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venerdì 22 luglio 2022

Bolla Loves Bruno: 58 minuti per morire - Die Harder (1990)

Nonostante il caldo che mi annulla le funzioni mentali, ho cercato comunque di rispettare l'appuntamento con Bolla Loves Bruno, ovvero l'omaggio all'adorato e ormai pensionato Bruce Willis. Oggi tocca a 58 minuti per morire - Die Harder (Die Hard 2), diretto nel 1990 dal regista Renny Arlin e tratto dal romanzo 58 minuti di Walter Wager.


Trama: mentre è in aeroporto ad aspettare il ritorno della moglie per Natale, John McClane si ritrova a dovere sventare una minaccia terroristica costituita da soldati decisi a far fuggire un generale sudamericano...


Gli anni '90 si aprono per Bruce Willis col ritorno del personaggio che lo ha elevato nell'Olimpo degli eroi action. In realtà, ho volutamente saltato il film precedente del nostro, Senti chi parla, che pure adoravo da bambina, e il motivo è semplice: è un film il cui valore risiede nel doppiaggio italiano e nella voce di Paolo Villaggio, sinceramente l'idea di un bambino che parla con la voce di Bruce Willis non mi fa granché ridere, poi potrei anche sbagliarmi. Detto questo, torniamo a 58 minuti per morire. Messo da parte John McTiernan, impegnato a dirigere Caccia a Ottobre Rosso, e dimenticato il romanziere Roderick Thorp per fare spazio a Walter Wager (che col personaggio non aveva nulla a che fare), la nuova avventura natalizia di John McClane lo vede stavolta impegnato ad ingannare il tempo in aeroporto scontrandosi con pericolosi ex soldati americani convertiti in terroristi. Lo sceneggiatore Steven E. de Souza si ricollega alla continuity del film precedente (e anche a Commando, se Val Verde vi dice qualcosa), sempre scritto da lui, ed alza l'asticella del pericolo affrontato dal protagonista; John McClane è ora universalmente riconosciuto come l'eroe, il salvatore del Nakatomi, il matrimonio con Holly è tornato ad essere idilliaco, e giustamente, per la legge del #maiunagioia, la minaccia esterna arriva a superare i confini di un ristretto edificio (in questo caso l'aeroporto) per diventare ancora più infida ed estesa. Aumentano, per la frustrazione di McClane, anche gli ostacoli posti da chi dovrebbe ragionevolmente dargli una mano, tra poliziotti invidiosi del successo ottenuto dal nostro e purtroppo incompetenti, giornalisti che pensano solo agli scoop senza tenere in conto l'incolumità delle persone e chi più ne ha più ne metta, e aumentano ovviamente anche i "boss di fine livello", che in questo caso diventano addirittura tre, uno più carismatico e malvagio dell'altro.


Le minacce dirette a McClane e ai poveri, ignari passeggeri degli aerei tanto sventurati da essersi trovati a passare dall'aeroporto di Dulles nel giorno sbagliato, sono molteplici e la struttura del film segue uno schema in crescendo che vede il protagonista occuparsi (con più o meno successo) del problema contingente per poi trovarsene davanti uno più grosso, magari dopo essersi fatto trarre in inganno da una falsa pista, e la differenza sostanziale con Trappola di cristallo, oltre al bodycount decisamente superiore, è che qui McClane gioca a carte più o meno scoperte, mentre là, per buona metà del film, il suo personaggio doveva cercare di non farsi scoprire. Ciò ovviamente consente a Bruce Willis di gigioneggiare anche più di prima. Il suo personaggio è consapevole sia della sua sfiga costante sia del pericolo che minaccia lui e la moglie e, tra una sparatoria e l'altra, gli tocca armarsi di parecchia ironia per non diventare pazzo o per non spaccare la faccia a chi fa orecchie da mercante davanti alle sue giuste rimostranze; l'adorato Bruno si profonde quindi nelle improvvisazioni che gli riescono meglio, perdendo magari quell'umana debolezza che lo caratterizzava in Trappola di cristallo ma guadagnandoci in cazzimma e "invulnerabilità", per quanto sempre troppo vestito, ahimé, ché con la neve la canottiera d'ordinanza non ci stava (poi vi chiedete perché ricordassi così poco questo film? Dai, quel maglione di lana è inguardabile!!). D'altronde, stavolta gli tocca competere con almeno un paio di attori dal carisma indubbio. Vero è che Franco Nero si vede poco, ma quando compare è magnetico, e a William Sadler vengono addirittura regalate la sequenza più agghiacciante dell'intero film e un'introduzione a dir poco cult, quindi Bruno qui ha il suo bel da fare per diventare ancora più indimenticabile. 


Cambiando argomento, non è solo per la canottiera mancante che 58 minuti per morire è il film della trilogia (lo so, esistono anche Die Hard - Vivere o morire e Die Hard - Un buon giorno per morire ma non li ho mai visti) che ricordavo di meno. Renny Harlin è bravo, nulla da dire, ed è costretto a gestire molta più carne al fuoco rispetto a John McTiernan, ma il suo film risulta più sfilacciato e meno centrato rispetto a Trappola di cristallo, che non aveva un minuto morto o un elemento non funzionale neppure a cercarlo col lanternino, e riusciva ad essere claustrofobico e pieno di inquadrature interessanti; in 58 minuti per morire non mancano le scene epiche e caciarone, d'altronde stiamo comunque parlando di aerei che esplodono, ma difetta di quella scintilla "magica" che sembrava infusa in ogni sequenza del primo Die Hard, e il tempo è stato impietoso con alcuni effetti speciali (Bruce Willis e il sedile eiettabile... 'nuff said). Ciò detto, non si può dire che 58 minuti per morire sia un brutto film, anche se da quel che ricordo Duri a morire è molto, ma molto più bello, e sicuramente in queste serate caldissime è in grado di portare non solo un po' di sano, caciarone divertimento action, ma anche un'illusione di freschezza, grazie a tutta la neve (finta) di cui abbonda. Col prossimo Bolla Loves Bruno si cambia genere, preparatevi! 


Del regista Renny Arlin ho già parlato QUI. Bruce Willis (John McClane), Bonnie Bedelia (Holly McClane), William Atherton (Thornberg), Reginald VelJohnson (Al Powell), Franco Nero (Esperanza), William Sadler (Stuart), John Amos (Grant), Tom Bower (Marvin), Sheila McCarthy (Samantha Coleman), Robert Patrick (O'Reilly), John Leguizamo (Burke), Vondie Curtis-Hall (Miller) e  Mark Boone Junior (Shockley) li trovate ai rispettivi link.


Dennis Franz, che interpreta Carmine Lorenzo, sarebbe diventato famosissimo pochi anni dopo per il ruolo di Andy Sipowicz nel telefilm New York Police Department. Ciò detto, se vi interessa 58 minuti per morire, sappiate che prima dovete guardare Trappola di cristallo e poi, se il genere vi piace, Die Hard - Duri a morire, Die Hard - Vivere o morire e Die Hard - Un buon giorno per morire. ENJOY!

domenica 8 marzo 2020

Panama Papers (2018)

Durante le vacanze di Natale ho recuperato, complice anche l'interesse del Bolluomo, Panama Papers (The Laundromat), diretto da Steven Soderbergh nel 2018.


Trama: dopo un incidente mortale accorso al marito, Ellen si ritrova coinvolta in una frode finanziaria che ha ramificazioni in tutto il mondo.



Alla fine di Panama Papers ho dovuto confrontarmi a lungo col Bolluomo perché, lo confesso candidamente, non ci ho capito nulla. Sarà molto difficile dunque scrivere un post sul film perché molte delle cose di cui parla non hanno alcun senso per me: capisco il concetto di società di facciata, capisco anche quello di società fiduciarie, mi perdo un po' in quello di riassicurazione, ma mettere assieme tutto ciò è dannatamente complesso perché, pur essendo una persona dalla mente "astratta", l'assenza di beni tangibili e la riduzione in mere cifre, nomi o scatole vuote mi frantuma il cervello. Alla fine di tutto il film, l'unica domanda che avevo in testa è "Ma come ca**o fa tutto questo ad essere legale?". Ecco, appunto, qui casca l'asino, casca la Streep col suo sentito appello finale e casca persino Obama, nelle leggi americane c'è qualcosa che non va per consentire tutto questo, per permettere l'esistenza di compagnie che creano società di facciata residenti nei cosiddetti paradisi fiscali, spesso frodando la povera gente e riciclando denaro, ma tant'è. Di gravemente illegale, in tutto questo, non c'è nulla, e i responsabili (il gatto e la volpe Mossack e Fonseca, persone realmente esistenti) rischiano al massimo tre mesi di galera e un buffetto di simpatia, con l'ammonizione di non farlo mai più. E benché il tutto venga spiegato in maniera molto ironica dai già citati gatto & volpe interpretati, per l'occasione, da un Gary Oldman con accento tedesco e da Antonio Banderas, forse a causail titolo italiano fuorviante uno rischia davvero un po' di perdersi perché i cosiddetti Panama Papers compaiono giusto all'ultimo, in guisa di pietra dello scandalo che porta il mondo intero ad aprire gli occhi su un enorme segreto di Pulcinella, mentre dall'alto della mia ignoranza avrei pensato che sarebbe stata Ellen ad agitare le acque e mettere al muro gli alti papaveri della finanza criminale con la perseveranza delle persone normali.


Quindi, sarà perché ci ho capito poco, al punto che spesso ho dovuto fare dei bei rewind (santa Netflix!) a causa di repentini cali della palpebra, ma Panama Papers non mi ha entusiasmata molto. Innanzitutto è troppo sbilanciato verso la commedia ma non ha l'arguzia di un film scritto e diretto da Adam McKay, nonostante l'accattivante utilizzo di capitoli o rotture della quarta parete, inoltre racconta vicende (a mio parere, ovvio) poco coinvolgenti; solo con la storia di Ellen si potrebbe empatizzare al punto da provare schifo, mentre quella del miliardario africano con figlia a carico o quella ambientata in Cina e basata su fatti realmente accaduti sembrano quasi dei tapulli aggiunti per allungare un po' il brodo, di base perché, come ho scritto su, le azioni di Ellen sono una goccia nel mare e non così rilevanti ai fini della condanna di Mossack e Fonseca (come direbbe Ortolani, si possono fare mille speculazioni ma qui trattasi di CULO). Ho percepito, tra l'altro, una voglia di rincorrere la guest star quasi fine a se stessa, tanto che molti nomi di spessore vengono sprecati in due/tre sequenze di raccordo velocissime e dimenticabili; un esempio su tutti, Sharon Stone, che non avevo riconosciuto e che ho notato solo grazie ai titoli di coda, ma non va meglio a James Cromwell, Robert Patrick o David Schwimmer, comparsi e poi subito liquidati come nemmeno Greg Grunberg all'interno delle opere targate J.J.Abrams. Onestamente un po' mi spiace, visti i grandi nomi coinvolti e la fiducia che da anni mi smuove davanti a ogni nuova uscita di Soderbergh ma stavolta il suo ultimo lavoro mi ha lasciata un po' insoddisfatta. Alla prossima, che dire.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Gary Oldman (Jurgen Mossack), Antonio Banderas (Ramon Fonseca), Meryl Streep (Ellen Martin), James Cromwell (Joe Martin), Robert Patrick (Capitano Paris), David Schwimmer (Matthew Quirk), Jeffrey Wright (Malchus Irvin Bonchamp), Sharon Stone (Hannah) e Matthias Schoenaerts (Maywood) li trovate invece ai rispettivi link.


Melissa Rauch, la Bernadette di The Big Bang Theory, interpreta la figlia di Meryl Streep. Se Panama Papers vi fosse piaciuto recuperate The Wolf of Wall Street e La grande scommessa. ENJOY!

martedì 12 aprile 2016

Hellions (2015)

Siamo appena ad aprile e potrei già avere trovato il mio horror dell'anno, grazie agli indispensabili suggerimenti di Lucia. Il gioiellino che mi appresto indegnamente a "recensire" si chiama Hellions ed è stato diretto nel 2015 dal regista Bruce McDonald.


Trama: il giorno di Halloween la giovane Dora scopre di essere rimasta incinta. Una volta sola in casa, alle preoccupazioni per la sua nuova condizione si aggiunge anche la minaccia di un branco di bambini mascherati, che mirano ad ucciderla e prenderle il bambino...



Il primo pregio di Hellions, il più banale se volete, è che a differenza della maggior parte degli horror recenti è riuscito a mettermi paura, quel sottile terrore che ti accompagna anche dopo la visione di un film e ti spinge ad accendere qualche luce in più la sera. La "colpa" di tutto ciò è da ricercare nel fatto che Hellions gioca molto sull'aspetto uditivo dell'orrore, quello che obiettivamente rischia di rimanere più impresso allo spettatore (perché a differenza di anni ricordo ancora il rumore che faceva il Demone Calderiano nei boschi de La casa, la colonna sonora di due B-Movies come I gusti del terrore e Milo o non posso ascoltare Fur Elise senza sentirmi male mentre quando un'amica mi chiede se ci sono animali che muoiono in determinati film non riesco a darle una risposta?), mescolando elementi inquietanti come una nenia infantile e una misteriosa voce fuoricampo che parla alla protagonista con un tono da far accapponare la pelle. A chi appartenga questa voce è una delle molte cose che non vengono spiegate durante il film, altro aspetto che mi ha intrigata parecchio. Hellions offre infatti svariate interpretazioni perché la sceneggiatura è l'equivalente di un incubo visionario, all'interno del quale non viene specificato chi siano i bambini che attaccano Dora, se essi esistano veramente o se tutto ciò a cui assistiamo non sia semplicemente il frutto del terrore di una diciottenne (magari in botta, chi lo sa); l'unica cosa certa di Hellions è che la protagonista è giovanissima ed incinta, ha sicuramente dei problemi con la madre e la scuola, viene seguita da un dottore e non ha alcuna intenzione di tenere un bambino che, ai suoi occhi terrorizzati, è l'equivalente di un mostro arrivato inaspettatamente a sconvolgerle l'esistenza. In questo senso, Hellions è un po' il contrario di A' l'interieur, dove la protagonista si batteva con le unghie e con i denti per proteggere sé stessa E il bambino che portava in grembo dalla pazza che voleva portarglielo via, mentre nel film di Bruce McDonald la gravidanza diventa un handicap per Dora, un altro elemento alieno e nemico che si aggiunge al branco di mostriciattoli in attesa fuori dalla casa.


Queste sensazioni di incertezza che colpiscono sia il personaggio principale che lo spettatore si manifestano visivamente dal momento in cui Dora viene attaccata dai bambini mascherati o, meglio, da quando uno di essi le lascia sul ventre l'impronta insanguinata di una mano. In quell'attimo subentra la scelta del regista di utilizzare un filtro infrarosso che trasforma i colori della pellicola in un trionfo di nero e "rosastro", come se la protagonista fosse stata inghiottita dal suo stesso liquido amniotico fino a diventarne satura; il risultato di questa scelta stilistica non è fastidioso, bensì molto perturbante, innanzitutto perché immerge la pellicola in una luce straniante e onirica che l'utilizzo di colori "normali" non avrebbe mai potuto ottenere, poi perché la moltitudine di zucche presenti nel film, di un arancione malato, spiccano in modo ancora più inquietante. In questo trionfo di monocromia si aggirano inoltre dei mocciosi conciati nei modi più terrificanti possibili e i piccoli "Hellions" (ovvero emissari dell'inferno), con i visetti nascosti da sacchi di iuta, maschere da bambole di porcellana, clown e quant'altro, sono veramente l'incarnazione di un orrore innominabile, tanto che alla fine del film ho avuto paura di trovarmeli in camera ad urlare "Blood!!" con quelle loro vocette agghiaccianti. Se a tutto questo ben di Satana aggiungete anche la piccola gioia di vedere sullo schermo il sempre gradito Robert Patrick, ormai abbonato ai ruoli di anziana spalla di giovinetti in pericolo, capirete perché Hellions mi sia piaciuto così tanto, pur con tutte le piccole scollature che lo privano di una certa "solidità" per quel che riguarda la trama, caratteristica che probabilmente gli avrebbe permesso di diventare uno degli horror migliori di sempre. Ma anche così, ce ne fossero di horror simili! E ora corro a recuperare Pontypool che, in effetti, è il film di Bruce McDonald che ancora mi manca, nonostante lo abbia sentito nominare ovunque!


Di Robert Patrick, che interpreta Corman, ho già parlato QUI.

Bruce McDonald è il regista della pellicola. Canadese, ha diretto film come Pontypool - Zitto o muori. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 57 anni e un film in uscita.


domenica 11 ottobre 2015

Lost After Dark (2014)

Qualche sera fa avevo bisogno di scaricarmi un po' quindi, memore del consiglio di Lucia, ho deciso di guardare Lost After Dark, diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista Ian Kessner.


Trama: un gruppo di studenti decide di scappare durante un ballo scolastico e passare un weekend in un rifugio di proprietà di una delle ragazze. Quando il pulmino della scuola, rubato dai giovani virgulti, li lascerà a piedi in mezzo a un bosco, per i fuggitivi comincerà un sanguinosissimo incubo...


Cosa si chiede di solito ad uno slasher? Che sia cattivissimo, esagerato e che intrattenga, direi. Se ciò è vero, allora Lost After Dark è un ottimo esempio del genere, con una piccola marcia in più. Il film, scritto evidentemente da una persona che è cresciuta a pane e horror, ha infatti la miracolosa capacità di spiazzare lo spettatore scafato che, di solito, davanti a queste pellicole sfodera una risata snob e stila un pronostico sull'ordine in cui verranno uccisi i protagonisti; personalmente, davanti alla seconda ed inaspettata uccisione ho rischiato di soffocarmi coi Tic Tac alla banana e da quel momento in poi non ho più staccato gli occhi dallo schermo. Oddio, non è vero, a un certo punto ho guardato altrove perché l'omaggio al genere diventava un po' troppo Fulciano e nel 2014 non usano più la pasta di mandorle per realizzare determinate, delicatissime parti anatomiche, ma per il resto sono stata totalmente catturata. Anche perché Lost After Dark ha un secondo pregio, quello di essere ironico ed ignorante al punto giusto (e non parlo solo dell'ignoranza degli interpreti, per quanto confondere "cannibal" e "cannonball" sia una mossa da maestro quasi quanto l'inusuale destino di un povero cagnetto), infarcito da un citazionismo gradevole ma non insopportabile e, ovviamente, stilosetto quanto basta per farsi ricordare un po' più a lungo rispetto alla media di questo tipo di pellicole soprattutto per chi, come me, è nato e cresciuto negli anni '80. E voi direte, che palle questi omaggi continui a quell'epoca neppure troppo lontana! Avete ragione ma mi sono divertita talmente tanto guardando Lost After Dark che anche la noia nei confronti dell'ormai eccessiva celebrazione di quegli anni è finita un po' in secondo piano.


Lost After Dark è anche bello a vedersi. Nonostante un paio di sgranature e di "missing reels" (onestamente, l'unico momento davvero WTF della pellicola) prese di peso da un film di Rodriguez o Tarantino, le scenografie e i costumi sono molto curati e, soprattutto, pur essendo un film ambientato interamente di notte non c'è un solo momento in cui la fotografia sia così scura da non capire quello che si ha davanti, anzi, la nitidezza delle scene notturne ha un che di spettacolare. Degli effetti speciali ho già parlato. Lost After Dark è molto sanguinoso e indugia parecchio su alcune uccisioni splatter e lente, che sfidano la sopportazione dello spettatore, ma si diletta anche con sequenze rapide ed inaspettate, in grado invece di mettere alla prova l'autocontrollo; a prescindere da quali metodi di "tortura" cinematografica preferiate, sappiate che sono entrambi realizzati benissimo, con perizia e palese amore per l'horror sanguinario. Anche gli attori sono molto bravi e, cosa strana per un horror, riescono a rendere gradevoli persino dei personaggi stereotipati che normalmente si vorrebbe vedere morti (buona parte del merito è da attribuire ovviamente agli sceneggiatori ma anche l'interpretazione degli attori è importante), in più la pellicola di Ian Kessner vede come esilarante guest star un Robert Patrick invecchiato ma molto ironico, protagonista di un paio di sequenze molto ma molto gustose. In definitiva, Lost After Dark è un film che potrebbe piacere parecchio agli amanti del genere, magari stanchi di anni ed anni di pellicole derivative e realizzate a tirar via; i non appassionati però si astengano.


Di Robert Patrick, che interpreta Mr. C, ho già parlato QUI.

Ian Kessner è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. E' anche produttore e attore.


Nei panni dello sceriffo, sul finale, compare Nick Rosenthal, regista del secondo episodio della saga Halloween, ovvero Il signore della morte, e di Halloween - La resurrezione. Detto questo, se Lost After Dark vi fosse piaciuto consiglierei di recuperare un po' di classici slasher anni '80 come Venerdì 13, Halloween - La notte delle streghe e Non aprite quella porta. ENJOY!


venerdì 26 giugno 2015

La regola del gioco (2014)

Come pubblicizzano durante i trailer, quest'estate cinematografica dovrebbe essere particolarmente ricca e tra gli altri film che vengono citati nel corso di questa pubblicità c'è anche La regola del gioco (Kill the Messenger), diretto nel 2014 dal regista Michael Cuesta e basato sia sulla serie di articoli Dark Alliance di Gary Webb sia sulla stessa biografia di Webb, redatta da Nick Schou, dal titolo Kill the Messenger.


Trama: il giornalista Gary Webb pubblica una serie di articoli dove accusa la CIA di avere collaborato in Nicaragua con i ribelli anti-governativi Contra, aiutandoli a spacciare cocaina e crack nei bassifondi di Los Angeles per finanziare la loro causa. All'inizio Webb viene trattato come un eroe, dopodiché le cose si fanno sempre più dure, per lui e per la sua famiglia...


Sarà che sto invecchiando ma, pur continuando ad avere qualche difficoltà nel tenere il filo di tutti i nomi e le facce che scorrono sullo schermo nell'arco di due ore, i film tratti da storie vere come La regola del gioco (altro titolo italiano imbecille: che regola sarebbe? Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni?) mi intrigano sempre di più. Al di là delle parti palesemente romanzate, di "dettagli" aggiunti per rendere più umani i personaggi (come per esempio, in questo caso, il rapporto tra il protagonista e il figlio maggiore, cementato dal restauro di una moto d'epoca) e dell'ovvia scelta di rendere il sembiante dei coinvolti più glamour e piacevole di quanto non fosse in realtà, questi spaccati di vita vissuta mi interessano molto e in particolare mi affascina l'intricato mondo del giornalismo o, meglio, di quello che era una volta il giornalismo, fatto di professionisti appassionati e libero dal pressapochismo internettiano. Purtroppo per Gary Webb, non libero da influenze politiche  né da diffidenza, invidia o ipocrisia; reporter di un giornale di provincia, il nostro è balzato agli onori della cronaca per un'inchiesta nata assolutamente per caso, che gli ha sì permesso di mettere in piazza gli altarini più squallidi ed ipocriti della CIA ma ha anche attirato su di sé le e ire e, conseguentemente, le sgradevoli attenzioni di persone prive di scrupoli e molto pericolose. Nel mondo dei media la credibilità è tutto ma, come già ci ha insegnato Fincher con il suo Gone Girl, è ancora più importante assecondare e fomentare la volubilità di un pubblico che ama sguazzare nel torbido e che in pochissimo tempo può passare dall'elevare una persona al rango di guru al reputarlo un truffatore della peggior specie per degli errori passati che nulla hanno a che fare con la sua professionalità. Nel corso di La regola del gioco a Gary Webb (reporter realmente esistito e morto in in circostanze misteriose, abbandonato dalla famiglia e senza avere avuto mai più la possibilità di lavorare per un giornale) succede proprio di passare dalle stelle alle stalle; la sua inchiesta desta molto scalpore ma viene insabbiata in brevissimo tempo e nonostante smuova parecchie acque ancora oggi il mistero sul reale coinvolgimento della CIA nella guerra civile in Nicaragua e, soprattutto, nella conseguente distribuzione della droga dei Contra a Los Angeles, è avvolta in una nube di mistero.


La pellicola si concentra quindi più sull'aspetto umano di Gary Webb che sull'effettiva validità della sua inchiesta ed offre un inquietante spaccato di quello che sta dietro le quinte di quella che dovrebbe essere un'informazione imparziale, fatta in realtà di giochi politici, compromessi ed ipocrisia: la lunga sequenza in cui Webb ritira comunque un premio come "giornalista dell'anno" mentre né il suo capo né il suo redattore hanno il coraggio di guardarlo in faccia dopo avere rinnegato pubblicamente i suoi articoli mette i brividi e lascia impotenti davanti al peso di una realtà così tragicamente e schifosamente negativa. Essere tacciato di falsità e pressapochismo ma ricevere comunque un premio per l'eccellenza del lavoro svolto è il culmine di una tragedia umana che si mescola in maniera molto naturale alla spy story, elementi che trasformano La  regola del gioco in un thriller d'inchiesta privo di momenti "morti" e capace d'inchiodare lo spettatore alla poltrona. Merito della storia narrata, sì, ma anche di un bravissimo Jeremy Renner, che si carica sulle spalle tutta l'ambizione, la sfrontatezza e la fragilità di Gary Webb senza risultare mai posticcio o forzato. Accanto a lui c'è tutta una ridda di comprimari che incarnano le due anime di La regola del gioco: a mio avviso funzionano molto bene attori come Mary Elizabeth Winstead o Oliver Platt, che ancorano la storia alla sua parte maggiormente "reale", mentre altri grandi nomi quali Ray Liotta o Andy Garcia (due attoroni quasi sprecati per quel che compaiono sullo schermo e lo stesso vale per Robert Patrick e Barry Pepper, per quanto ottimi caratteristi di lusso) risultano un po' fasulli nei loro ritratti di malviventi quasi leggendari, come se interpretassero le caricature dei loro personaggi più famosi. A parte questo trascurabile, piccolissimo difetto, La regola del gioco è un solido film dal sapore quasi anni '70, una di quelle pellicole intelligenti in grado di spingere lo spettatore a volersi documentare ulteriormente sui fatti narrati. In questa torrida estate di dinosauri, orsacchiotti e futuri post-apocalittici sarebbe bene ritagliare uno spazio anche per il film di Michael Cuesta!


Di Jeremy Renner (Gary Webb), Robert Patrick (Ronald J. Quail), Mary Elizabeth Winstead (Anna Simons), Barry Pepper (Russel Dodson), Tim Blake Nelson (Alan Fenster), Michael Kenneth Williams (Ricky Ross), Oliver Platt (Jerry Ceppos), Andy Garcia (Norwin Meneses), Michael Sheen (Fred Weil) e Ray Liotta (John Cullen) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Cuesta è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film episodi delle serie Six Feet Under, Dexter, True Blood e Homeland. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.


Paz Vega (vero nome Paz Campos Trigo) interpreta Coral Baca. Spagnola, ha partecipato a film come Lucía y el sexo, Parla con lei, The Spirit, Vallanzasca - Gli angeli del male, Gli amanti passeggeri, Grace di Monaco e doppiato Madagascar 3 - Ricercati in Europa. Ha 39 anni e cinque film in uscita.


Durante le primissime fasi di produzione del film, erano stati fatti i nomi di Brad Pitt e Tom Cruise per il ruolo di Gary Webb mentre Spike Lee si era dimostrato molto interessato a finire dietro la macchina da presa. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Tutti gli uomini del presidente, Good Night, and Good Luck. e Insider - Dietro la verità. ENJOY!

martedì 26 febbraio 2013

Gangster Squad (2013)

Passata la frenesia da Notte degli Oscar è giunto il momento di guardare qualche film recente magari meno memorabile ed impegnato ma comunque gradevole, come questo Gangster Squad, diretto da Ruben Fleischer.


Trama: nel 1949 Los Angeles è completamente in mano al boss Mickey Cohen. Il capo della polizia, stranamente uno dei pochi immuni dalla corruzione, chiede così all'integerrimo Sergente O'Mara di reclutare una squadra di agenti per favorire la caduta del criminale...


Gangster Squad è il cuginetto truzzo de Gli intoccabili e di L.A. Confidential, e non lo dico con disprezzo. A una cura incredibile per i costumi, le scenografie, la colonna sonora e i dettagli si uniscono infatti un gradevolissimo gusto per l'eccesso sanguinolento (d'altronde il regista è lo stesso di Benvenuti a Zombieland) e una sceneggiatura tesissima ma alleggerita da esilaranti momenti supercazzola e da dialoghi a tratti così assurdamente "duri" da risultare inverosimili. Il risultato sono quasi due ore di puro divertimento nel quale si mescolano sapientemente momenti di riflessione, incentrati per lo più sulla difficoltà di adattamento che sperimentano i soldati appena tornati dal fronte, momenti drammatici, momenti romantici, momenti di azione tout court e momenti di umorismo slapstick, dove i personaggi principali sembrano punzecchiarsi l'un con l'altro per mostrare chi è più fico. Certo, Gangster Squad a tratti è leggermente prevedibile e segue lo schema tipico del genere (nascita della squadra - successi che portano a sottovalutare il pericolo - nemico che approfitta della leggerezza dei "buoni" per fargliela duramente pagare - risoluzione finale/vendetta dei protagonisti) ma c'è almeno una sequenza in grado di sorprendere anche lo spettatore più scafato.


Ciò che attira di più l'attenzione in questo Gangster Squad è comunque il cast all-star. Tra tutti, Sean Penn (che esordisce citando il Dracula di Browning!) è sicuramente il migliore, perfettamente sprofondato nei panni del bastardo, ignorante, cafonissimo e crudele boss Mickey Cohen, con quella faccia da pugile suonato ottenuta grazie ad un make-up che lo rende a dir poco orrendo. Tra i buoni, spiccano invece i personaggi per così dire "secondari". Per carità, il granitico Brolin è un mito, Ryan Gosling per una volta mi risulta pure sexy, con quel suo modo di fare da sbruffone scazzatello, Giovanni Ribisi porta a casa una parte dignitosissima, ma il mio cuore è andato dritto nelle mani di un irriconoscibile ed invecchiatissimo Robert Patrick nei panni di un anziano pistolero e soprattutto in quelle dell'esilarante ed iconico sbirro messicano Navidad Ramirez, interpretato da Michael Peña, che porta sulle spalle tutto il carico comico del film ma anche una delle scene più cazzute e toccanti. Menzione d'onore la merita anche un imbolsito Nick Nolte, mentre sinceramente non riesco a capire come un uomo possa trovare sexy Emma Stone, che indossa gli stupendi abiti da sera della rossa Grace Faraday con la grazia di un camallo. In conclusione, Gangster Squad non è sicuramente un film tra i più memorabili, ma è onesto, ben confezionato e divertente. Promosso a pieni voti!


Del regista Ruben Fleischer ho già parlato qui. Sean Penn (Mickey Cohen), Josh Brolin (Sergente John O’Mara), Ryan Gosling (Sergente Jerry Wooters), Emma Stone (Grace Faraday), Anthony Mackie (Coleman Harris), Robert Patrick (Max Kennard), Giovanni Ribisi (Conway Keeler) li trovate invece ai rispettivi link.

John Aylward interpreta il giudice Carter. Americano, lo ricordo per il ruolo di Dr. Anspaugh nella serie E.R. – Medici in prima linea. Ha partecipato a film come Tartarughe Ninja III, Armageddon – Giudizio finale, Instinct – Istinto primordiale, North Country, La città verrà distrutta all’alba e a serie come The Others, Una famiglia del terzo tipo, Ally McBeal, Dharma & Greg, X-Files, Nip/Tuck,  Alias, Cold Case, Senza traccia, CSI e American Horror Story. Anche regista, sceneggiatore, produttore, scenografo e persino compositore, ha 66 anni.


Nick Nolte (vero nome Nicholas King Nolte) interpreta il Capo Parker. Americano, lo ricordo per film come 48 ore, In fuga per tre, Ancora 48 ore, Cape Fear – Il promontorio della paura, Il principe delle maree, L’olio di Lorenzo, Jefferson in Paris, Scomodi omicidi, Night Watch – Il guardiano di notte, U Turn – Inversione di marcia, La sottile linea rossa, Hulk e Tropic Thunder. Anche produttore, ha 71 anni e sei film in uscita.


Michael Peña interpreta Navidad Ramirez. Americano, ha partecipato a film come Fuori in 60 secondi, Million Dollar Baby, World Trade Center e a serie come Sentinel, Roswell, E.R. - Medici in prima linea, NYPD, CSI e My Name is Earl. Ha 36 anni e cinque film in uscita.  


Nei credits spunta anche Derek Mears nei panni di uno degli scagnozzi di Cohen. Jamie Foxx era stato considerato per il ruolo di Coleman Harris, mentre Bryan Cranston ha dovuto rinunciare a quello di Max Kennard perché già impegnato con le riprese di Argo. Lily Collins, Emmy Rossum e Amanda Seyfried hanno invece tentato di accaparrarsi il ruolo di Grace Faraday (tutte troppo poco adatte al ruolo di femme fatale, ma non che la Stone sia meglio...) mentre tra i nomi in lizza per quello di Jerry c'era anche quello di Joseph Gordon - Levitt, che avrei visto decisamente in parte. Al di là di questo "totoruoli", comunque, se Gangster Squad vi fosse piaciuto consiglio la visione di L.A. Confidential, Scomodi omicidi, Dick Tracy, Gli intoccabili e Chinatown. ENJOY!!

martedì 29 marzo 2011

Autopsy (2008)

Le mie sono lacrime di coccodrillo. Voglio dire, dopo la visione di The Human Centipede (First Sequence, non dimentichiamoci che era solo la prima parte, buon Dio…) dovrei avere imparato a diffidare degli horror “medici” e a fare finta di non conoscerne neppure l’esistenza. E invece mi sono guardata Autopsy, diretto nel 2008 dal regista Adam Gierash, alternando momenti di sconforto a momenti di perplessità.

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Trama: Mardi Gras, New Orleans. Dopo una serata a base di alcool e droga, un gruppetto di ragazzi investe un uomo e uno di loro rimane ferito. La degenza in ospedale si rivela però ben peggiore dell’incidente stesso…

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Il filone dei mad doctor è infinito quanto quello degli slasher. Da che mondo è mondo, a partire da Frankenstein, c’è sempre qualche luminare della medicina che combina delle idiozie per perseguire scopi più o meno nobili. Mary Shelley, a fine ottocento, cercava una logica nelle azioni “pratiche” del suo personaggio, gli sceneggiatori dei nostri giorni non si sbattono nemmeno, limitandosi a schiaffare in faccia agli spettatori delle enormità che non stanno né in cielo né in terra. In questo caso abbiamo un abile chirurgo che deve salvare la povera moglie da un tumore all’ultimo stadio, e che non si ferma di fronte a nulla per riuscirci. Mi sta bene, il trapianto di organi è sempre una cosa positiva e fattibile… ma non mi spiego perché invece in Autopsy quest’uomo tenti tutto meno che il trapianto di organi, fino ad arrivare a creare, verso il finale, una sorta di non meglio definito “sistema circolatorio esterno”, con interiora appese a mò di festoni per tutta la stanza… e solo per avere un costante flusso di fluidi che possa mantenere in vita la moglie. Considerato che vuoi portarti la consorte per seconda luna di miele a Roma , e considerato anche che questo metodo assurdo è l’unico che la mantiene in vita… ma cosa fai, ti infili tutto l’insieme di organi collegati in un set di valigie? Questa, nel caso ve lo stiate chiedendo, è solo la punta dell’iceberg di un film che, alla fine, è solo un’accozzaglia di schifoserie assortite, fortunatamente mostrate con abbondante umorismo nero.

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Sì perché, tolti gli insipidi e giovani protagonisti, che in Autopsy vengono trattati come carne da macello più che in altri film, i cattivi sono talmente bastardi e pazzi da risultare quasi simpatici. C’è l’infermiera vezzosa, materna ma anche inflessibile con i pazienti (che giustamente si lamenta quando la sporcano di sangue, pulizia innanzitutto!), ci sono i due infermieri che “stavano meglio quando stavano peggio”, ovvero quando facevano i mercenari e rubavano cadaveri in Angola (aah, i bei tempi andati…), c’è il chirurgo stesso che si diletta nell’usare strumenti dell’anteguerra e poi si lamenta, poveraccio, che sono difficili da usare. Questi siparietti contribuiscono a rendere leggermente atipico e lievemente trash un film dove il tasso di gore è comunque altissimo: oltre al “festone umano” c’è anche una sorta di Allegro Chirurgo vivente, dove uno dei poveri pazienti che vagano per l’ospedale riversa tutto ciò che il corpo umano può contenere addosso alla malcapitata sciacquetta di turno. E devo dire anche che un paio di scene di tortura mi hanno costretta a distogliere lo sguardo, il che non è poco per una che ormai è abituata agli horror come me. Insomma, l’ennesimo film horror di routine, magari leggermente superiore ad altri, che però lascia un po’ il tempo che trova… assieme a una domanda: a che serve tenere alcuni pazienti vivi anche se mutilati in giro per l’ospedale, mentre altri vengono selvaggiamente uccisi? Semplice fortuna, innata simpatia o altro? Ma in fondo, perché chiederselo, quando non lo sapranno neanche gli sceneggiatori…

Adam Gierasch è regista e sceneggiatore del film. E’ stato uno degli sceneggiatori de La terza madre di Dario Argento (il che è indicativo...), e dopo Autopsy ha diretto altre due pellicole, sempre horror. Di costui non si riesce a capire che età abbia e dove sia nato di preciso, ma a naso gli darei sui quarant’anni e anche una nazionalità americana.

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Robert Patrick interpreta il dottor Benway. L’attore americano ha avuto il suo momento di fama e gloria vestendo i panni del terribile cyborg T-1000 in Terminator 2 – Il giorno del giudizio (ruolo che ha omaggiato e ripreso, meno seriamente, in Fusi di testa e Last Action Hero – L’ultimo grande eroe), e ha partecipato anche ad altri film come 58 minuti per morire, Striptease, Spy Kids, Charlie’s Angels: più che mai, L’uomo che fissa le capre, a serie come Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti, I Soprano, X – Files, Lost e doppiato un episodio di American Dad!. Ha 53 anni e cinque film in uscita.

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Michael Bowen interpreta uno dei due infermieri folli, Travis. Texano, mi sento in dovere di parlarne perché me lo ricordo bene nel ruolo dello schifoso Buck in Kill Bill volume 1. Tra gli altri suoi film segnalo Il Padrino parte terza, Beverly Hills Cop III, Love & una 45, Jackie Brown, Magnolia; sterminate anche le serie tv alle quali ha partecipato: Chips, Supercar, The A – Team, 21 Jump Street, ER, NYPD, JAG – Avvocati in divisa, Nash Bridges, Walker Texas Ranger, X – Files, Bones, Criminal Minds e CSI. Ha 58 anni e quattro film in uscita.

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Robert LaSardo interpreta l’altro infermiere pazzo, Scott. Attore americano assolutamente inconfondibile soprattutto per la miriade di tatuaggi che lo ricoprono, io lo assocerò sempre al telefilm Nip/Tuck e allo splendido e irritante ruolo del gangster Escobar Gallardo, che tanto ha perseguitato i due protagonisti, anche dopo la morte. Cinematograficamente parlando, ha recitato in Corto Circuito 2, Léon, Waterworld, Nightwatcher – Il guardiano di notte e Wishmaster 2 – Il male non muore mai, mentre tra le altre serie per le quali ha lavorato segnalo Law & Order, Renegade, Più forte ragazzi, X – Files, Nash Bridges, The Shield, NYPD, Cold Case, Ghost Whisperer, Bones, General Hospital, CSI, CSI Miami e Criminal Minds. Anche sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e tre film in uscita.

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Tra i protagonisti “giovani”, segnalo solo Jessica Lowndes (Emily) e solo per essere stata protagonista di Dance of the Dead, l’episodio diretto da Tobe Hooper della prima serie di Masters of Horror. Se vi piace il genere, l’ideale sarebbe recuperare l’ameno Cabin Fever, oppure un filmetto stupido ed innocuo come Dottor Giggles, che vidi tanto tempo fa a Notte Horror. E ora vi lascio con il trailer del "gioiello"... ENJOY!

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