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martedì 10 settembre 2024

MaXXXine (2024)

Finalmente. Quando ormai non ci speravo più, anch'io sono riuscita ad andare al cinema e vedere MaXXXine, diretto e sceneggiato dal regista Ti West.


Trama: anni dopo la terribile esperienza in Texas, Maxine Minx, sempre decisa a diventare una stella del cinema, ottiene una parte in un film horror. Qualcuno, però, è sulle sue tracce, pronto a rivangare il suo passato...


Ti West
ha concluso la sua trilogia, il suo progetto più ambizioso. Per quanto avessi adorato, all'epoca, X, mentirei se dicessi che avrei scommesso anche solo un'euro sulla riuscita dell'operazione. Credevo, erroneamente, che non si potesse fare meglio di così. Invece, il regista ci ha prima stupito con un racconto di frustrazioni e speranze tanto potente da farci provare pietà per quella che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere solo una disgustosa e rancorosa matta, infine ha concluso il percorso del personaggio Maxine Minx, inserendolo in un discorso più ampio legato al cinema di genere e alla società americana, senza una sola sbavatura. Maxine ha cominciato, in X, come potenziale stellina dell'hard dotata del "fattore X", quel qualcosa in grado di bucare lo schermo, riconducibile ad una cazzimma e una durezza interiore nate dalla ferma volontà di sfondare, a qualunque costo; in parallelo, West raccontava un'America ipocrita, che rinnegava in pubblico la fame di libertà sessuale stigmatizzando un'industria del porno mai stata così fiorente, e rivendicava la dignità di chi in quell'industria lavorava o creava legami familiari. Con MaXXXine, arriviamo agli anni '80 in cui le speranze di ricchezza e di progresso si scontravano con un clima di puro terrore, alimentato da un'amministrazione durissima e bigotta, pronta a creare nemici mediatici per ciò che più contava davvero, riassumibile con Patria, mamma, torta di mele. Negli anni del Satanic Panic e delle proteste contro horror, pornografia e persino giochi di ruolo, la realtà abilmente nascosta sotto il tappeto dell'ipocrisia puritana era fatta di squallidi localini a luci rosse, serial killer e quant'altro e questa sensazione di pericolo e "sporco" tangibile viene resa da Ti West ogni volta che Maxine esce di casa per andare a lavorare. Quanto alla protagonista, il tempo passato e il mancato successo non l'hanno resa meno determinata, anzi; ben consapevole della realtà che la circonda, dov'è un attimo venire uccise da un pazzo e dimenticate in un angolo di strada, Maxine è ben decisa a non lasciare che nulla disturbi la sua paziente ricerca di un'occasione giusta, e finalmente quest'ultima arriva con un ruolo all'interno di un film horror. L'amore di Ti West per la sua protagonista e per l'industria cinematografica è tangibile. La regista del film "La puritana II", le maestranze e il set diventano per Maxine l'unico punto fermo di un'esistenza minacciata da un caotico passato, e ogni azione "altruista" intrapresa da un personaggio al quale importa solo di se stesso (e, nonostante questo, impossibile da odiare) nasce proprio dal desiderio di non perdere in primis questo porto sicuro, oltre alla ovvia possibilità di diventare una star, finalmente. Di vivere la vita che Maxine merita.


Ovviamente, per raggiungere l'happy end, sempre che qualcosa di simile esista, Maxine dovrà passare per un'ordalia di morte e follia. Sono tanti i modelli a cui guarda Ti West, purtroppo per la sottoscritta è passato tuttavia tanto tempo da quando quegli stessi modelli mi sono passati sotto agli occhi. Perdonatemi, dunque, se non citerò Fulci e il suo Lo squartatore di New York, bensì i padri del Giallo all'italiana come Bava e Argento, "genitori" di killer senza volto e con le mani guantate, in grado di trasudare odio e perversione nonostante siano privi di un sembiante riconoscibile. Ma più del killer e del gusto di Ti West per delle morti ancora più splatter che nei film precedenti, mi ha colpita il modo in cui sono state rappresentate le sordide strade di una Los Angeles priva di patina nostalgica o glamour, con uno stile che mi ha ricordato moltissimo Cruising di Friedkin (anche se lì l'azione si svolgeva a New York); la fotografia di MaXXXine, fatta principalmente di ombre e cupe luci al neon, enfatizza ancora più la sensazione di pericolo imminente, di una città caotica e corrotta, dove gioventù e bellezza sopravvivono poco e male. Quanto a Mia Goth, sarebbe un delitto non parlarne. Mi riservo di farlo con più competenza quando avrò rivisto il film in lingua originale, perché al momento ho apprezzato maggiormente la sua interpretazione in Pearl, ma ormai direi che l'attrice ha centrato in pieno il personaggio titolare, portando a termine il non facile compito di spingere lo spettatore a fare il tifo per una "macchina da guerra" egoista e dalla morale ambigua. Anzi, sul finale a me è salito persino il magone per l'amarezza dello sguardo e delle espressioni di Mia Goth, specchio di un futuro incerto, sempre appeso a un filo, anche quando le cose parrebbero essersi risolte per il meglio (non ha aiutato la presenza, sui titoli di coda, della canzone Bette Davis Eyes, che mi spezza il cuore dal 2015). Il resto del cast non è meno interessante. Su tutti, ho apprezzato tantissimo l'inedito Kevin Bacon in versione detective laido e anche Elizabeth Debicki, con la sua algida eleganza, è perfetta come mentore di Maxine e motivatrice in grado di riportare il personaggio sulla "retta" via verso il successo. Sono sicura che MaXXXine meriterebbe ulteriori approfondimenti ma, come nel caso di Pearl, è un film che riuscirei a capire ed apprezzare di più a una seconda visione, quindi per ora mi fermo qui, ringraziando Ti West e Mia Goth per il bellissimo viaggio e per una delle trilogie migliori degli ultimi anni... nell'attesa che ci siano altre storie da raccontare!


Del regista e sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI. Mia Goth (Maxine Minx), Elizabeth Debicki (Elizabeth Bender), Giancarlo Esposito (Teddy Night), Kevin Bacon (John Labat), Michelle Monaghan (Detective Williams), Bobby Cannavale (Detective Torres), Larry Fessenden (Guardia), e Lily Collins (Molly Bennett) li trovate invece ai rispettivi link. 

Sophie Thatcher interpreta la FX artist. Americana, ha partecipato a film come The Boogeyman e a serie quali The Exorcist e Yellowjackets. Anche produttrice, ha 24 anni e un film in uscita, Heretic.



Se MaXXXine vi fosse piaciuto, recuperate X - A Sexy Horror Story e Pearl. ENJOY!

domenica 13 dicembre 2020

Mank (2020)

E' il film che dopo nemmeno un'ora dalla sua uscita avevano già visto tutti i cinèfili (giuro. Ma come ca**o fate?) ma io mi sono fatta giustamente desiderare e ho guardato Mank, diretto da David Fincher, con quel giorno o due di ritardo che renderanno automaticamente questa recensione già vecchia. Azione!


Trama: ormai fuori dal giro della Hollywood che conta, lo sceneggiatore Herman Mankiewicz viene ingaggiato per scrivere la sceneggiatura del nuovo film dell'ultima stella assurta nella mecca del Cinema, Orson Welles. 

Mank nasce come sceneggiatura del padre di David Fincher, rimasta in un limbo per anni perché considerata poco interessante dalle varie case di produzione. Mamma Netflix, a un certo punto, ha deciso di produrre il film, facendo così un regalo al regista e anche ai cinèfili che pagano l'abbonamento storcendo il naso, bestemmiando contro il colosso dello streaming reo di aver ucciso le sale cinematografiche ancora prima che arrivasse il Covid a dare il colpo di grazia; quegli stessi cinèfili vi diranno che Mank è il film dell'anno, che non esiste omaggio al Cinema più Enorme, che Gary Oldman è il più grande attore vivente, e ve lo diranno sempre bestemmiando, ovviamente, ché un film simile andava visto sul grande schermo, invece ciccia. Io, che quest'anno ho veramente pochissima pazienza e ho scoperto di essere capra in tutto quello che credevo mi riuscisse bene, mi riconfermo capra all'ennesima potenza e non vi parlerò di un capolavoro, bensì di un bellissimo film che DEVE spingervi a recuperare l'unico, vero capolavoro che sentirete nominare da chiunque in questi giorni, ovvero Quarto potere. Anche perché la sottile gabola di Fincher è quella di raccontare una storia "falsa", nemmeno fosse il Vitello dai piedi di Balsa, quindi parte del divertimento di guardare Mank è anche quello di andare a scavare nelle vicende reali che hanno portato alla nascita di uno dei più bei film mai girati. Detto ciò, non starò ad annoiarvi con tutte le inesattezze storiche presenti in Mank, soprattutto perché esse sono parte fondamentale di una struttura creata ad hoc, che sfrutta i retroscena della realizzazione di un film per crearne un altro molto archetipico, un omaggio alle pellicole di una Hollywood scomparsa, la cosiddetta "fabbrica dei sogni" che spazzava sotto un tappeto di glamour tutto il marcio che la caratterizzava. E' un discorso, e adesso verrò lapidata, molto simile a quello portato avanti da una serie sempre Netflix, Hollywood di Ryan Murphy; benché meno legata a una realtà fattuale, la serie in questione sfruttava eventi accorsi e persone esistite per raccontare una favola di edificanti speranze, mentre Mank mette in scena la tipica storia di caduta e riscatto, col protagonista che cerca di fare ammenda per una vita di eccessi ed ubriachezza arrivando a "far giustizia" attraverso la vittoria di un Oscar per la miglior sceneggiatura. A un certo punto c'è persino la risoluzione felice di un dramma buttato lì all'inizio del film e non più nominato per il resto della sua durata, sottolineato dal tipico score gioioso hollywoodiano, per dire quanto Mank non abbia tanto delle pretese filologiche, quanto più ambizioni di omaggio formale, probabilmente anche verso l'epoca vissuta da papà Fincher


E quindi, per forza ci si ritrova commossi davanti alla bellezza di Mank. Il film di Fincher è fotografato in un bianco e nero che sa di "antico", la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross è un capolavoro vintage che ci catapulta, assieme alla scelta di utilizzare una traccia sonora simile a quelle dell'epoca (credo che il termine tecnico sia "monofonia"), nei cinema degli anni '30 pur stando seduti comodamente a casa, e la storia raccontata non solo è interessante ma anche interpretata meravigliosamente. A onor del vero, che per vedere Mank non serva avere un minimo di infarinatura relativamente agli eventi narrati è una piccola bugia: come ho detto, non ho avuto cuore di guardarlo assieme a Mirco ma mi immagino che per lui non sarebbe stato né facile né interessante seguire gli svariati omaggi ai grandi nomi del tempo, i rimandi inevitabili a Quarto potere o l'importante sottotrama politica che diventa il motore di buona parte della vicenda. Quanto a me, proprio quest'ultima caratteristica del film me lo ha fatto trovare un po' "facilino" e "paraculo", cosa che mi porta a non urlare al capolavoro come molti. Detto ciò, Gary Oldman si riconferma (giovani, SI RICONFERMA: parliamo di Gary Oldman, non dell'ultimo sbarbatello che ha dovuto tirare l'orlo della giacca a Fincher per scoprirsi grande. I social sono davvero una piaga, porca miseria.) uno dei migliori attori viventi ed è un piacere vederlo gigioneggiare negli uffici fumosi della MGM, saltellare leggiadro nei giardini di una villa simile a un Paese delle Meraviglie o sputare veleno in una delle scene a più alto tasso emotivo dell'anno, e il resto del cast supporta con grandissima bravura un'interpretazione così grande. In quest'ultima parte dell'anno Netflix ci ha voluti coccolare un po' e dare materiale per le inevitabili classifiche e io non posso fare altro che ringraziare e "portare a casa", magari con meno entusiasmo di altri ma sicuramente con immenso piacere.


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Gary Oldman (Herman Mankiewicz), Amanda Seyfried (Marion Davies), Lily Collins (Rita Alexander), Tuppence Middleton (Sara Mankiewicz) e Charles Dance (William Randolph Hearst) li trovate invece ai rispettivi link.


Arliss Howard interpreta Louis B. Mayer. Americano, ha partecipato a film come Full Metal Jacket, Natural Born Killers, A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar, Il mondo perduto - Jurassic Park e a serie come L'incredibile Hulk, Ai confini della realtà, Medium e True Blood. Anche attore, sceneggiatore e produttore, ha 66 anni e un film in uscita. 


Tuppence Middleton interpreta Sarah Mankiewicz. Inglese, ha partecipato a film come I segreti della mente, In TranceThe Imitation GameEdison - L'uomo che illuminò il mondoDownton Abbey e Possessor. Anche sceneggiatrice, ha 33 anni. 


Se Mank vi fosse piaciuto o se l'argomento vi interessasse, ovviamente il consiglio è quello di recuperare lo splendido Quarto potere (lo trovate su Prime Video) e di aggiungere RKO 281 - La vera storia di Quarto potere, che però non ho mai visto. ENJOY!

domenica 12 maggio 2019

Ted Bundy - Fascino criminale (2019)

Spinta da un trailer intrigante, non ho potuto fare a meno di recuperare Ted Bundy - Fascino criminale (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile), diretto dal regista Joe Berlinger.


Trama: Ted Bundy, studente di legge legato a una ragazza con figlia a carico, viene fermato dalla polizia per una semplice infrazione stradale e finisce processato per mezza dozzina di terrificanti omicidi.


Lo so, lo hanno già fatto tutti ma sapete che ho una (de)formazione "linguistica", pertanto non posso non soffermarmi sull'orrore di un titolo italiano sbagliatissimo per cominciare a parlare di Ted Bundy - Fascino criminale, perché l'adattamento nostrano offre una chiave di lettura del film completamente errata. Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile è una definizione estrapolata direttamente dal processo a Ted Bundy, riferita alla natura dei suoi crimini. Estremamente malvagia, in primis. Quasi sovrannaturale, un male disumanizzato, da orco delle fiabe, tanto da non sembrare nemmeno possibile, atto a recare alle vittime quanto più danno possibile. Nell'accezione italiana, Wicked e Evil avrebbero anche potuto accorparli in un Estremamente, terribilmente malvagio, in realtà c'è differenza tra wicked ed evil: l'uno viene utilizzato per il male compiuto verso altri, l'altro è pertinente alla sfera della moralità, ma non stiamo a spaccare il capello. Arriviamo a Vile. Come in italiano. Vile, abietto, spregevole, ignobile. Quindi estremamente, terribilmente malvagio e ignobile. Questo era Ted Bundy. Questi erano i suoi crimini. Definizione di fascino: potenza di attrazione e seduzione. Se ad esso si aggiunge "criminale", mi da ad intendere che qualcuno possa trovare affascinante l'idea di un pazzo che, nel tempo, ha ucciso, stuprato e mutilato almeno una trentina di giovani donne, che teneva alcune delle loro teste mozzate come trofeo, che, non pago, talvolta ha infierito sessualmente anche sui cadaveri. Un titolo simile mi fa pensare che, consapevoli di tali aberranti azioni, le donne americane lanciassero comunque mutandine addosso a Bundy, oppure che quest'ultimo sia stato connotato come antieroe romantico nel sentire comune, un po' come un Clyde Barrow qualsiasi, ma non c'è UN SOLO minuto di tutto il film in cui si percepisce una cosa simile, per fortuna.


E' vero, verissimo, che Joe Berlinger mostra interviste di ragazze incapaci di convincersi di come quel bel ragazzo dal modo di fare spigliato e gentile possa essere un serial killer efferato, ed è anche vero che Carole Ann Boone ha scelto di sposarlo durante il processo, ma queste scelte ed opinioni non nascono dal fascino: nascono, appunto, dall'incapacità di credere, a prescindere da tutte le prove disponibili, ché la teoria del GomBloDDoH non è qualcosa nata ora su internet. Un'incapacità (o, meglio, mancanza di volontà) di credere che non ha impedito comunque a Elizabeth Kloepfer, all'epoca fidanzata con Bundy, di sospettare e superare ogni tipo di sentimento davanti a coincidenze un po' troppo grandi per poter essere ignorate. E, aggiungo, il Ted Bundy del film avrà anche il visetto di Zac Efron ma non è affascinante per niente, anzi. Nonostante non venga mai mostrato Bundy nell'atto di compiere i suoi crimini, lasciando così virtualmente il beneficio del dubbio almeno fino alla fine, il ritratto che emerge è quello di un ragazzo pieno di sé, strafottente, consapevole di essere bello e pronto ad esibirsi in numeri di inaudita, ridicola sfacciataggine anche per un sistema giudiziario consacrato allo spettacolo come quello americano ma tuttavia incapace di convincere poliziotti, avvocati e giudici, convinti a ragione di avere davanti agli occhi un mostro di una malizia immane. Il risultato è sconvolgente perché uno pensa all'esagerazione dello strumento cinematografico e poi si trova a dover testimoniare come molte delle intemperanze di Bundy, riportate sui titoli di coda attraverso filmati d'epoca, fossero vere, reali quanto l'allegria guascona mostrata nelle interviste, da far accapponare la pelle.


Merito di uno che l'argomento lo conosce bene, visto che il regista Joe Berlinger ha sfornato per Netflix anche la serie Conversazioni con un killer: il caso Bundy, che non mancherò di recuperare nei prossimi giorni. Il regista ha scelto l'approccio psicologico e giudiziario, lasciando da parte l'efferatezza, affidando interamente il dolore e lo sconcerto delle vittime alla Liz Kendall della brava Lily Collins, fanciulla uscita indenne fisicamente dalla relazione con Bundy ma completamente annientata nell'animo al pari dell'altra povera crista che si è ritrovata a sostituirla, ingannata dal bel Ted tanto da aiutarlo in tribunale e condannare una bambina a portare il suo stesso cognome. Tra canzoni inserite qui e là ad hoc, sapienti ricostruzioni processuali, flashback inquietanti e confronti al cardiopalma, mai mi sarei aspettata di dover ammettere che Zac Efron è un Ted Bundy perfetto, terribilmente inquietante nel suo atteggiamento da bravo ragazzo piacione e capace di mangiarsi tutto il resto del pur valido cast. L'unico a cui, se permette, non gliela si mena, è un meraviglioso John Malkovich che compare poco ma lascia il segno (e pensare che il giudice vero era realmente così caustico, severo, scoglionato ma giusto come lo interpreta Malkovich) anche più del protagonista. In soldoni, film interessante e godibilissimo, con un unico, enorme difetto: è stato distribuito ovunque su Netflix, che lo produce, tranne in Italia, dove ovviamente potete trovarlo in ben pochi cinema oltre che mal titolato. C'è solo da sperare che la piattaforma on line se l'accaparri presto anche da noi, soprattutto perché visto in lingua originale rende ovviamente molto di più.


Di Lily Collins (Liz Kendall), Zac Efron (Ted Bundy), Jeffrey Donovan (John O'Connell, avvocato difensore dello Utah), Dylan Baker (David Yocom, pubblico ministero dello Utah), Haley Joel Osment (Jerry), Brian Geraghty (Pubblico difensore Dan Dowd), Jim Parsons (Pubblico ministero Larry Simpson) e John Malkovich (Giudice Edward D. Cowart) ho parlato ai rispettivi link.

Joe Berlinger è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2 prima di convertirsi ai documentari, tra i quali segnalo Paradise Lost 3: Purgatory e Conversazioni con un killer: il caso Bundy. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 58 anni.


Kaya Scodelario interpreta Carole Anne Boone. Inglese, ha partecipato a film come Moon e Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar. Ha 27 anni e due film in uscita tra cui Crawl.


James Hetfield, cantante dei Metallica, compare per la prima volta nel ruolo di attore come Bob Hayward, un poliziotto. Se la figura di Ted Bundy vi interessa, parecchi film e serie si sono dedicati a lui: Il mostro, film per la TV del 1986, Ted Bundy, Ted Bundy - Il serial killer e Bundy, più virato sull'horror e con Kane Hodder tra i protagonisti, senza dimenticare ovviamente Conversazioni con un kiler: il caso Bundy, diretto sempre da Joe Berlinger e disponibile su Netflix. ENJOY!

mercoledì 5 luglio 2017

Okja (2017)

Spinta dalle recensioni positive (una, bellissima, è quella di Lucia) e dal fatto di avere finalmente Netflix, qualche giorno fa ho recuperato Okja, scritto e diretto dal regista Bong Joon-Ho.


Trama: una ragazzina coreana deve cercare di liberare il maiale gigante Okja dalle grinfie della multinazionale che ha creato lui e i suoi simili.


Dopo aver visto Okja mi vergogno quasi a dirlo ma io sono carnivora. Non onnivora, proprio carnivora. Dopo due settimane passate in Giappone praticamente senza mangiare nemmeno un pezzetto di ciccia che non fosse raro e triste pollo ho sbranato la casalinga fettina di vitello con gusto estremo. E mi sento molto merda a scrivere questa cosa, non tanto per i miei livelli di salute (per la cronaca, al momento sto benissimo, analisi a posto, grazie) ma proprio perché sono consapevole di ciò che è accaduto all'animaletto che sto ingerendo, non mi nascondo dietro il dito dell'ignoranza né dietro alla concezione SakiHiwatariana del "la mucca ti ringrazia perché non stai sprecando la sua vita e la trasformi in energia per le tue cellule", mi rendo conto da sola che se la mucca potesse parlare mi manderebbe a cagare assieme a tutto ciò che compone il mio organismo e non parliamo poi di quello che mi direbbe il maiale. Ecco, no, parliamo del maiale, anzi, del super-maiale. Okja. Il protagonista di questo film, creato "biologicamente" da una multinazionale per superare il problema della fame nel mondo. Prometto che non aprirò la parentesi del bio e di quello che le persone comprano spendendo una fraccata di soldi solo grazie a quest'etichetta, probabilmente mangerebbero anche mia nonna se le tagliassi delle fettine di chiappa e le mettessi sul mercato assicurandone la natura BIO. Orto bio. Comunque, tornando al film, la multinazionale Mirando Corporation ha scoperto questi maiali giganti assolutamente bio (sì, credici) e ha concesso a ventisei allevatori diversi di tirarne su altrettanti esemplari, così da poter decretare il miglior super-maiale nel giro di una decina d'anni e cominciare a venderli ai consumatori sbavanti. Uno di questi maiali, Okja, viene cresciuto in Corea da un vecchio allevatore che ha una nipotina, Mija, un'orfanella che giustamente riversa sulla creatura tutto l'affetto e l'innocenza di una bimba solitaria trasformandola in qualcosa di più di una maxisalsiccia destinata a finire sul mercato mondiale. Il problema è che Okja, dieci anni dopo, viene incoronata "miglior maiale" e viene portata via dalla sua casa, con conseguente sconforto della piccola Mija, la quale scopre che il nonno non ha mai neppure provato ad acquistare la creatura dalla Mirando Corporation, come invece aveva fatto credere alla bambina. Questi sono i presupposti di un'avventura che porta Mija a scappare di casa per inseguire Okja fino in America, il problema è che la pellicola di Joon-Ho Bong non è un'avventura allegra e spensierata, lo avrete già capito.


Sul suo cammino, Mija trova infatti i peggiori adulti possibili, a partire proprio dal nonno, ma non solo. Accanto ad esseri palesemente abietti come il veterinario televisivo Johnny Wilcox e le folli Lucy e Nancy Mirando, immediatamente inseribili nel novero dei "cattivi" tout court, ci sono anche gli animalisti che dovrebbero essere buoni ma fondamentalmente sfruttano la povera Mija per i loro fini, per quanto nobili; nel corso della pellicola, Mija viene sottovalutata e presa in giro da tutti in primis perché è piccola e "non capirebbe" ma il confronto con l'"altro" passa anche attraverso una barriera linguistica invalicabile, tutti "paletti" che trasformano l'impresa della bambina in un viaggio verso una terra ostile, incomprensibile e violenta, in aperto contrasto con una natura quasi incontaminata dove per parlare a chi è diverso basta il cuore. Per sopravvivere alla follia di una società moderna fatta di contraddizioni, sceneggiate costruite a tavolino per non turbare gli animi sensibili e gente che nasconde la testa sotto la sabbia come gli struzzi, persino Mija è costretta a scendere a compromessi e soprattutto a comprendere i meccanismi che governano la nostra società, così da riuscire a salvare perlomeno il suo piccolo mondo e la propria innocenza, ma il finale di Okja è uno dei più atroci e crudelmente realistici mai mostrati su schermo. Da spettatrice e da carnivora ipocrita ho fatto fatica a guardare tutto ciò che Joon-Ho Bong sceglie di mostrare agli spettatori e a Mija, tutte le brutture a cui viene sottoposta la povera Okja, quell'orrendo spettacolo capace di richiamare alla mente un olocausto umano e ben radicato nella nostra memoria storica, persino i lividi che rimedia la bambina ad ogni passo del suo faticoso percorso verso la libertà e la salvezza del suo amico animale.


Giustamente Joon-Ho Bong deve avere pensato che una simile violenza fosse necessaria per raggiungere le nostre coscienze addormentate ma la verità è che il regista coreano è soprattutto un fine poeta e un Autore con la A maiuscola, capace di portarci a provare per Okja lo stesso affetto che proveremmo verso una creatura reale. E Okja, di fatto, E' reale, un miracolo di computer graphic che non sembra posticcio neppure per un istante, talmente ben integrata con ciò che la circonda da rendere plausibile persino il dolce omaggio iniziale a Il mio vicino Totoro; Okja è vera, conseguentemente risultano veri anche i suoi tristi compagni di sventura, sottoposti a torture inenarrabili, e il nostro cuore arriva a piangere per ognuno di loro, anche se non hanno nome. E' un vero peccato che Okja sia un film disponibile solo su Netflix perché una distribuzione cinematografica renderebbe giustizia ad alcune delle scene d'azione più belle mai girate, una su tutte la concitatissima fuga al supermercato dove tutti i coinvolti, animale compreso, sembrano farsi incredibilmente male, oppure il terribile inseguimento dopo la parata, per arrivare al pluricitato e cupo finale, dove ogni dettaglio dovrebbe imprimersi a fuoco nella mente dello spettatore in saecula saeculorum. Come già avevo scritto nella recensione di Train to Busan, un film come Okja riesce a dare dei punti a qualsiasi blockbuster occidentale mescolando sapiente tecnica artistica al cuore pulsante di una sceneggiatura semplice ma profonda, che rielabora cliché universali in un modo tutto nuovo e parla al mondo intero non solo grazie all'ausilio di bravissimi attori occidentali ma anche e soprattutto grazie al musetto espressivo di una ragazzina bellissima e coraggiosa, con due occhioni addolorati che spezzerebbero il cuore a un sasso. Io mi fermo qui ma avrete capito che Okja è un film splendido che merita di essere visto da chiunque e lo consiglio spassionatamente, anche se rischia di farvi diventare vegani. Faccio solo un appunto agli adattatori italiani: ma perché mettere in bocca ai personaggi frasi come "Cerca di imparare l'italiano, ti sarà molto utile!" quando Mija va a New York? E andiamo, su...


Di Tilda Swinton (Lucy e Nancy Mirando), Giancarlo Esposito (Frank Dawson), Jake Gyllenhaal (Johnny Wilcox), Shirley Henderson (Jennifer), Paul Dano (Jay), Daniel Henshall (Blond) e Lily Collins (Red) ho già parlato ai rispettivi link.

Joon-Ho Bong è il regista e sceneggiatore della pellicola. Sud Coreano, ha diretto film come The Host e Snowpiercer. Anche attore e produttore, ha 48 anni e un film in uscita.


Nei panni di K avrete notato l'attore Steven Yeun, meglio noto come il Glenn di The Walking Dead. Se Okja vi foste piaciuto provate a recuperare E.T. - L'extraterrestre. ENJOY!


martedì 10 aprile 2012

Biancaneve (2012)

Per chiudere in bellezza la giornata di Pasqua, domenica sera sono andata a vedere Biancaneve (Mirror, Mirror), rilettura dell'omonima fiaba ad opera del regista Tarsem Singh.


Trama: Per rimanere giovane e bella, la Regina ha mandato il regno in bancarotta e i sudditi non riescono più a far fronte alle ingenti tasse. La figliastra Biancaneve, che è riuscita a scoprire come stanno le cose, viene mandata a morire nella Foresta Nera. Come racconta la favola, la fanciulla tuttavia sopravvive e incontra i sette nani, con i quali si allea per spodestare la perfida Matrigna e riprendersi il Principe concupito dalla donna...


Tutto mi aspettavo da questo Biancaneve, ma non una pellicola così ironica e divertente, incentrata quasi interamente sull'esilarante figura della Matrigna, magistralmente interpretata da una Julia Roberts in stato di grazia (non a caso il titolo originale è Mirror, Mirror, non Snow White). L'invidia per la bellezza della principessa "dalle labbra rosse come il sangue e la pelle bianca come la neve" è il fulcro anche di questa versione della fiaba, ma la Matrigna non viene dipinta come una megera dedita alla magia bensì, soprattutto, come una "coguara" che ha mandato in rovina il regno per pagarsi feste e cure di bellezza tra le più atroci, una fancazzista il cui unico scopo è trovare un ricco marito, possibilmente giovane, che la mantenga. Biancaneve, come viene chiarito all'inizio, non è altro che un optional (anche se il finale, ovviamente, smentirà ironicamente la Matrigna), una ragazzetta irritante che la donna si è trovata nel Castello e che riesce, senza troppo sforzo, a tenere a bada... almeno finché non arriva il Principe che, in quanto bello, aitante e ricco (senza contare che sarebbe un alleato prezioso per spodestare l'una o l'altra donna) viene bramato da entrambe.


Dal momento in cui la povera Biancaneve viene mandata nella Foresta Nera per evitarle un incontro col Principe, la trama della pellicola si distacca ancora di più da quella della fiaba: i sette nani sono sette ladri (dai pittoreschi nomi di Macellaio, Risata, Napoleone, Lupo, Mezzapinta, Grimm e Mangione) che vagano per la Foresta armati di trampoli per sembrare più alti, briganti che prendono Biancaneve sotto la loro ala protettiva e le insegnano tutte le loro furberie, trasformandola non in una guerriera, ma in una scafata ragazzina in grado di riprendersi quel che è suo di diritto. Non pensate a qualcosa di "zen" o alla Matrix, però. Il film, infatti, non perde mai, nemmeno per un istante, il suo dichiarato intento di essere supercazzola, sfacciatamente in bilico tra artistico trionfo di costumi e scenografie (splendidi e particolarissimi) oppure esilarante trashata. I momenti di puro divertimento si sprecano, tra un Principe trasformato in cucciolo fedele o lasciato in mutande dai nani, gli incredibili siparietti tra la Matrigna e il consigliere Brighton, gli assurdi costumi indossati dagli invitati al ballo (uno su tutti: Biancaneve col copricapo a forma di cigno) e al matrimonio, le cure di bellezza a base di guano, vermi, vespe, scorpioni, bisce e quant'altro, il duello con fior di sculacciate in punta di spada e il finale bollywoodiano con tanto di balletto e canzone. Paradossalmente, la parte meno riuscita del film è quella dichiaratamente fantasy, che implica l'utilizzo delle arti magiche della regina e di troppa Computer Graphic: il passaggio dallo specchio al rifugio sul lago è spettacolare, ma l'attacco del burattino gigante e soprattutto quello della Chimera sono decisamente bruttini.


Mi rendo conto che sarebbe impossibile fare un confronto tra questo Biancaneve e il film che uscirà a luglio, Biancaneve e il cacciatore, però due parole vorrei spenderle. Nonostante sia una commedia divertentissima, il film di Tarsem mi è sembrato qualcosa di molto più adulto e particolare, assai distante dagli ultimi adattamenti gotici (leggasi: per bimbiminkia) delle fiabe più famose, come Cappuccetto Rosso sangue o Beastly, una pellicola girata non per racimolare incassi, nonostante la presenza di una star come Julia Roberts, ma semplicemente per il gusto di rileggere in modo diverso una fiaba amata e conosciutissima. A tal proposito, è sicuramente un film che non consiglierei ai bambini, che si romperebbero le scatole e capirebbero pochissimo della storia, né a chi si aspetta una storia d'amore convenzionale, una moraletta spicciola, una pellicola seria o chissà quale capolavoro. Biancaneve, per essere apprezzato, dev'essere vissuto come qualcosa di non etichettabile, un film a sé stante da godere sul momento, una follia di un'ora e mezza. Se andrete al cinema consapevoli di questo, non ve ne pentirete!!


Di Armie Hammer, che interpreta il principe Alcott, ho già parlato qui.

Tarsem Singh (vero nome Tarsem Dandhwar Singh) è il regista della pellicola. Indiano, ha diretto film come The Cell - La cellula, The Fall e Immortals. Anche sceneggiatore e produttore, ha 51 anni.


Julia Roberts (vero nome Julia Fiona Roberts) interpreta la Regina. Una delle attrici più famose di Hollywood, la ricordo per film come Mystic Pizza, Fiori d'acciaio, Pretty Woman, Linea mortale, A letto con il nemico, Hook - Capitan Uncino, Qualcosa di cui... sparlare, Mary Reilly, Michael Collins, Il matrimonio del mio migliore amico, Nemiche amiche, Notting Hill, Se scappi ti sposo, Erin Brokovich - Forte come la verità (per il quale ha vinto l'Oscar come migliore attrice protagonista), The Mexican, I perfetti innamorati, Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco, Confessioni di una mente pericolosa, Ocean's Twelve; ha inoltre doppiato Ant Bully - Una vita da formica, e partecipato a episodi di Miami Vice e Friends. Anche produttrice, ha 45 anni e due film in uscita.


Lily Collins (vero nome Lily Jane Collins) interpreta Biancaneve. Inglese, figlia del cantautore Phil Collins, ha partecipato a film come Priest e ad episodi della serie 90210. Ha 23 anni e quattro film in uscita.


Nathan Lane (vero nome Joseph Lane) interpreta Brighton. Americano, lo ricordo per film come La famiglia Addams 2, Piume di struzzo, Un topolino sotto sfratto, Stuart Little - Un topolino in gamba e Austin Powers in Goldmember; inoltre ha doppiato Timon ne Il re leone e partecipato a serie come Miami Vice, Innamorati pazzi e Sex and the City. Anche produttore, ha 56 anni e un film in uscita.


Sean Bean (vero nome Shaun Mark Bean) interpreta il Re. Attore inglese che ricorderò sempre per aver interpretato il meraviglioso Boromir nella trilogia de Il Signore degli Anelli, ha partecipato a film come Goldeneye, Ronin, Equilibrium, Il mistero dei Templari, North Country, Silent Hill e a serie come Game of Thrones. Ha 53 anni e due film in uscita.


Saoirse Ronan era stata presa in considerazione per il ruolo di Biancaneve, ma la differenza di età tra lei e Armie Hammer era troppo grande; Lily Collins, invece, avrebbe dovuto recitare col ruolo dello stesso personaggio in Biancaneve e il cacciatore, ma le è stata preferita (ohibò...) Kristen Stewart. Destino inverso per il Principe: nel film con la Stewart ci sarà l'attore che è stato scartato durante il casting di Biancaneve. Ribadisco il mio fermo proposito di non andare a vedere il secondo film dedicato alla "più bella del reame" e vi saluto... ENJOY!!

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