domenica 30 ottobre 2016

American Pastoral (2016)

Pur digiuna del romanzo omonimo di Philip Roth, mercoledì sono andata a vedere American Pastoral, esordio alla regia di Ewan McGregor.


Trama: Seymour Levov, detto lo Svedese, è invidiato da tutti per la ricchezza, la bellezza e la splendida famiglia. La vita perfetta dello Svedese comincia però a sgretolarsi quando la figlia Merry viene sospettata di avere compiuto un attentato e scompare senza lasciare traccia...


Il mio post su American Pastoral sarà sicuramente molto superficiale e ogni impressione che seguirà sarà tratta esclusivamente dalla visione del film, in quanto non ho mai letto il romanzo da cui è stato tratto e non posso fare confronti. Preso di per sé, il primo film di Ewan McGregor nei panni di regista è un gigantesco punto interrogativo. Non brutto al punto da risultare aberrante, questo no, però neppure entusiasmante. Il fatto è che non ho ben compreso cosa volesse raccontare l'attore. American Pastoral mette in scena la rovina della vita perfetta di un uomo fondamentalmente buono, con l'unica colpa di avere avuto fortuna per quel che riguarda aspetto fisico, abilità sportive e origini familiari, e per questo messo in croce dalle due donne della sua vita, moglie e figlia. Le vicende dello Svedese, ambientate negli anni turbolenti della guerra del Vietnam e delle rivolte razziali negli Stati Uniti, si intrecciano agli sconvolgimenti sociali in maniera così stretta che la sfortuna del singolo diventa la rappresentazione in piccolo di tutta la violenza subita da una Nazione bibina, fortemente convinta del fatto che il sogno americano WASP sia slegato dalle brutture del mondo al punto che quando esse colpiscono dritte nelle palle l'unica reazione è una perplessa impotenza. Lo Svedese, a dispetto delle radici ebree e del soprannome, E' la quintessenza dell'America buona ma ottusa, impreparata ad affrontare la triste realtà pur con tutte le migliori intenzioni, mentre la figlia Merry rappresenta invece il mondo intero, pronto ad aprire gli occhi all'ignoranza provinciale e a ricoprirglieli di sangue e sofferenza; Dawn, moglie dello Svedese, diventa invece quell'America superficiale in maniera fastidiosa, che sceglie di non vedere e tagliare via ciò che offende il suo sguardo, fosse anche quella parte di popolazione "naif" di cui si parlava sopra, che alla bisogna diventa capo espiatorio per tutto ciò che non va. Insomma, democratici contro repubblicani, con rivoluzionari, terroristi e invasati senza arte né parte a fare da triste spartiacque. E, purtroppo, mai una volta che il discorso venga approfondito.


Il fatale difetto di American Pastoral è per l'appunto questo avvicendarsi sullo schermo di macchiette da deridere, caratteri appena abbozzati e talmente prevedibili da risultare fastidiosi. Con tutto il bene che si arriva a volere allo Svedese, fondamentalmente una povera mucca condotta al macello, la sua natura ignava e la sua cocciutaggine mettono voglia di prenderlo a ceffoni. Non che questo giustifichi minimamente moglie e figlia, rispettivamente interpretate da una superba Jennifer Connelly e da una Dakota Fanning che ad ogni inquadratura ti porta a pensare "Ma come hai fatto a diventare così MMostro, figlia mia? Eri una bimbetta così carina...". Miracolo del make-up (che mostra tutti i suoi limiti quando deve invecchiare o ringiovanire in maniera naturale i personaggi, ridotti a maschere di cera), la Connelly passa da moglie e madre coraggio ad algida stronza le cui motivazioni sono talmente risibili che meriterebbe un colpo di pistola in fronte, mentre la Fanning è semplicemente odiosa, anche senza bisogno di trucco: la pargola balbuziente spinge lo spettatore a volerle strappare la lingua ogni volta che apre bocca e il passaggio da mocciosa psicotica a terrorista, per poi arrivare a sucida santona indiana, è talmente repentino e mal motivato da causare più di una perplessità. Alla fine della visione di American Pastoral la sensazione che mi è rimasta è stata quella di aver visto soltanto la triste storia di un povero belinone, inoltre l'approfondimento storico/culturale è talmente superficiale che non mi è venuta neppure la solita voglia di andare a cercare informazioni relative al periodo in cui è ambientata la pellicola e sinceramente non penso che Philip Roth abbia lasciato le stesse sensazioni a chi ha letto il romanzo (ma oh, potrei sbagliare). Ewan McGregor, tu mi hai diludendo, come attore e soprattuttamente come regista. Belle immagini sì, ma la prossima volta vorrei un po' più di verve e impegno, ché qui son tutti buoni a girare drammoni insipidi, dai.


Di Ewan McGregor, regista e interprete dello "Svedese", ho già parlato QUI. Jennifer Connelly (Dawn Levov), Dakota Fanning (Merry Levov), Peter Riegert (Lou Levov) e David Strathairn (Nathan Zuckerman) li trovate invece ai rispettivi link.

Rupert Evans interpreta Jerry Levov. Inglese, ha partecipato a film come Hellboy, The Boy e a serie come The Man in the High Castle. Ha 40 anni.


Il film ha avuto una gestazione di dieci anni, tanto che sia Paul Bettany che Evan Rachel Woods, scelti per interpretare rispettivamente lo Svedese e Merry, hanno abbandonato il progetto ed è rimasta la sola Jennifer Connelly. Per finire, se vi fosse piaciuto American Pastoral potrebbe essere una buona idea recuperare Arlington Road. ENJOY!


venerdì 28 ottobre 2016

Halloween Night (2014)

Tempo di zucche intagliate, tempo di guardare film a tema come Halloween Night (The Houses October Built), diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista Bobby Roe e distribuito sul mercato home video dalla Midnight Factory a partire dal 27 ottobre.


Trama: Cinque amici viaggiano attraverso l’America per documentare le attrazioni più spaventose di Halloween: cercando di vivere un autentico spavento per la notte delle streghe, iniziano a visitare le “Case del terrore” meno conosciute. Proprio quando la loro ricerca sembra aver raggiunto un vicolo cieco, eventi strani ed inquietanti cominciano ad accadere, fino a rendersi conto che l’orrore tanto cercato li ha trovati per primi...


Onestamente, quello delle haunted mansion è un fenomeno tutto americano che non conoscevo. Intendiamoci, so che nei luna park statunitensi hanno di sicuro dei tunnel dell'orrore meravigliosi e case infestate in quantità ma che addirittura esistessero delle case vere e proprie dentro le quali, nel periodo di Halloween, vengono messi in scena spettacoli horror che annualmente richiamano miriadi di visitatori, era un fatto che ignoravo. Eppure, basta scrivere "haunted houses halloween" su Google per trovarsi davanti tantissimi siti dedicati all'argomento e prepararsi, almeno in via teorica, un bel tour interamente a tema. Il problema, come in tutte le cose, è che sicuramente molte di queste attrazioni saranno ben organizzate e meritevoli di una visita, mentre probabilmente altre saranno raffazzonate e tirate su alla bell'e meglio, se non addirittura illegali e/o pericolose; d'altronde, si parla di attori non necessariamente professionisti che si riuniscono all'interno di un luogo chiuso per spaventare le persone e dubito che tutti gli organizzatori si procureranno le dovute autorizzazioni. Da qui, è comprensibile la curiosità che il fenomeno ha suscitato nel regista Bobby Roe il quale, nel 2011, ha deciso di girare un documentario proprio su queste case che nascono in ottobre, intervistando addetti ai lavori ed utenti, riprendendo ciò che accade all'interno delle attrazioni (o all'esterno, se si tratta di "boschi infestati" o altro) e tirando fuori anche qualche altarino non proprio simpatico, come per esempio "leggende metropolitane" di persone morte nel corso di impiccagioni troppo realistiche, veri serial killer nascosti sotto il trucco spaventevole, ecc. ecc. Sullo scheletro di questo documentario e dietro richiesta dei produttori di Paranormal Activity e Insidious, il regista ha imbastito nel 2014 un mockumentary all'interno del quale lui e alcuni suoi amici portano la ricerca della casa stregata "suprema" un po' troppo avanti, al punto da passare dall'essere realizzatori del documentario a protagonisti di quello che, di fatto, diventa un vero e proprio snuff movie di Halloween, dove il divertimento per lo spavento finto diventa puro terrore davanti alla possibilità tangibile della propria morte reale.


La natura di mockumentary (o di point of view movie, come si può leggere nell'interessante libretto che correda il DVD) di Halloween Night è, come spesso accade, il punto di forza ma anche il limite del film. Le interviste reali e il girato recuperato dal documentario del 2011 sono estremamente interessanti e fanno venire voglia di approfondire l'argomento, inoltre trovo sempre intriganti le rappresentazioni di un pezzo di folklore locale americano, soprattutto se legato all'adorata sfera dell'horror. D'altra parte, è però anche vero che il film impiega parecchio tempo per entrare nel vivo, i personaggi sono molto stereotipati e la regia casca nel solito ricorso a riprese fatte in notturna mentre i protagonisti dormono, soggettive tremolanti e cineprese lasciate cadere a mo' di The Blair Witch Project; il contrappasso finale, dove chi "profanava" le case infestate con le videocamere viene costretto a filmare la propria fine, è invece un escamotage simpatico e rende gli ultimi dieci minuti di film parecchio concitati. Se la confezione, a causa della natura stessa del film, non è delle migliori, Halloween Night brilla invece nel reparto make-up. La maschera di Giggles, talmente ben fatta da dare l'illusione che quella sia la sua vera faccia (e chissà che non si tratti di un'incursione nel sovrannaturale...), e quella della "bambola" che perseguita i protagonisti sono genuinamente terrificanti e infondono nello spettatore quel senso di inquietudine di cui il film troppo spesso difetta. Insomma, Halloween Night è carino ma poteva e doveva fare di meglio. Però potrebbe darsi che anche io, come Bobby e compagnia, stia semplicemente cercando ancora la "casa infestata perfetta", quella che mi faccia rimanere sveglia per la paura come quando ero bambina: nel caso, spero che non sino gli abitanti della casa a venire a prendermi, così da farmi passare ogni velleità critica!

Bobby Roe è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Bobby. Americano, anche tecnico degli effetti speciali, ha 38 anni.


Halloween Night è la versione "fiction" del documentario The Houses October Built, diretto da Bobby Roe nel 2011 quindi se il film vi fosse piaciuto recuperatelo; per quanto riguarda la versione home video, i DVD e BluRay distribuiti da Midnight Factory sono un'edizione speciale contenente un libretto curato da Manlio Gomarasca e Michele Pulici di Nocturno Cinema e il trailer come extra. ENJOY!

giovedì 27 ottobre 2016

(Gio)WE, Bolla! del 27/10/2016

Succede sempre così. Uno aspetta mesi per vedere un film (un nome a caso? Ouija - Le origini del male) e a Savona non arriva, dopo settimane di programmazione MEH. Sì, ci sono dei validi sostituti ma sapete bene che l'uomo anela sempre a ciò che non può avere, giusto? ENJOY!

Doctor Strange
Reazione a caldo: Eh beh!!
Bolla, rifletti!: Ennesimo pezzo del Marvel Cinematic Universe, dal trailer sembra molto promettente, un vero trip di effetti speciali splendidi. Poi, insomma, Tilda Swinton pelata voglio troppo vederla!

In guerra per amore
Reazione a caldo: Sembra carino!
Bolla, rifletti!: Sarà l'effetto La mafia uccide solo d'estate ma sono stranamente propensa ad andare a vedere il secondo film di Pif, che sembra una pellicola assai delicata. Purtroppo per Pif questa settimana ho altre priorità (per non parlare di Lucca Comics) quindi si prospetta un recupero tardivo...

Trolls
Reazione a caldo: Ma anche meno.
Bolla, rifletti!: Ecco, di tutte le poottanate uscite nel corso degli anni sotto forma di gadget e pupazzetti, i Trolls sono quella che non ha mai fatto presa su di me. Quindi evito serenamente il film, che pare una belinata già dal trailer.

The Accountant
Reazione a caldo: Perché no?
Bolla, rifletti!: Al netto della sua inespressività, se impegnato nei personaggi giusti Ben Affleck da sempre delle soddisfazioni. Forse un contabile autistico potrebbe fare al caso suo, chissà, sta di fatto che dal trailer il film non sembra niente male.

E siccome al cinema d'élite continuano la programmazione di quel Io, Daniel Blake che non potrò andare a vedere neppure questa settimana, vi do appuntamento alla settimana prossima. ENJOY!

mercoledì 26 ottobre 2016

The Rocky Horror Picture Show: Let's Do the Time Warp Again (2016)

"I hope it's not meatloaf again!"
Cit. dell'unica battuta valida in TUTTO il film

Come sapete, amo farmi del male, perlomeno cinematograficamente parlando. E' solo questo il motivo per cui mi sono ritrovata a guardare The Rocky Horror Picture Show: Let's Do the Time Warp Again, film TV trasmesso qualche giorno fa su Fox e diretto dal regista Kenny Ortega.


Trama: i neo-fidanzati Brad e Janet rimangono in panne durante una notte di tempesta e trovano rifugio presso il castello del Dottor Frank-N-Furter, scienziato pazzo che proprio quel giorno sceglie di dare vita alla sua creatura... il muscoloso Rocky!


A mia discolpa devo dire che non avrei affrontato l'omaggio al Rocky Horror di Kenny Ortega neppure sotto tortura poi qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto "Ma il Rocky Horror è fatto apposta per essere rivissuto, d'altronde nasce come spettacolo teatrale, quindi le reinterpretazioni sono sacrosante!". E io scema, memore di un paio di rappresentazioni teatrali durante le quali mi sono divertita come una matta (nonché immemore di una roba brutta e squallida come Descendants), ho concesso quindi una possibilità a Let's Do the Time Warp Again (l'appellativo di Rocky Horror Show non lo merita neppure per sbaglio), passando una serata all'insegna delle testate sul muro. Mi tolgo il dente parlando dell'unica cosa carina del film di Ortega, ovvero l'intenzione di portare in TV un omaggio al tipico spettacolo di mezzanotte che da anni rende la pellicola del 1975 un cult senza tempo: la canzone introduttiva Science Fiction/ Double Feature viene infatti cantata dalla sensuale "maschera" di un cinema situato all'interno di un castello e l'intera vicenda di Brad e Janet viene di fatto proiettata su uno schermo a beneficio di un pubblico di "adepti" i quali, di tanto in tanto, vengono inquadrati mentre seguono il manuale di comportamento conosciuto da ogni fan del Rocky Horror che si rispetti (mettendosi per esempio sulla testa il giornale durante l'esecuzione di Over at the Frankenstein Place). Salvo, al limite, anche l'interpretazione di Annaleigh Ashfort, la quale da vita ad una Columbia estremamente anni '80 e cafona fino al midollo, una rivisitazione che mi ha fatto schifo ma che, perlomeno, mostra un minimo di personalità. Se proprio devo essere generosa, faccio persino un plauso a costumisti e truccatori, ché tolta l'orrenda parrucca rosa shocking coi rasta di Magenta e i boxer di Rocky, in tutto quel trionfo di pailettes e kitsch c'è dal bello e del buono, fermo restando che i costumi originali erano ben più stilosi. Il resto merita di sprofondare nell'ignominia perpetua, nascosto per sempre agli occhi dei veri credenti da rotoli di carta igienica e sputi, sperando che bastino "a jump to the left and a step to the right" per spedirlo nell'iperspazio.


Cominciamo da ciò in cui sono meno ferrata, ovvero la musica. Mi perdonino gli esperti se parlo senza l'ausilio di tecnicismo alcuno ma il riarrangiamento dei brani di Richard O' Brien è mollo come la panissa, senza nerbo o ritmo, più virato in chiave pop/funk che rock. In poche parole? Laddove nel 1975 Wild and Untamed Thing mi faceva venire una voglia pazzesca di ballare, nel 2016 mi ha fatto sbadigliare senza ritegno e lo stesso vale per Hot Patootie e, ovviamente, il Time Warp. Non voglio nemmeno parlare di I'm Going Home e Superhero, due canzoni che nell'originale mi mettevano un magone infinito mentre qui sembrano giusto due pezzi buttati lì perché "si deve". Certo che ho pianto anche guardando Let's Do the Time Warp Again, ma grazie al pazzo: avete una vaga idea di cosa sia per me vedere Tim Curry che ancora non si è ripreso (anzi, non si riprenderà mai purtroppo) dall'ictus che lo ha colpito nel 2012? Vedere il mio adorato, dolce travestito che stenta a pronunciare le battute del Criminologo ma cerca lo stesso di portare a termine il lavoro con la sua solita professionalità e bravura? Cristo, a solo ripensarci piango come una fontana. A questo dolore dovete anche aggiungere la terrificante consapevolezza di tutti i coinvolti che MAI avrebbero potuto competere con gli interpreti originali, una presa di coscienza che si respira dalla prima all'ultima scena. L'unica a fregarsene leggermente è Laverne Cox ma, andiamo, siamo seri: vuoi per colpa del già citato riarrangiamento mollo, vuoi perché come donna il suo sembiante non mi attrae, ma come agente di caos sessuale 'sta donna è improbabile quanto potrei esserlo io, alla faccia di tutto il trucco e le mise stravaganti che potrei indossare (vi prego, se riuscite, confrontate il suo ingresso sulle note di Sweet Transvestite con quello di Tim Curry. Io non ce la faccio). Tuttavia, a parte il fatto che quando parla è incomprensibile, lei posso ancora accettarla, perlomeno ci prova, anche se pare più una reduce di Priscilla, la regina del deserto che Frank-N-Furter. Il resto del cast invece è imbarazzante, tutti impegnati in una recita scolastica improntata sull'imitazione dei modelli originali (per esempio il Riff Raff di Reeve Carney cambia voce quando passa dalla prosa al canto perché non riesce a mantenere l'intonazione strascicata di O' Brien) oppure sulla distruzione totale degli stessi (a me va bene tutto ma il Dottor VON Scott NERO?? Col nipote bianco per di più! E a proposito di Eddie, caro, perché ti hanno trasformato da motociclista "zombie" a membro dei Tokyo Hotel? Mah...). Se io penso che al mondo ci sono miriadi di compagnie teatrali serie capaci di portare in scena il Rocky Horror Show con competenza, passione e persino la capacità di raccontare qualcosina in più rispetto al film originale mentre alla Fox si sono accontentati di 'sta schifezzuola mi sale il raggio della morte, davvero. Ortega, perché non ti impegni in qualcos'altro di più consono alla tua abilità di regista, produttore e coreografo, come per esempio raccogliere patate nei campi?

Tim, ti voglio bene lo stesso.
Del regista Kenny Ortega ho già parlato QUI mentre Tim Curry, che interpreta il Criminologo, lo trovate QUA.

Laverne Cox (vero nome Roderick Leverne Cox) interpreta Frank'n'Furter. Americana, ha partecipato a serie come Orange is the New Black. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 44 anni e un film in uscita.


Reeve Carney, che interpreta Riff Raff, ha partecipato alla serie Penny Dreadful nei panni di Dorian Gray mentre Christina Milian, che interpreta Magenta, è la tizia che cantava la sigla di Kim Possible. Detto questo, cancellate dalla memoria il mio post e soprattutto quest'aberrazione e recuperate il prima possibile il vero, unico The Rocky Horror Picture Show. ENJOY!

Aggiungo una parentesi: il Rocky Horror Picture Show l'avevano omaggiato meglio persino gli EELST all'epoca di Mai dire gol. Sigla!!!




martedì 25 ottobre 2016

Urban Legend (1998)

E' giunto il momento di parlare di uno degli horror che preferivo negli anni dell'adolescenza, Urban Legend di Jamie Blanks, uscito nel 1998.


Trama: in un college americano gli studenti cominciano a venire uccisi da qualcuno che ha deciso di riproporre nella realtà le più famose leggende metropolitane...



"Mi ha detto mio cuGGino che una volta si è svegliato in un fosso tutto bagnato che gli mancava un rene!". Così cantavano gli Elii nell'immortale Mio cuggino, la celebrazione tutta italiana delle cosiddette leggende metropolitane, situazioni paradossali e fondamentalmente terrificanti che TUTTI giureremmo siano capitate all'amico, dell'amico, dell'amico del cuGGino appunto. Le leggende metropolitane sono nate in America, almeno quelle più famose, ma alzi la mano chi non se n'è mai sentita raccontare una da ragazzino: io da bambina tremavo ascoltando quella della "mano leccata" ma girava anche la versione cattolica di Bloody Mary, quella in cui se qualcuno avesse recitato l'Ave Maria al contrario (ma perché???) davanti allo specchio avrebbe visto Satana nel riflesso, e sicuramente mille altri racconti atroci che ora non rammento. Scopo delle leggende metropolitane, così si dice, è quello di educare l'utente a non compiere le azioni che condannano i protagonisti alla morte o alla follia (se sei una baby sitter poco attenta probabilmente un assassino arriverà ad ucciderti) oppure a fare attenzione all'ambiente che lo circonda (bisognerebbe controllare SEMPRE il sedile posteriore della macchina, se non addirittura quello che si cela sotto la stessa) e, in generale, contengono una morale assai simile a quella delle antiche fiabe. Il film di Jamie Blanks si basa interamente su questo folklore moderno americano e crea un serial killer particolarmente fantasioso che sceglie di trasformare i malcapitati studenti di un college nei protagonisti di queste leggende metropolitane, imbastendo attorno a questi omicidi una storia fatta di sospetti, segreti passati e vendette postume. Il risultato di questo collage di leggende è una pellicola simpatica, zeppa di citazioni e guest star, interessante nella misura in cui lo spettatore decide di farsi prendere dalla curiosità e approfondire l'argomento: per esempio, io conoscevo la fonte primaria di tutti gli omicidi tranne uno e cercando in rete per colmare questa lacuna ho scoperto il macabro retroscena legato alla canzone Love Rollercoaster , peraltro presente nella colonna sonora di Urban Legend.


Poi, ovviamente, c'è da dire che guardare Urban Legend a diciott'anni non è proprio come guardarlo ora. All'epoca sorvolavo su moltissime cose e badavo essenzialmente all'aspetto folkloristico e gore della pellicola, visto oggi il film di Jamie Blanks è una belinata, per quanto simpatica, e diventa ancora più scemo per chi, come me, si è divorato la prima stagione di Scream Queens. Nella serie creata da Murphy, Falchuk e compagnia i personaggi e le situazioni sono caricati all'estremo ma la somiglianza con Urban Legend ha dell'incredibile: al di là dei soliti studenti stereotipatissimi, ci sono una guardia giurata di colore (mai stupenda quanto Denise Hempville, ah-ha, no sir!), lo studentello giornalista che si atteggia manco lavorasse per il Time e decide di aiutare la protagonista a risolvere il mistero, professori e "decani" che guardano dall'altra parte scegliendo di coprire gli scandali della scuola, killer mosso da sentimenti condivisibili che tuttavia sbrocca facendola fuori dal vaso e scemenza distribuita a palate, tutti aspetti della trama che sono praticamente gli elementi cardine di entrambe le opere. Gli attori, nemmeno a dirlo, sono dei mezzi cani ed era giusto il doppiaggio italiano a mettere una pezza alle vocette monocordi di tutti i coinvolti. L'unico che ancora oggi merita considerazione e simpatia è Joshua Jackson, talmente pronto a prendersi in giro per l'iconico personaggio di Pacey da prestarsi non soltanto alla gag della macchina che si accende sparando "annouannauei" a tutto volume (cosa che mi fa ridere tuttora) ma anche ad omaggiare una delle scene madri di Animal House. E se è vero che Robert Englund, John Neville, Brad Dourif e Danielle Harris sono sempre un bel vedere, soprattutto all'interno di un horror, bisogna anche ammettere che Alicia Witt è una protagonista senza nerbo, Jared Leto un povero minchietta alle prime armi e Rebecca Gayheart un'imbarazzante quasi trentenne costretta nei panni palesemente troppo giovani di una studentessa del college. A parte questo, per passare una serata tra leggende metropolitane e strilli di terrore Urban Legend è perfetto e per mille motivi, non ultima una questione di amore nostalgico, non mi sento di volergli male.


Di Jared Leto (Paul Gardener), Alicia Witt (Natalie Simon), Rebecca Gayheart (Brenda Bates), Joshua Jackson (Damon Brooks), Tara Reid (Sasha Thomas), Robert Englund (Prof. William Exler), Danielle Harris (Tosh Guaneri) e Brad Dourif (che interpreta il benzinaio Michael McDonnel, non accreditato) ho già parlato ai rispettivi link.

Jamie Blanks è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto film come Valentine - Appuntamento con la morte. Anche compositore, sceneggiatore e produttore, ha 55 anni.


Michael Rosenbaum interpreta Parker Riley. Americano, ha partecipato a film come Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Cursed - Il maleficio, Catch .44 e a serie come Smallville (dove interpretava Lex Luthor). Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 44 anni e un film in uscita.


Loretta Devine interpreta Reese Wilson. Americana, ha partecipato a film come Nikita, spie senza volto, Urban Legend: Final Cut, Mi chiamo Sam e a serie come Ally McBeal, Supernatural, Cold Case, Glee e Grey's Anatomy; inoltre, ha doppiato un episodio di The Cleveland Show. Anche produttrice, ha 67 anni e un film in uscita.


John Neville interpreta il decano Adams. Inglese, lo ricordo per film come Le avventure del Barone di Munchausen, Baby Birba - Un giorno in libertà, Piccole donne, Il quinto elemento, X-Files - Il film e Spider, inoltre ha partecipato a serie come X-Files. E' morto nel 2011, all'età di 82 anni.


Julian Richings interpreta il bidello. Inglese, ha partecipato a film come Il pasto nudo, Mimic, Cube - Il cubo, X-Men - Conflitto finale, Saw IV, Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti, The Conspiracy, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, The Witch e a serie come Kingdom Hospital, Mucchio d'ossa, Hemlock Grove, Supernatural e Hannibal. Ha 61 anni e un film in uscita.


Sarah Michelle Gellar aveva accettato il ruolo di Sasha ma aveva dovuto rinunciare perché già impegnata con le riprese della serie Buffy - L'ammazzavampiri mentre sia Reese Witherspoon che Melissa Joan Hart hanno rifiutato la parte di Natalie. Tra i mille inside joke di cui il film è pieno, molti dei quali comprensibilissimi anche per il pubblico italiano, ce n'è uno che effettivamente può essere apprezzato solo dagli americani: sul finale, una delle studentesse dice "E scommetto che Brenda era la ragazza nella pubblicità della Noxzema" ed effettivamente Rebecca Gayheart, che interpreta Brenda, aveva partecipato a parecchi spot di quel marchio. Il film ha generato ben tre seguiti, tutti di qualità discutibile: Urban Legend: Final Cut è l'unico in qualche modo direttamente collegato poi ci sono Urban Legend 3 (dai risvolti sovrannaturali e legato alla figura di Bloody Mary) e Ghosts of Goldfield (nato come ennesimo capitolo della serie e poi andato per i fatti suoi), entrambi distribuiti straight-to-video; se Urban Legend vi fosse piaciuto eviterei tutti e tre i sequel e punterei invece su So cos'hai fatto, la saga di Scream e Final Destination. ENJOY! 


domenica 23 ottobre 2016

Il traditore tipo (2016)

Attirata dagli interpreti, qualche giorno fa ho guardato Il traditore tipo (Our Kind of Traitor), diretto dalla regista Susanna White e tratto dal romanzo Il nostro traditore tipo di John Le Carré.


Trama: durante una vacanza in Marocco Perry e la moglie Gail incontrano Dima, letteralmente il più grande riciclatore di denaro sporco della mafia russa. L'uomo convince Perry a consegnare ai servizi segreti inglesi una chiavetta contenente informazioni su importanti personalità britanniche coinvolte con la mafia, in cambio di asilo per lui e la famiglia...



Questo sarà un post entusiasta per un paio di motivi che esulano dalla qualità effettiva del film. Innanzitutto, non ho mai letto il romanzo di Le Carré (in realtà dell'autore non ho mai letto nulla) quindi non posso fare confronti con l'opera da cui è stato tratto Il traditore tipo e sottolineare quelle superficialità di cui ho letto in alcune recensioni. Secondariamente, dovete sapere che ai tempi delle scuole medie il mio desiderio più grande era visitare la Russia (non il Giappone: sorpresa, eh?) e imparare ovviamente la lingua; se unite questa insana passione mai sopita alla generale fascinazione che provocano in me le storie legate ad ambienti criminal-mafiosi di qualsivoglia tipo e l'aMMore che ancora oggi mi muove dopo aver visto quel trionfo di La promessa dell'assassino, capirete che Il traditore tipo racchiude terreno assai fertile per alimentare un mio eventuale entusiasmo. In effetti sono uscita dalla visione felicissima di avere dato una chance al film di Susanna White, visione rimandata per qualche tempo causa timore dell'effetto La talpa (leggi: soporifero). Quella de Il traditore tipo è la tipica storia "di spionaggio", arricchita da una critica neppure tanto velata al mondo della finanza, pronto ad accogliere qualunque tipo di investimento particolarmente danaroso a prescindere dalla natura "sporca" del denaro coinvolto, e popolata da personaggi stranamente altruisti. Ecco, volendo fare proprio una critica a Il traditore tipo si potrebbe dire che i protagonisti sono di un buonismo e una correttezza disarmanti: posso vagamente capire Perry, professore privo di un reale scopo nella vita, che arriva a prendersi a cuore il destino di Dima e della sua famiglia perché incapace di raddrizzare la propria situazione familiare, ma che lo stesso Dima sia ligio al senso dell'onore fino all'ultimo (e anche oltre) o che la moglie di Perry e gli agenti dei servizi segreti inglesi arrivino a fare carte false per il bene della famiglia di un mafioso russo mi ha alquanto perplessa. A parte questo, la trama è solida ed emozionante, i giochi di spie sono intriganti e perlomeno si arriva a provare interesse per il destino dei personaggi coinvolti, cosa che non sempre avviene in questo genere di film.


Dal punto di vista della realizzazione, la bellezza de Il traditore tipo risiede nella sua natura di film "cosmopolita", nel senso che i protagonisti girano mezza Europa e arrivano a toccare persino il Marocco, con un piacevole e costante cambiamento di ambientazione e paesaggi che lo rende sicuramente più vario e dinamico; inoltre, a mio avviso il punto focale del film, oltre alle questioni familiari e quelle criminali, è proprio il modo in cui i personaggi si rapportano l'uno all'altro a seconda dei luoghi in cui si ritrovano, presi alternativamente da un senso di stupita euforia (come nel caso dei primi incontri tra Perry e Dima) o da una sensazione di inquietudine crescente (dal momento in cui Perry si rende conto di essere entrato in un mondo pericoloso). Regia e, soprattutto, fotografia gli conferiscono ulteriore fascino; si vede che Il traditore tipo non è un film fatto a tirar via, a partire dall'elegantissima sequenza iniziale ambientata al Bolshoi, un ralenti che consente agli spettatori di apprezzare la fisicità del ballerino Carlos Acosta, per arrivare alle piccole telecamere nascoste dal direttore della fotografia Anthony Dod Mantle, specchio di una realtà che scorre troppo veloce per permettere ai protagonisti di starle dietro e rimanere a galla. Per quel che riguarda gli attori, Stellan Skarsgård si mangia tutti i colleghi con l'interpretazione di un mafioso sanguigno, chiassoso e perfettamente in bilico tra la doppia natura di "uomo d'affari" criminale e padre di famiglia (dovete solo superare uno dei suoi ennesimi, spaventevoli full frontal, quelle robe che dopo averle viste in Thor: Dark World non mi fanno dormire la notte dalla paura) e una menzione d'onore se la becca anche lo sconosciuto Pawel Szajda con quegli occhi azzurrissimi perfetti per il killer di cui veste i panni. Il resto del cast, Ewan McGregor compreso, offre performance nella norma e forse l'unico che spicca più degli altri è Damian Lewis, almeno se vi capiterà di vedere il film in lingua originale e godere del suo meraviglioso accento british; a prescindere, Il traditore tipo merita comunque un'occhiata, soprattutto se vi piace questo genere di film.


Di Stellan Skarsgård (Dima) e Ewan McGregor (Perry) ho già parlato ai rispettivi link.

Susanna White è la regista della pellicola. Inglese, ha girato film come Tata Matilda e il grande botto ed episodi di serie come Bleak House e Broadwalk Empire. Anche produttrice, ha 56 anni e un film in uscita.


Naomie Harris interpreta Gail Perkins. Inglese, ha partecipato a film come 28 giorni dopo, Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma, Miami Vice, Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo, Skyfall e Spectre. Ha 40 anni e due film in uscita.


Damian Lewis interpreta Hector. Americano, ha partecipato a film come L'acchiappasogni e doppiato episodi di serie come Phineas e Ferb. Anche produttore, ha 45 anni.


Stellan Skarsgård ha sostituito Ralph Fiennes, originariamente scelto per il ruolo di Dima ma ritiratosi poi dal progetto. Se Il traditore tipo vi fosse piaciuto recuperate La talpa e Il ponte delle spie. ENJOY!

venerdì 21 ottobre 2016

Inferno (2016)

Nonostante la camurrìa provocatami sia dal libro che dai due film precedenti, mercoledì sono andata a vedere Inferno, diretto dal regista Ron Howard e liberamente tratto dal romanzo omonimo di Dan Brown.


Trama: Robert Langdon si sveglia ferito e privo di memoria in un ospedale di Firenze. Aiutato dalla dottoressa Sienna Brooks dovrà recuperare i ricordi mancanti e cercare di impedire che un terribile virus venga liberato nel mondo...



Non so esattamente perché, dopo due film mediocri, abbia deciso di ridare una chance alla premiata ditta Hanks/Howard/Brown. Probabilmente è l'ennesimo esempio di come l'essere umano si rassegni facilmente alla routine della grigia quotidianità, tipo "E' uscito un altro film tratto da Dan Brown, che palle, mi tocca andarlo a vedere", un po' come timbrare il cartellino alle 8.30 dal lunedì al venerdì; e infatti, quando torni a casa e ti chiedono "com'è andata oggi al lavoro?" tu rispondi "MEH", che è un po' la stessa risposta data al buon Toto quando mi ha chiesto "com'era il film?". MEH. Cos'altro vuoi dire di Inferno? La pellicola non è né bella né brutta, sta lì come la maschera mortuaria di Dante a fissarti col suo sguardo vacuo incastonato nei lineamenti perfettamente riprodotti, fredda come la sequenza di cartoline da Firenze, Venezia ed Istanbul spedite agli spettatori da un Ron Howard che in verità un (altro) sequel non lo avrebbe mai girato. Ora, io sono arrivata a metà del romanzo e non mi ritengo una fine ed esperta conoscitrice di letteratura ma persino una come me capisce che Inferno è un'opera debole, zeppa di personaggi stereotipati e di momenti WTF che vive della gloria riflessa dei precedenti scritti di Dan Brown, il quale non si sbatte neppure più a creare quegli arguti enigmi che tanto mi avevano intrigata leggendo Il codice Da Vinci o Angeli e demoni. Immaginate quindi quanto ancora più piatta e facilona sia la sceneggiatura del film, semplificata per venire incontro al pubblico bove e interamente modificata nel finale onde non mostrare personaggi troppo ambigui e sfaccettati o, Dio non voglia assolutamente!!, una chiusura incerta e preoccupante della vicenda: come l'orologio di Topolino portato al polso da Langdon, Inferno procede placidamente verso l'obiettivo prefissato, senza scossoni né grandi momenti di suspance, tra dialoghi sciapi (mirabili nonché ridondanti le battute pronunciate da Langdon nei sotterranei di Venezia, aiutando Sienna: "Ti do una mano ... ti prendo un piede..." ti tocco il culo no?), le solite frecciatine razziste nei confronti degli italiani (lasciamo stare l'infelice "Ah, non è il mio lavoro migliore ma per ingannare la polizia italiana basta e avanza", vogliamo parlare dello scherzone finale di Langdon ai danni delle guardie di Palazzo Vecchio? Sembrava la fiera della commedia napoletana recitata male) e momenti romantici talmente statici e privi di pathos che al confronto quelli di una qualsiasi telenovela sudamericana sono esempi di altissima scrittura.


Se vogliamo continuare a sparare sulla Croce Rossa si può tranquillamente passare a decantare la bolsaggine di Tom Hanks, il quale riesce ad essere attore pregevolissimo in buona parte dei film che lo vedono protagonista (mi vengono in mente, tra gli ultimi, Il ponte delle spie e Saving Mr. Banks, nei quali l'ho adorato senza riserve) tranne quando interpreta Robert Langdon. Spaesato, tristemente ironico, improbabile seduttore di vecchie fredde come il marmo, Hanks non viene aiutato nell'interpretazione dalla co-protagonista femminile, Felicity Jones, con la quale forma una coppia talmente male assortita da fare invidia agli Estranei di Pechino Express. La Jones, fondamentalmente, ha due espressioni: quella con la quale cazzia Langdon e quella con la quale prende il mondo in gran dispitto, entrambe sospettosamente simili. E' vero che Sienna Brooks, almeno nel film, ha lo spessore di una mappa dell'Armenia, ma un minimo di impegno in più poteva anche mettercelo. L'unico attore che verrà da me ricordato, almeno per il tempo di una settimana, è Irrfan Khan, interprete di un "direttore del Consorzio" particolarmente raffinato e caustico, sempre all'interno degli ovvi limiti di un personaggio monodimensionale. Per quel che riguarda l'aspetto visivo del film, le uniche sequenze che mi sono piaciute sono quelle legate alle visioni infernali di Langdon, non tanto per la regia quanto per gli effetti speciali e il make up impiegati e lo stesso vale per quei brevissimi momenti in cui Ron Howard si è impegnato a riportare in vita La battaglia di Marciano del Vasari. Posso inoltre magnificare anche l'incredibile bellezza delle immagini girate all'interno della Cisterna Basilica di Instanbul, peccato che l'unica qualità delle sequenze in oggetto sia il trionfo delle luci e dei colori, visto che lo showdown finale è degno dei peggiori action con Steven Seagal. Con tutta questa cacca che ho shpalmato non voglio fare la snob che apprezza solo i film "non commerciali", per carità. Sapete benissimo che saltello felice davanti ad ogni cretinata prodotta dalla Marvel ma perlomeno lì ci sono dei personaggi di cui mi importa qualcosa, solitamente c'è una trama che mi avvince e mi mette la voglia di vedere altri film simili: con Dan Brown, purtroppo, rimane solo il forte desiderio che si dedichi ad altro, per esempio la compilazione di guide turistiche, così che a nessuno più venga in mente di usare i suoi romanzi come basi per scrivere delle sceneggiature.


Del regista Ron Howard ho già parlato QUI. Felicity Jones (Sienna Brooks), Tom Hanks (Robert Langdon), Ben Foster (Bertrand Zobrist), Irrfan Khan (Harry Sims) e Omar Sy (Christoph Bouchard) li trovate invece ai rispettivi link.

Alla fine così.
Inferno è il quarto libro scritto da Dan Brown avente per protagonista Robert Langdon, il terzo sarebbe Il simbolo perduto ma ai produttori è piaciuto di più Inferno. Non temete, prima o poi gireranno anche un adattamento de Il simbolo perduto e, se non ne avete abbastanza, sappiate che Brown è pronto a fare uscire nel 2017 l'ennesima avventura di Langdon quindi, nell'attesa, recuperate Il codice Da Vinci e Angeli e demoni. ENJOY!

giovedì 20 ottobre 2016

(Gio) WE, Bolla! del 20/10/2016

Buon giovedì a tutti! Altra settimana in cui non c'è un particolare film che desidero ardentemente vedere ma la scelta è come al solito molto vasta. Unica cosa: a Savona non è uscito ma sappiate che Pay the Ghost è abbastanza inguardabile. ENJOY!

Jack Reacher: Never Go Back
Reazione a caldo: Boh!
Bolla, rifletti!: Non avendo visto il primo Jack Reacher non credo andrò a vedere neppure il secondo capitolo della saga, anche se mi dicono che, salvo ovvi limiti di genere, non fosse così male. Magari nel weekend recupero intanto il primo, poi si vedrà.

I babysitter
Reazione a caldo: Per favore...
Bolla, rifletti!: Remake di una commedia francese con l'aggiunta di quei raffinatoni di Mandelli e Ruffini... se permettete, dubito avrà lo stesso successo che ebbe il buon Bisio con Benvenuti al sud. Non posso farcela, abbiate pietà.

Piuma
Reazione a caldo: Ma anche no
Bolla, rifletti!: A parte che il tema "Junico" mi ispira davvero poco a prescindere, la sola idea di guardare un film italiano recitato da adolescenti sconosciuti potrebbe portare all'esplosione di orecchie e cervello. Sarà pure un film leggero come una piuma ma solitamente la dizione dei coinvolti è pesante come un macigno.

American Pastoral
Reazione a caldo: Almeno uno!
Bolla, rifletti!: Ecco, pur non avendo letto il libro di Philip Roth questo mi ispira decisamente, soprattutto per gli attori coinvolti. Purtroppo chi l'ha visto lo ha definito senz'anima, quindi ho anche un po' paura...

Cicogne in missione
Reazione a caldo: Vergognosamente, mi ispira
Bolla, rifletti!: Il trailer è un trionfo di colori, tenerume assortito e belinate (molte belinate, mi si dice che la trama sia da mani nei capelli), di sicuro la voglia di vederlo è parecchia. Chissà se vinceranno le cicogne o Ewan McGregor in versione impegnata?

Al cinema d'élite arriva invece Ken Loach!

Io, Daniel Blake
Reazione a caldo: Eh beh!
Bolla, rifletti!: L'"Eh beh!" sta per "Ken Loach è sempre una garanzia" ma anche "Ovviamente non avrò tempo di andarlo a vedere visti i giorni di programmazione limitatissimi". Credo ci metterò un po' a scoprire se questo racconto proletario ha meritato o no la Palma d'oro a Cannes...

mercoledì 19 ottobre 2016

Ratter: Ossessione in rete (2015)

Spinta dall'entusiasmo mostrato da Kara Lafayette, ho deciso di recuperare in questi giorni Ratter: Ossessione in rete (Ratter), diretto e sceneggiato nel 2015 dal regista Branden Kramer.


Trama: Emma, studentessa universitaria, si trasferisce da sola nel nuovo appartamento newyorkese ma subito qualcuno le hackera cellulare e computer e comincia a spiarla attraverso le telecamere...



Quando ho cominciato a guardare Ratter ammetto di avere pensato con una punta di sconcerto "Santo Dio, l'ennesimo found footage girato a pazzo di cane" e di avere versato una lacrima di frustrazione all'idea di guardare un'ora e mezza di pellicola in cui Ashley Benson viene costretta a portare perennemente con sé tablet e cellulare, riprendendosi nelle situazioni più improbabili a beneficio dell'anonimo hacker che la perseguita e degli spettatori i quali, altrimenti, avrebbero avuto un film senza immagini. Fortunatamente, superata la camurrìa iniziale mi sono goduta non un capolavoro ma comunque una pellicola che fa il suo dovere, ovvero quello di mettere un'ansia bestiale dipingendo una realtà semplicissima nella sua banalità, che a poco a poco viene mandata in pezzi da una mano sconosciuta. Emma è una ragazza qualsiasi, come avrei potuto essere io durante l'anno passato in Australia; sola, ancora senza amici, lontana da casa ma comunque eccitata all'idea di cominciare una nuova esperienza di vita, è naturale che la fanciulla esca poco e passi il tempo che non dedica allo studio o a frequentare l'università persa nel lontano mondo familiare che può essere raggiunto solo tramite telefonate via skype o videochat. Sfruttando questa sua debolezza, l'hacker misterioso entra letteralmente nella vita della ragazza, spiandola nei momenti in cui è più vulnerabile (per esempio mentre si prepara per uscire) senza lasciar intuire la propria presenza, fatto ancora più inquietante rispetto all'inevitabile momento in cui lo stalker decide di palesarsi entrando in casa di Emma mentre dorme oppure è fuori con gli amici. Piccoli particolari fanno sì che Emma si accorga gradualmente che qualcosa non quadra, come per esempio quando le viene recapitato a casa un pacco anonimo, e la consapevolezza di essere spiata da una persona malevola e folle cresce sempre più, fino a toccare il punto di non ritorno del panico e della tardiva richiesta di aiuto alla polizia, la quale mostra ancora una volta come persino in America non si riesca ancora a fare nulla contro chi sceglie di sfruttare la tecnologia a nostro svantaggio.


A onor dei detrattori di Ratter, e sono moltissimi in rete, bisogna dire che Branden Kramer si prende il suo tempo prima di tirare i pugni allo stomaco capaci di abbattere lo spettatore mediamente sensibile, quindi se siete in cerca di un film dove "succedono cose" questa pellicola non fa affatto per voi. Almeno fino all'ultimo quarto d'ora ciò che passa sullo schermo è semplicemente la vita di Emma, senza troppi eventi degni di nota e con moltissimi tempi morti causati dalle normalissime attività quotidiane della ragazza, quindi allo spettatore si chiede di mettersi letteralmente nei panni dello stalker che perseguita la protagonista e immaginare di stare guardando ciò che vede lui, creando di fatto uno sdoppiamento spiacevole (noi SIAMO lo stalker ma empatizziamo con la povera Emma e lo odiamo di conseguenza) ma non per questo necessariamente emozionante: ammetto che durante la visione di Ratter mi sono qualche volta ritrovata a farmi i fatti miei, per poi tornare attentissima durante quei famosi quindici minuti finali. La sequenza conclusiva del film compensa la lentezza che la precede e rovescia sullo spettatore tutto il dolore della violazione e dell'impotenza, oltre ad un senso di terrore molto simile a quello che avevo provato guardando l'introduzione del primo Scream. Diciamo che lo stalker si vede poco ma quando sceglie di agire fa venire voglia di alzarsi, accendere tutte le luci e chiudere non solo le porte a chiave, ma anche le finestre di eventuali browser o le connessioni a webcam e telefonini. Di questi tempi, non si sa mai chi potrebbe spiarci mentre ci depiliamo sotto la doccia o facciamo workout con qualche videogiochino da sbarbe.

Branden Kramer è il regista e sceneggiatore del film, al suo primo lungometraggio. Americano, è anche produttore.


Ashley Benson interpreta Emma. Americana, ha partecipato a film come Spring Breakers e a serie come Settimo cielo, The O.C., CSI: Miami, Supernatural, How I Met Your Mother e Pretty Little Liars, inoltre ha doppiato un episodio de I Griffin. Ha 27 anni.


Ratter è l'estensione del corto Webcam, diretto da Branden Kramer (sempre sceneggiatore) e da altri tre registi; se volete guardarlo potete trovarlo in rete e, se Ratter vi fosse piaciuto, aggiungete The Den e Unfriended. ENJOY!

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