Alla faccia dei recuperi pre-Oscar non conclusi, proprio domenica sono andata a vedere Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (Birds of Prey: And the Fantabulous Emancipation of One Harley Quinn), diretto dalla regista Cathy Yan. No Spoiler, sereni.
Trama: dopo aver rotto con Joker, Harley Quinn si ritrova contro mezza Gotham e, per sopravvivere, si impegna a recuperare un diamante per conto del malvagio Romani Sionis, alias Black Mask.
Dopo il diludente Suicide Squad, la voglia di vedere un film interamente dedicato ad Harley Quinn (che pure era la cosa migliore di quella schifezza) era pari a zero. Poi, con l'uscita italiana, per curiosità sono andata a leggere un paio di commenti d'Oltreoceano e uno in particolare ha catturato la mia attenzione: "Deadpool meets John Wick". Pur con tutte le riserve del caso, ho quindi deciso di dare una chance a Birds of Prey, anche considerato il fatto che molte scene "di menare" sono state girate da David Leitch, e alla fine del film piangevo commossa all'interno di un fazzoletto dei My Little Pony, perché lo spin-off con Harley Quinn è il miglior film DC di sempre, qui lo dico e qui lo nego, almeno parlando di quell'universo condiviso che la Distinta Concorrenza vorrebbe contrapporre a quello Marvel. Anzi, se andiamo a vedere ho apprezzato più Birds of Prey di molti dei cinecomics del MCU, perché trasuda tanta di quell'ignoranza volontaria e gioiosa incoscienza che volergli male è impossibile. In più, adoro le pellicole imperniate su donne che picchiano durissimo e questo è un degno esponente del genere e, se è vero che sangue ne scorre davvero poco, la bionda Harley compensa con un sacco di ossa spezzate nei modi più disparati e con una comicità cartoonesca sempre molto apprezzabile. Certo, se vi aspettate un film coerente, con una trama che non sia scritta sul retro di un biglietto da visita e magari anche introspettivo, oppure una pellicola dove non esiste la distinzione paracula tra chi è davvero malvagio e chi è cattivello ma fondamentalmente eroe (come già accadeva in Suicide Squad, mortacci loro), cascate malissimo, ma Margot Robbie, un po' come Ryan Reynolds con Deadpool, crede così tanto nella sua Harley Quinn che tutto acquista magicamente un tocco di glitterosa luminosità, un po' come se ci ritrovassimo a sorridere maneggiando le cacchette rosa di Arale. E io in questa cacchetta rosa ci ho sguazzato per tutta la durata, divertendomi come una bambina, tra risate a profusione e applausi ad ogni violentissima trovata della bionda criminale creata da Paul Dini e Bruce Timm (per dire, una delle gioie più grandi è stata per me la sequenza animata, con lo spettacolare design di Shane Glines).
La storia, come ho scritto, è poca roba, una scusa per calcioruotare (per ora) Joker fuori dal franchise e introdurre una nuova squadra DC, le Birds of Prey appunto; almeno, queste erano le intenzioni dei realizzatori, che parlavano persino di trilogia, non fosse che Birds of Prey ecc. è stato un terrificante flop in patria e anche qui non se la cava benissimo, visto che in sala saremo stati poco più di una decina, di domenica sera, alle 20. E' un peccato che il film stia andando così male, anche perché al di là di Harley Quinn, sempre meravigliosa, anche le altre Birds of Prey sono molto interessanti e cool, sia d'aspetto che di carattere, un gruppo eterogeneo i cui membri si completano alla perfezione. La fascinosa Black Canary buca indubbiamente lo schermo ma la Cacciatrice le dà parecchio filo da torcere e la natura di sbirro anni '80 di Montoya regala alcune delle gag più riuscite del film; per quanto riguarda il reparto villain, Ewan McGregor è un matto vero, indossa i panni di un personaggio che sarebbe stato perfetto per Sam Rockwell senza colpo ferire e regala un cattivo che, per una volta, non è solo un cartonato da dimenticare il giorno dopo, mentre Chris Messina è il suo degno compare (e forse qualcosina di più, chissà!). Lo stile della Yan è pop e chiassoso, non rinuncia a scritte in sovrimpressione particolarmente esilaranti, che contribuiscono all'effetto "distruzione della quarta parete" assieme al racconto in terza persona e totalmente sconclusionato della protagonista, e si amalgama bene alle sequenze action supervisionate da Leitch, che spiccano per l'alto tasso di violenza cafona, declinata alle esigenze del personaggio (la battaglia a colpi di lustrini esplosivi è già una delle mie sequenze preferite, assieme alle evocative ambientazioni del luna park abbandonato, dove si consumano altre risse ben congegnate). A tutto ciò, aggiungete le citazioni più disparate, che vanno, tra le altre, dal subdolo omaggio a Leon, alla splendida parodia di Diamonds Are a Girl's Best Friend, passando per le citazioni a La notte del giudizio e a un capolavoro della commedia anni '80: Who's That Girl?. Se a quest'ultima, personalissima gioia, aggiungete una colonna sonora spesso zamarra ma comunque assai calzante e a tratti persino bella (come si intitola il pezzo strumentale durante i titoli di coda?? Come faccio a riascoltarlo in loop??), capirete perché Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn mi abbia fatta uscire dalla sala con un sorrisone che nemmeno il Joker di Jack Nicholson!
Di Margot Robbie (Harley Quinn), Mary Elizabeth Winstead (Helena Bertinelli/Cacciatrice), Ewan McGregor (Roman Sionis) e Chris Messina (Victor Zsasz) ho parlato ai rispettivi link.
Cathy Yan è la regista della pellicola. Cinese, ha diretto il film Dead Pigs ed è anche produttrice e sceneggiatrice.
Rosie Perez interpreta Renee Montoya. Americana, ha partecipato a film come Fa' la cosa giusta, Fearless - Senza paura, Può succedere anche a te, The Counselor - Il procuratore, I morti non muoiono e a serie quali 21 Jump Street e Frasier; come doppiatrice, ha lavorato in The Cleveland Show. Anche regista, produttrice e sceneggiatrice, ha 56 anni e un film in uscita.
Jurnee Smollett - Bell era la piccola Eve del bellissimo La baia di Eva. Prima che venisse preso Ewan McGregor, sia Sharlto Copley che, soprattutto, Sam Rockwell erano gli attori considerati per il ruolo di Black Mask, villain introdotto al posto del Pinguino, già utilizzato per il prossimo film su Batman. Per la Cacciatrice, invece, erano stati fatti i nomi di Sofia Boutella e Alexandra Daddario, mentre per Canary si sono alternati quelli di Janelle Monáe, Gugu Mbatha-Raw e persino Blake Lively. Le Birds of Prey erano già state portate sullo schermo (televisivo) in una serie omonima del 2002 ma onestamente è una serie che non conosco; se il film vi fosse piaciuto non vi dirò di recuperare Suicide Squad quanto piuttosto i tre John Wick, Atomica bionda e il primo Kick Ass. ENJOY!
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mercoledì 12 febbraio 2020
martedì 22 novembre 2016
Swiss Army Man (2016)
Dopo un tam tam mediatico durato settimane e una vittoria al Sundance, approda anche sul Bollalmanacco (sempre col solito ritardo) Swiss Army Man, opera d'esordio dei registi e sceneggiatori Daniels, alias Dan Kwan e Daniel Scheinert.
Trama: Henry si ritrova solo su un isola deserta e, disperato, tenta il suicidio. L'improvvisa comparsa del cadavere di un uomo, portato dalla risacca, lo distoglie dai suoi intenti e lo spinge ad intraprendere un particolare ed avventuroso viaggio di ritorno verso casa...
Il post su Swiss Army Man sarà molto breve purtroppo ma non perché il film non mi sia piaciuto. Anzi, Swiss Army Man è probabilmente uno dei film più interessanti dell'anno, anche perché è difficile trovarne uno in grado di suscitare nello spettatore la stessa abbondanza di sensazioni contrastanti: perplessità, divertimento, ribrezzo, ansia, divertito disgusto, fascinazione, tristezza, ancora disgusto, commozione, pietà, tristezza e persino speranza, tutte mescolate senza soluzione di continuità. E' per far sì che queste sensazioni vi colpiscano in modo fresco ed inaspettato che vorrei parlare il meno possibile di Swiss Army Man, perché il film dei Daniels va scoperto poco a poco, accettando anche di non avere tutte le risposte alla fine della visione o di vivere l'avventura di Henry in base alla propria predisposizione d'animo individuale. Che potrebbe anche portarvi a considerare questa pellicola la peggiore delle p*ttanate, eh, mica detto. Oggettivamente, posso dire senza paura di venire smentita che Paul Dano e Daniel Radcliffe si impegnano al massimo delle loro possibilità portando a casa due delle interpretazioni più belle dell'anno (soprattutto Radcliffe, mai così perfetto in tutta la sua carriera) mentre la fantasia e la cura con le quali i Daniels giocano con regia, scenografie, montaggio e soprattutto colonna sonora creano un'opera che ricorda tantissimo gli esperimenti più folli di Gondry e Jonze. Quindi, oggettivamente parlando, Swiss Army Man è un film bellissimo, girato ed interpretato da Dio, e nessuno potrà convincermi del contrario. Da un punto di vista meramente soggettivo, l'ho trovato assurdamente commovente in ogni sua sfaccettatura e ho molto apprezzato il modo in cui un uomo sconfitto dalla vita (che, probabilmente, non ha MAI saputo vivere) si ritrovi costretto a spiegarne la bellezza e la trivialità, a vivere tutte le gioie di cui si è sempre privato per paura e ad apprezzare anche ciò che normalmente diamo per scontato oppure ignoriamo per pudicizia. E qui mi devo fermare, necessariamente, o parte lo spoiler. Aggiungo solo che neppure la Disney ha mai raccontato così bene la bellezza di riuscire ad essere sé stessi e di assaporare la libertà di vivere semplicemente, senza paura del giudizio altrui, a prescindere da quanto siamo strani, brutti o impacciati (in una parola umani)... e che non bisogna tenersi tutto dentro. Non sempre almeno, via.
Di Paul Dano (Henry), Daniel Radcliffe (Manny) e Mary Elizabeth Winstead (Sarah) ho già parlato ai rispettivi link.
Dan Kwan e Daniel Scheinert, conosciuti come "Daniels" sono i registi e sceneggiatori della pellicola, al loro primo lungometraggio. Assieme hanno diretto video per artisti come Tenacious D, Foster the People e pubblicità per marchi quali Levi's, Weetabix e Converse.
Se Swiss Army Man vi fosse piaciuto recuperate Weekend con il morto, Fido e Lars e una ragazza tutta sua. ENJOY!
Trama: Henry si ritrova solo su un isola deserta e, disperato, tenta il suicidio. L'improvvisa comparsa del cadavere di un uomo, portato dalla risacca, lo distoglie dai suoi intenti e lo spinge ad intraprendere un particolare ed avventuroso viaggio di ritorno verso casa...
Il post su Swiss Army Man sarà molto breve purtroppo ma non perché il film non mi sia piaciuto. Anzi, Swiss Army Man è probabilmente uno dei film più interessanti dell'anno, anche perché è difficile trovarne uno in grado di suscitare nello spettatore la stessa abbondanza di sensazioni contrastanti: perplessità, divertimento, ribrezzo, ansia, divertito disgusto, fascinazione, tristezza, ancora disgusto, commozione, pietà, tristezza e persino speranza, tutte mescolate senza soluzione di continuità. E' per far sì che queste sensazioni vi colpiscano in modo fresco ed inaspettato che vorrei parlare il meno possibile di Swiss Army Man, perché il film dei Daniels va scoperto poco a poco, accettando anche di non avere tutte le risposte alla fine della visione o di vivere l'avventura di Henry in base alla propria predisposizione d'animo individuale. Che potrebbe anche portarvi a considerare questa pellicola la peggiore delle p*ttanate, eh, mica detto. Oggettivamente, posso dire senza paura di venire smentita che Paul Dano e Daniel Radcliffe si impegnano al massimo delle loro possibilità portando a casa due delle interpretazioni più belle dell'anno (soprattutto Radcliffe, mai così perfetto in tutta la sua carriera) mentre la fantasia e la cura con le quali i Daniels giocano con regia, scenografie, montaggio e soprattutto colonna sonora creano un'opera che ricorda tantissimo gli esperimenti più folli di Gondry e Jonze. Quindi, oggettivamente parlando, Swiss Army Man è un film bellissimo, girato ed interpretato da Dio, e nessuno potrà convincermi del contrario. Da un punto di vista meramente soggettivo, l'ho trovato assurdamente commovente in ogni sua sfaccettatura e ho molto apprezzato il modo in cui un uomo sconfitto dalla vita (che, probabilmente, non ha MAI saputo vivere) si ritrovi costretto a spiegarne la bellezza e la trivialità, a vivere tutte le gioie di cui si è sempre privato per paura e ad apprezzare anche ciò che normalmente diamo per scontato oppure ignoriamo per pudicizia. E qui mi devo fermare, necessariamente, o parte lo spoiler. Aggiungo solo che neppure la Disney ha mai raccontato così bene la bellezza di riuscire ad essere sé stessi e di assaporare la libertà di vivere semplicemente, senza paura del giudizio altrui, a prescindere da quanto siamo strani, brutti o impacciati (in una parola umani)... e che non bisogna tenersi tutto dentro. Non sempre almeno, via.
Di Paul Dano (Henry), Daniel Radcliffe (Manny) e Mary Elizabeth Winstead (Sarah) ho già parlato ai rispettivi link.
Dan Kwan e Daniel Scheinert, conosciuti come "Daniels" sono i registi e sceneggiatori della pellicola, al loro primo lungometraggio. Assieme hanno diretto video per artisti come Tenacious D, Foster the People e pubblicità per marchi quali Levi's, Weetabix e Converse.
Se Swiss Army Man vi fosse piaciuto recuperate Weekend con il morto, Fido e Lars e una ragazza tutta sua. ENJOY!
domenica 1 maggio 2016
10 Cloverfield Lane (2016)
In questi giorni è uscito in Italia 10 Cloverfield Lane, apparentemente sequel dell'acclamato Cloverfield e diretto dal regista Dan Trachtenberg.
Trama: dopo un incidente, la giovane Michelle si ritrova chiusa in un bunker di proprietà del corpulento Howard. L'uomo, convinto che il mondo esterno sia stato devastato da una catastrofe nucleare, è ben deciso a non fare uscire né lei né l'altro prigioniero del rifugio, Emmett...
Come al solito quando mi capita di vedere i film, soprattutto quando si parla di opere molto recenti, non sto a documentarmi molto in merito, non solo per evitare spoiler ma anche per non copiare involontariamente il pensiero di qualche recensore degno di tale nome. E' per questo motivo che la visione di 10 Cloverfield Lane mi ha lasciata abbastanza perplessa. Sinceramente, mi aspettavo infatti di trovarmi davanti un film "di mostri" solo parzialmente ambientato in un bunker mentre la pellicola di Dan Trachtenberg è un thriller claustrofobico dove ciò che succede all'esterno conta fino ad un certo punto. Volete la verità? In pratica 10 Cloverfield Lane è la brutta copia di The Divide, con molti meno personaggi, tra l'altro ben poco interessanti, e, peggio ancora, molta meno follia; l'ora e mezza di durata pesa come un macigno tra dialoghi di una banalità sconcertante, silenzi protratti, ambienti sempre uguali e qualche imprevisto a spezzare la precaria routine dei tre ospiti del bunker. Cloverfield era interessante e si differenziava dalla miriade di found footage realizzati fino a quel momento perché aveva il coraggio di non mostrare praticamente nulla e di forzare lo spettatore ad immaginare, coinvolgendolo in un crescendo di tensione che deflagrava in un finale cattivissimo, mentre 10 Cloverfield Lane si rifugia nella sicurezza del "già visto", mettendo in piedi una storia fatta di psicosi da operetta, sindromi di stoccolma e qualche riferimento al film di Matt Reeves (riferimenti che, se non conoscete la pellicola a menadito o se non l'avete vista giusto qualche giorno fa, sicuramente non riuscirete a cogliere, un po' com'è successo a me) gettati lì a mo' di contentino. Anche in questo caso il finale è abbastanza interessante, o per meglio dire furbo, tuttavia è un po' poco per salvare una pellicola assolutamente non necessaria.
Ora, voi direte: cavolo, c'è John Goodman. E normalmente io vi risponderei: avete ragione, l'adorato ciccionetto salva la baracca. Magari. Purtroppo anche Goodman, di solito poco meno che eccelso, stenta a far decollare un personaggio che si affossa ad ogni minuto che passa, trincerandosi dietro silenzi minacciosi oppure profondendosi in imbarazzanti siparietti atti a sbattere in faccia allo spettatore, se fosse così scemo da non averlo capito dopo le prime sequenze, che "qualcosa non va!11!1111!!!". Un po' meglio la Winstead, eroina cazzutissima con l'interessante hobby della sartoria, probabilmente l'unico motivo di interesse che un uomo potrebbe trovare guardando 10 Cloverfield Lane, ma purtroppo alla protagonista è stata affiancata una spalla di rara mollezza, un personaggio che sarebbe andato bene giusto in un film di Kevin Smith ambientato negli anni '90, magari per essere preso a ceffoni da Jay e Silent Bob. Non c'è empatia verso i protagonisti, non c'è l'ansia nel sapere quale sarà il loro destino e, quel che è peggio, nelle poche scene che dovrebbero effettivamente uccidere lo spettatore con un senso soverchiante di claustrofobia non c'è nemmeno quello. Il finale probabilmente ha consumato l'intero budget messo a disposizione dei realizzatori ma, dopo tutto ciò che è stato mostrato prima, pare davvero attaccato con la colla, giusto per svegliare un pubblico ormai addormentato dalla camurrìa. A costo di essere ripetitiva, torno a pensare a The Divide e alle splendide immagini che accompagnavano la letterale rinascita della protagonista, in un afflato di poesia e personalità di cui, ahimé, questo 10 Cloverfield Lane è dolorosamente privo.
Di John Goodman (Howard), Mary Elizabeth Winstead (Michelle) e Bradley Cooper (la voce di Ben) ho già parlato ai rispettivi link.
Dan Trachtenberg è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, anche sceneggiatore e attore, ha 35 anni.
John Gallagher Jr. interpreta Emmett. Americano, ha partecipato a film come Margaret e Hush. Ha 32 anni e un film in uscita.
10 Cloverfield Lane, nato come una sceneggiatura completamente indipendente, è, a detta del produttore J.J. Abrams, un "consanguineo" di Cloverfield, al quale è collegato da un sacco di riferimenti, tuttavia non è un prequel né un sequel, quindi non è necessario guardare il film di Matt Reeves per capirlo o apprezzarlo; se comunque 10 Cloverfield Lane vi fosse piaciuto recuperatelo (anche perché pare non sia finita qui...) e aggiungete Misery non deve morire e The Divide. ENJOY!
Trama: dopo un incidente, la giovane Michelle si ritrova chiusa in un bunker di proprietà del corpulento Howard. L'uomo, convinto che il mondo esterno sia stato devastato da una catastrofe nucleare, è ben deciso a non fare uscire né lei né l'altro prigioniero del rifugio, Emmett...
Come al solito quando mi capita di vedere i film, soprattutto quando si parla di opere molto recenti, non sto a documentarmi molto in merito, non solo per evitare spoiler ma anche per non copiare involontariamente il pensiero di qualche recensore degno di tale nome. E' per questo motivo che la visione di 10 Cloverfield Lane mi ha lasciata abbastanza perplessa. Sinceramente, mi aspettavo infatti di trovarmi davanti un film "di mostri" solo parzialmente ambientato in un bunker mentre la pellicola di Dan Trachtenberg è un thriller claustrofobico dove ciò che succede all'esterno conta fino ad un certo punto. Volete la verità? In pratica 10 Cloverfield Lane è la brutta copia di The Divide, con molti meno personaggi, tra l'altro ben poco interessanti, e, peggio ancora, molta meno follia; l'ora e mezza di durata pesa come un macigno tra dialoghi di una banalità sconcertante, silenzi protratti, ambienti sempre uguali e qualche imprevisto a spezzare la precaria routine dei tre ospiti del bunker. Cloverfield era interessante e si differenziava dalla miriade di found footage realizzati fino a quel momento perché aveva il coraggio di non mostrare praticamente nulla e di forzare lo spettatore ad immaginare, coinvolgendolo in un crescendo di tensione che deflagrava in un finale cattivissimo, mentre 10 Cloverfield Lane si rifugia nella sicurezza del "già visto", mettendo in piedi una storia fatta di psicosi da operetta, sindromi di stoccolma e qualche riferimento al film di Matt Reeves (riferimenti che, se non conoscete la pellicola a menadito o se non l'avete vista giusto qualche giorno fa, sicuramente non riuscirete a cogliere, un po' com'è successo a me) gettati lì a mo' di contentino. Anche in questo caso il finale è abbastanza interessante, o per meglio dire furbo, tuttavia è un po' poco per salvare una pellicola assolutamente non necessaria.
Ora, voi direte: cavolo, c'è John Goodman. E normalmente io vi risponderei: avete ragione, l'adorato ciccionetto salva la baracca. Magari. Purtroppo anche Goodman, di solito poco meno che eccelso, stenta a far decollare un personaggio che si affossa ad ogni minuto che passa, trincerandosi dietro silenzi minacciosi oppure profondendosi in imbarazzanti siparietti atti a sbattere in faccia allo spettatore, se fosse così scemo da non averlo capito dopo le prime sequenze, che "qualcosa non va!11!1111!!!". Un po' meglio la Winstead, eroina cazzutissima con l'interessante hobby della sartoria, probabilmente l'unico motivo di interesse che un uomo potrebbe trovare guardando 10 Cloverfield Lane, ma purtroppo alla protagonista è stata affiancata una spalla di rara mollezza, un personaggio che sarebbe andato bene giusto in un film di Kevin Smith ambientato negli anni '90, magari per essere preso a ceffoni da Jay e Silent Bob. Non c'è empatia verso i protagonisti, non c'è l'ansia nel sapere quale sarà il loro destino e, quel che è peggio, nelle poche scene che dovrebbero effettivamente uccidere lo spettatore con un senso soverchiante di claustrofobia non c'è nemmeno quello. Il finale probabilmente ha consumato l'intero budget messo a disposizione dei realizzatori ma, dopo tutto ciò che è stato mostrato prima, pare davvero attaccato con la colla, giusto per svegliare un pubblico ormai addormentato dalla camurrìa. A costo di essere ripetitiva, torno a pensare a The Divide e alle splendide immagini che accompagnavano la letterale rinascita della protagonista, in un afflato di poesia e personalità di cui, ahimé, questo 10 Cloverfield Lane è dolorosamente privo.
Di John Goodman (Howard), Mary Elizabeth Winstead (Michelle) e Bradley Cooper (la voce di Ben) ho già parlato ai rispettivi link.
Dan Trachtenberg è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, anche sceneggiatore e attore, ha 35 anni.
John Gallagher Jr. interpreta Emmett. Americano, ha partecipato a film come Margaret e Hush. Ha 32 anni e un film in uscita.
10 Cloverfield Lane, nato come una sceneggiatura completamente indipendente, è, a detta del produttore J.J. Abrams, un "consanguineo" di Cloverfield, al quale è collegato da un sacco di riferimenti, tuttavia non è un prequel né un sequel, quindi non è necessario guardare il film di Matt Reeves per capirlo o apprezzarlo; se comunque 10 Cloverfield Lane vi fosse piaciuto recuperatelo (anche perché pare non sia finita qui...) e aggiungete Misery non deve morire e The Divide. ENJOY!
venerdì 26 giugno 2015
La regola del gioco (2014)
Come pubblicizzano durante i trailer, quest'estate cinematografica dovrebbe essere particolarmente ricca e tra gli altri film che vengono citati nel corso di questa pubblicità c'è anche La regola del gioco (Kill the Messenger), diretto nel 2014 dal regista Michael Cuesta e basato sia sulla serie di articoli Dark Alliance di Gary Webb sia sulla stessa biografia di Webb, redatta da Nick Schou, dal titolo Kill the Messenger.
Trama: il giornalista Gary Webb pubblica una serie di articoli dove accusa la CIA di avere collaborato in Nicaragua con i ribelli anti-governativi Contra, aiutandoli a spacciare cocaina e crack nei bassifondi di Los Angeles per finanziare la loro causa. All'inizio Webb viene trattato come un eroe, dopodiché le cose si fanno sempre più dure, per lui e per la sua famiglia...
Sarà che sto invecchiando ma, pur continuando ad avere qualche difficoltà nel tenere il filo di tutti i nomi e le facce che scorrono sullo schermo nell'arco di due ore, i film tratti da storie vere come La regola del gioco (altro titolo italiano imbecille: che regola sarebbe? Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni?) mi intrigano sempre di più. Al di là delle parti palesemente romanzate, di "dettagli" aggiunti per rendere più umani i personaggi (come per esempio, in questo caso, il rapporto tra il protagonista e il figlio maggiore, cementato dal restauro di una moto d'epoca) e dell'ovvia scelta di rendere il sembiante dei coinvolti più glamour e piacevole di quanto non fosse in realtà, questi spaccati di vita vissuta mi interessano molto e in particolare mi affascina l'intricato mondo del giornalismo o, meglio, di quello che era una volta il giornalismo, fatto di professionisti appassionati e libero dal pressapochismo internettiano. Purtroppo per Gary Webb, non libero da influenze politiche né da diffidenza, invidia o ipocrisia; reporter di un giornale di provincia, il nostro è balzato agli onori della cronaca per un'inchiesta nata assolutamente per caso, che gli ha sì permesso di mettere in piazza gli altarini più squallidi ed ipocriti della CIA ma ha anche attirato su di sé le e ire e, conseguentemente, le sgradevoli attenzioni di persone prive di scrupoli e molto pericolose. Nel mondo dei media la credibilità è tutto ma, come già ci ha insegnato Fincher con il suo Gone Girl, è ancora più importante assecondare e fomentare la volubilità di un pubblico che ama sguazzare nel torbido e che in pochissimo tempo può passare dall'elevare una persona al rango di guru al reputarlo un truffatore della peggior specie per degli errori passati che nulla hanno a che fare con la sua professionalità. Nel corso di La regola del gioco a Gary Webb (reporter realmente esistito e morto in in circostanze misteriose, abbandonato dalla famiglia e senza avere avuto mai più la possibilità di lavorare per un giornale) succede proprio di passare dalle stelle alle stalle; la sua inchiesta desta molto scalpore ma viene insabbiata in brevissimo tempo e nonostante smuova parecchie acque ancora oggi il mistero sul reale coinvolgimento della CIA nella guerra civile in Nicaragua e, soprattutto, nella conseguente distribuzione della droga dei Contra a Los Angeles, è avvolta in una nube di mistero.
La pellicola si concentra quindi più sull'aspetto umano di Gary Webb che sull'effettiva validità della sua inchiesta ed offre un inquietante spaccato di quello che sta dietro le quinte di quella che dovrebbe essere un'informazione imparziale, fatta in realtà di giochi politici, compromessi ed ipocrisia: la lunga sequenza in cui Webb ritira comunque un premio come "giornalista dell'anno" mentre né il suo capo né il suo redattore hanno il coraggio di guardarlo in faccia dopo avere rinnegato pubblicamente i suoi articoli mette i brividi e lascia impotenti davanti al peso di una realtà così tragicamente e schifosamente negativa. Essere tacciato di falsità e pressapochismo ma ricevere comunque un premio per l'eccellenza del lavoro svolto è il culmine di una tragedia umana che si mescola in maniera molto naturale alla spy story, elementi che trasformano La regola del gioco in un thriller d'inchiesta privo di momenti "morti" e capace d'inchiodare lo spettatore alla poltrona. Merito della storia narrata, sì, ma anche di un bravissimo Jeremy Renner, che si carica sulle spalle tutta l'ambizione, la sfrontatezza e la fragilità di Gary Webb senza risultare mai posticcio o forzato. Accanto a lui c'è tutta una ridda di comprimari che incarnano le due anime di La regola del gioco: a mio avviso funzionano molto bene attori come Mary Elizabeth Winstead o Oliver Platt, che ancorano la storia alla sua parte maggiormente "reale", mentre altri grandi nomi quali Ray Liotta o Andy Garcia (due attoroni quasi sprecati per quel che compaiono sullo schermo e lo stesso vale per Robert Patrick e Barry Pepper, per quanto ottimi caratteristi di lusso) risultano un po' fasulli nei loro ritratti di malviventi quasi leggendari, come se interpretassero le caricature dei loro personaggi più famosi. A parte questo trascurabile, piccolissimo difetto, La regola del gioco è un solido film dal sapore quasi anni '70, una di quelle pellicole intelligenti in grado di spingere lo spettatore a volersi documentare ulteriormente sui fatti narrati. In questa torrida estate di dinosauri, orsacchiotti e futuri post-apocalittici sarebbe bene ritagliare uno spazio anche per il film di Michael Cuesta!
Di Jeremy Renner (Gary Webb), Robert Patrick (Ronald J. Quail), Mary Elizabeth Winstead (Anna Simons), Barry Pepper (Russel Dodson), Tim Blake Nelson (Alan Fenster), Michael Kenneth Williams (Ricky Ross), Oliver Platt (Jerry Ceppos), Andy Garcia (Norwin Meneses), Michael Sheen (Fred Weil) e Ray Liotta (John Cullen) ho già parlato ai rispettivi link.
Michael Cuesta è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film episodi delle serie Six Feet Under, Dexter, True Blood e Homeland. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.
Paz Vega (vero nome Paz Campos Trigo) interpreta Coral Baca. Spagnola, ha partecipato a film come Lucía y el sexo, Parla con lei, The Spirit, Vallanzasca - Gli angeli del male, Gli amanti passeggeri, Grace di Monaco e doppiato Madagascar 3 - Ricercati in Europa. Ha 39 anni e cinque film in uscita.
Durante le primissime fasi di produzione del film, erano stati fatti i nomi di Brad Pitt e Tom Cruise per il ruolo di Gary Webb mentre Spike Lee si era dimostrato molto interessato a finire dietro la macchina da presa. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Tutti gli uomini del presidente, Good Night, and Good Luck. e Insider - Dietro la verità. ENJOY!
Trama: il giornalista Gary Webb pubblica una serie di articoli dove accusa la CIA di avere collaborato in Nicaragua con i ribelli anti-governativi Contra, aiutandoli a spacciare cocaina e crack nei bassifondi di Los Angeles per finanziare la loro causa. All'inizio Webb viene trattato come un eroe, dopodiché le cose si fanno sempre più dure, per lui e per la sua famiglia...
Sarà che sto invecchiando ma, pur continuando ad avere qualche difficoltà nel tenere il filo di tutti i nomi e le facce che scorrono sullo schermo nell'arco di due ore, i film tratti da storie vere come La regola del gioco (altro titolo italiano imbecille: che regola sarebbe? Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni?) mi intrigano sempre di più. Al di là delle parti palesemente romanzate, di "dettagli" aggiunti per rendere più umani i personaggi (come per esempio, in questo caso, il rapporto tra il protagonista e il figlio maggiore, cementato dal restauro di una moto d'epoca) e dell'ovvia scelta di rendere il sembiante dei coinvolti più glamour e piacevole di quanto non fosse in realtà, questi spaccati di vita vissuta mi interessano molto e in particolare mi affascina l'intricato mondo del giornalismo o, meglio, di quello che era una volta il giornalismo, fatto di professionisti appassionati e libero dal pressapochismo internettiano. Purtroppo per Gary Webb, non libero da influenze politiche né da diffidenza, invidia o ipocrisia; reporter di un giornale di provincia, il nostro è balzato agli onori della cronaca per un'inchiesta nata assolutamente per caso, che gli ha sì permesso di mettere in piazza gli altarini più squallidi ed ipocriti della CIA ma ha anche attirato su di sé le e ire e, conseguentemente, le sgradevoli attenzioni di persone prive di scrupoli e molto pericolose. Nel mondo dei media la credibilità è tutto ma, come già ci ha insegnato Fincher con il suo Gone Girl, è ancora più importante assecondare e fomentare la volubilità di un pubblico che ama sguazzare nel torbido e che in pochissimo tempo può passare dall'elevare una persona al rango di guru al reputarlo un truffatore della peggior specie per degli errori passati che nulla hanno a che fare con la sua professionalità. Nel corso di La regola del gioco a Gary Webb (reporter realmente esistito e morto in in circostanze misteriose, abbandonato dalla famiglia e senza avere avuto mai più la possibilità di lavorare per un giornale) succede proprio di passare dalle stelle alle stalle; la sua inchiesta desta molto scalpore ma viene insabbiata in brevissimo tempo e nonostante smuova parecchie acque ancora oggi il mistero sul reale coinvolgimento della CIA nella guerra civile in Nicaragua e, soprattutto, nella conseguente distribuzione della droga dei Contra a Los Angeles, è avvolta in una nube di mistero.
La pellicola si concentra quindi più sull'aspetto umano di Gary Webb che sull'effettiva validità della sua inchiesta ed offre un inquietante spaccato di quello che sta dietro le quinte di quella che dovrebbe essere un'informazione imparziale, fatta in realtà di giochi politici, compromessi ed ipocrisia: la lunga sequenza in cui Webb ritira comunque un premio come "giornalista dell'anno" mentre né il suo capo né il suo redattore hanno il coraggio di guardarlo in faccia dopo avere rinnegato pubblicamente i suoi articoli mette i brividi e lascia impotenti davanti al peso di una realtà così tragicamente e schifosamente negativa. Essere tacciato di falsità e pressapochismo ma ricevere comunque un premio per l'eccellenza del lavoro svolto è il culmine di una tragedia umana che si mescola in maniera molto naturale alla spy story, elementi che trasformano La regola del gioco in un thriller d'inchiesta privo di momenti "morti" e capace d'inchiodare lo spettatore alla poltrona. Merito della storia narrata, sì, ma anche di un bravissimo Jeremy Renner, che si carica sulle spalle tutta l'ambizione, la sfrontatezza e la fragilità di Gary Webb senza risultare mai posticcio o forzato. Accanto a lui c'è tutta una ridda di comprimari che incarnano le due anime di La regola del gioco: a mio avviso funzionano molto bene attori come Mary Elizabeth Winstead o Oliver Platt, che ancorano la storia alla sua parte maggiormente "reale", mentre altri grandi nomi quali Ray Liotta o Andy Garcia (due attoroni quasi sprecati per quel che compaiono sullo schermo e lo stesso vale per Robert Patrick e Barry Pepper, per quanto ottimi caratteristi di lusso) risultano un po' fasulli nei loro ritratti di malviventi quasi leggendari, come se interpretassero le caricature dei loro personaggi più famosi. A parte questo trascurabile, piccolissimo difetto, La regola del gioco è un solido film dal sapore quasi anni '70, una di quelle pellicole intelligenti in grado di spingere lo spettatore a volersi documentare ulteriormente sui fatti narrati. In questa torrida estate di dinosauri, orsacchiotti e futuri post-apocalittici sarebbe bene ritagliare uno spazio anche per il film di Michael Cuesta!
Di Jeremy Renner (Gary Webb), Robert Patrick (Ronald J. Quail), Mary Elizabeth Winstead (Anna Simons), Barry Pepper (Russel Dodson), Tim Blake Nelson (Alan Fenster), Michael Kenneth Williams (Ricky Ross), Oliver Platt (Jerry Ceppos), Andy Garcia (Norwin Meneses), Michael Sheen (Fred Weil) e Ray Liotta (John Cullen) ho già parlato ai rispettivi link.
Michael Cuesta è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film episodi delle serie Six Feet Under, Dexter, True Blood e Homeland. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.
Paz Vega (vero nome Paz Campos Trigo) interpreta Coral Baca. Spagnola, ha partecipato a film come Lucía y el sexo, Parla con lei, The Spirit, Vallanzasca - Gli angeli del male, Gli amanti passeggeri, Grace di Monaco e doppiato Madagascar 3 - Ricercati in Europa. Ha 39 anni e cinque film in uscita.
Durante le primissime fasi di produzione del film, erano stati fatti i nomi di Brad Pitt e Tom Cruise per il ruolo di Gary Webb mentre Spike Lee si era dimostrato molto interessato a finire dietro la macchina da presa. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Tutti gli uomini del presidente, Good Night, and Good Luck. e Insider - Dietro la verità. ENJOY!
mercoledì 25 luglio 2012
La leggenda del cacciatore di vampiri (2012)
L’estate continua, cinematograficamente parlando, all’insegna di “quel che passa al convento”. L’altra sera, quindi, sono andata a vedere La leggenda del cacciatore di vampiri (Abraham Lincoln: Vampire Hunter) del regista Timur Bekmambetov, tratto dall’omonimo libro dello scrittore e sceneggiatore Seth Grahame – Smith.
Trama: un giovane Lincoln vede la sua famiglia sterminata da un vampiro. Desideroso di vendetta, incontra sul suo cammino Henry Sturges, un uomo che gli insegna a diventare un cacciatore provetto, ma nella mente di Lincoln cominciano anche a profilarsi idee di libertà e giustizia per gli schiavi…
La leggenda del cacciatore di vampiri è tutto quello che mi aspettavo, ovvero un innocuo fumettone estivo, poco horror e molto fracassone, che prende la storia americana, la mastica, la digerisce e la sputa riadattandola a favore di un pubblico di decerebrati, con un occhio alle mode del momento. Timur Bekmambetov dirige con la stessa grazia che avrebbe un metallaro strafatto all’Opera di Parigi, fulminando lo spettatore con scene d’azione velocissime, mosse al ralenti, accettate che staccano teste e inondano la scena di mucchi di sangue, grandiose sequenze catastrofiche e molti, troppi effetti che avrebbero reso solo inforcando gli occhiali 3D (per una volta, invece, dalle mie parti questa dubbia tecnologia è stata snobbata), mentre come al solito la sceneggiatura di Seth Grahame – Smith ignora con allegria alcuni passaggi fondamentali e rende la trama lacunosa e piena di personaggi che saltano fuori senza motivo e senza coerenza.
Premesso questo, La leggenda del cacciatore di vampiri si conferma comunque un buon prodotto di intrattenimento, a patto di non andare a cercare troppo il pelo nell’uovo come ho fatto io. I personaggi sono simpatici e il nocciolo della storia è interessante, soprattutto nella prima parte del film, che si concentra sulla gioventù di Abramo Lincoln e cerca, anche se spesso in modo un po’ forzato, di giustificare le scelte del vero uomo politico rivedendole in chiave fantahorror, con questa cricca di vampiri “sudroni” che approfittano della schiavitù per pasteggiare indisturbati. Assistiamo così all’”educazione” del futuro presidente per mano di un esilarante personaggio che sembra essere stato creato apposta per Robert Downey Jr. (cialtrone, alcolizzato, a modo suo figo) e ai primi approcci al mestiere, con dovizia di zanne, accettate, sparatorie e sangue. Se il film si fermasse dopo la prima ora, lasciando in sospeso il futuro di Lincoln, forse il mio giudizio sarebbe stato totalmente positivo, nonostante alcune insostenibili tamarrate registiche di cui parlerò; il problema è che poi Seth Grahame – Smith comincia a perdere il controllo della sua creatura, crea una sorta di banda di cacciatori di vampiri nata dal nulla, ci presenta un Lincoln ormai cinquantenne e truccato malissimo, santo cielo!!, non chiarisce cosa possano fare i vampiri agli umani (sicuramente si nutrono delle persone, ma diventa vampiro solo chi vogliono loro, forse il loro sangue è velenoso, non possono attaccarsi a vicenda ma la cosa viene contraddetta sul finale… insomma, un gran casino) e, sinceramente, se discendessi da qualche povero contadinasso che ha combattuto all’epoca per il Sud mi infurierei non poco, visto che lo sceneggiatore ha deciso di dipingere i sudisti come un branco di carogne che non esitavano ad usare i vampiri per negare la libertà agli schiavi.
Passando ad aspetti più tecnici, la regia di Timur Bekmambetov è adrenalinica come al solito e, nonostante non mi faccia impazzire come stile, è sicuramente la più adatta per un film simile, lo ammetto. Ho molto apprezzato la sequenza in cui le immagini sembrano un quadro dipinto in movimento, ho ammirato le coreografie dei vari combattimenti, affascinata dai movimenti d’accetta di Lincoln e dai balzi felini della vampiressa, inoltre la battaglia finale sul treno, con i personaggi che combattono immersi nelle scintille di fuoco, è davvero notevole, ma ogni sentimento mi è caduto durante la sequenza girata in mezzo ad un branco di cavalli impazziti. Ecco, lì la definizione di sboroneria non rende l’idea di cos’è questa tamarrata: Lincoln contro uno dei vampiri che saltano sui cavalli in corsa, immersi nella polvere, combattendosi talvolta a colpi di cavallo (giuro…), con l’umano che si vede piombare addosso più di 100 chili di bestia e non si spezza neppure la schiena. Un’incredibile str***ata, grossa quanto l’idea che basti provare odio verso qualcosa per spaccare con un sol colpo d’accetta un albero. Peccato per queste cadute di stile, perché se dovessi dire la verità ho trovato molto validi anche tutti gli attori coinvolti e gli effetti speciali nonostante, come ho detto, il trucco che invecchia i personaggi segnando il passare degli anni faccia davvero schifo. Purtroppo La leggenda del cacciatore di vampiri è penalizzato anche da quintali di insopportabile retorica filoamericana, cosa che trovo assolutamente fastidiosa, il che mi spinge a dare comunque un voto negativo all’intera operazione e a consigliarvi di non spendere soldi per la pellicola, a meno che davvero non abbiate voglia di spararvi un’ora e fischia di calci, sangue, botti e “God bless the USA”… ma per quello arriveranno a breve I mercenari, non temete!
Del regista Timur Bekmambetov ho già parlato qui, mentre Mary Elizabeth Winstead, che interpreta Mary Todd, la trovate qua.
Benjamin Walker interpreta Abramo Lincoln. Americano, ha partecipato a film come Flags of Our Fathers. Ha 30 anni e tre film in uscita.
Dominic Cooper interpreta Henry Sturges. Inglese, ha partecipato a film come La vera storia di Jack lo squartatore, Mamma Mia!, Capitan America: il primo vendicatore e Marilyn. Ha 34 anni e sei film in uscita.
Anthony Mackie interpreta Will Johnson. Americano, ha partecipato a film come 8 Mile, Million Dollar Baby, I guardiani del destino e Real Steel. Anche sceneggiatore, ha 33 anni e sette film in uscita, tra cui Captain America: The Winter Soldier.
Rufus Sewell interpreta Adam. Inglese, ha partecipato a film come Hamlet, Dark City, La mossa del diavolo, L’ultimo cavaliere e La leggenda di Zorro. Ha 45 anni e tre film in uscita.
Marton Csokas interpreta Jack Barts. Neozelandese, ha partecipato a film come Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello, xXx, Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, Alice in Wonderland e alle serie Hercules, Cleopatra 2525 e Xena principessa guerriera. Ha 46 anni e due film in uscita.
Tom Hardy avrebbe dovuto interpretare Lincoln, ma siccome stava già girando Il ritorno del Cavaliere Oscuro non se n’è fatto nulla. Altri due nomi eccellenti che hanno rinunciato a partecipare al film sono Joaquin Phoenix per il ruolo di Henry e Trent Reznor, che avrebbe dovuto scrivere dei pezzi per la colonna sonora e anche comparire nella pellicola. Meglio così per tutti loro, mi sa. ENJOY!!
Trama: un giovane Lincoln vede la sua famiglia sterminata da un vampiro. Desideroso di vendetta, incontra sul suo cammino Henry Sturges, un uomo che gli insegna a diventare un cacciatore provetto, ma nella mente di Lincoln cominciano anche a profilarsi idee di libertà e giustizia per gli schiavi…
La leggenda del cacciatore di vampiri è tutto quello che mi aspettavo, ovvero un innocuo fumettone estivo, poco horror e molto fracassone, che prende la storia americana, la mastica, la digerisce e la sputa riadattandola a favore di un pubblico di decerebrati, con un occhio alle mode del momento. Timur Bekmambetov dirige con la stessa grazia che avrebbe un metallaro strafatto all’Opera di Parigi, fulminando lo spettatore con scene d’azione velocissime, mosse al ralenti, accettate che staccano teste e inondano la scena di mucchi di sangue, grandiose sequenze catastrofiche e molti, troppi effetti che avrebbero reso solo inforcando gli occhiali 3D (per una volta, invece, dalle mie parti questa dubbia tecnologia è stata snobbata), mentre come al solito la sceneggiatura di Seth Grahame – Smith ignora con allegria alcuni passaggi fondamentali e rende la trama lacunosa e piena di personaggi che saltano fuori senza motivo e senza coerenza.
Premesso questo, La leggenda del cacciatore di vampiri si conferma comunque un buon prodotto di intrattenimento, a patto di non andare a cercare troppo il pelo nell’uovo come ho fatto io. I personaggi sono simpatici e il nocciolo della storia è interessante, soprattutto nella prima parte del film, che si concentra sulla gioventù di Abramo Lincoln e cerca, anche se spesso in modo un po’ forzato, di giustificare le scelte del vero uomo politico rivedendole in chiave fantahorror, con questa cricca di vampiri “sudroni” che approfittano della schiavitù per pasteggiare indisturbati. Assistiamo così all’”educazione” del futuro presidente per mano di un esilarante personaggio che sembra essere stato creato apposta per Robert Downey Jr. (cialtrone, alcolizzato, a modo suo figo) e ai primi approcci al mestiere, con dovizia di zanne, accettate, sparatorie e sangue. Se il film si fermasse dopo la prima ora, lasciando in sospeso il futuro di Lincoln, forse il mio giudizio sarebbe stato totalmente positivo, nonostante alcune insostenibili tamarrate registiche di cui parlerò; il problema è che poi Seth Grahame – Smith comincia a perdere il controllo della sua creatura, crea una sorta di banda di cacciatori di vampiri nata dal nulla, ci presenta un Lincoln ormai cinquantenne e truccato malissimo, santo cielo!!, non chiarisce cosa possano fare i vampiri agli umani (sicuramente si nutrono delle persone, ma diventa vampiro solo chi vogliono loro, forse il loro sangue è velenoso, non possono attaccarsi a vicenda ma la cosa viene contraddetta sul finale… insomma, un gran casino) e, sinceramente, se discendessi da qualche povero contadinasso che ha combattuto all’epoca per il Sud mi infurierei non poco, visto che lo sceneggiatore ha deciso di dipingere i sudisti come un branco di carogne che non esitavano ad usare i vampiri per negare la libertà agli schiavi.
Passando ad aspetti più tecnici, la regia di Timur Bekmambetov è adrenalinica come al solito e, nonostante non mi faccia impazzire come stile, è sicuramente la più adatta per un film simile, lo ammetto. Ho molto apprezzato la sequenza in cui le immagini sembrano un quadro dipinto in movimento, ho ammirato le coreografie dei vari combattimenti, affascinata dai movimenti d’accetta di Lincoln e dai balzi felini della vampiressa, inoltre la battaglia finale sul treno, con i personaggi che combattono immersi nelle scintille di fuoco, è davvero notevole, ma ogni sentimento mi è caduto durante la sequenza girata in mezzo ad un branco di cavalli impazziti. Ecco, lì la definizione di sboroneria non rende l’idea di cos’è questa tamarrata: Lincoln contro uno dei vampiri che saltano sui cavalli in corsa, immersi nella polvere, combattendosi talvolta a colpi di cavallo (giuro…), con l’umano che si vede piombare addosso più di 100 chili di bestia e non si spezza neppure la schiena. Un’incredibile str***ata, grossa quanto l’idea che basti provare odio verso qualcosa per spaccare con un sol colpo d’accetta un albero. Peccato per queste cadute di stile, perché se dovessi dire la verità ho trovato molto validi anche tutti gli attori coinvolti e gli effetti speciali nonostante, come ho detto, il trucco che invecchia i personaggi segnando il passare degli anni faccia davvero schifo. Purtroppo La leggenda del cacciatore di vampiri è penalizzato anche da quintali di insopportabile retorica filoamericana, cosa che trovo assolutamente fastidiosa, il che mi spinge a dare comunque un voto negativo all’intera operazione e a consigliarvi di non spendere soldi per la pellicola, a meno che davvero non abbiate voglia di spararvi un’ora e fischia di calci, sangue, botti e “God bless the USA”… ma per quello arriveranno a breve I mercenari, non temete!
Del regista Timur Bekmambetov ho già parlato qui, mentre Mary Elizabeth Winstead, che interpreta Mary Todd, la trovate qua.
Benjamin Walker interpreta Abramo Lincoln. Americano, ha partecipato a film come Flags of Our Fathers. Ha 30 anni e tre film in uscita.
Dominic Cooper interpreta Henry Sturges. Inglese, ha partecipato a film come La vera storia di Jack lo squartatore, Mamma Mia!, Capitan America: il primo vendicatore e Marilyn. Ha 34 anni e sei film in uscita.
Anthony Mackie interpreta Will Johnson. Americano, ha partecipato a film come 8 Mile, Million Dollar Baby, I guardiani del destino e Real Steel. Anche sceneggiatore, ha 33 anni e sette film in uscita, tra cui Captain America: The Winter Soldier.
Rufus Sewell interpreta Adam. Inglese, ha partecipato a film come Hamlet, Dark City, La mossa del diavolo, L’ultimo cavaliere e La leggenda di Zorro. Ha 45 anni e tre film in uscita.
Marton Csokas interpreta Jack Barts. Neozelandese, ha partecipato a film come Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello, xXx, Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, Alice in Wonderland e alle serie Hercules, Cleopatra 2525 e Xena principessa guerriera. Ha 46 anni e due film in uscita.
Tom Hardy avrebbe dovuto interpretare Lincoln, ma siccome stava già girando Il ritorno del Cavaliere Oscuro non se n’è fatto nulla. Altri due nomi eccellenti che hanno rinunciato a partecipare al film sono Joaquin Phoenix per il ruolo di Henry e Trent Reznor, che avrebbe dovuto scrivere dei pezzi per la colonna sonora e anche comparire nella pellicola. Meglio così per tutti loro, mi sa. ENJOY!!
giovedì 19 luglio 2012
Final Destination 3 (2006)
Terzo capitolo della saga della morte, siore e siori! Oggi parlerò di Final Destination 3, diretto nel 2006 dal regista James Wong. Tutti pronti a cantare Love Rollercoaster e occhio agli spoiler!
Trama: appena prima di salire sulle montagne russe col fidanzato e alcuni amici, la giovane Wendy ha una premonizione nella quale vede morire lei e tutti i passeggeri del vagoncino. La sua decisione di non salire salva lei ed altri ragazzi, ma il piano della Morte non può essere raggirato così facilmente…
Il terzo capitolo della franchise nel complesso non è male, ma non si differenzia poi molto da quelli precedenti. Lo schema è sempre identico, con la visione del megaincidente all’inizio e le macchinose morti che fanno piazza pulita dei pochi sopravvissuti, ma questa volta gli sceneggiatori hanno deciso di fornire una sorta di “supporto tecnologico” alla protagonista, che cerca di anticipare il destino dei sopravvissuti guardando le foto scattate poco prima dell’incidente. Purtroppo questa novità si conferma anche la belinata più grande dell’intera pellicola, visto che gli indizi presenti nelle foto, oltre ad essere al 90% inutili, sono anche delle incredibili forzature. Tolto questo e la solita mancanza di carisma dei vari interpreti, però, Final Destination 3 si riconferma un prodotto abbastanza godibile e, se devo essere sincera, gli incidenti di apertura e di chiusura sono i migliori visti finora.
Il fatto è che soprattutto l’incidente iniziale mi tocca molto da vicino, visto il mio atavico terrore per le altezze e la diffidenza nei confronti delle montagne russe. La sequenza è girata molto bene e riesce a infondere allo spettatore un senso di ineluttabilità e di panico che difficilmente ho provato guardando altri horror, e anche il finale è molto apprezzabile visto che, a differenza dei due episodi precedenti, fa piazza pulita dell’intero cast in maniera a dir poco grandiosa e claustrofobica. Questi due exploit iniziali e finali, però, sono le uniche cose che elevano la pellicola rispetto alla mediocrità e al piattume, perché gli altri incidenti vanno dall’accettabile al WTF? Simpatica, e a suo modo terribile, l’idea (ripresa poi in Urban Legend 3, se non sbaglio) di fare morire due incaute zoccolette ustionate dalle lampade abbronzanti al ritmo di Love Rollercoaster, ma le altre morti sono fiacche, prevedibili e assai simili tra loro e il “gioco degli indizi” comincia a diventare un po’ troppo sfacciato. Comunque sia, anche questa volta la serie Final Destination riesce nel suo intento di regalare una serata di intrattenimento, ma qualche sbadiglio comincia a profilarsi all’orizzonte. Three down, two to go!
Del regista James Wong e di Kris Lemche, che interpreta Ian, ho già parlato nei rispettivi link. Tony Todd invece presta la voce al Diavolo della giostra.
Mary Elizabeth Winstead interpreta Wendy. Americana, ha partecipato a film come The Ring 2, Black Christmas – Un Natale rosso sangue, Grindhouse – A prova di morte, Die Hard – Vivere o morire, Scott Pilgrim vs. The World (nei panni di Ramona, nientemeno!!) e La cosa (remake), oltre che a un episodio della serie Tru Calling. Anche produttrice, ha 28 anni e due film in uscita, tra cui l’imminente La leggenda del cacciatore di vampiri.
Ryan Merriman interpreta Kevin. Americano, ha partecipato a film come Halloween – La resurrezione, The Ring 2 e a serie come Jarod il camaleonte, Taken e Smallville. Ha 29 anni e ben sette film in uscita.
Il DVD del film contiene un’opzione che permette allo spettatore di “manovrare” alcune scelte dei protagonisti, cambiando così il corso degli eventi. All’inizio, scegliendo croce quando Jason e Kevin lanciano in aria la moneta per decidere chi deve stare davanti sul vagone, Wendy l’afferra a mezz’aria e scappa di corsa prima ancora di salire sulla giostra. I tre amici la seguono e ovviamente, non essendosi mai seduti, si salvano tutti e il film finisce lì. Altre scelte permettono di far morire diversamente le due zoccolotte nel salone, di salvare il maniaco pelato e di modificare altre morti; inoltre, è possibile scoprire che i due sopravvissuti del film precedente alla fine sono stati risucchiati da un tritalegna difettoso mentre cercavano di non essere colpiti da una macchina in corsa. Tantaffortuuuuna!!! Se il genere vi piacesse, ovviamente consiglio un recupero dei primi due capitoli di Final Destination e delle serie Scream o Saw. ENJOY!!
Trama: appena prima di salire sulle montagne russe col fidanzato e alcuni amici, la giovane Wendy ha una premonizione nella quale vede morire lei e tutti i passeggeri del vagoncino. La sua decisione di non salire salva lei ed altri ragazzi, ma il piano della Morte non può essere raggirato così facilmente…
Il terzo capitolo della franchise nel complesso non è male, ma non si differenzia poi molto da quelli precedenti. Lo schema è sempre identico, con la visione del megaincidente all’inizio e le macchinose morti che fanno piazza pulita dei pochi sopravvissuti, ma questa volta gli sceneggiatori hanno deciso di fornire una sorta di “supporto tecnologico” alla protagonista, che cerca di anticipare il destino dei sopravvissuti guardando le foto scattate poco prima dell’incidente. Purtroppo questa novità si conferma anche la belinata più grande dell’intera pellicola, visto che gli indizi presenti nelle foto, oltre ad essere al 90% inutili, sono anche delle incredibili forzature. Tolto questo e la solita mancanza di carisma dei vari interpreti, però, Final Destination 3 si riconferma un prodotto abbastanza godibile e, se devo essere sincera, gli incidenti di apertura e di chiusura sono i migliori visti finora.
Il fatto è che soprattutto l’incidente iniziale mi tocca molto da vicino, visto il mio atavico terrore per le altezze e la diffidenza nei confronti delle montagne russe. La sequenza è girata molto bene e riesce a infondere allo spettatore un senso di ineluttabilità e di panico che difficilmente ho provato guardando altri horror, e anche il finale è molto apprezzabile visto che, a differenza dei due episodi precedenti, fa piazza pulita dell’intero cast in maniera a dir poco grandiosa e claustrofobica. Questi due exploit iniziali e finali, però, sono le uniche cose che elevano la pellicola rispetto alla mediocrità e al piattume, perché gli altri incidenti vanno dall’accettabile al WTF? Simpatica, e a suo modo terribile, l’idea (ripresa poi in Urban Legend 3, se non sbaglio) di fare morire due incaute zoccolette ustionate dalle lampade abbronzanti al ritmo di Love Rollercoaster, ma le altre morti sono fiacche, prevedibili e assai simili tra loro e il “gioco degli indizi” comincia a diventare un po’ troppo sfacciato. Comunque sia, anche questa volta la serie Final Destination riesce nel suo intento di regalare una serata di intrattenimento, ma qualche sbadiglio comincia a profilarsi all’orizzonte. Three down, two to go!
Del regista James Wong e di Kris Lemche, che interpreta Ian, ho già parlato nei rispettivi link. Tony Todd invece presta la voce al Diavolo della giostra.
Mary Elizabeth Winstead interpreta Wendy. Americana, ha partecipato a film come The Ring 2, Black Christmas – Un Natale rosso sangue, Grindhouse – A prova di morte, Die Hard – Vivere o morire, Scott Pilgrim vs. The World (nei panni di Ramona, nientemeno!!) e La cosa (remake), oltre che a un episodio della serie Tru Calling. Anche produttrice, ha 28 anni e due film in uscita, tra cui l’imminente La leggenda del cacciatore di vampiri.
Ryan Merriman interpreta Kevin. Americano, ha partecipato a film come Halloween – La resurrezione, The Ring 2 e a serie come Jarod il camaleonte, Taken e Smallville. Ha 29 anni e ben sette film in uscita.
Il DVD del film contiene un’opzione che permette allo spettatore di “manovrare” alcune scelte dei protagonisti, cambiando così il corso degli eventi. All’inizio, scegliendo croce quando Jason e Kevin lanciano in aria la moneta per decidere chi deve stare davanti sul vagone, Wendy l’afferra a mezz’aria e scappa di corsa prima ancora di salire sulla giostra. I tre amici la seguono e ovviamente, non essendosi mai seduti, si salvano tutti e il film finisce lì. Altre scelte permettono di far morire diversamente le due zoccolotte nel salone, di salvare il maniaco pelato e di modificare altre morti; inoltre, è possibile scoprire che i due sopravvissuti del film precedente alla fine sono stati risucchiati da un tritalegna difettoso mentre cercavano di non essere colpiti da una macchina in corsa. Tantaffortuuuuna!!! Se il genere vi piacesse, ovviamente consiglio un recupero dei primi due capitoli di Final Destination e delle serie Scream o Saw. ENJOY!!
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