimi esempi del genere e, per quanto ne ho potuto capire, anche uno dei più interessanti. Essendo abituata, fin dai tempi di The Blair Witch Project, al vedere mostrato poco o nulla oppure ad ambienti chiusi come quelli che si possono vedere in Rec o Paranormal Activity, l’idea di girare con questa tecnica un film di mostri all’interno di una metropoli già di per sé è originale e anche vedere la sconvolgente immagine della creatura e i danni che infligge irrimediabilmente ad una città come New York mozzano il fiato. A prescindere, infatti, dalla furbissima campagna promozionale che io, però, non ho vissuto (video finti, falsi account myspace dei personaggi, miriadi di siti internet dedicati ai temi trattati… d’altronde, il produttore è J.J. Abrams, che di pubblicità ne sa quasi più di Spielberg!), Cloverfield è un bel film, inquietante, ansiogeno e ben diretto.


Quello che mi è piaciuto di più è la totale assenza di spiegazioni, com’è giusto che sia. Ad un certo punto, in tutte le pellicole come queste i personaggi, in modo più o meno gratuito, si beccano lo “spiegone” di cui beneficia di rimando anche lo spettatore. Qui spiegazioni non ce ne sono e tutte le cose che accadono, dalla comparsa del mostro alla causa della morte violenta di uno dei protagonisti per esempio, sono avvolte nel mistero, restano nei limiti di quello che Hud, il “regista” per così dire, riesce a sapere e mostrare con la telecamera. Tutto avviene in tempo reale e rispetta la durata di una semplice cassettina per telecamera portatile, consentendoci così di vivere in diretta le emozioni, la paura, l’incertezza dei protagonisti che, nel bel mezzo di una festa, testimoniano la fine della loro esistenza e della città in cui abitano. L’apocalisse tascabile, insomma, intervallata da spezzoni di un vecchio e più felice filmato che, come la vita dei personaggi coinvolti, viene a poco a poco cancellata dagli eventi di Cloverfield e conclude il film con un beffardo “è stata una bella giornata”.


Ovviamente, la pellicola non è priva di quell’aura di “bufala” che maledice quasi tutti i mockumentary. Personalmente, non capirò mai come sia possibile far passare per verosimile l’idea di uno che, nel bel mezzo di un’invasione di zombie, mostri o affini, si incolla la telecamera alla mano e continua a girare finché non gli staccano di netto l’arto, o peggio. Posso capire in Rec, dove si parla di giornalisti professionisti, ma quello di Cloverfield è l’americano medio dal cervellino sottosviluppato. Certo, a volte spegne la telecamera, altre volte la fa cadere, ma fondamentalmente poi è sempre lì a recuperarla e riaccenderla, anche quando gli tocca scalare un grattacielo in bilico dove i suoi compari fanno fatica a camminare con le mani libere. E non sia mai che il suo amico fesso la lasci a terra nemmeno dopo l’incidente finale o dopo essere stato a tu per tu col mostro!! Miseria, che manie di protagonismo, altro che Grande Fratello! Ma scherzi a parte, un’occhiata a Cloverfield la darei, perché è molto ben fatto. A mio avviso, purtroppo, perde molto su piccolo schermo, non oso immaginare l’effetto che avrà fatto al cinema ai fortunati che lo hanno visto… io, sicuramente, andrò a vedere il seguito.


Del regista Matt Reeves ho già parlato qui mentre Mike Vogel, che interpreta Jason, lo trovate qui. Della partita anche Odette Yustman ( o Annable, che è il suo vero cognome), già approdata sui lidi bollalmanacchici qua.

Lizzy Caplan (vero nome Elisabeth Anne Caplan) interpreta Marlena. Americana, ha partecipato a film come Mean Girls e 127 ore, oltre a serie come Smallville, Tru Calling, True Blood e ad aver doppiato alcuni episodi di American Dad!. Anche produttrice, ha 29 anni e quattro film in uscita.


Nel 2014 dovrebbe uscire un prequel (o un seguito? D’altronde durante i titoli di coda si sente dire “Help us”… ma se lo si riproduce al contrario, suona molto come “It’s still alive” ARGH!!) del film, sempre diretto da Matt Reeves. Nell’attesa, avete tutto il tempo di vedervi con calma Cloverfield, quindi… ENJOY!

giovedì 13 ottobre 2011

Blood Story (2010)

Con il cuore gonfio di tristi presagi, ieri sera sono andata a vedere Blood Story (Let Me In), remake USA del bellissimo Lasciami entrare, diretto nel 2010 dal regista Matt Reeves. Quanto adoro sbagliarmi, a volte.



Trama: Owen è un ragazzino solitario, timido e preso in giro dai compagni. Un giorno nel suo stesso palazzo arriva una strana bambina, Abby, accompagnata dal padre. Mentre tra i due nasce una profonda amicizia, nel vicinato cominciano a venire commessi dei delitti, e Owen piano piano comincerà a capire la vera natura della piccola Abby…



Lo ammetto, temevo l’ammeriganata. Ho amato talmente tanto il libro Lasciami entrare di Lindqvist e il film di Tomas Alfredson da essermi semplicemente indignata quando ho letto di un remake USA. Immaginavo che la dolce storia di Eli e Oscar sarebbe stata trasformata in un’indegna porcata piena di sangue, inopportune scene d’azione, tamarrate assortite e via dicendo. Quando ero riuscita a vedere il trailer originale la sensazione non era sparita, anzi, si era via via accentuata, e quando ho saputo che i De Laurentis avrebbero prodotto e che il titolo italiano sarebbe stato il terribile Blood Story ho pianto. Poi sulla rete sono spuntate alcune recensioni molto positive, e ho deciso di dare una chance al film. Aggiungerei per fortuna e cospargo il capo di cenere.



Blood Story vive infatti dell’assoluto rispetto dell’atmosfera dolce, malinconica ed inquietante che caratterizza il film originale (ed è per questo che non mi dilungherò sui significati della trama, visto che ho già recensito qui il bellissimo Lasciami entrare). Merito, innanzitutto, di una sceneggiatura rispettosa che si prende giusto qualche licenza (tipo il metodo scelto dal “padre” di Abby per procurarsi le vittime, in perfetto stile Urban Legend, l’introduzione del personaggio dell’investigatore e la perdita di ambiguità di Abby, la cui sessualità non viene mai messa in dubbio), della splendida, intensa interpretazione di Chloe Moretz e di tutti gli attori coinvolti, delle musiche evocative di Michael Giacchino mescolate a qualche hit dell’epoca come la sempre bella Let’s Dance di David Bowie.  La regia di Matt Reeves regala immagini evocative e porta avanti delle scelte stilistiche di tutto rispetto, come quella di non mostrare mai il volto della madre di Owen per sottolineare ulteriormente la solitudine del ragazzo, o come la splendida idea di mostrare l’incidente automobilistico dall’interno della macchina, seguendo il punto di vista del passeggero sul sedile posteriore oppure, infine, come la terribile ed efficacissima immagine dove la mano insanguinata del poliziotto si protende verso quella di Owen… che sceglie invece di afferrare la maniglia della porta e chiudersela alle spalle . Ovviamente e per fortuna vengono anche riprese le sequenze chiave del film originale, come quella scioccante della piscina o quella in cui Abby entra in casa di Owen senza permesso, terribile e dolce allo stesso tempo.



Da buon remake, Blood Story non è comunque esente da difetti. L’”americanata” è subito dietro l’angolo, nella fattispecie in ogni scena dove la natura vampira di Abby diventa evidente, come negli omicidi da lei commessi o nelle orride inquadrature dove si arrampica sugli alberi come un maffissimo gatto (di marmo, o in computer graphic, che è più o meno la stessa cosa). Altra cosa che mi ha fatto storcere un po’ il naso è la riduzione del personaggio di Virginia a mero “intrattenimento gore” un po’ privo di logica; nel film e nel libro è il suo compagno a seguire tutti gli indizi fino ad arrivare ad Abby, spinto dalla morte di qualche amico e dall’orrendo destino della donna, mentre qui il suo ruolo viene ricoperto dall’investigatore interpretato da Elias Koteas. Inutile quindi introdurre la vampirizzazione di Virginia se non per quei tre minuti in cui lo spettatore assiste ad un atto cannibalico in perfetto stile Antropophagus. Ah, iattura. E un po’ di iattura anche al doppiaggio italiano: mi chiedo infatti se Owen parla con la “s” di Paperino anche nella versione inglese. In caso, mi cospargerò di nuovo il capo di cenere, consigliandovi di andare a vedere comunque questo malinconico, atipico e “rispettoso” horror.  



Di Chloe Moretz, che interpreta Abby, ho già parlato qui. Richard Jenkins interpreta il padre, lo trovate qua, mentre Elias Koteas, che interpreta il poliziotto (e da anche la voce telefonica al padre di Owen), lo trovate qui.

Matt Reeves è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto il film Cloverfield, che sarà una delle mie prossime visioni. Anche produttore, ha 45 anni e un film in progetto, un probabile seguito di Cloverfield.



Kodi Smit – McPhee interpreta Owen. Australiano, ha partecipato a due episodi della serie Incubi e deliri. Ha 15 anni e tutta una carriera davanti a sé: ha infatti quattro film in uscita, tra cui un’ennesima versione di Romeo e Giulietta, dove lui sarà Benvolio e la Hailee Steinfeld de Il Grinta sarà Giulietta.



Cara Buono interpreta la madre di Owen. Americana, ha partecipato al film Hulk e a serie come CSI, Law & Order, I Soprano, La zona morta e ER medici in prima linea. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 40 anni e due film in uscita.



Sasha Barrese (vero nome Alexandra Barrese) interpreta Virginia. Americana, ha partecipato a film come American Pie, The Ring, Una notte da leoni e Una notte da leoni 2, oltre a serie come CSI: Miami e Supernatural. Inoltre, ha prestato la voce per alcuni episodi di Robot Chicken. Ha 30 anni.



Per dovere di completezza, il messaggio in codice morse che Owen ed Abby si scambiano alla fine è questo: lei, bussando, gli comunica “Hi”, e lui risponde con “OX”, ovvero abbraccio e bacio. Amori meravigliosi. Ok, mi ricompongo dopo tanta melassa per me inusuale e vi suggerisco di recuperare il meraviglioso Lasciami entrare, ovviamente, di cui vi metto il trailer per par condicio, visto che nel post a lui dedicato avevo messo quello di Blood Story. ENJOY!!


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