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venerdì 19 gennaio 2024

Alien (1979)

Mi sono impelagata in una challenge settimanale su Letterboxd (che non so, ovviamente, se riuscirò a mantenere fino a fine anno e che non pubblicherò secondo il calendario, visto che sono già passate due settimane dalla visione del film...) e il primo prompt era "Most popular horror film on your watchlist". La scelta è così caduta su Alien, diretto nel 1979 dal regista Ridley Scott.


Trama: durante il viaggio di ritorno, l'astronave cargo Nostromo riceve un segnale da un altro pianeta. Quello che gli esploratori riportano a bordo è l'inizio di un incubo...


Mi rendo conto ora che la challenge non contemplava rewatch per il primo prompt, quindi mi tocca dichiarare di averla fallita in partenza. Pazienza, erano decenni che non riguardavo Alien e non ne avevo mai parlato sul blog, quindi sono contenta, anche se sarà dura scrivere qualcosa di intelligente che non sia mai stato detto su un riconosciuto capolavoro della fantascienza e dell'horror. Quindi, largo ad impressioni personali e banalità, senza troppi voli pindarici. Alien è il film perfetto per chi, come me, è refrattaria alla fantascienza "cervellotica" e adora l'horror, perché si può tranquillamente riassumere come un creature feature o un home invasion nello spazio, con l'aggiunta di un pizzico di body horror che lo rende ancora più inquietante. La trama, ridotta all'osso, è di una semplicità estrema perché prevede la progressiva morte dei membri dell'equipaggio per mano di una creatura portata a bordo dopo la breve esplorazione di un pianeta ostile e cupo, ma è tutto il "contorno" a contare. Fin dall'inizio, il clima all'interno della Nostromo comunica inquietudine ed incertezza: il viaggio di ritorno dell'equipaggio è stato interrotto dall'intercettazione di una comunicazione misteriosa e, per cause squisitamente contrattuali, gli occupanti dell'astronave sono costretti a fermarsi e indagare. L'impressione inziale che si ha, al di là dell'ovvio scoramento dei personaggi, è che non solo lo spazio esterno sia loro nemico, ma anche la tecnologia interna alla nave, sensazione che viene confermata più avanti nel film. Al di fuori della linda ed asettica sicurezza delle capsule di ipersonno, gli ambienti sono claustrofobici e, sembrerebbe, vetusti, fatti di corridoi male illuminati e sale che danno l'impressione di essere garage o cortili esterni, zeppi come sono di cianfrusaglie impilate e persino danneggiati da una condensa in grado di generare scrosci d'acqua continui. L'unica prova di una tecnologia all'avanguardia è l'esistenza dell'A.I. Mother, ma anche quest'ultima non offre risposta alcuna ai dubbi crescenti del capitano e del suo secondo, anzi, sembra quasi essere andata a scuola da Hal 9000: la vita umana, nello spazio, vale quanto il due di coppe a briscola e può essere facilmente sfruttata, distrutta e rimpiazzata, aggiungendo un ulteriore livello di orrore a quello già incarnato dall'alieno del titolo.


Il facehugger prima e il chestburster poi rappresentano lo schifo primigenio di avere il proprio corpo violato e non potervi porre rimedio, lo xenomorfo nato dal sangue e dalle viscere incarna il terrore di venire cacciati e uccisi da una creatura priva di sentimenti "e per questo perfetta". I risultati, in entrambi i casi, è l'annientamento della vita, forse per questo i protagonisti e unici sopravvissuti sono, rispettivamente, una donna e un gattone. Tra l'altro, Ripley è proprio il personaggio che, per la prima ora, viene messo in ombra dal resto di una ciurma in cui ognuno è dotato di un ruolo archetipico ben definito, con tutto ciò che consegue in termini di sorpresa e coinvolgimento quando quello che si pensava fosse il protagonista viene fatto fuori come gli altri; la stella di Ripley sorge dal nulla, ma quando lo fa non abbiamo occhi che per lei, per la forza che Sigourney Weaver infonde in ogni sguardo, in ogni tentativo di posporre l'ineluttabile maledizione scagliata contro lei e il resto dell'equipaggio da una creatura ancora più deprecabile dell'alieno. Il confronto finale tra la bella, il gatto e la bestia è da antologia, un colpo di coda dopo un piccolo afflato di speranza alla fine di intere mezz'ore passate a non respirare, ed ho sempre amato tantissimo il modo in cui Ripley viene mostrata quasi nuda e quindi ancor più indifesa, mentre indossa biancheria immacolata, costretta ad affrontare una creatura dall'impenetrabile corazza, nera come la pece. E' fin troppo facile immaginare un corpo femminile violato da zanne e denti o, peggio ancora, costretto a dare vita a un altro essere mostruoso, ed è anche per questo che il nostro cuore vola verso la sfortunata fanciulla e continua a tremare anche durante gli scabri titoli di coda, perché come ci si può ancora fidare di una tecnologia che ha causato tanto dolore?


Mi sono riletta un attimo e vedo che ho sproloquiato, ma questo è una specie di diario, non un sito di recensioni serie (che lascio ad altri più esperti di cinema in generale e della saga in particolare), quindi poco importa. Mi preme sottolineare come, nell'anno del Signore 2024, se l'alieno progettato da Giger incute ancora il terrore di Dio e della Madonna (ed è talmente insinuante e pieno di rimandi fallici che non starei nemmeno qui a parlarne, visto che lo fanno tutti), ciò che spezza di più il cuore è vedere quella tavolata iniziale zeppa di talento attoriale, ad oggi decimata. Harry Dean Stanton, John Hurt, Ian Holm e Yaphet Kotto hanno tutti lasciato questo mondo, e vederli lì, giovani e forti, impegnati in ruoli e sequenze talmente iconici da lasciare un segno nella storia del cinema, porta anche i più aperti di mente a diventare vecchi dentro e scuotere la testa al grido di "non ci sono più i film/gli attori di una volta". Scott lo dovrebbe sapere, visto che non comprendo come lo stesso regista di Alien possa avere realizzato una palla pretenziosa e cringe come Napoleon, ma ringraziamo che, all'epoca, avesse talento da vendere e tanta voglia di sperimentare. Alien, infatti, è un miracolo di regia, montaggio, scenografie, colonna sonora ed effetti speciali, un capolavoro che ha generato troppi emuli mediocri e che non bisognerebbe rivedere solo una volta ogni dieci anni, come ho fatto io (a rischio di dimenticare dettagli fondamentali. Ma questo si chiama Alzheimer, mi sa), ma dedicargli almeno un omaggio all'anno. Un buon proposito da mantenere per il futuro!


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Tom Skerritt (Dallas), Sigourney Weaver (Ripley), Veronica Cartwright (Lambert), Harry Dean Stanton (Brett), John Hurt (Kane), Ian Holm (Ash), Yaphet Kotto (Parker) li trovate invece ai rispettivi link.


Per il ruolo di Ripley, la scelta era tra Sigourney Weaver e Meryl Streep, ma quest'ultima, all'epoca, era in lutto per la morte del compagno John Cazale; Harrison Ford ha invece rifiutato il ruolo di Dallas. La saga di Alien è proseguita con Aliens - Scontro finale, Alien 3, Alien - La clonazione, Prometheus, Alien: Covenant e l'aggiunta degli spin-off Alien vs Predator e Aliens vs. Predator 2. Se il genere vi piace, recuperateli tutti! ENJOY!

venerdì 6 gennaio 2017

Ratatouille (2007)

Ci riproviamo? Ci riproviamo. Da quando ho aperto il blog avrò guardato almeno quattro volte Ratatouille, diretto nel 2007 dai registi Brad Bird e Jan Pinkava (e vincitore di un Oscar come miglior lungometraggio animato!) eppure non ho mai avuto il coraggio di scriverne una recensione. Perché?!


Trama: dopo essere stato separato dalla colonia, il ratto Remy decide di intraprendere il suo sogno di diventare chef quando incontra per caso Alfredo Linguini, giovane tuttofare appena assunto nel rinomato ristorante di Gusteau, modello di vita dell'animaletto il cui motto è "Chiunque può cucinare".



E niente, Ratatouille ha sfiga. Mentre scrivo queste righe è il 9 dicembre e io ho guardato in TV il film in questione almeno due settimane fa. Per di più, non oso immaginare quando riuscirò a pubblicare il post visto che riesco a scriverne solo adesso, quando purtroppo le emozioni suscitate dalla storia del topolino Remy si sono già raffreddate. Eppure io ADORO Ratatouille, mi ritrovo sempre ad asciugare una lacrima furtiva sul finale e vengo invasata nei giorni a seguire dal fuoco sacro della cucina, cosa che mi porta a combinare gli stessi disastri del povero, goffo Linguini. Lo adoro perché il ratèn Remy, per quanto razionalmente dovrebbe farmi schifo in quanto non topino di campagna ma proprio ratto, è di una tenerezza incomparabile, col suo modo di lavarsi le manine prima di cucinare o con quell'espressività incredibile che gli consente di farsi capire dagli esseri umani pur non parlando la loro lingua. Lo adoro per il messaggio positivo che veicola e per l'attenzione che dedica anche ad un apparente villain come il critico culinario Ego: al di là della "banale" morale per la quale le persone devono essere lasciate libere di seguire la propria vocazione anche quando questa pare essere non convenzionale, ho sempre amato molto la stoccata decisamente adulta lanciata a chi ormai ha perso la passione per il proprio mestiere, al punto da trasformarlo in grigia routine. Se il cuoco Skinner ha sempre lavorato col solo obiettivo di fare soldi e sfruttare il nome dello chef Gusteau (al punto da arrivare a creare una linea di precotti col suo marchio, snaturando così il motto dello chef defunto) e quindi, da un certo punto di vista, è irredimibile, il critico Ego ha invece cominciato il suo lavoro con la stessa passione e convinzione di Remy, Linguini e Colette, ma il suo spirito è stato fiaccato da una serie di cocenti delusioni e dalla "facilità" del suo mestiere, che condanna i ristoranti a chiudere per il solo gusto di scrivere stroncature argute e divertenti. Molto adulta ed apprezzabile è anche la scelta di non concedere allo spettatore un happy ending nel senso classico del termine, scelta che denota cura e coerenza in fase di sceneggiatura (ho sempre apprezzato il fatto che i cuochi rifiutassero di aiutare Linguini sul finale, disgustati dalla scoperta che lo chef più rinomato di Parigi fosse un ratto e probabilmente più feriti nell'orgoglio da questa "truffa" che dalla natura stessa di Remy).


E poi c'è Parigi, la meravigliosa parì, terra di mille e una possibilità anche se a cercarle è un rattino cresciuto in campagna. Zeppo dei più esilaranti stereotipi francesi eppure infuso di un amore gigantesco per quella città, Ratatouille fa venire voglia di prendere un aereo e andare a perdersi nella ville lumière, affittare un mini appartamentino dal quale guardare la Tour Eiffel illuminata per poi passare le serate a oziare in qualche caffé franscese dove è sicuro che qualche prelibatezza ci finirà sotto i denti (vabbé, adesso non esageriamo!!). Nel caso non trovassimo quello che ci interessa in giro per la città, c'è sempre da dire che, al di là del modo non convenzionale col quale cucina Remy (l'unica concessione all'assurdità di un character design caricaturale ma realistico e delle animazioni molto curate, assai attente agli ambienti veri come cucine e dispense), Ratatouille insegna anche un po' di tecniche base nonché delle regole fondamentali da seguire ai fornelli, soprattutto quando si sceglie di  buttarsi nell'ardua impresa di cucinare qualche prelibatezza a livello amatoriale, regole che madre non smette mai di urlarmi amichevolmente nelle orecchie come Colette fa con Linguini. Tornando al film in sé, senza divagare troppo nelle esperienze personali, col senno di poi Rataouille potrebbe sembrare un film "piccolo" se paragonato ad altri capolavori della Pixar, eppure, come il piatto da cui prende il nome, nonostante le travagliate vicende produttive funziona e si fa voler bene soprattutto grazie alla semplicità della storia, alla bontà delle caratterizzazioni dei personaggi e sì, anche alla bella presentazione: a me ne basta un boccone per tornare bambina, essere felice e volerne vedere ancora, quindi consiglio a tutti di assaggiare, almeno una volta, questo delizioso manicaretto a disegni animati!


Del co-regista e co-sceneggiatore Brad Bird ho già parlato QUI. Ian Holm (voce originale di Skinner), Peter Sohn (Emile) e Will Arnett (Horst) li trovate invece ai rispettivi link.

Jan Pinkava è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato nell'attuale Repubblica Ceca, è al suo primo e finora unico lungometraggio dietro la macchina da presa ma ha vinto un Oscar per il miglior corto animato con Il gioco di Geri. Anche produttore e animatore, ha 53 anni.


Patton Oswalt è la voce originale di Remy. Americano, ha partecipato a film come Giù le mani dal mio periscopio, Man on the Moon, Magnolia, Zoolander, Starsky & Hutch, Blade: Trinity e a serie come Dollhouse, Due uomini e mezzo e Agents of S.H.I.E.L.D.; come doppiatore, ha lavorato per serie quali Due fantagenitori, Spongebob, Kim Possible, Futurama, I Simpson, American Dad! e My Little Pony: L'amicizia è magica. Anche sceneggiatore e produttore, ha 47 anni e due film in uscita.


Brian Dennehy è la voce originale di Django, il padre di Remy. Americano, lo ricordo per film come Rambo, Cocoon - L'energia dell'universo, FX - Effetto mortale, Cocoon - Il ritorno, Presunto innocente e Romeo + Giulietta; inoltre, ha partecipato a serie quali Il tenente Kojak, MASH, Dallas, Dynasty, Hunter e Miami Vice. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 78 anni e due film in uscita.


Peter O'Toole è la voce originale di Anton Ego. Inglese, lo ricordo per film come Lawrence d'Arabia, La Bibbia, Agente 007 - Casino Royale, Supergirl - La ragazza d'acciaio, L'ultimo imperatore, High Spirits - Fantasmi da legare e Stardust. Anche produttore e regista, è morto nel 2013, a 81 anni.


Janeane Garofalo è la voce originale di Colette. Americana, ha partecipato a film come Giovani, carini e disoccupati, Il rompiscatole, Dogma e a serie come Ellen, Quell'uragano di papà, I Soprano, Due uomini e mezzo e 24. Anche sceneggiatrice, produttrice e regista, ha 52 anni e due film in uscita.


Sebbene Jan Pinkava sia accreditato come co-regista e co-sceneggiatore di Ratatouille, la storia principale, i personaggi, l'ambientazione e molto altro sono essenzialmente farina del suo sacco mentre Brad Bird è subentrato soltanto qualche anno dopo, quando alla Pixar hanno deciso che le idee di Pinkava non avrebbero portato al film il successo sperato, cosa che, ovviamente, ha spinto il regista a lasciare la compagnia. Detto questo, se Ratatouille vi fosse piaciuto recuperate Fievel sbarca in America e A Bug's Life - Megaminimondo. ENJOY!


mercoledì 18 giugno 2014

Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello (2001)

E' arrivato il momento di "affrontare" una delle trilogie chiave del nuovo millennio, quella de Il signore degli anelli. Cominciamo oggi con La compagnia dell'anello (The Fellowship of the Ring), diretto e co-sceneggiato nel 2001 da Peter Jackson e tratto dalle opere di J.R.R. Tolkien.


Trama: nel giorno del suo compleanno, l'hobbit Bilbo Baggins decide di andare via dalla Contea. Al cugino prediletto Frodo lascia in eredità un anello trovato anni prima durante un'avventura con lo stregone Gandalf e proprio quest'ultimo scopre, dopo qualche tempo, che il monile non è altro che l'Anello del Potere forgiato dal malvagio Sauron, in grado di soggiogare l'intera Terra di Mezzo e farla sprofondare nelle Tenebre. Saputo che i servi di Sauron hanno cominciato a cercare l'Anello, Frodo è costretto a fuggire assieme al fido giardiniere Sam e agli amici Pipino e Merry, cominciando così un viaggio disperato e periglioso..



Il mio rapporto con Il signore degli Anelli comincia durante l'infanzia, grazie ad un libro ereditato da qualche cugino più grande che raccontava, attraverso immagini e didascalie, le vicende mostrate nel film di Ralph Bakshi del 1978. Di quel libro (e quanto vorrei averlo sottomano ora!!) ricordo solo l'orrida figura di Gollum e il senso di inquietudine e disgusto che mi provocava; un ricordo che, probabilmente, assieme al titolo dell'opera era rimasto comunque in attesa di venire richiamato perché molti anni dopo, alle superiori, trovai nella libreria della madre di una compagna di classe l'imponente tomo Tolkieniano e, incuriosita, chiesi alla gentile signora di poterlo leggere. In tempo zero ero rimasta conquistata dalle vicende di Frodo e compagnia, affascinata dalla grandezza degli Elfi, dalla saggezza di Gandalf, dalla dolcezza e dal coraggio di Sam. Immaginate quindi l'incredibile gioia quando, nel 2001, ho saputo dell'uscita de La compagnia dell'Anello, riproduzione fedelissima della prima parte di quella storia che avevo tanto amato, solo con qualche piccolo "aggiustamento" per renderla più scorrevole e adatta a un pubblico che, presumibilmente, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare un romanzo così ponderoso. Nel primo film di una (necessaria, questa sì, non come quella de Lo Hobbit) trilogia il regista ci prende per mano e ci introduce all'universo di Tolkien, alla terribile storia dell'Anello e ai personaggi che, volenti o nolenti, entreranno in contatto con questo potentissimo artefatto: gli hobbit Frodo, Sam, Pipino e Merry, il saggio ed enigmatico stregone Gandalf, il misterioso e nobile Aragorn, gli audaci Legolas e Gimli, il tormentato Boromir. Nonostante ci sia tanta di quella carne al fuoco da farci barbeque per 13 generazioni, gli sceneggiatori riescono a rendere la storia comprensibilissima senza perdersi in spiegoni eccessivi e, soprattutto, riescono a scolpire in tempo zero ogni personaggio nel cuore dello spettatore, che non può fare a meno di entusiasmarsi e volerne sapere di più, tifando spudoratamente per la riuscita della perigliosa impresa e struggendosi davanti alle poche, necessarie morti, anche dopo averne letto sui libri di Tolkien. I toni della pellicola si alternano, come in una perfetta sinfonia, tra i momenti divertenti e bucolici ambientati nella Contea, le concitate fughe dai terribili servi di Sauron, la maestosità degli incontri con gli Elfi, le epiche battaglie nel ventre di Moria, i terribili ed umanissimi momenti di dubbio e terrore dei protagonisti, granelli di sabbia davanti ad una tempesta impossibile da fermare.


Al rispetto profondo per l'opera di Tolkien, Jackson aggiunge una perizia tecnica da far tremare i polsi e un'incredibile conoscenza del territorio neozelandese, indispensabile per ricreare una perfetta Terra di mezzo fatta di verdi colline, sterminate pianure e maestosi fiumi, un ambiente in grado di diventare protagonista alla pari degli esseri umani (e non) che lo attraversano. Poi, ovviamente, ci sono gli immancabili, preziosissimi effetti speciali della WETA, capaci di creare dal nulla sequenze e personaggi ormai rimasti nell'immaginario cinematografico collettivo come la terribile battaglia tra Gandalf e il Balrog e, ovviamente, la creatura Gollum che, a dire il vero, ne La compagnia dell'anello rimane un po' sullo sfondo, deciso a lasciare spazio alla bravura degli attori in carne ed ossa. Tra tutti gli interpreti spiccano, neanche a dirlo, il meraviglioso Ian McKellen e il bellissimo Viggo Mortensen (ah quanti sospiri all'epoca, altro che quegli elfi effemminati!!!), due mostri di incredibile bravura favoriti anche da due personaggi scritti benissimo in partenza; si collocano appena sotto di loro il tormentato, ormai iconico Boromir di Sean Bean che da il meglio di sé durante il terribile confronto con Frodo e, neanche a dirlo, l'ex goonie Sean Astin che, per quel che mi riguarda, col suo ciccionissimo Sam da vita al personaggio più sfaccettato e reale dell'intera saga. A distanza di anni invece (e purtroppo) devo dire che Elijah Wood non mi fa impazzire nei panni di un Frodo quasi monoespressivo (Ian Holm compare solo per pochi minuti e se lo mangia letteralmente) e che anche i personaggi di Legolas, Gimli, Merry e Pipino sembrano messi lì a mo' di riempitivi e, soprattutto in questo primo episodio della saga, non riescono ad bucare lo schermo, rimanendo monodimensionali. Quisquilie che, ovviamente, vengono cancellate dalla meraviglia di vedere portato su schermo un mondo antico e magico, come se gli elfi stessi avessero infuso la loro luce nell''intera pellicola, trasformandola per magia nell'ultima, grande saga epica della storia del Cinema. Imperdibile, che siate o meno amanti di Tolkien in particolare e del fantasy in generale.


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche nei panni dell'hobbit che sgranocchia una carota a Brea) ho già parlato qui. Elijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Marton Csokas (Celeborn), Ian Holm (Bilbo Baggins), Christopher Lee (Saruman), Andy Serkis (Gollum), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), Liv Tyler (Arwen) e Hugo Weaving (Elrond) li trovate invece ai rispettivi link.

Billy Boyd (vero nome William Boyd) interpreta Peregrino "Pipino" Tuc. Scozzese, ha partecipato a film come Il signore degli anelli - Le due torri, Master and Commander - Sfida ai confini del mare, Il signore degli anelli - Il ritorno del re e Il figlio di Chucky. Anche produttore, ha 46 anni e un film in uscita.


John Rhys-Davies interpreta Gimli. Inglese, lo ricordo per film come I predatori dell'arca perduta, Victor Victoria, Sahara, 007 - Zona pericolo, Indiana Jones e l'ultima crociata, Il signore degli anelli - Le due torri Il signore degli anelli - Il ritorno del re, inoltre ha partecipato a serie come Chips, La signora in giallo I viaggiatori. Come doppiatore, ha lavorato in episodi di Animaniacs, Gargoyles, Freakazoid!, Pinky and the Brain, Spongebob Squarepants e per il film Aladdin e il re dei ladri. Anche sceneggiatore e produttore, ha 70 anni e sei film in uscita.


I retroscena alla base della trilogia di Jackson sono infiniti, ovviamente, quindi riporterò solo quelli che mi hanno colpita di più. Per esempio, Christopher Lee è stato l'unico membro del cast ad avere incontrato Tolkien, con cui ha mantenuto persino una corrispondenza mentre era in vita: è stato lo stesso Tolkien ad averlo designato come Gandalf nel caso di una trasposizione cinematografica de Il signore degli anelli, tuttavia alla fine a Lee è stata offerta la parte di Saruman e, piuttosto che rischiare di rimanere fuori dalla produzione, l'attore si è dovuto rassegnare (e ha dovuto anche sopportare il fatto che il ruolo di Gandalf, ambito anche dal padre di Sean Astin, John, fosse stato offerto a Sean Connery che, però, aveva rifiutato perché "non capiva la storia". Brutta cosa l'Alzheimer). Nulla di fatto anche per Stuart Townsend, scritturato per il ruolo di Aragorn (nonostante le prime scelte per la parte fossero Russel Crowe, Daniel Day-Lewis e, orrore! Nicolas Cage) e mandato a stendere dopo pochi giorni di riprese perché Jackson si era reso conto che sarebbe stato meglio utilizzare un attore più "anziano". Il giovane Orlando Bloom aveva invece fatto il provino per Faramir e alla fine è stato richiamato per interpretare Legolas mentre, rimanendo in tema di elfi, sia Lucy Lawless che Uma Thurman hanno dovuto rinunciare a partecipare al film (la prima come Galadriel e la seconda come Arwen e poi Eowyn) a causa della loro improvvisa gravidanza mentre si dice che David Bowie sarebbe stato molto interessato al ruolo di Elrond, mannaggia! Per quanto riguarda gli hobbit invece, Jake Gyllenhaal aveva fatto il provino per il ruolo di Frodo, a cui peraltro ambiva anche Dominic Monaghan. La compagnia dell'anello, lo sanno anche i sassi, è il primo film di una trilogia che include Le due torri e Il ritorno del re; quindi, se vi fosse piaciuto, continuate nella visione, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

mercoledì 19 dicembre 2012

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012)

Lunedì mi sono gettata a capofitto nella visione (che doveva essere alle 21 ma è stata spostata alle 22,15 CON occhialetto 3D della morte, mannaggia al multisala!!!) de Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, la pellicola che ha segnato il ritorno del regista Peter Jackson nella Terra di Mezzo creata da Tolkien.


Trama: 60 anni prima degli eventi narrati ne Il Signore degli Anelli, troviamo un giovane Bilbo Baggins alle prese con una spedizione organizzata dal mago Gandalf e da un pugno di Nani che desiderano riprendersi la loro dimora, usurpata dal feroce Drago Smaug.


"Ma... sei emozionata??". Questa la prima domanda postami all'inizio del film dal buon Toto, che ha accettato di buon grado di accompagnarmi a vedere Lo Hobbit. La risposta è giunta naturalissima: sì!! E non per una questione di amore nerd o incredibile passione per i film della trilogia dedicata al Signore degli Anelli, ma per l'inspiegabile sensazione che mi ha presa nel vedere la primissima inquadratura della casa di Bilbo, accompagnata dalla meravigliosa musica "della Contea" che inevitabilmente associo alla paciosa, coraggiosissima e splendida figura di Samvise Gamgee: è stato come incontrare nuovamente degli amici che non vedevo da tempo o, meglio, andare a casa loro, una casa che è rimasta esattamente come me la ricordavo. Per questo non crederei mai ad una recensione scritta da una persona che, dopo aver visto la trilogia e averla amata, arrivasse a dire che Lo Hobbit è un brutto film oppure "non è come Il Signore degli Anelli". Perché non è davvero cambiato nulla per quanto riguarda attori, colonna sonora, regia ed effetti speciali: parliamo di un prodotto confezionato al meglio, che annienta lo spettatore con splendide riprese di paesaggi naturali a dir poco mozzafiato, lo incanta con battaglie epiche ed effetti speciali all'avanguardia, lo diverte con personaggi destinati a diventare icone, lo commuove con canti e musiche in grado di sottolineare alla perfezione il momento per cui sono stati scritti (il canto iniziale dei Nani mette i brividi) e, infine, mette sullo stesso piano sia i fan del libro che quelli della trilogia Jacksoniana, consentendo ai primi di godere di un adattamento minuziosissimo de Lo Hobbit e ai secondi di trovare alcuni dei personaggi più amati dei "vecchi" film e maggiori riferimenti all'epico tomo Il Signore degli Anelli.


Infatti, l'unica critica che si può muovere all'ex ciccione neozelandese è: bimbo bello, ma come hai potuto tirare fuori due ore e mezza di film dalle prime pagine di un romanzo che ne conterrà si e no quattrocento?? Eh, come si dice, "volere è potere". La struttura de Lo Hobbit viene rispettata dall'inizio alla fine, ma regista e sceneggiatori si sono presi, pur senza snaturare troppo il materiale di partenza, parecchie libertà, prendendo spunto dalle Appendici de Il Signore degli Anelli e ricollegando il nuovo film a quelli vecchi: la caduta del regno dei Nani viene narrata con un intensissimo e drammatico flashback iniziale (dove Smaug viene prefigurato, in maniera deliziosa, da un aquilone a forma di Drago...), l'avventura di Bilbo viene introdotta da un'intera sequenza nella quale compare anche Frodo, riusciamo finalmente a vedere il mago Radagast il bruno nonché un indizio della nascita di Sauron, assistiamo a un conciliabolo tra Gandalf, Saruman, Galadriel ed Elrond di cui ne Lo Hobbit non si fa affatto menzione ma che serve comunque a costituire una sorta di "prequel" dei tre film precedenti. Il materiale nuovo non stona con quello originale e l'inserimento non risulta forzato ma, sicuramente, osservandolo con un occhio disincantato si vede che è stato messo per allungare parecchio il brodo e giustificare una nuova trilogia. Tuttavia, personalmente, mi sento di perdonare l'avidità di Peter Jackson e di tutti i coinvolti, perché le quasi tre ore di film sono passate in un lampo.


D'altronde, è impossibile non farle passare, soprattutto in modo assolutamente soddisfacente. Ammetto che l'inizio, nonostante l'innegabile simpatia dei personaggi (e la bellezza del nano Thorin, porca misera, non me l'aspettavo!!!), il film risulta un po' troppo lento e che l'apparizione di Radagast, con la sua slitta trainata da conigli, sfiora i limiti del trash ma, a parte questi due aspetti, il resto del film è un trionfo. Assolutamente epiche la fuga dal sotterraneo dei Goblin e la battaglia tra i giganti di pietra, mozzafiato il volo finale delle aquile, splendide le scenografie che rappresentano Gran Burrone. I personaggi nuovi sono ben caratterizzati e la trama del primo film mira a concludere un percorso di formazione per il giovane hobbit Bilbo e anche per il nano Thorin: il primo deve cercare di diventare parte integrante di un gruppo in cui è stato inserito con l'inganno (a fin di bene, ma pur sempre inganno) e di aprire gli occhi sul mondo che lo circonda e sulle proprie, enormi potenzialità, mentre il secondo deve imparare a diventare un vero re e una guida a prescindere dalla sua forza morale e fisica, mettendo da parte pregiudizi e diffidenze legate ai torti passati e a un distorto senso di superiorità razziale. Ovvio, il punto più alto della pellicola si tocca con l'apparizione di Gollum, con il solito Andy Serkis che, pur nascosto dall'orrido sembiante della creatura (e il film abbonda di bestie inguardabili, a cominciare dal Re dei Goblin dotato di pappagorgia mastodontica!), riesce a mangiarsi in un sol boccone tutti gli altri bravissimi interpreti con un'interpretazione magistrale, inquietante e pietosa allo stesso tempo. Roba che mette i brividi, son sincera. E per concludere, altrettanto sinceramente e come lo direbbe Gandalf, vi dico: andate a vedere Lo Hobbit, sciocchi!!


Del regista Peter Jackson ho già parlato qui, mentre Martin Freeman (il giovane Bilbo), James Nesbitt (Bofur), Ian Holm (il vecchio Bilbo), Hugo Weaving (Elrond), Christopher Lee (Saruman) ed Andy Serkis (Gollum) ho già parlato nei rispettivi link.

Ian McKellen interpreta Gandalf, ruolo ripreso dalla trilogia de Il Signore degli Anelli. Grandissimo attore inglese, lo ricordo anche per film come The Last Action Hero - L'ultimo grande eroe, L'uomo ombra, Demoni e dei, L'allievo, X-Men, X-Men 2, Il codice Da Vinci, X-Men - Conflitto finale e Stardust. Anche sceneggiatore e produttore, ha 73 anni e film in uscita, tra cui i seguiti di Lo Hobbit e X-Men - Giorni di un futuro passato, dove riprenderà il ruolo di Erik "Magneto" Lehnsherr.


Richard Armitage interpreta Thorin. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma e Capitan America – Il primo vendicatore.  Ha  42 anni e  tre film in uscita, tra cui ovviamente i due seguiti di Lo Hobbit.


Ken Stott interpreta Balin. Scozzese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, King Arthur Le Cronache di Narnia: il principe Caspian. Ha 57 anni e due film in uscita, i seguiti di Lo Hobbit.


Elijah Wood interpreta Frodo, ruolo che lo ha reso famoso per la trilogia de Il Signore degli Anelli. Americano, lo ricordo per Ritorno al futuro – Parte II, Affari sporchi, Amore per sempre, L’innocenza del diavolo, Tempesta di ghiaccio, Deep Impact, The Faculty, Se mi lasci ti cancello e Sin City, inoltre ha doppiato episodi delle serie American Dad! e Robot Chicken. Anche produttore e assistente alla regia, ha 31 anni e otto film in uscita, tra cui i due seguiti di Lo Hobbit.


Cate Blanchett interpreta Galadriel, ruolo ripreso dalla trilogia de Il Signore degli Anelli. Splendida e assai capace attrice australiana, la ricordo per film come Elizabeth, Il talento di Mr. Ripley, The Gift - Il dono, The Shipping News - Ombre dal profondo, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, The Aviator (ruolo che le è valso l'Oscar per la miglior attrice non protagonista), Hot Fuzz, Elizabeth: The Golden Age, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo e Il curioso caso di Benjamin Button; inoltre, ha doppiato Granmamare nella versione USA di Ponyo sulla scogliera e un episodio de I Griffin. Anche produttrice e regista, ha 44 anni e nove film in uscita, tra cui i due seguiti di Lo Hobbit.


Jed Brophy, che interpreta Nori, aveva già partecipato alla trilogia del Signore degli Anelli e ad altri film di Peter Jackson come Splatters – Gli schizzacervelli e Creature dal cielo, mentre Sylvester McCoy, che interpreta il bizzarro stregone Radagast, è stato il settimo Dottor Who. Per chi, come me, non conosce benissimo l’universo Tolkieniano, aggiungo che questo Radagast viene solo citato nella versione cartacea de Lo Hobbit, ma compare nel libro Il Signore degli Anelli  come ingenua pedina di Saruman e nel Silmarillion; l’orco Azog, invece, che passa per eterna nemesi del nano Thorin, viene appena menzionato in un’appendice de Il signore degli anelli nella quale si racconta di come l’orco sia stato decapitato da Dain Piediferro come vendetta per l’uccisione di Thror, nonno appunto di Thorin. Probabilmente non ci avrete capito una mazza, ma vi consiglio comunque di leggere questi libri perché sono un capolavoro della letteratura fantasy e non... inoltre, se Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato vi fosse piaciuto, nell'attesa che escano Lo Hobbit: La desolazione di Smaug nel 2013 e Lo Hobbit: Andata e ritorno nel 2014 vi consiglio di riguardare la trilogia de Il signore degli anelli. ENJOY!

  


domenica 16 settembre 2012

I banditi del tempo (1981)

Direttamente dall'inesauribile fonte di consigli (più o meno validi) che è il sito GetGlue, in questi giorni ho fatto un salto ai tempi in cui non ero altro che una vaga idea nella mente dei miei genitori e mi sono guardata I banditi del tempo (Time Bandits), diretto nel 1981 dal folle Terry Gilliam.


Trama: Un ragazzino finisce in mezzo ad una banda di nani intenzionati ad arricchirsi rubando in diverse epoche storiche...


E' inutile. Terry Gilliam mi sfugge, è troppo complesso. Anche davanti ad un film apparentemente semplice come I banditi del tempo riesce comunque a lasciarmi con delle domande senza risposte, dei dubbi "esistenziali". Molto banalmente, infatti, questa pellicola è un simpatico film d'avventura per ragazzi, nel quale un bambino solitario, molto intelligente e fantasioso, ottiene l'opportunità di viaggiare nei periodi storici di cui ha potuto leggere solo sui libri e aiutare questa strana combriccola di ladruncoli nelle loro imprese "criminali". Il fatto però è che il regista e sceneggiatore americano inserisce qua e là anche qualche riflessione sulla natura della creazione stessa, sull'essenza di Dio e sull'eterno conflitto fra Bene e Male: Dio, o l'Essere Supremo, come viene chiamato nel film, non viene dipinto come un padre amorevole o come un entità vendicatrice, bensì come uno spocchioso e noncurante demiurgo che non esita a giocare con la vita e la morte solo per portare avanti le sue ricerche e i suoi esperimenti, come se l'intero universo e tutti gli avvenimenti in esso accorsi dall'inizio del tempo non fossero altro che una sequenza ininterrotta di eventi già pianificati da qualcuno che, fondamentalmente, non prova alcun sentimento verso la propria creazione. A questa amarissima riflessione sul senso dell'esistenza si aggiunge un finale molto ambiguo, che ovviamente non sto a rivelarvi, in cui è difficile per lo spettatore comprendere quale sarà il destino del protagonista e il significato dell'esperienza da lui vissuta... sempre che l'abbia vissuta veramente, visto che alcuni indizi lascerebbero anche pensare il contrario!


Preso solo come fantasy avventuroso, invece, I banditi del tempo regala momenti di divertimento assoluto. Innanzitutto è molto ironico, sia nella presa in giro delle famiglie moderne (composte da persone ignoranti, incapaci di comunicare, annichilite dalla tv e orientate al mero possesso di oggetti sempre più costosi) che nella presentazione dei vari personaggi, con un Robin Hood in odore di gayezza e falsamente cortese, un Napoleone vinto dal suo complesso di inferiorità, una ricorrente coppia di fidanzati impossibilitati a rimanere da soli e, dulcis in fundo, un grandioso Male che adora seviziare i suoi decerebrati sottoposti. Come seconda cosa, oltre ad essere ironico I banditi del tempo è anche parecchio visionario (anche se non tanto quanto altri lavori di Gilliam); personalmente, sono rimasta molto colpita dall'inquietante e realistico guerriero con la testa di cavallo che combatte contro Agamennone in una sequenza a dir poco magistrale e dai minacciosi Pipistrelli giganti evocati dal Genio del Male, ma anche i momenti in cui la stanza del protagonista diventa una zona di passaggio temporale oppure la scoperta della barriera che nasconde la Fortezza delle Tenebre (apparentemente fatta di mattoncini Lego!!) sono assai emozionanti.


Molto ben assortito il cast. Il gruppo di nani (che, a quanto pare, incarnano ognuno una diversa personalità dei componenti dei Monty Python) è molto simpatico e ruba la scena al piccolo protagonista in più di un'occasione, soprattutto perché ogni membro del gruppetto ha un tratto distintivo ben marcato, ma l'apoteosi si raggiunge con grossi calibri come John Cleese, Ian Holm, David Warner e, soprattutto, Sean Connery; anche se questi attori compaiono in proporzione molto poco rispetto agli altri, sono comunque i protagonisti dei momenti più divertenti, epici od emozionanti (anche se fa effetto sentire Agamennone parlare con accento scozzese, eh...) e sono quindi quelli che rimangono più impressi dopo la visione del film. Considerato anche che gli effetti speciali non sono moltissimi ma resistono bene all'usura del tempo e che la canzone finale la canta nientemeno che George Harrison, mi sento di consigliare I banditi del tempo a chiunque abbia voglia di vedersi un fantasy che non sia omologato ai patinati e banali standard attuali e, magari, fare un salto indietro nel tempo fino all'infanzia.


 Del regista e cosceneggiatore Terry Gilliam ho già parlato qui, mentre John Cleese (Robin Hood), Shelley DuVall (Pansy), Katherine Helmond (Mrs. Ogre), Ian Holm (Napoleone), David Warner (il Male, ruolo che era stato offerto a Jonathan Pryce, che ha dovuto rinunciare per impegni pregressi) e Jim Broadbent (il presentatore dello show televisivo) li trovate nei rispettivi link.

Sean Connery (vero nome Thomas Sean Connery) interpreta Agamennone e il pompiere. Uno dei più famosi attori del mondo, storico 007 (ha girato in tutto sette film a partire dal 1962) dotato di inconfondibile accento scozzese, lo ricordo per pellicole come Darby O' Gill e il re dei folletti, Marnie, Assassinio sull'Orient Express, Highlander - L'ultimo immortale, Il nome della rosa, The Untouchables - Gli intoccabili (che gli è valso l'Oscar come migliore attore non protagonista), Indiana Jones e l'ultima crociata, Sono affari di famiglia, Caccia a Ottobre Rosso, La casa Russia, Highlander II - Il ritorno, Robin Hood principe dei ladri, Il primo cavaliere, Dragonheart - Cuore di drago (prestava la voce a Draco), The Rock, The Avengers - Agenti speciali, Scherzi del cuore, Entrapment, Scoprendo Forrester e La leggenda degli uomini straordinari. Anche produttore e regista, ha 82 anni.


Michael Palin interpreta Vincent. Membro dei Monty Python, ha partecipato a film come Brian di Nazareth, Monty Python: Il senso della vita, Brazil, Un pesce di nome Wanda, Creature selvagge e alla soap australiana Home and Away. Inglese, anche sceneggiatore e produttore, ha 69 anni e un film in uscita.


Ralph Richardson interpreta l'Essere Supremo. Inglese, ha partecipato a film come Anna Karenina, Riccardo III, Il nostro agente all'Avana, Il dottor Zivago e Greystoke la leggenda di Tarzan il signore delle scimmie. Anche regista e produttore, è morto di infarto nel 1983, all'età di 80 anni.


Peter Vaughan (vero nome Peter Ewart Olm) interpreta l'Orco. Inglese, ha partecipato a film come Il villaggio dei dannati, Cane di paglia, Brazil, L'agente segreto, La seduzione del male, I miserabili e La leggenda del pianista sull'oceano. Ha 89 anni. 


Kenny Baker, alias il nano Fidgit, ha partecipato a tutti i film dedicati alla saga di Guerre Stellari nei panni del robot C1-P8 (o R2-D2, fate vobis). Nel 1996 Terry Gilliam aveva scritto un seguito di I banditi del tempo, ma il progetto è sfumato dal momento che tre degli attori che interpretavano i nani erano nel frattempo morti... in compenso, si vocifera l'uscita di un remake, anche se tutto è ancora avvolto nel mistero. Intanto, se il film vi fosse piaciuto, proverei a consigliarvi Labyrinth oppure Le avventure del Barone di Munchausen. ENJOY!


giovedì 5 gennaio 2012

eXistenZ (1999)

La temevo come si teme l’arrivo dei parenti a Natale questa recensione. Sì, perché non è facile parlare delle opere di David Cronenberg, nemmeno quando il film oggetto di discussione è il relativamente “innocuo” eXistenZ del 1999. Trama: durante il test del videogioco eXistenZ, basato su un complesso sistema di realtà virtuale, un uomo cerca di ucciderne la creatrice, Allegra Geller. La ragazza scampa all’attentato e fugge assieme ad un responsabile del marketing, Ted Pikul, ma la fuga non sarà semplice visto che qualcuno pare avere corrotto anche il cuore del gioco stesso… Chi, come me, ha più o meno visto tutti i film di Cronenberg fin quasi dagli esordi, sa cosa aspettarsi o cosa “temere” dal regista canadese. La poetica del buon David è sempre stata quella dell’orrore e del male che partono da dentro, che si insinuano nell’uomo fino ad appropriarsi della sua carne e stravolgerla, generando incubi grotteschi, disturbanti, dove spesso e volentieri eros e thanatos sono inestricabilmente legati e, come diceva il titolo di un suo vecchio film, inseparabili. In eXistenZ (mi raccomando, X e Z rigorosamente maiuscole) si possono ritrovare gli elementi di questa inquietante poetica, ma sono molto più all’acqua di rose rispetto alle vecchie pellicole. Se avete visto il meraviglioso, incomparabile Videodrome capirete quello che intendo, perché eXistenZ rappresenta una sorta di “evoluzione” dei temi trattati in quella precedente pellicola: in Videodrome una tecnologia relativamente giovane ma molto radicata come quella della televisione si appropriava della mente e della carne di un produttore seducendolo con la malsana idea di un canale pirata interamente dedicato a crudeli torture, con inevitabili conseguenze; in eXistenZ l’attenzione del regista si concentra invece su quel mistero che era ed è la realtà virtuale e su una generazione talmente assuefatta dai videogames da non riuscire più a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Si potrebbe dire che gli incubi di Cronenberg si sono finalmente realizzati, perché la realtà virtuale è molto più insinuante e rende assai più vulnerabili rispetto alla tv, lasciandoci in balia di qualcosa che non possiamo controllare e che ci rende molto più alienati e soli. Il problema è che, quanto più le visioni del regista ci appaiono tangibili, tanto meno efficaci diventano. Videodrome infatti lasciava un tremendo senso di disagio, perché il protagonista diventava altro da sé, accettava quasi passivamente il suo destino senza possibilità di redenzione e, soprattutto, per l’intera durata della pellicola era difficile per lo spettatore capire dove finisse la realtà e cominciasse l’allucinazione o se esistesse un confine tra le due. In eXistenZ almeno quest’ultimo problema non si pone, o meglio si riesce più o meno a tracciare una linea di separazione tra ciò che è vero e ciò che non lo è, soprattutto verso il finale, e la conclusione è netta (anche se non così positiva come sembrerebbe…), con una decisa presa di posizione dell’umanità che rifiuta di farsi governare e modificare. Certo il passo da “Lunga vita alla nuova carne” a “Morte alla Demone Allegra Geller” è breve, per affermare la vita e una presunta indipendenza i protagonisti di entrambe le pellicole passano comunque attraverso la morte, quindi non sembra ci sia stata una reale e positiva evoluzione. Però c’è stata un’involuzione, se così possiamo chiamarla. L’involuzione si può trovare nel fatto che quegli stessi effetti splatter e disgustosetti che nei film precedenti del regista avevano un senso ed erano fondamentali, in eXistenZ sembrerebbero quasi messi lì appunto perché “fanno molto Cronenberg”: il pod vivo, una sorta di parassita che si insinua nelle bioporte poste sulla schiena dei protagonisti con un gesto non molto diverso da quello della penetrazione sessuale o le inquietanti pistole con i denti al posto dei proiettili sono molto disturbanti ma, una volta che l’illusione si infrange, diventano solo degli accessori di un mondo che, a tutti gli effetti, non esiste. Ciò nonostante, la visionarietà del regista crea un universo alienante, soffocante ed infido, popolato da personaggi ambigui e governato da organizzazioni altrettanto equivoche. E gli attori, costretti ad interpretare persone reali e contemporaneamente bidimensionali pg di un videogioco, con un effetto a dir poco straniante, contribuiscono a rendere eXistenZ un film superiore alla media, adatto a chi ama il cinema in generale e l’horror che si mescola alla fantascienza. Del regista David Cronenberg ho parlato in questo recente post. Di Jude Law, qui nei panni di Ted Pikul, ho già parlato qua, Willelm Dafoe, che interpreta Gas, lo trovate qui mentre Ian Holm, ovvero Kiri Vinokur, ha già avuto il suo bel trafiletto qui. Jennifer Jason Leigh (vero nome Jennifer Lee Morrow) interpreta Allegra Geller. Americana, ha partecipato a film come Fuoco assassino, America oggi, L’ultima eclissi, L’uomo che non c’era, Era mio padre e L’uomo senza sonno, oltre a serie come Hercules, Frasier e Weeds. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 49 anni.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il quinto elemento (1997)

Finalmente riesco a parlare di un film che adoro, qualcosa che volevo recensire da qualche tempo, ovvero Il quinto elemento (The Fifth Element), “favola” fantascientifica diretta nel 1997 dal regista Luc Besson.

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Trama: in un futuro dominato dalla tecnologia, dove alleanze e guerre con esseri alieni sono all’ordine del giorno, compare nello spazio un’enorme palla di fuoco senziente che minaccia di distruggere ogni forma di vita sulla Terra. L’unico essere in grado di fermare la distruzione è il Quinto Elemento, alias Leeloo, un’aliena che riuscirà a coinvolgere nell’impresa anche Korben Dallas, un ex soldato ora tassista, decisamente attratto dalla bella rossa…

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Il quinto elemento, come ho detto, è una bella favola, che unisce elementi tipici della fantascienza all’ironia e all’azione caratteristici dei Die Hard di cui Bruce Willis è protagonista assoluto. Forse per questo mi è sempre piaciuto tanto questo film, oltre che per il suo essere un “fumettone” coloratissimo, a tratti kitsch nella sua assoluta innocenza, pieno di personaggi assurdi ed indimenticabili. Parlo di favola che potrebbe anche essere definita “ecologista”, in qualche modo, perché Il quinto elemento ha una morale ben precisa che tocca l’apice nel delizioso siparietto tra il cattivo Zorg e il prete Cornelius: è utile riempire il mondo di macchine che ci semplificano la vita.. ma se nel fare ciò ci dimenticassimo cosa sia veramente la vita, quella che conta? Besson ci mostra un mondo dove il progresso è palesemente un cane che si morde la coda, dove tutto viene creato per essere al servizio dell’uomo e nello stesso tempo lo aliena, inquina l’aria, lo indebolisce, e lo costringe a creare altre macchine per proteggere il corpo e svagare la mente. Una società ormai malata, allo sfascio, priva di valori, e la domanda che si pone Leeloo verso la fine del film, giustamente, è: ma perché devo salvare questo mondo? Cosa c’è di bello, ancora degno di essere preservato? La risposta è scontata, disneyana se vogliamo, ma in qualche modo sempre vera. L’amore. Soprattutto, aggiungo, se a darci aMMore è quel pezzo di figo di Bruce Willis. Ma sto divagando <asciuga la bava e riprende il filo del discorso>

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Passando agli aspetti più tecnici, la pellicola è un trionfo per gli occhi e le orecchie. Nonostante dopo più di dieci anni la realizzazione degli alieni risulti forse un po’ bruttina, soprattutto quando parliamo dei Mondoshawan all’inizio del film, questo piccolo difetto si annulla davanti all’inventiva del regista e al bestiario che ci viene proposto, sicuramente non ai livelli del mondo di Guerre Stellari, ma comunque coloratissimo e incredibile. E le bestie più “assurde” sono sicuramente gli esseri umani. Complice anche l’estro di Jean Paul Gaultier abbiamo una Leeloo con uno stilosissimo vestitino a bande, e delle kitschissime mise indossate dall’ambiguo Ruby, assieme a delle capigliature (soprattutto quella di Zorg) che farebbero accapponare la pelle al più trasgressivo degli emo: persino Bruce è stato fatto biondo per l’occasione, mentre il colore di capelli di Leeloo è decisamente indimenticabile, ma Milla Jovovich credo starebbe bene anche con un sacco di juta e calva. I dialoghi sono molto ironici e assai vivaci, la bella colonna sonora tocca il suo apice con il concerto della Diva Plavalaguna, che mescola canto lirico a ritmi decisamente più “truzzi” e ci regala un personaggio di rara eleganza e particolarità, nonostante l’aspetto goffo. Gli attori, nonostante il film sia “leggero”, sono comunque in stato di grazia; oltre ai già citati Bruce Willis e Milla Jovovich, praticamente perfetti nei due ruoli cuciti apposta su di loro (l’attrice ha persino imparato a parlare il linguaggio alieno inventato dal regista ed allora marito Luc Besson), c’è un Gary Oldman che si mangia letteralmente gli altri interpreti con la sua interpretazione molto sopra le righe e divertentissima: se ci si pensa bene, alla fine Zorg è uno dei villain più inutili e sfigati della storia del cinema, eppure Oldman riesce a renderlo semplicemente geniale. In poche parole, se non avete mai visto Il quinto elemento, guardatelo: non ve ne pentirete!

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Di Luc Besson, il regista del film, ho già parlato qui. Del divino Bruce Willis, alias Corben Dallas, trovate qui parecchie notizie, mentre Milla Jovovich, che interpreta Leeloo, è già stata nominata qua. Gary Oldman interpreta Zorg e di lui ho già parlato in questo post, mentre in quest’altro troverete notizie su Maiwenn Le Besco, irriconoscibile nei panni della cantante aliena Diva Plavalaguna.

Ian Holm interpreta il prete Vito Cornelius. Famosissimo e versatile attore inglese, che i più collegheranno alla figura di Bilbo Baggins de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, lo ricordo per altri film come Alien, Greystoke la leggenda di Tarzan il signore delle scimmie, Brazil, Il pasto nudo, Frankenstein di Mary Shelley, eXistenZ, From Hell - La vera storia di Jack lo squartatore e The Aviator; inoltre ha prestato la voce allo Skinner di Ratatouille. Ha 80 anni.

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Chris Tucker interpreta l’ambiguo dj Ruby Rhod. Non uno dei miei attori preferiti, decisamente, dell’attore americano ricordo una partecipazione nel Jackie Brown di Tarantino e la serie Rush Hour, dove il nostro fa coppia fissa con il divino Jackie Chan. Ha 39 anni.

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Luke Perry compare nell’introduzione iniziale, nei panni di Billy. Le ragazzine degli anni ’90 ricorderanno Beverly Hills 90210 e il “figo” del telefilm in questione, ovvero Dylan. Col tempo, oltre ad essere diventato un mostro, costui è anche un po’ sparito dalla circolazione; dopo aver recitato in film come Buffy l’ammazzavampiri si è infatti dedicato alla tv, partecipando a telefilm come Will & Grace, Law & Order, Criminal Minds e Oz. Ha inoltre doppiato alcuni episodi del cult Biker Mice from Mars. Americano, ha 46 anni e tre film in uscita.

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Tommy “Tiny” Lister interpreta nientemeno che il Presidente. Ex wrestler tutorato nientemeno che da Hulk Hogan, lo ricordo per film come Beverly Hills Cop 2, il bellissimo Cosa fare a Denver quando sei morto, Jackie Brown, Whismaster 2 – Il male non muore mai, Austin Powers in Goldmember e Il cavaliere oscuro, oltre che per aver partecipato a telefilm come Matlock, Willy il principe di Bel Air, Renegade, Walker Texas Ranger, L’ispettore Tibbs, E.R. e NYPD. Americano, ha 53 anni e dieci film in uscita.  

TommyLister

E ora una curiosità. Il teppista che, quasi all’inizio del film, tenta di rapinare Bruce Willis, non è altri che il regista Matthieu Kassovitz, autore di film come L’Odio, I fiumi di porpora e Gothika, nonché interprete del dolcissimo Nino de Il favoloso mondo di Amélie. Se vi fosse piaciuto il film, io vi consiglio di vedere, o rivedere, Avatar, leggermente simile per temi e genere. E ora vi lascio con il trailer decisamente poco spettacolare, ahimé! ENJOY!!

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