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mercoledì 24 settembre 2025

The Life of Chuck (2024)

Aspettavo da due anni e finalmente, lunedì, sono riuscita a vedere The Life of Chuck, diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Mike Flanagan, partendo dal racconto Vita di Chuck, contenuto nella raccolta Se scorre il sangue.


Trama: la vita del contabile Chuck Krantz viene raccontata, a ritroso, dalla sua fine all'infanzia...


Amo Stephen King dall'età di 13 anni e adoro Mike Flanagan fin dal suo primo film, quindi forse sarò un po' (tanto) di parte parlando di Life of Chuck. King è Maestro d'orrore, ma quelle rare opere in cui il sovrannaturale sfiora appena i personaggi, e dove il Tessitore di Storie si concentra maggiormente a raccontare della vita, della morte, e di tutto ciò che sta nel mezzo, forse sono quelle che gli riescono meglio. E anche quando l'Orrore è preponderante, King, se è al massimo della propria forma, restituisce a tutto tondo sensazioni e verità universali, una quotidianità che non è mai straordinaria, bensì prosaica, spesso brutale ed ingiusta. In questo, Mike Flanagan è molto simile, e al centro delle sue opere, sia cinematografiche che televisive, mette sempre le persone, e il concetto di come il tempo che hanno da passare su questa terra sia più o meno limitato. Da quest'unione non poteva che uscire fuori un'opera leggera come un passo di danza e profonda come l'immensità dell'universo. The Life of Chuck racconta tre tappe dell'esistenza di Charles "Chuck" Krantz, un ordinario contabile che, a 39 anni, sta morendo per un tumore incurabile. Le tre tappe non vanno in ordine cronologico, ma partono dalla fine, dalla tremenda apocalisse personale che coincide con la morte di ognuno di noi. Nell'ormai stra-abusato "Io contengo moltitudini" si consuma la fine di un micro-universo che contiene il nostro bagaglio culturale, la nostra essenza più profonda, ricordi importanti e presenze durate un battito di ciglia; ogni morte è la fine di un mondo, ed ogni mondo è fondamentale per chi lo ha vissuto, a prescindere dalle carte che ci ha servito la vita, dalla spietata legge delle probabilità che ci hanno voluto banali contabili invece che famosissimi ballerini o cantanti. Che la morte sia ineluttabile e spesso ingiusta è un concetto che accomuna i due autori, la differenza è che King spesso lascia degli spiragli, la speranza che ci sia una luminosa mano esterna a guidarci e, forse, ad accoglierci alla fine; Flanagan è tranchant, e per nulla interessato a raccontarci ciò che verrà dopo, perché probabilmente il "dopo" è solo una nera dissolvenza, un buco nero che ci inghiotte. 


Però, c'è la vita. "The rest is confetti" va di pari passo con "I am wonderful. And I have a right to be wonderful". Siamo dei miracoli e, per quanto la vita faccia spesso schifo, c'è sempre qualcosa che, a un certo punto, ci ha resi meravigliosi, anche solo ai nostri occhi (e magari nemmeno ce ne siamo accorti). Può essere una passione che si riaccende all'improvviso, un ultimo guizzo di eccentricità all'interno di un'esistenza che credevamo ormai regolata da una piacevole, rassegnata routine, un ricordo che ci fa sorridere, una parola fondamentale, un atto di coraggio, quello che volete. E' un concetto semplice, che Flanagan e King rendono lapalissiano senza ricorrere ad enfasi strappalacrime, visto che The Life of Chuck riesce a strappare il cuore pur rimanendo trattenuto dall'inizio alla fine. Se la cosa peggiore è l'attesa (della morte, ma non solo), l'unica fortuna che abbiamo è di scegliere cosa fare di quest'attesa. Aspettare passivamente, schiacciati dal peso di un'idea orribile, oppure aggrapparci all'idea che sì, "l'universo è grande, e contiene moltitudini ma, vaffanculo, contiene anche me" e quindi tanto vale goderci il tempo che ci è stato concesso senza rovinarcelo da soli (ci pensa già il mondo. Il primo capitolo del film è angosciante e sembra uno scorcio di imminente futuro. Ho debellato, a fatica, il principio del primo attacco di panico mai avuto al cinema, a dieci minuti dall'inizio di The Life of Chuck, e non penso fosse dovuto solo alla stanchezza). E, ribadisco, The Life of Chuck non parla di un uomo con chissà quali qualità. Chuck è un uomo comune, un contabile che ha abbandonato i sogni di gloria della giovinezza, e noi non abbiamo idea di cosa sia successo, effettivamente, nei suoi 39 anni di vita, perché non è quella la cosa importante. Ciò che conta, ai fini di un discorso più grande, sono la sua morte, il desiderio di toccare nuovamente con mano la meraviglia, il potenziale inizio dell'attesa e il suo deciso rifiuto.


Siccome sto piangendo mentre scrivo (Romina, se mai leggerai queste righe sì, sono una sega. Beata te che hai il pelo sullo stomaco) è meglio che mi rifugi in un discorso più cinematografico. Flanagan omaggia l'origine letteraria del film ricorrendo a un narratore esterno onnisciente, che a mio avviso non stona all'interno di una struttura che conserva la divisione in tre capitoli del racconto originale. Anzi, contribuisce a tenere "distanti" gli spettatori (quelli normali, non certo quelli emotivi come me) da ciò che viene mostrato sullo schermo, fungendo da filtro talvolta ironico. Quanto ai tre capitoli, la prima parte è quella più horror, perché evoca un'atmosfera apocalittica da manuale e veicola un'angoscia tangibile, di cui sono la prova vivente. La seconda è quella più difficile da incasellare e a molti potrebbe sembrare completamente inutile. In realtà, oltre a contenere (come anche la terza parte) molti degli elementi presenti nel primo capitolo, come attori, melodie, dialoghi e luoghi, rappresenta l'ultimo, rabbioso guizzo di eccentricità di cui ho parlato sopra. Non c'è gioia, non c'è catarsi nel ballo a cui si abbandonano Chuck e Janice, non c'è il glamour di un musical, nonostante l'intera sequenza contenga tutti i cliché del genere. Non si tratta, insomma, dell'inizio di un cambiamento epocale, ma "solo" una parentesi sottolineata dal ritmo di una batteria. E' un momento piacevole condiviso con altre persone, una magia che dura il tempo di un numero musicale, che lascia l'amaro in bocca per tutte le possibilità passate e future sfumate ma che, comunque, non influisce in alcun modo sulla vita di Chuck, trasformandosi in un ricordo prezioso e nulla più, come spesso succede. L'ultima parte ha il sapore e il ritmo di una ghost story malinconica, e la bellezza di uno di quei coming of age di cui King è maestro (a tal proposito, in Se scorre il sangue c'è anche Il telefono del signor Harrigan, racconto molto bello che è stato adattato in maniera orribile per Netflix), oltre a contenere la chiave di volta del film e tante bellissime facce amate. Flanagan, con la sua solita, elegante maestria, è riuscito ad adattare alla perfezione il racconto del Re, smussando le differenze di stile tra i tre capitoli del film pur lasciando ad ognuno una personalità ben riconoscibile, e per quanto mi riguarda ha confezionato l'ennesima opera in grado di toccare in profondità le corde del mio animo e straziarlo, anche se forse non era questa la sua intenzione. Lo amo per questo, ma un po' anche lo odio, e mi farò presto di nuovo del male riguardando The Life of Chuck in lingua originale, ché di piantini non ce n'è mai abbastanza. 


Del regista e co-sceneggiatore Mike Flanagan, che compare nelle scene al cimitero, ho già parlato QUI. Tom Hiddleston (Charles 'Chuck' Krantz), Jacob Tremblay (Charles 'Chuck' Krantz), Chiwetel Ejiofor (Marty Anderson), Karen Gillan (Felicia Gordon), Carl Lumbly (Sam Yarborough), Mark Hamill (Albie Krantz), David Dastmalchian (Josh), Matthew Lillard (Gus), Violet McGraw (Iris), Annalise Basso (Janice Halliday), Kate Siegel (Miss Richards), Heather Langenkamp (Vera Stanley), Carla Gugino (voce del notiziario e delle pubblicità), Axelle Carolyn (voce della reporter francese) e Lauren LaVera (voce della reporter italiana) li trovate invece ai rispettivi link.

Nick Offerman è la voce narrante. Sposato con la mitica Megan Mullally, ha partecipato a film come City of Angels - La città degli angeli, Cursed - Il maleficio, Sin City, L'uomo che fissa le capre, Love & Secrets, 7 sconosciuti a El Royale, Civil War e serie quali E.R. Medici in prima linea, 24, Detective Monk, Una mamma per amica, CSI: NY, Parks & Recreation, Fargo, Will & Grace e Pam & Tommy; come doppiatore, ha lavorato in The Cleveland Show, I Simpson, The Lego MovieL'era glaciale 5 - In rotta di collisione, Sing e Sing 2 - Sempre più forte. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 55 anni e due film in uscita.


Mia Sara
, che interpreta Sarah Krantz, ha avuto un breve ma intenso momento di fama nei primi anni '80, come protagonista dei film Legend e Una pazza giornata di vacanza. Nel film, a colloquio con Anderson, compare Harvey Guillén, visto nella serie What We Do in the Shadows e Companion, mentre i tra i collaboratori fissi o quasi di Flanagan segnalo Michael Trucco (il padre di Dylan), Rahul Kohli (Bri), Samantha Sloyan (Miss Rohrbacher), Molly C. Quinn (La madre di Chuck), Sauriyan Sapkota (Ram), Matt Biedel (Dottor Winston) e Hamish Linklater (voce del reporter americano), senza dimenticare Cody Flanagan, figlio di Mike e Kate Siegel, che interpreta Chuck da piccolino. ENJOY!

martedì 17 maggio 2022

Doctor Strange nel multiverso della follia (2022)

Domenica sono riuscita, finalmente, ad andare a vedere Doctor Strange nel multiverso della follia (Doctor Strange in the Multiverse of Madness), diretto dal regista Sam Raimi.


Trama: Doctor Strange è costretto a difendere America Chavez, ragazza dotata del potere di viaggiare nel Multiverso, da una Wanda Maximoff ormai corrotta dal libro di magia nera Darkhold e intenzionata a riunirsi coi figli perduti...


Lo si aspettava da tanto questo Doctor Strange nel multiverso della follia, per un paio di motivi. Il primo, ovviamente, era il ritorno di Sam Raimi alla regia dopo il (per me) deludente Il grande e potente Oz; Doctor Strange dava parecchie speranze ai fan del regista, non solo per le atmosfere leggermente horror che già avevano permeato il primo capitolo, ma soprattutto perché la famigerata fantasia di Raimi, la sua ricchezza di idee visive, avevano tutto il potenziale per essere perfette nella rappresentazione di un multiverso folle. Il secondo motivo era il multiverso stesso. Loki e What If...? sono stati una grandissima delusione il primo e una bella menata di cojones, interrotta alla terza puntata, il secondo, ma l'idea di Multiverso mutuata dalle letture dei fumetti Marvel a me è sempre piaciuta tantissimo e non vedevo l'ora che venisse presa e trattata come meritava. E poi, terzo motivo, il ritorno di Wanda Maximoff dopo l'adorabile Wanda/Vision. Con tutte queste aspettative, l'ovvio rischio era quello di uscire dal cinema molto ridimensionata, invece Doctor Strange nel multiverso della follia mi ha divertita e soddisfatta per parecchi motivi, pur non essendo privo di difetti. Il primo dei quali è la natura un po' risibile della trama, un canovaccio semplicissimo stiracchiato in due ore per dargli una parvenza di grandeur e che solleva parecchie domande "scomode" che ovviamente rimangono prive di risposta (SPOILER: l'elefante nella stanza è il libro dei Vishanti, talmente potente che si perdono le ore per cercarlo, solo per poi vederselo distruggere in un secondo e sistemare i poteri incontrollabili di America con un "puoi farcela, credo in te". Vabbé dai), mentre il secondo, macroscopico, è la qualità a dir poco altalenante del character building. Anche qui, si va nello SPOILER: al di là della "tentazione" rappresentata da Christine, che dopo essersi vista per 20 minuti scarsi nel primo film, adesso diventa l'unico motivo di felicità per Strange, io non mi capacito del trattamento riservato a Wanda. Per carità, quella dei fumetti non è mai stata un modello di stabilità mentale, ma questa supera ogni livello di follia e, dopo un po', scartavetra i marroni con 'sta storia dei figli, come se una donna bella, potente e intelligente dovesse per forza venire definita dall'essere madre. Di Visione, poveraccio, nessuno parla, forse semplicemente perché il contratto della Disney con Paul Bettany è scaduto. Ciò detto, un bello spreco di potenziale per il personaggio più affascinante della Fase 4 del MCU.

Nonostante tutti questi ovvi difetti, però, Doctor Strange nel multiverso della follia è una visione divertente ed entusiasmante, che a tratti mi ha lasciata a bocca aperta, colma di beata ed ignorante felicità (scusate mai il mio cuore di nerd ha fatto un salto davanti all'arrivo del pelatone rattuso più adorabile di sempre). Non è un film di Raimi, ovvio, è un film del MCU che, a non conoscere il regista, risulta praticamente identico alle altre millemila pellicole prodotte da Kevin Feige, ma in realtà contiene tante belle zampate del "vecchio" Sam, e non parlo solo della comparsata di Bruce Campbell. Le inquadrature sghembe, la velocità con cui la cinepresa si avvicina a un personaggio o un oggetto per poi stravolgere il punto di vista, i jump scare costruiti con cura, le inquietanti soggettive, la quasi totalità delle sequenze aventi per protagonista una Wanda più terrificante di qualunque presenza spettrale in molti horror recenti, un certo gusto per il weird e la realizzazione di una scena musicale di bellezza commovente (a proposito, Danny Elfman è tornato in grande spolvero!) indicano la presenza di un regista dietro la macchina da presa, non di un signor nessuno adibito a zerbino, e nonostante l'ovvia omologazione alla macchina per soldi Disney (humour fastidioso e spesso inopportuno in primis), queste cose traspaiono. Tornando un attimo al tema horror, Raimi e Wanda, ho apprezzato tantissimo non solo l'interpretazione della Olsen, che si mangia quasi letteralmente gli altri attori, Cumberbatch compreso, ma anche la serietà con cui il regista ha cercato di trasformarla sia miglior villain del MCU di sempre che in un orrore da non dormirci la notte; echi di Carrie e di Drag Me to Hell vengono dati in pasto allo spettatore assieme ad un paio delle morti più (s)gradevoli e spettacolari della saga, tanto che la strizzata d'occhio ai Marvel Zombies è una bambinata rispetto all'angoscia di una Wanda la cui realtà viene travolta da una presenza "altra" che ne annulla completamente la volontà, trasformandola in un mostro. Il resto, ovviamente, è tutto worldbuilding fatto di serie, film passati e futuri, scene post credit grazie alle quali sappiamo che Doctor Strange tornerà e tutto il resto del carrozzone, che può piacere o meno. Al momento, a me piace ancora, anche se onestamente sto cominciando a faticare a stare dietro a tutti film e le serie indispensabili per capirci qualcosa (a tal proposito, qualcuno mi spiega perché lo Stregone Supremo è Wong e non Strange, quando il mago cinese sarà anche simpatico ma palesemente meno abile? Mi sono persa qualcosa...)!


Del regista Sam Raimi ho già parlato QUI. Benedict Cumberbatch (Dottor Stephen Strange), Elizabeth Olsen (Wanda Maximoff /Scarlet Witch), Chiwetel Ejiofor (Barone Mordo), Benedict Wong (Wong), Rachel McAdams (Dr. Christine Palmer), Julian Hilliard (Billy Maximoff), Michael Stuhlbarg (Dr. Nic West), Hayley Atwell (Captain Carter), John Krasinski (Reed Richards), Patrick Stewart (Professor Charles Xavier), Charlize Theron (Clea) e Bruce Campbell (Pizza Poppa) li trovate ai rispettivi link. 


Anson Mount era già comparso come Black Bolt nella sfortunata serie Inhumans mentre Lashana Lynch, che qui interpreta una versione di Captain Marvel, nel film omonimo era Maria Rambeau. A tal proposito, se Doctor Strange nel multiverso della follia vi fosse piaciuto, o se volete vederlo, non impazzite a recuperare tutto: vi bastano giusto Doctor Strange, Wanda/Vision e, se proprio siete pignoli, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame e Spiderman: No Way Home. ENJOY!


martedì 19 giugno 2018

American Gangster (2007)

Dal mucchio della collezione di film, DVD, BluRay e quant'altro è cicciato fuori qualche tempo fa American Gangster, diretto nel 2007 dal regista Ridley Scott.



Trama: Frank Lucas, criminale di Harlem, riesce a diventare un pezzo grosso importando droga dal Vietnam. Il poliziotto Richie Roberts mette quindi in piedi una task force per cercare di smontare il novello impero di Lucas...



Nonostante American Gangster fosse, fin dal titolo, uno di quei film corali sul mondo della malavita che tanto adoro, all'inizio non mi aveva catturata. So che non si guardano i film "a pezzi" ma purtroppo ho pochissimo tempo libero e American Gangster dura quasi tre ore, quindi sono stata costretta a guardarlo in tre tornate e devo dire di aver sofferto parecchio l'ora "introduttiva". Forse per gli attori coinvolti, ché Washington e Crowe non sono mai stati tra i miei preferiti, forse per lo stile di Scott, sicuramente non accattivante quanto quello di Scorsese, sta di fatto che appassionarmi alla storia vera di Frank Lucas, criminale di colore impegnato a diventare il re della droga ai tempi della guerra in Vietnam, è stato difficile quanto entusiasmarmi davanti all'indagine di Richie Roberts, poliziotto "reietto" in quanto unico sbirro onesto all'interno di un dipartimento composto al 90% da agenti corrotti. Sia Frank che Richie, a differenza dei miei criminali e poliziotti preferiti, mi hanno conquistata in maniera lenta e graduale, imponendosi come personaggi a tutto tondo solo dopo essersi aperti un po' di più e, soprattutto, dopo che le loro storie hanno cominciato ad intrecciarsi tra indagini e depistaggi, fallimenti da entrambe le parti e sconfitte a livello umano, arrivando a palesare più punti in comune che differenze; entrambi i personaggi, inconsciamente o meno, desiderano essere "speciali" (un po' come l'agente speciale Trupo, tale solo di nome) ed eccellere nel loro lavoro, facendosi portavoce di valori quasi un po' antichi, che ognuno riconosce come fondamentali nell'ambiente in cui si ritrovano a gravitare. Fin dall'inizio, Frank viene descritto come un criminale vecchio stampo, intimamente legato al suo quartiere d'origine e agli insegnamenti del suo ex boss, al punto che chiunque sgarri sotto la sua giurisdizione viene punito con spietata violenza. La sua è la tipica storia di ascesa e caduta, una rovina causata da un unico momento di "frivolezza" che consente a Roberts di accorgersi di Frank per la prima volta, superando pregiudizi razziali presenti anche nel mondo del crimine: Frank Lucas, in quanto nero, viene considerato un pesce piccolo sia dagli altri boss, costretti poi a piegarsi al suo potere, sia dai poliziotti, convinti che gli unici criminali in grado di detenere il monopolio sulla droga "del momento" siano i mafiosi italiani. Se Frank è l'uomo d'affari della situazione, Richie Roberts viene invece ritratto come un "proletario" in carriera, dotato di pelo sullo stomaco e un sacco di umanissimi difetti in grado di rendere la sua vita familiare un inferno ma anche di rara intelligenza e perseveranza, due qualità che gli hanno consentito nel tempo di arrivare lontano... e stringere amicizia con la persona più impensabile.


Nonostante le mie diffidenze iniziali, bisogna dire che Washington e Crowe offrono delle interpretazioni intense e perfette, ognuno a modo suo. Il buon Denzel punta a tirare fuori la "normalità" di Frank Lucas, a mostrare una facciata di rispettabilità con un'interpretazione misurata che solo talvolta lascia il posto alla follia di una violenza che comunque non è mai caricata; questa scelta probabilmente impedisce al personaggio di fissarsi nella memoria dello spettatore come altri suoi "colleghi" famosi ma rende Frank una figura affascinante e borderline, una sorta di "legale malvagio" (anche troppo legale, a detta del vero Richie Roberts, presente come consulente durante la realizzazione del film assieme a Frank Lucas) che non sorprenderebbe trovare davvero per le strade di Harlem. Dall'altra parte, Russell Crowe conferisce al suo sbirro l'espressione pesta dello sconfitto e il fisico dell'uomo d'azione cresciuto a birra e junk food, dotato del carisma di chi non nasce "capo" ma lo diventa mostrando sempre di essere un passo avanti agli altri pur senza essere odioso nonostante la missione infame che si è preposto. Il confronto finale tra i due, che avrebbero meritato un po' più di screen time insieme, è quello tra l'uomo d'affari arrogante e l'uomo della strada che non si fa incantare né dalla ricchezza né dalle belle parole ed è una gioia vedere duettare questi grandi attori, anche quando il vecchio Scott si adagia nelle atmosfere da legal drama. Ben diversa la regia di tutto ciò che precede il finale, rigorosa ma implacabile, fredda e precisa nel mostrare la violenza di un mondo dove ogni cosa può rappresentare una minaccia, sia di giorno che di notte, sia all'aperto che nelle lussuose case dei criminali o nei tristi ufficetti dei poliziotti (a tal proposito, splendide le scenografie, giustamente nominate all'Oscar ma surclassate da quelle di Sweeney Todd, opera dei nostrani Dante Ferretti e Francesca LoSchiavo). Altro aspetto gradevole del film è la colonna sonora, un mix di blues e soul perfetto per ricreare l'atmosfera anni '70 del film e piacevolmente in contrasto con ciò che aspetta Frank negli anni '90, un deprimente esempio della musica gangsta/nigga che andava di moda all'epoca... nonché l'ulteriore rappresentazione del tempo che passa, recando seco cambiamenti non necessariamente migliori, giusto per chiudere il circolo di ciò che viene detto all'inizio a Frank dal suo boss ormai anziano. Detto ciò, probabilmente American Gangster non entrerà in un'ideale top 5 dei miei gangster movie preferiti ma è comunque un grandissimo film che sono contenta di avere visto e che vi consiglio spassionatamente se, come me, siete rimasti indietro coi recuperi!


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Denzel Washington (Frank Lucas), Russell Crowe (Richie Roberts), Chiwetel Ejiofor (Huey Lucas), Josh Brolin (Detective Trupo), Ted Levine (Lou Toback), John Hawkes (Freddie Spearman), RZA (Moses Jones), Ruben Santiago - Hudson (Doc), Carla Cugino (Laurie Roberts), Cuba Gooding Jr. (Nicky Barnes), Idris Elba (Tango), Jon Polito (Rossi) e Roger Bart (Avvocato dell'esercito) li trovate invece ai rispettivi link.

Roger Guenveur Smith interpreta Nate. Americano, lo ricordo per film come Fa' la cosa giusta, Malcom X, La baia di Eva e Final Destination. Anche sceneggiatore, ha 63 anni e sei film in uscita.


Armand Assante interpreta Dominic Cattano. Americano, lo ricordo per film come Bella, bionda... e dice sempre sì, 1942 - La conquista del paradiso, Dredd - La legge sono io e Striptease, inoltre ha partecipato a serie come Il tenente Kojak e E.R. - Medici in prima linea. Anche produttore e stuntman, ha 69 anni e quattro film in uscita.


Norman Reedus, star di The Walking Dead, compare qui nei panni del detective all'obitorio mentre il rapper Common interpreta Turner Lucas, uno dei fratelli di Frank. Il film avrebbe già dovuto venire realizzato nel 2004 con Antoine Fuqua alla regia e Denzel Washington come protagonista, assieme a Benicio Del Toro; alla fine la Universal, preoccupata per il budget (Fuqua avrebbe voluto anche Ray Liotta e John C. Reilly nel cast, il primo nel ruolo di Ritchie Roberts), ha fermato il progetto, per poi riprenderlo qualche anno dopo con Ridley Scott, nel frattempo diventato molto amico di Russell Crowe. Al grande James Gandolfini era stato offerto invece il ruolo del detective Trupo ma l'attore ha rinunciato alla parte mentre il rapper 50 Cent ha partecipato all'audizione per il ruolo di Huey Lucas. Detto questo, se American Gangster vi fosse piaciuto recuperate Quei bravi ragazzi, C'era una volta in America e The Departed - Il bene e il male. ENJOY!


domenica 6 novembre 2016

Doctor Strange (2016)

Con l'ormai consueto ritardo, martedì sono andata a vedere Doctor Strange, l'ultimo figlio del Marvel Cinematic Universe diretto e co-sceneggiato dal regista Scott Derrickson.


Trama: l'abilissimo chirurgo Stephen Strange rimane coinvolto in un terribile incidente d'auto che gli danneggia irreparabilmente le terminazioni nervose delle mani, costringendolo a non operare mai più. Disperato, va in Tibet onde cercare un rimedio e trova l'Antico, che lo introduce alle arti mistiche proprio quando una terribile minaccia extradimensionale decide di attaccare la Terra...


E così anche il buon Dottore è finito nel carrozzone Marvel, con tutti i pro e i contro che ne conseguono, pertanto il mio post sarà diviso in due parti: in questo primo paragrafo parlerò un po' del film preso come opera a sé stante, nel prossimo cercherò di collocarlo all'interno del Marvel Cinematic Universe. Preso di per sé, Doctor Strange è un bellissimo film d'avventura con un tocco di misticismo, avente per protagonista un personaggio interessante e capace di sostenere da solo un'intera pellicola. Stephen Strange, a differenza di altri protagonisti monodimensionali, evolve nel corso del film e non è solo un vuoto involucro spara incantesimi: come Tony Stark nel primo Iron Man, Strange è un uomo pieno di sé, arrogante, sicuro delle sue capacità al punto che perderle equivale per lui alla morte. Dalle telefonate intercorse con gli assistenti prima dell'incidente intuiamo che la sua incredibile abilità di chirurgo viene riservata essenzialmente ai casi che lo farebbero spiccare ancora di più all'interno della comunità medico-scientifica, cosa che non lo rende un personaggio totalmente positivo, bensì uno sfaccettato mix di luci ed ombre. La sua evoluzione, passante per dolore, frustrazione, dubbi e redenzione, percorre sentieri già conosciuti ma non per questo meno entusiasmanti anche perché, diciamolo, anche una volta presa consapevolezza del suo posto nel mondo, Strange continua a giocare secondo le sue regole, creandosi non pochi nemici. Benedict Cumberbatch, col suo wit inglese, è un'azzeccatissima scelta di casting, così come altrettanto valida è stata la decisione di rappresentare l'Antico come donna (e chi meglio dell'androgina e superba Tilda Swinton per questo?) e per una volta gli effetti speciali sono talmente belli e psichedelici da farmi rimpiangere di non avere visto il film in 3D. L'unica vera pecca di Doctor Strange, oltre al sottoutilizzo di un attore carismatico come Mads Mikkelsen, è la mancanza di coraggio che pare quasi separare la prima parte del film dalla seconda, il che mi porta a passare, come promesso, al prossimo paragrafo del post.


L'inizio di Doctor Strange, più o meno fino al punto in cui il dottore comincia il suo addestramento sotto l'ala protettrice dell'Antico, mi ha quasi portata a sperare di poter avere finalmente un film Marvel diverso dagli altri. Il nome di Scott Derrickson, regista e sceneggiatore del primo Sinister, giustificava una svolta oscura e misticheggiante, in perfetta linea col personaggio di Strange, ed effettivamente l'ossessione del protagonista, la violenza dell'incidente iniziale e il viaggio psichedelico all'interno dei multiversi sono abbastanza distanti dal solito stile Marvel. Purtroppo (o per fortuna, se vi piace il genere), a un certo punto subentra la "manazza" della Casa delle Idee che cancella ogni personalità registica e uniforma la pellicola allo stile delle sue sorelle. Il problema, in Doctor Strange, viene nascosto sotto il tappeto da un'abbondanza tale di effetti speciali ispirati ad Inception, Escher e Matrix che quasi verrebbe da sorvolare, almeno per una volta, purtroppo poi a rovinare l'atmosfera ci pensano non tanto i riferimenti al resto dell'Universo Marvel (la torre degli Avengers appiccicata sullo sfondo con lo sputo, la Gemma dell'Infinito in guisa di Occhio di Agamotto, l'inevitabile scena mid-credit) quanto piuttosto le solite, becere concessioni alle gag tanto amate dagli Studios, che poco c'entrano con l'atmosfera del film e distruggono intere sequenze afflosciandole. Per dire, a che mi serve una decapitazione iniziale se poi mi mostri Wong che ascolta All the Single Ladies in cuffia? A che mi serve scoprire la proiezione astrale di Strange se la usi essenzialmente per far saltare dalla paura Rachel McAdams? A che mi serve Mads Mikkelsen se poi lo fai prendere a schiaffi da un mantello semovente che è praticamente cugino del tappeto di Aladdin?  Non bastava il delicato umorismo inglese di quella faccia da chiurlo che è Benedict Cumberbatch? Sciocchi! Insomma, bastava un piccolo sforzo, anche in direzione del kitsch più psichedelico se non si voleva girare un film serio, per rendere Doctor Strange indimenticabile o perlomeno dotato di personalità. Invece, come al solito, quel che resta è il gradevolissimo compitino ben fatto e la promessa che Doctor Strange tornerà. Quasi sicuramente in Thor: Ragnarok, per la cronaca.


Del regista e co-sceneggiatore Scott Derrickson ho già parlato QUI. Benedict Cumberbatch (Stephen Strange), Chiwetel Ejiofor (Mordo), Rachel McAdams (Christine Palmer), Mads Mikkelsen (Kaecilius), Tilda Swinton (L'Antico), Michael Stuhlbarg (Dr. Nicodemus West), Scott Adkins (lo Zelota Lucien) e Chris Hemsworth (non accreditato, interpreta ovviamente Thor) ho già parlato ai rispettivi link.

Benedict Wong interpreta Wong. Inglese, ha partecipato a film come Moon, Johnny English - La rinascita, Prometheus, Kick-Ass 2, Sopravvissuto - The Martian e a serie come Black Mirror. Anche sceneggiatore, ha 40 anni e tornerà come Wong in Avengers: Infinity War.


Tra i vari personaggi "famosi" della Marvel compaiono nel film anche Daniel Drumm (fratello di Jericho Drumm, alias Doctor Voodoo) e Tina Minoru, la madre della Nico Minoru dei Runaways, mentre Stan Lee compare nei panni del vecchietto che legge sull'autobus. A causa dei suoi impegni teatrali, Benedict Cumberbatch ha rischiato di non diventare il Dottor Strange ma fortunatamente i ritardi in fase di produzione e il rifiuto di Joaquin Phoenix ad accollarsi l'impegno di partecipare a molteplici sequel/spin-off gli hanno consentito di essere della partita. A proposito di sequel e spin-off: la mid-credit scene che vede la partecipazione di Thor è stata diretta da Taika Waititi, regista dell'imminente Thor: Ragnarok; ovviamente, non accontentatevi di questa scena perché ce n'è un'altra proprio alla fine dei titoli di coda. Non è la prima volta che il personaggio di Strange viene portato sullo schermo: nel 1978 c'è stato il film TV Dr. Strange mentre nel 1992 c'è stato il film Invasori dalla IV dimensione, all'interno del quale nomi e concetti originali sono stati cambiati perché al regista Charles Band era scaduta l'opzione per l'adattamento dei fumetti Marvel. Lungi da me consigliarvi di vedere queste due pellicole, se vi fosse piaciuto Doctor Strange recuperate infine Iron ManIron Man 2ThorCaptain America - Il primo vendicatoreThe AvengersIron Man 3Thor: The Dark WorldCaptain America: The Winter SoldierAvengers: Age of Ultron , Ant-Man, Captain America: Civil War e Guardiani della Galassia che tanto prima o poi vi verranno comodi! ENJOY!

martedì 15 marzo 2016

Sopravvissuto - The Martian (2015)

E così è successo che prima della notte degli Oscar ho recuperato anche Sopravvissuto - The Martian (The Martian), diretto nel 2015 dal regista Ridley Scott e tratto dall'omonimo romanzo di Andy Weir.


Trama: durante una violentissima tempesta su Marte, l'astronauta Mark Watney viene creduto morto dai suoi compagni e conseguentemente abbandonato. Ripresosi, il poveretto cerca in tutti i modi di sopravvivere e comunicare con la NASA...



Nell'ottobre dello scorso anno, nonostante le recensioni molto positive, ho tranquillamente RIFIUTATO di andare a vedere The Martian e il motivo è da ricercarsi in due traumi terrificanti che rispondono al nome di Interstellar (lungo, tedioso) e The Counselor - Il procuratore (lungo, tedioso). Chissà perché mi ero convinta che The Martian sarebbe stata una combo mortale dei due, capace di uccidere lo spettatore con l'attacco congiunto "Stesso Astronauta di Interstellar/Stesso Regista di The Counselor", e non a caso ho rimandato la visione del film finché non ha ottenuto le sue sette nomination all'Oscar e, per dovere di completezza, mi sono ritrovata praticamente costretta a guardarlo. Per fortuna The Martian è lungo, vero, ma assolutamente non tedioso: la storia di Mark Watney, che pur non prevede gli stravolgimenti cosmici di Interstellar, è emozionante, divertente e, soprattutto, molto umana. Watney non è un povero cretino fastidioso ed incomprensibile come il Procuratore, né il tormentato ex-astronauta di Interstellar ma l'incarnazione di quell'americanità che, senza sconfinare nel patriotticamente fastidioso, spinge l'individuo a risolvere i problemi con ottimismo e caparbietà, senza pensare costantemente alla disfatta o alla morte. La situazione di Watney è delle peggiori, forse LA peggiore immaginabile, eppure il personaggio viene mostrato mentre la affronta con gesti semplici, piccole azioni mirate innanzitutto a ristabilire una qualche parvenza di normalità anche psicologica, per poi proseguire, passo dopo passo, verso obiettivi più ambiziosi ed imprese più epiche. Con Watney si empatizza subito e si arriva a tifare spudoratamente per lui e per tutti quei personaggi che se lo prendono a cuore e tentano di salvarlo anche a costo di rimetterci la carriera, spinti dagli stessi sentimenti che arrivano ad armonizzarsi con quelli dello spettatore, ed è questo che non accadeva con i due Mostri nominati a inizio post. Non avendo letto il romanzo di Andy Weir non so se valga la stessa cosa anche per l'opera cartacea ma la sceneggiatura di Drew Goddard è divertente e dinamica, benedetta da un umorismo lieve ma mai stupido, e i dialoghi messi in bocca ai protagonisti hanno quel tocco realistico che parrebbe quasi paradossale in una situazione speciale come quella toccata in sorte a Watney.


Matt Damon, con la sua faccetta da bravo ragazzo all-american, si sobbarca sulle spalle il difficile compito di "riempire lo schermo" praticamente da solo e ci riesce benissimo, conquistandosi le simpatie del pubblico anche quando viene costretto dalla sceneggiatura a compiere imprese degne di un superuomo, strappando a volte un sorriso, a volte ammirazione, a volte un sopracciglio inarcato ma indulgente (come quando si rappezza da solo). Il cast di contorno è di prim'ordine, a partire da Jessicona Chastain, un sempre più simpatico Michael Peña, quel Jeff Daniels che quest'anno si è infilato in ben due film nominati all'Oscar e l'impronunciabile Chiwetel Ejiofort che, sinceramente, credevo fosse sparito dopo l'Oscar per 12 anni schiavo; certo, tanta abbondanza di star è un po' sprecata per il tempo che questi attori hanno ottenuto in scena ma sono comunque un bel vedere. Più della regia, comunque superlativa anche in virtù della confidenza che Ridley Scott ha ormai con ogni forma di "intrattenimento" spaziale (bellissima la scena in cui Damon e la Chastain si ricongiungono nel bel mezzo dello spazio), oltre che resa più moderna da strizzate d'occhio alle riprese tipiche del found footage, quello che mi ha davvero impressionata di The Martian sono state le scenografie. Il deserto di Wadi Rum, in Giordania, funge da superbo palcoscenico per le scene ambientate su Marte ed è davvero mozzafiato ma anche gli ambienti ricostruiti, soprattutto quelli claustrofobici in cui è costretto a muoversi Damon, sui quali spiccano l'interessante orto improvvisato dal protagonista, concorrono ad aumentare la bellezza di questo film. Se siete appassionati di vicende spaziali non indugiate come me e correte a recuperare Sopravvissuto - The Martian, io intanto cerco il romanzo!


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Matt Damon (Mark Watney), Jessica Chastain (Melissa Lewis), Kristen Wiig (Annie Montrose), Jeff Daniels (Teddy Sanders), Michael Peña (Rick Martinez), Sean Bean (Mitch Henderson), Sebastian Stan (Chris Beck) e Chiwetel Ejiofor (Vincent Kapoor) li trovate invece ai rispettivi link.

Kate Mara (vero nome Kate Rooney Mara) interpreta Beth Johanssen. Americana, sorella di Rooney Mara, la ricordo per film come Urban Legend 3, I segreti di Brokeback Mountain, Iron Man 2 e Fantastic 4; inoltre, ha partecipato a serie come Nip/Tuck, Cold Case, CSI: Miami, CSI, 24, American Horror Story, House of Cards e doppiato episodi di Robot Chicken. Ha 33 anni e tre film in uscita.


Drew Goddard avrebbe dovuto dirigere il film ma ha rinunciato per dedicarsi ad un progetto che purtroppo, al momento, pare essere destinato a non compiersi mai, ovvero una pellicola sui Sinistri Sei. Chissà che l'anno in corso non porti ulteriori news su questo spin-off di Spider Man. Cate Blanchett invece era stata la prima scelta di Scott per il ruolo di Melissa Lewis ma l'attrice ha dovuto rinunciare perché impegnata a girare altre pellicole, lasciando così il posto a Jessica Chastain. Detto questo, se Sopravvissuto - The Martian vi fosse piaciuto recuperate Interstellar, Gravity, Solaris, Moon, Alien e 2001 - Odissea nello spazio. ENJOY!



mercoledì 26 febbraio 2014

12 anni schiavo (2013)

Aspettando la fatidica notte degli Oscar sono riuscita a recuperare anche l'attesissimo 12 anni schiavo (12 Years a Slave), diretto nel 2013 dal regista Steve McQueen e tratto dall'omonima biografia di Solomon Northup.


Trama: Solomon Northup è un violinista di colore che viene rapito con l'inganno, privato dell'identità e venduto come schiavo. La sua terribile odissea testimonierà orrori indicibili e ben pochi momenti di serenità...


L'anno scorso c'erano Django Unchained e Lincoln a raccontare, ognuno a modo loro, la terribile vergogna dello schiavismo americano, quest'anno ci sono 12 anni schiavo e The Butler (per quanto quest'ultima pellicola affronti un tema diverso ma altrettanto vergognoso, quello della segregazione razziale), segno che l'America continuerà ancora per molti anni e, si spera, secoli a ricordare uno dei suoi momenti più bui. Steve McQueen è un englishman in New York, per così dire, e ciò gli ha consentito di realizzare 12 anni schiavo senza ricorrere a patriottismo o sermoni buonisti e focalizzando l'attenzione, molto semplicemente, su un uomo. Non sull'umanità in generale ma su un uomo anche troppo ingenuo e gentile che, suo malgrado e senza un perché, viene spogliato dell'identità, trasformato letteralmente in un oggetto e privato di una famiglia, di una casa, della dignità che dovrebbe essere propria di ogni essere umano. Senza fare sconti, il regista ci mostra il tortuoso cammino di Solomon Northup verso una libertà bramata ma irraggiungibile, un agghiacciante viaggio fatto di stupore, rabbia, paura, ribellione, diffidenza e, soprattutto, triste rassegnazione, dove non esistono eroi che si battono per una giusta causa ma solo persone crudeli o timorose e campi “minati” dove l'insidia si nasconde dietro ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo. 12 anni schiavo è un film d'orrore ben più efficace di ogni pellicola di genere perché la morte e la paura diventano compagne di Solomon dal momento stesso in cui viene rapito e, automaticamente, si insinuano nell'animo dello spettatore che non può fare a meno di immedesimarsi nel protagonista e in tutti i suoi sfortunati compagni.


Steve McQueen costruisce un affresco soffocante ed inquietante e lo fa innanzitutto partendo dalle immagini, sia quelle terribili che si imprimono indelebilmente nella mente dello spettatore sia quelle di "raccordo". Mi ha particolarmente colpita, infatti, il modo in cui i luoghi dove viene condotto Solomon non vengano mai mostrati per intero; all'inizio vediamo una cella e il cortile di una prigione (con Washington che, beffardamente, si staglia sullo sfondo ad indicare quanto sia lontana ma allo stesso tempo vicina la salvezza), poi l'interno di un'imbarcazione e, soprattutto, l'acqua del fiume, ripresa in modo quasi ossessivo, dopodiché boschi, campi sterminati e interni di abitazioni. Gli occhi degli schiavi non si posano mai sul cielo o su orizzonti ampi, perché il loro mondo viene brutalmente delimitato dai confini imposti dal padrone e dalla consapevolezza di dover non vivere, ma sopravvivere un giorno dopo l'altro. Diversamente da quanto succedeva col pornografico La passione di Cristo, inoltre, McQueen non indugia sui corpi martoriati e frustati, sebbene il sangue non manchi, come conferma il terribile piano sequenza che documenta la punizione di Lupita Nyong'o, bensì si sofferma sulla violenza psicologica e sull'orrore di chi accetta simili atti come parte della propria quotidianità, come quando il protagonista viene lasciato appeso a una corda per l'intera giornata mentre alle sue spalle i bimbi giocano. Ad accompagnare queste sequenze scioccanti ce ne sono altre più "sottili" ma non per questo meno angoscianti e la mia preferita, in tal senso, è quella che mostra il confronto notturno tra Solomon ed il crudele Epps, costruita con maestria e degna di comparire nel più teso dei thriller per la sua capacità di lasciare lo spettatore col fiato sospeso.


Un'altra scena bellissima è quella in cui Solomon, finalmente, si unisce agli altri schiavi nel canto, forse per disperazione, forse perché ormai è riuscito a perdere completamente la sua individualità; il primo piano di Chiwetel Ejiofor è incredibilmente intenso e l'attore, bravissimo per tutta la durata della pellicola, qui tocca indubbiamente l'apice della sua interpretazione. Lo stesso vale per ogni attore presente in 12 anni schiavo, fenomenali tutti tranne Brad Pitt, che compare pochissimi minuti in un ruolo fondamentale ma esibendo un fastidiosissimo accento fasullo. Purtroppo lui è l'unica guest star a deludere perché, differenza di The Butler che sfoderava assi, re e regine come se piovessero, sprecandoli, in 12 anni schiavo anche i piccoli ruoli di Paul Giamatti, Paul Dano e Benedict Cumberbatch  diventano importantissimi ed indimenticabili. A farla da padrone e mangiarsi l'intero cast però è il cattivissimo, disgustoso Fassbender che, in tempo zero, è riuscito a farsi perdonare quello scherzo della natura che era The Counselor, ma anche le interpretazioni di Sarah Paulson (se Jessica Lange in American Horror Story le ha insegnato qualcosa, è stato come interpretare una stronza di prim'ordine!!) e della commovente Lupita Nyong'o sono a dir poco incredibili. Insomma, avrete capito che 12 anni schiavo è un film che mi è piaciuto molto e che ho apprezzato soprattutto, come già era successo con Dallas Buyers Club, per l'onestà con cui si rapporta allo spettatore, senza cercare di accattivarselo ma conquistandolo con una storia già di per sé terribile, che non necessita di essere "gonfiata" ulteriormente. Non è magari il capolavoro che mi aspettavo e patisce di qualche ingenuità, ma è sicuramente un film che VA visto, senza se e senza ma.


Di Dwight Henry (Zio Abram), Quvenzhané Wallis (Margaret Northup), Paul Giamatti (Freeman), Benedict Cumberbatch (Ford), Paul Dano (Tibeats), Michael Fassbender (Edwin Epps) e Brad Pitt (Bass) ho già parlato ai rispettivi link.

Steve McQueen (vero nome Steve Rodney McQueen) è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Hunger e Shame. Anche sceneggiatore, attore e produttore, ha 45 anni.


Chiwetel Ejiofor interpreta Solomon Northup. Inglese, ha partecipato a film come Love Actually, Melinda e Melinda, Serenity, I figli degli uomini, Parla con me, American Gangster, 2012 e Salt. Anche regista e sceneggiatore, ha 37 anni e due film in uscita.


Sarah Paulson (vero nome Sarah Catharine Paulson) interpreta la Signora Epps. Incredibile interprete di tre gloriose stagioni di American Horror Story, la ricordo per film come What Women Want, Bug, Serenity, The Spirit, Mud e altre serie come American Gothic, Nip/Tuck, Grey’s Anatomy e Desperate Housewives. Ha 40 anni e un film in uscita.   


Alfre Woodard interpreta la Signora Shaw. Americana, ha partecipato a film come S.O.S. Fantasmi, 4 fantasmi per un sogno, Mumford, Lost Souls – La profezia e a serie come Frasier, Desperate Housewives, Grey’s Anatomy e True Blood. Anche produttrice, ha 62 anni e tre film in uscita.


Garret Dillahunt interpreta Armsby. Americano, ha partecipato a film come Non è un paese per vecchi, L’ultima casa a sinistra, Cogan – Killing Them Softly, Looper- In fuga dal passato e a serie come NYPD, X-Files, Millenium, CSI: NY, The 4400, E.R. – Medici in prima linea, Numb3rs, Terminator: The Sarah Connor Chronicles, Criminal Minds, CSI – Scena del crimine e Lie To Me. Ha 50 anni e tre film in uscita.


Il film ha ottenuto ben nove nomination all'Oscar: miglior film, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista (Michael Fassbender), migliore attrice non protagonista (Lupita Nyong'o), migliori costumi, miglior regia, miglior montaggio, miglior scenografia e miglior sceneggiatura non originale. Leggenda vuole che il bravissimo Chiwetel Ejiofor abbia tentennato fino all'ultimo e rifiutato il ruolo di protagonista perché non si sentiva all'altezza, mentre la cattivissima Sarah Paulson è stata praticamente "scelta" dalla figlia del regista, inquietata dalla registrazione del suo provino. A parte queste facezie, se 12 anni schiavo vi fosse piaciuto, recuperate anche Django Unchained, The Help, The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca, Amistad e magari lo storico sceneggiato Radici. ENJOY!!

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