Visualizzazione post con etichetta jude law. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta jude law. Mostra tutti i post

venerdì 22 aprile 2022

Animali fantastici - I segreti di Silente (2022)

Poteva mancare la visione del terzo capitolo della saga Animali fantastici e come grigliarli? No, per l'appunto. Il giorno dopo l'uscita, in una sala gremita di coviddi, sono andata a vedere Animali fantastici - I segreti di Silente (Fantastic Beasts - Secrets of Dumbledore), diretto dal regista David Yates.


Trama: Silente, legato a Grindelwald da un patto di sangue che gli impedisce di nuocergli, chiede aiuto a Newt Scamander e compagnia per evitare che il mago oscuro diventi il nuovo Capo Supremo del mondo magico...


Non è un mistero che I crimini di Grindelwald mi avesse fatto abbastanza pena, non tanto per la realizzazione, quanto per la trama: inutilmente complicata, prolissa, zeppa di personaggi inutili e caratterizzazioni stupide, mi era sembrato un loffio tentativo di collegare la saga degli Animali fantastici a quella principale sfruttando principalmente dei nomi importanti che hanno lasciato il tempo che hanno trovato. Con I segreti di Silente la Rowling e soci hanno cercato di aggiustare un po' il tiro e in buona parte, questo va detto, ci sono riusciti. Tolto che io continuo a preferire le atmosfere fresche e favolistiche del primo film, l'unico ad avere ogni diritto di portare gli Animali fantastici nel titolo, a questi trattati di fantapolitica magica dai toni cupi, questa volta se non altro la trama è fruibile senza diventare matti a risalire a 30 alberi genealogici diversi e ogni personaggio (tranne Yusuf, il mago di colore per intenderci) ha una funzione ben precisa e uno story arc da seguire. Il motivo, detto con molta maligna sincerità, potrebbe essere il fatto che la Rowling rischia di non riuscire ad arrivare ai cinque film di cui si era parlato all'inizio; noterete infatti che I segreti di Silente si chiude con una serie di situazioni "aperte", ma non così tanto da dover per forza ricorrere a dei seguiti per tirare le fila, a differenza del film precedente. Detto questo, la pellicola, come da titolo, racconta un paio di segreti di famiglia del preside di Hogwarts, che fungono da cornice per l'ennesimo machiavellico piano di Grindelwald, il quale stavolta punta a diventare Capo Supremo del mondo magico. Scamander e i suoi animali sono ormai diventati agenti di Silente e la natura schiva del nostro viene messa un po' da parte così da trasformarlo in una sorta di tramite tra Silente e un gruppo eterogeneo di salvatori, tra i quali spicca il no-mag Jacob, l'unico che per fortuna continua a rimanere ben caratterizzato e su cui vorrei uno spin-off.


Gli altri personaggi, salvo i carismatici Silente e Grindelwald (a proposito, ciao Johnny, proprio non mi manchi per nulla) sui quali personalmente avrei spinto un po' l'acceleratore a proposito di una certa questione che io e i fan sostenevamo da anni, stanno lì a fare da cartonati o poco più, persino l'adorata Queenie e quel Credence che nei film precedenti rappresentava una forza della natura. Fortunatamente, qualche animale fantastico a infondere un po' di vitalità ancora c'è. Assieme ai beniamini Snaso e Asticello, protagonisti di un paio di scene ad alto tasso di divertimento, c'è la tenerezza inenarrabile della new entry denominata Quillin, elemento fondamentale della trama, e l'orrore di un paio di bestiacce simili a scorpioni, un momento potenzialmente horror "ammorbidito" da una delle sequenze più genuinamente esilaranti della pellicola. A proposito di sequenze. Non so se è lo schermo del multisala che ormai fa schifo ma a me è parso che Yates non riuscisse minimamente ad imbroccare le scene di azione in notturna, penalizzate anche da un montaggio e una fotografia a dir poco orribili (l'inizio, con Scamander e il Quillin, è inguardabile ma anche la fuga dal carcere tedesco non scherza), e anche se il regista è riuscito a portare a casa un paio di interessanti sequenze di lotta "a due" aventi per protagonista Silente, meriterebbe lo stesso che gli venissero tagliate le manine ogni volta che si affida al ralenti, ché una sequenza va anche bene, ma girarne mezza dozzina anche basta. Ciò detto, nonostante non sia stata una visione entusiasmante al 100%, I segreti di Silente raddrizza se non altro un paio di brutture lasciate dal precedente capitolo e soddisfa l'occhio della spettatrice con due uomini talmente affascinanti che gli Animali fantastici e tutto il cucuzzaro potrebbero anche scomparire, quindi merita una visione anche solo per questo.


Del regista David Yates ho già parlato QUI. Jude Law (Albus Silente), Mads Mikkelsen (Gellert Grindelwald),  Eddie Redmayne (Newt Scamander), Katherine Waterston (Tina Goldstein), Ezra Miller (Credence Barebone), Callum Turner (Theseus Scamander), Richard Coyle (Aberforth) e Dan Fogler (Jacob Kowalski) li trovate invece ai rispettivi link.

Oliver Masucci interpreta Anton Vogel. Tedesco, indimenticabile Ulrich della serie Dark, ha partecipato a film come Lui è tornato e ad altre serie quali Squadra speciale Cobra 11. Ha 54 anni e un film in uscita. 


Tra i seguaci tedeschi di Grindelwald troviamo anche Aleksandr Kuznetsov, il giovane protagonista di Why Don't You Just Die? mentre Valerie Pachner, che interpreta Henrietta Fischer, era Mata Hari in The King's Man - Le origini. Nell'attesa di sapere se ci sarà o meno un quarto capitolo, cosa non probabilissima nonostante la Rowling avesse pianificato ben cinque film, se Animali fantastici - I segreti di Silente vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Animali fantastici e dove trovarli, Animali fantastici - I crimini di Grindelwald e tutti i film della serie Harry Potter. ENJOY!


mercoledì 18 settembre 2019

Vox Lux (2018)

Stasera correrò a vedere l'ultimo film di Quentin e spero di riuscirne a parlare già venerdì. Nel frattempo, spinta dai molti pareri positivi, nonostante la pessima distribuzione italiana ho recuperato anche Vox Lux, scritto e sceneggiato nel 2018 dal regista Brady Corbet.


Trama: sopravvissuta a una strage, la giovanissima Celeste intraprende una carriera di pop star che, nonostante inevitabili alti e bassi, prosegue per oltre vent'anni...


"Ciao, io sono Gianfranzo, sono il vuoto che c'è dentro di te. Se mi accosti l'orecchio alla bocca senti solo il mare e basta!", così cantavano I ragazzi delle ragazze, durante la sigla del mitico Pippo Chennedy Show. Non riuscivo a trovare un perfetto riassunto per ciò che ho provato assistendo alle gesta di Celeste e alla fine toh, l'illuminazione, la Lux anche senza Vox: il nulla cosmico, accompagnato da una sensazione costante di prurito alle mani che non sono riuscita a sfogare con una bella catarsi esplosiva nel corso dei titoli di coda, privi di colonna sonora, arrivati dopo 10 minuti di concerto durante i quali, lo giuro, speravo qualcuno facesse brillare una bomba o perlomeno levasse dal mondo Celeste. SPOILER: magari, e invece. Sono una bestia ignorante, lo so, tuttavia ho provato un reale senso di disfatta guardando Vox Lux, un senso di aspettativa costantemente frustrata che, probabilmente, è proprio ciò che ricercava il regista. Perché, altrimenti, far raccontare la sciocca, inutile vita della pop star Celeste dal Diavolo in guisa di voce narrante, mister Willem Dafoe in persona, accostandola costantemente alle peggiori piaghe sociali (stragi studentesche e terrorismo) nella speranza che la Vox Lux di Celeste, sopravvissuta proprio ad una strage da ragazzina e infusa del potere di guarire col canto, potesse in qualche modo cambiare questo mondo così marcio? In questo modo lo spettatore si trova per le mani la solita storia all'interno della quale la protagonista, con tutte le sue doti e la sua bontà iniziale, il sentimento religioso che la smuove unito al profondo amore per la sorella maggiore, diventa una vuota vaiassa che è riuscita a distruggere tutto ciò che di buono c'era nella sua vita, indulgendo in parossismi di autodistruzione a base di alcool e droga e accumulando soldi, soldi, soldi. One for the Money and two for the Show. Ma 'sti soldi, benedetta fanciulla, a che ti servono? Si potrebbe riflettere sul fatto che il pop di Celeste, nato da una tragedia, serva proprio a non far pensare il suo pubblico, ad aiutare tutti i fan della cantante a superare i propri problemi prendendola come esempio di persona che ha superato un'enorme tragedia risorgendo più forte, come la fenice mitologica, raggiungendo un successo planetario che tutti vorrebbero, tuttavia anche vedendola così non sono riuscita assolutamente a trarre davvero un senso da ciò che viene raccontato nel film.


Diverso, invece, l'entusiasmo per il MODO in cui viene raccontata la storia di Celeste. Conoscevo Brady Corbet solo come uno dei protagonisti dell'angosciante ma bellissimo Mysterious Skin (film che peraltro vi consiglio di recuperare se non lo avete mai fatto, preparando stomaco e fazzoletti) e non avrei pensato che sarebbe diventato un regista raffinato e capace, in grado di padroneggiare diversi registri e, soprattutto, giocare con le aspettative dello spettatore. Avendo cominciato a guardare Vox Lux senza mai avere visto trailer o letto recensioni, onestamente mi sarei aspettata, dalle poche foto scorse sulla rete, di avere davanti un novello The Neon Demon oppure un Il cigno Nero, ovvero qualcosa in bilico tra il dramma e l'horror; in effetti, la già citata voce narrante di Defoe e l'inizio scioccante concorrono a dare proprio questa impressione, e il contrasto che si crea tra la pacatezza del narratore e la freddezza delle immagini mostrate da Corbet, seguite dai titoli di testa più angoscianti e "arty" visti quest'anno, provoca uno shock sensoriale non da poco. In realtà, andando avanti, più dell'abilità registica, che comunque si mantiene su livelli altissimi, contano le performance di Natalie Portman e della meravigliosa Raffey Cassidy, che incarnano il triste contrasto tra una ragazzina cupa che cerca di superare il peggior trauma della sua vita e la donna che sarebbe diventata, una pazza umorale prosciugata dal successo che prospera sulla sciocca vacuità del suo pubblico di riferimento e si crede una divinità. Il glitter & gold citato da Rebecca Ferguson abbonda, ammaliando lo spettatore assieme al make up, agli abiti glamour di una sfattissima Natalie Portman dal trucco pesante, spezzata nel corpo e nello spirito, e alle melodie pop di Sia (combinate alle melodie totalmente diverse di Scott Walker), ma è tutta vuota apparenza, una maschera talvolta splendente e talvolta dark priva di significato, tanto che può essere indossata da chiunque, terroristi o killer in primis. Il risultato è un film bellissimo, affascinante e anche capace di tenere avvinto lo spettatore alla poltrona anche solo per mera curiosità, ma che a mio avviso si perde un po' e rischia di avere difficoltà a far passare il suo messaggio, se davvero ne ha uno; a pensarci, però, potrebbe essere proprio questa la sua carta vincente, ovvero quella di far scervellare il pubblico per cercare di colmare quei "vuoti" di cui Vox Lux è pieno, interessanti quanto lo stesso film e ugualmente affascinanti. Insomma, un bell'esercizio cerebrale, altro che una semplice canzonetta pop.


Del regista e sceneggiatore Brady Corbet ho già parlato QUI. Natalie Portman (Celeste), Jude Law (il manager), Jennifer Ehle (Josie), Raffey Cassidy (Celeste da giovane/Albertine) e Willem Dafoe (il narratore) li trovate invece ai rispettivi link.

Stacy Martin interpreta Eleanor. Francese, ha partecipato a film come Nymphomaniac - Volume 1, Nymphomaniac - Volume 2, Il racconto dei racconti, High Rise e Tutti i soldi del mondo. Ha 28 anni e quattro film in uscita.


Rooney Mara avrebbe dovuto interpretare Celeste ma quando la produzione è andata per le lunghe l'attrice ha abbandonato il progetto. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il cigno nero. ENJOY!

martedì 19 marzo 2019

Captain Marvel (2019)

Per motivi logistici ho dovuto lasciar passare almeno una settimana dall'uscita ma finalmente anche io ho potuto guardare Captain Marvel e arrivare con un tardivo post SENZA SPOILER.


Trama: Verse è un'aliena kree dal passato misterioso e dagli enormi poteri. Costretta a un atterraggio di emergenza sulla Terra, scoprirà molte spiacevoli verità...



Di Captain Marvel hanno parlato (spesso a sproposito) cani e porci prima ancora che uscisse e probabilmente verrà ricordato come il film che ha fatto scapocciare i nerd di tutto il mondo portandoli ad invocare giustizia a causa di una presunta castrazione del ruolo di maschio alfa per mano di una donna supereroe, santo cielo. Non so perché se la siano presa così tanto visto che prima di Captain Marvel c'era già stata Wonder Woman e, allo stesso modo, non conoscendo il personaggio se non per alcuni collegamenti con l'universo degli X-Men non so se i nerd avessero ragione a insorgere per uno "spirito" non rispettato ma sta di fatto che, per qualcuno che non rientra nella categoria del troglodita internettaro medio, Captain Marvel è il "solito" film Marvel carinissimo ed entusiasmante per le due ore che dura e facilmente dimenticabile il giorno dopo. Origin story perfettamente inserita all'interno del Marvel Cinematic Universe nonché prologo dell'imminente Avengers: Endgame, Captain Marvel racconta il viaggio interiore di una persona, prima ancora di una donna. Un soldato, un'aliena, che si è ritrovata plasmata in qualcosa che forse non è mai stata, parte di una sorta di "coscienza collettiva" che la vuole potente ma nei limiti, grata di farne parte, ligia ai suoi doveri, confusa ma non troppo. Eppure, il passato c'è ed è dannoso ignorarlo, soprattutto quando nei ricordi di Vers, questo il nome della protagonista, c'è qualcosa di fondamentale che ha definito nel tempo la sua personalità: la capacità di rialzarsi, sempre e comunque, dopo ogni batosta, dopo ogni presa in giro, dopo ogni fallimento, dopo qualsiasi tentativo di negare e frustrare i suoi sogni. E' vero, Vers è donna, ma il messaggio che passa attraverso il suo atteggiamento, il suo "vaffanculo" finale a chi pretende di imporle il suo modo di vivere e di comportarsi, è e deve essere universale, un invito a non arrendersi mai e arrivare a brillare di luce propria, cercando e trovando la forza in se stessi, anche a costo di essere delle teste di cocco fatte e finite. Il resto, come si suol dire, è un di più, per quanto piacevole, divertente e necessario. Il giovane Nick Fury, gli Skrull, i Kree, Ronan l'accusatore, il tenerissimo miciotto Goose, protagonista dei momenti più esaltanti della pellicola e preso di peso da Il gatto venuto dallo spazio, la consapevolezza che Captain Marvel sarà una pedina fondamentale nella battaglia contro Thanos, tutto quello che volete, ma il fulcro del film è il percorso di presa di coscienza dell'adorabile Carol Danvers, e non in quanto donna ma in quanto persona.


Lo "sfogo" finale della protagonista è obiettivamente, per quanto forse un po' trash, una delle cose più liberatorie viste in anni di film Marvel, dove l'eroe, quando a un certo punto diventa consapevole dei suoi mezzi, da il meglio di se stesso ma sempre con quella punta di "reticenza" che rende umile persino uno come Iron Man. Captain Marvel invece se ne frega e spacca culi ed astronavi al ritmo di Just A Girl (punta di diamante di una colonna sonora che più anni '90 non si può, ma non dimentichiamoci Celebrity Skin, Come As You Are, I'm Only Happy When it Rains, ecc. ecc.), splendendo gioiosa e consapevole dei suoi mezzi, finalmente libera da qualsivoglia giogo, fisico o psicologico che sia. E' questo che rende Captain Marvel particolare, perché per il resto il film è perfettamente inserito all'interno del carrozzone Marvel, non brilla particolarmente per la regia o per la sceneggiatura, che ha l'unico pregio di essere in perfetto equilibrio tra la cazzoneria di un Thor: Ragnarok e la serietà di un Avengers, ed è popolata da attori che fanno il loro dovere anche quando, come Samuel L.Jackson, sono costretti a subire un lifting computerizzato che li rende più inquietanti di un manichino semovente. Simpatico e sbarazzino il continuo fluire di citazioni che contestualizzano il film nell'epoca degli anni '90, non sfacciato come gli omaggi trash di James Gunn e Taika Waititi ma in qualche modo delicato e gradevole; le mise delle protagoniste, con le maglie dei gruppi musicali dell'epoca e il profumo grunge che permea l'intero reparto costumi, è una botta di nostalgia più grossa dei riferimenti a Blockbuster, per intenderci, ma la palma della citazione (accompagnata da una bruschetta nell'occhio grossa come il Fenomeno) va al delizioso Stan Lee che legge la sceneggiatura di Generazione X, film di Kevin Smith che ogni True Believer dovrebbe guardare. Voto 3, invece, all'adattamento italiano: "giovanotta" fa il paio con il "benone" di Venom ("young lady" di solito viene reso con un "signorinella", by the way) e il riferimento alla password Wi-fi è imbarazzante, considerato che quella tecnologia non avrebbe preso piede ancora per un decennio come minimo (e infatti Fury parla di password Aol in originale). Potrei anche aver sentito Jude Law ciccare clamorosamente un congiuntivo all'inizio ma forse ero solo obnubilata dalla sua incommensurabile fighezza. Chissà. A parte tutto, Captain Marvel va visto, per più di un motivo, soprattutto se non vedete l'ora che arrivi Avengers: Endgame o se siete gattari incalliti come me. Rimanete incollati alla poltrona del cinema fino all'ultimo titolo di coda e divertitevi!


Di Brie Larson (Carol Danvers/Vers/Capitan Marvel), Samuel L. Jackson (Nick Fury), Ben Mendelsohn (Talos/Keller), Jude Law (Yon-Rogg), Annette Bening (Suprema intelligenza/Dottoressa Wendy Lawson), Clark Gregg (Phil Coulson), Djimon Hounsou (Korath), Lee Pace (Ronan) e Mckenna Grace (Carol a 13 anni) ho parlato ai rispettivi link.

Anna Boden è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto film come Sugar e 5 giorni fuori. Anche produttrice, ha 43 anni.
Ryan Fleck è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, ha diretto film come Sugar e 5 giorni fuori. Ha 43 anni.


La scena mid-credit è stata diretta dai fratelli Russo. Captain Marvel, cronologicamente, si colloca dopo Captain America: Il primo vendicatore, ma tanto vi toccherà recuperare tutto se vorrete godere appieno del film: Iron ManIron Man 2, L'incredibile HulkThor , The Avengers, Iron Man 3Thor: The Dark WorldCaptain America: The Winter SoldierGuardiani della GalassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of UltronDoctor StrangeSpider-Man: Homecoming ,Captain America: Civil WarThor: RagnarokAnt-ManAvengers: Infinity WarAnt-Man and the Wasp e Black Panther. ENJOY!

mercoledì 21 novembre 2018

Animali fantastici: I crimini di Grindelwald (2018)

Ho rischiato di non vederlo, ché il multisala savonese in questi giorni ha qualche palese problemino tecnico e di programmazione, ma alla fine lunedì sono riuscita a guardare Animali fantastici: I crimini di Grindelwald (Fantastic Beasts: The Crimes of Grindelwald), diretto da David Yates e sceneggiato dalla stessa J.K.Rowling.


Trama: benché gli sia stato revocato il permesso di espatriare, Newt Scamander viene mandato a Parigi da Albus Silente per salvare l'Obscurus Credence dalle mire del Ministero della Magia britannico e da quelle dell'evaso Grindelwald...


Animali fantastici e dove trovarli era stato una deliziosa botta di aria fresca non solo per chi, come me, bramava ancora vicende tratte dal fantomatico Potterverse, ma anche un bel film da vedere per chi di Harry Potter non conosceva ancora nulla; punto di forza della pellicola era l'ingenuo personaggio di Newt Scamander, dolce mago fuori dal mondo impegnato nella salvaguardia delle bestie magiche, degnamente spalleggiato da un "babbano" (o no mag) che si faceva portatore del punto di vista dello spettatore "ignorante" e scopriva assieme a lui tutte le meraviglie dell'universo magico. Era anche un film godibilissimo di per sé, altro enorme punto a favore, ma la Rowling ha deciso di farne un punto di partenza per una saga di cinque film ed ecco arrivare quindi I crimini di Grindelwald. Attesissimo, da parte mia, ovvio. Come ho scritto in più posti, non che me ne fregasse una mazza dei crimini del biondocrinito Johnny Depp, ma la love story tra Jacob e Queenie mi era rimasta nel cuore e, insomma, c'era anche la voglia di vedere altri animali fantastici, quindi sono corsa al cinema a vedere I crimini di Grindelwald con una marea di aspettative, in parte esaudite ma in parte, purtroppo, disattese. I pregi del secondo capitolo della saga, infatti, sopperiscono a fatica ai molti difetti di cui soffre, soprattutto a livello di sceneggiatura. Tra le cose positive c'è un ulteriore approfondimento della figura di Newt Scamander, con un Eddie Redmayne sempre più a suo agio nei panni dell'eccentrico, disadattato mago, approfondimento concretizzato in scorci della sua famiglia, del suo rifugio londinese, di ulteriori animali fantastici deliziosi (lo Snaso e gli Snasini in primis ma anche il mostro-gatto cinese, mentre le pantere multiple sul finale sono imbarazzanti a livello di CGI); c'è lo scontro a distanza tra Silente e Grindelwald, due figure incredibilmente carismatiche, ognuna a modo suo, con quel tocco di bromance (più romance che bro) che noi lettori maliziosi abbiamo sempre un po' subodorato; ci sono tanti piccoli rimandi agli adorati libri di Harry Potter e un ritorno ad Hogwarts in pompa magna oltre all'introduzione di un vecchio personaggio in guisa inaspettata; c'è, per concludere, un pre-finale emozionante e commovente che porta lo spettatore a non poter aspettare il 2020 e che bilancia, anche a livello di regia, un inizio che sulla carta sarebbe anche stato molto valido ma che sullo schermo risulta cupo, confuso, mal girato e mal tagliato.


Il resto, spiace dirlo, ma risulta fuffosino. Innanzitutto, I crimini di Grindelwald è troppo imperniato sulla ricerca delle origini di Credence (interpretato da un Ezra Miller ormai fisicato e fatto uomo ma meno interessante rispetto al film precedente), fatta di molti tempi morti e giri a non finire che mettono in mezzo un personaggio sfruttato malissimo (la fantomatica Leta Lestrange, la quale avrebbe avuto molto da dire ancora) e un altro talmente mal caratterizzato che arriva a non fregarne nulla a nessuno (il mago di colore Yusuf); ciò porta la povera Tina ad avere ben poco spazio e a ridurre la sua presenza a livello di sottotrama amorosa fatta di piccole schermaglie con Newt e, stranamente, porta a togliere importanza anche a Grindelwald e Silente, il che è un peccato perché sia Johnny Depp che Jude Law sono ammalianti e particolarmente in ruolo, il che da Jude Law me lo aspettavo ma, onestamente, non da Depp. Ma la cosa più orribile, una roba che mi stupisce vista la cura con cui la Rowling tratta i suoi personaggi, è l'involuzione della meravigliosa Queenie da ragazza un po' svampita ma con le palle a bimbo decerebrata nel giro di quattro/cinque sequenze: SPOILER Già è assurdo cominciare il film con Queenie che scaglia su Jacob un incantesimo d'amore ma posso sorvolare visto che lui semplicemente non vuole sposare la ragazza per non farla finire in prigione, scelta magari poco coraggiosa ma bellissima, coerente col personaggio di Jacob, e lei reagisce di conseguenza. I due litigano, ci sta anche questo  e forse ci sta anche che Queenie, sola in un paese dove non capisce la lingua, rimanga stordita dal suo potere di Legilimens al punto da finire alla mercé dell'inutile tirapiedi di Grindelwald... ma il resto è davvero aria fritta che culmina nella resa di Queenie al mago oscuro "perché è l'unico che mi darebbe la libertà di sposare Jacob", soprattutto dopo aver visto gli altri maghi sterminati dal potere del biondo. Va bene, nel prossimo film si combatterà una guerra per l'anima di Queenie, è palese, ma tirarla così per i capelli è assurdo quanto inserire un secondo fratello di Silente che nessuno ha mai sentito nominare. E dai, J.K.! FINE SPOILER Per il resto, nulla da dire. I crimini di Grindelwald è il "tipico" film di Harry Potter fatto di ottimi effetti speciali, musiche evocative, costumi della madonna e scenografie interessanti che si uniscono ai bei paesaggi naturali. Risulta tuttavia come film "di passaggio", in preparazione dei prossimi, infatti mi è sembrato quasi che la Rowling abbia aggiustato un po' il tiro per rendere la storia più cupa e complicata rispetto al primo capitolo tirando fuori un prodotto né carne né pesce. Niente di male in questo, di merchandising e saghe si vive, solo mi aspetto una maggiore onestà nel terzo episodio che, lo so già, correrò a vedere a prescindere.


Del regista David Yates ho già parlato QUI. Johnny Depp (Grindelwald), Carmen Ejogo (Seraphina Picquery), Eddie Redmayne (Newt Scamander), Zoë Kravitz (Leta Lestrange), Ezra Miller (Credence Barebone), Jude Law (Albus Silente), Dan Fogler (Jacob Kowalski), Katherine Waterston (Tina Goldstein) e Jamie Campbell Bower (Giovane Grindelwald) li trovate invece ai rispettivi link.


Tra gli attori presi in considerazione per interpretare Albus Silente c'erano Christian Bale, Benedict Cumberbatch e Jared Harris. Detto questo, nell'attesa che escano i prossimi capitoli della saga (previsti, rispettivamente, per il 2020, 2022 e 2024), se Animali fantastici: I crimini di Grindelwald vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Animali fantastici e dove trovarli aggiungendo l'intera saga di Harry Potter, così da capire meglio i vari riferimenti. ENJOY!


martedì 16 maggio 2017

King Arthur: Il potere della spada (2017)

Colpita da un leggero e momentaneo calo di interesse nei confronti di Alien: Covenant (che andrò alla fine a vedere mercoledì), domenica ho deciso di puntare su King Arthur: Il potere della spada (King Arthur: Legend of the Sword), diretto e co-sceneggiato dal regista Guy Ritchie.


Trama: dopo la morte del padre Uther, re d'Inghilterra tradito dal fratello Vortigern, il piccolo Arthur viene cresciuto dagli abitanti dei bassifondi di Londinium senza alcun indizio sulla sua reale natura, almeno finché non viene costretto ad estrarre la spada Excalibur, diventando immediatamente leggenda...


Pur avendo giocato per parecchi anni ad Extremelot, per di più all'interno di una gilda chiaramente ispirata all'argomento, non sono mai stata una grande appassionata del ciclo arturiano, né ne sono mai stata una conoscitrice, salvo per le nozioni banali da quiz televisivo conosciute dal 90% della popolazione mondiale. Questo è uno dei motivi per cui la rilettura "alla Guy Ritchie" della leggenda di Re Artù ed Excalibur non mi ha offesa nel profondo, anzi, mi ha lasciata inaspettatamente soddisfatta, nonostante un paio di scelte stilistiche di cui parlerò nel prossimo paragrafo. Da zamarra inside e, fondamentalmente, da amante del modo in cui il regista inglese si rapporta da sempre al sottobosco criminale londinese, ho adorato questa versione guascona di Re Artù, cresciuto dalle dipendenti di un bordello fino a diventare una sorta di "capoccia" dei bassifondi, con la sua corte di disperati dediti a truffe e furtarelli e, soprattutto, a proteggere gli abitanti di una città violenta da invasori poco rispettosi delle regole e dal pugno di ferro di un re infernale, che governa con l'ausilio di un esercito fatto di uomini mascherati e di forze oscure vagamente assimilabili alle tre streghe del Macbeth. All'interno di King Arthur si incontrano dunque due anime, la commedia criminale in stile Ritchie e il fantasy cupo che affonda le radici in una leggenda antichissima; queste due facce della stessa medaglia cinematografica convivono e si fondono per buona parte della pellicola, soprattutto quando vengono gettate le basi per una Tavola Rotonda fatta di "merrymen" che non sfigurerebbero né accanto a Robin Hood né all'interno di un Lock & Stock qualsiasi, mentre stridono un po' quando la sceneggiatura va a toccare la leggenda della spada del titolo originale, gettando in un calderone unico maghe, patti col diavolo, torri di Sauroniana memoria, dame del lago e visioni di un passato e futuro da incubo. Il protagonista ha carisma sufficiente per reggere quasi da solo tutta la vicenda ma fortunatamente i suoi allegri compagni lo sostengono per buona parte del minutaggio e riescono a farsi voler bene dallo spettatore toccando anche occasionali vette di commozione e preoccupazione, cosa che non succede, per esempio, con la Maga e Re Vortigern, entrambi molto affascinanti (soprattutto il secondo) ma in qualche modo bidimensionali, figure eteree che paiono quasi scomparire sullo sfondo del bailamme di regia, montaggio, combattimenti e computer graphic messo in piedi da Ritchie.


Dal punto di vista stilistico, Ritchie carica le sequenze all'inverosimile, spingendo l'acceleratore a tal punto che lo spettatore non ha mai un attimo di noia. La colossale guerra dell'inizio, tutta elefanti indemoniati, morte & distruzione, la scena topica ripresa in un infinito numero di flashback, il montaggio che unisce senza soluzione di continuità narrazione e narrato, gli effetti devastanti di Excalibur (l'equivalente di un bazooka, alla faccia della spada, ma bisogna in qualche modo giustificare le proiezioni in 3D, da me fortunatamente evitate), il ralenti durante i combattimenti, le riprese in soggettiva con la steadycam e persino l'arrogante citazione dell'Ofelia di Millais, per non parlare degli omaggi al Signore degli Anelli di Jackson, tutto concorre a rendere il film incredibilmente dinamico senza mai risultare "esagerato", come se Ritchie sapesse quando fermarsi prima di portare lo spettatore al suicidio per sovraccarico sensoriale. L'unica sequenza davvero insopportabile, almeno per quel che mi riguarda, è stata il terrificante pre-finale in cui Arthur è costretto ad affrontare un incrocio tra Skeletor, il Balrog e un pessimo boss di fine livello interamente realizzato in computer graphic, una cafonata di cui avrei fatto volentieri a meno e che mi porta a spendere due parole sugli attori. Per quanto il personaggio di Vortigen sia un po' sui generis, una figuretta monodimensionale che spinge interamente sulla sua malvagità priva di fondamenti (la gelosia e la sete di potere diciamo che mi vanno bene fino a un certo punto), vederlo interpretato da Jude Law cancella immediatamente ogni difetto di scrittura in virtù del carisma e del fascino dell'attore, semplicemente magnetico; se tu però me lo cancelli seppellendolo in una colata di CGI, addio, del suo destino non mi importa più né tanto né poco. Convintissimo e convincentissimo invece Charlie Hunnam nei panni di un Arthur palestrato e linguacciuto e voto dieci al solito cast di caratteristi che, come sempre nei film diretti da Ritchie, sfiora livelli di eccellenza e nel quale spiccano Neil Maskell e "ditocorto" Aidan Gillen, con le loro faccette un po' così da criminali sbruffoni. Quindi, al netto di alcuni trascurabili difetti l'ultima fatica di Ritchie per me è promossa in pieno: al regista chiedo solo di non distrarsi troppo, ché King Arthur mi puzza di prequel lontano un chilometro, e di concentrarsi sul terzo capitolo di Sherlock Holmes (cos'è quell'Aladdin in pre-produzione su Imdb? Per di più con Will "Mollo" Smith nei panni del Genio?? Non t'azzardare, eh!).


Del regista e co-sceneggiatore Guy Ritchie ho già parlato QUI. Charlie Hunnam (Arthur), Jude Law (Vortigern), Djimon Hounsou (Bedivere), Eric Bana (Uther) e Neil Maskell (Mangiagallo) li trovate invece ai rispettivi link.

Aidan Gillen interpreta Bill. Irlandese, ha partecipato a film come 2 cavalieri a Londra, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, Sing Street e serie quali Queer as Folk e Il trono di spade. Anche sceneggiatore e produttore, ha 49 anni.


Freddie Fox (vero nome Frederick Fox) interpreta Rubio. Inglese, ha partecipato a film come I tre moschettieri, Pride Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein. Ha 28 anni e due film in uscita.


Annabelle Wallis interpreta Maggie. Inglese, ha partecipato a film come X-Men - L'inizio, W.E. - Edward e Wallis e Annabelle. Ha 33 anni e un film in uscita, La mummia.


La spagnola Astrid Bergès-Frisbey, che interpreta la Maga, era già comparsa in Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, nei panni di Syrena mentre tra le altre guest star compaiono il calciatore David Beckham nei panni di una delle guardie e la sorella maggiore di Cara Delevingne, Poppy, nei panni di Igraine, madre di Arthur. Come avevo evinto dal finale "sospeso", King Arthur (uscito al terzo tentativo dopo due progetti falliti, uno dei quali prevedeva Colin Farrell come Re Artù e Gary Oldman nei panni di Merlino) è il primo film di una serie che dovrebbe prevederne almeno sei, ovviamente immagino in caso di successo del film in questione, che tuttavia in America non è andato come si sperava e ha incassato un bel flop. Chi vivrà vedrà insomma. Nell'attesa, se King Arthur: Il potere della spada vi fosse piaciuto recuperate i vecchi di film di Guy Ritchie (alcuni li trovare recensiti QUI) e magari anche la quadrilogia de I pirati dei Caribi. ENJOY!

mercoledì 16 novembre 2016

Genius (2016)

Questa settimana sono usciti parecchi film validi al cinema e senza dubbio uno di questi è Genius, diretto dal regista Michael Grandage e tratto dalla biografia Max Perkins: Editor of Genius di A. Scott Berg.


Trama: Max Perkins, editore presso la famosissima casa Charles Scribner's Sons, si ritrova tra le mani il lunghissimo romanzo d'esordio di Thomas Wolfe, scrittore spiantato al quale decide di dare una possibilità, consacrandolo così a genio della letteratura americana.


Data la mia atavica ignoranza in campo letterario, ammetto candidamente di non avere mai sentito parlare di Thomas Wolfe, neppure negli anni passati all'università (a dire il vero il corso di letteratura americana l'ho abbandonato dopo una sola lezione, tanto poco mi interessava l'argomento), quindi il film Genius è stato per me una sorpresa totale. In tutta onestà, dopo averlo visto la voglia di recuperare eventuali opere di Wolfe mi è passata in toto: logorroico, autobiografico, con uno stile pesantemente contaminato da afflati poetici, credo mi addormenterei alla terza pagina dei due romanzi nominati nel film (Angelo, guarda il passato e Il fiume e il tempo), a differenza di quanto accaduto all'epoca all'editore Max Perkins il quale, ritrovatosi tra le mani il lunghissimo manoscritto che sarebbe diventato Angelo, guarda il passato, ha deciso invece di dare una chance a Wolfe, aiutandolo a rendere la sua opera il più possibile scorrevole e fruibile per il pubblico. La pellicola di Michael Grandage pone quindi sotto i riflettori non tanto lo scrittore o il processo creativo, come spesso accade in altri film, bensì la figura dell'editore e del lavoro di lima e cesello che sta dietro ad ogni opera scritta, offrendo allo spettatore non solo la storia di un'amicizia travagliata e lo scontro di due personalità apparentemente agli antipodi ma anche uno sguardo su una parte di realtà editoriale spesso messa in secondo piano. Superficialmente, molti penserebbero che il lavoro di un editore sia assimilabile a quello del correttore di bozze, più focalizzato sulla forma, la sintassi e la grammatica, invece in Genius vediamo come un editore con le palle intervenga anche sulla struttura stessa dei romanzi che gli vengono sottoposti, eliminando eventuali lungaggini, assicurandosi che l'autore abbia chiara la direzione da far intraprendere alla sua opera e diventando di fatto una sorta di co-autore. Nel caso di Perkins e Wolfe, vediamo come il lavoro del primo sia sempre stato percepito come una sorta di "ingerenza" da parte del secondo, il cui ego smisurato lo portava a scrivere fiumi di parole da lui stesso ritenute, immancabilmente, fondamentali per esprimere a fondo i propri pensieri; allo stesso tempo, davanti ad un lavoro di revisione e scrematura durato due anni, a costo di pesanti perdite personali subite da entrambi, è legittimo chiedersi se un romanzo come Il fiume e il tempo non abbia ottenuto il successo che ha consacrato Wolfe a genio della letteratura americana anche e soprattutto per merito dell'abilità di Max Perkins. Genius non da una risposta chiara a questo quesito ma di sicuro porta a riflettere, inoltre gioca interamente sul parallelo tra il rapporto lavorativo instauratosi tra Perkins e Wolfe e quello assai simile tra un padre e un figlio, con Perkins che cerca non solo di migliorare l'opera dello scrittore ma anche di instradare la debordante personalità del suo protetto, fondamentalmente un individuo ingrato ed egoista dotato del dono della scrittura facile.


Attorno a queste due figure ruotano altri rappresentanti della scena culturale americana ai tempi della depressione, quali un F. Scott Fitzgerald in piena crisi creativa e un Hemingway in cerca di emozioni forti, e ovviamente le presenze femminili fondamentali (in positivo o in negativo) all'interno della vita dei due protagonisti. Tra tutte spicca una ritrovata Nicole Kidman nei panni di Aline Bernstein, "musa" iniziale di Wolfe, che per lui ha abbandonato marito e figli ritrovandosi con un pugno di mosche quando il giovane scrittore ha deciso di consacrarsi interamente al lavoro; nonostante sia un personaggio assai teatrale, la Kidman riesce a tratteggiarlo con la dose di umanità necessaria affinché il pubblico arrivi ad empatizzare con i gesti della donna, anche quando essi sfiorano il limite dell'autolesionismo. Allo stesso modo, Colin Firth e Jude Law sono favolosi e perfettamente complementari. Il primo indossa i panni a lui più congeniali, quelli dell'americano "all'inglese" apparentemente privo di emozioni che non siano quelle legate alla professione svolta, ed è bello vederlo aprirsi a poco a poco sia con Wolfe che con la chiassosa famiglia composta esclusivamente da donne (per non parlare poi del finale commoventissimo); il secondo è una roboante fucina di parole a propulsione eterna, il cui volto viene costantemente animato dalla miriade di violente emozioni provate dal personaggio durante tutte le fasi della sua breve carriera da scrittore ed è in grado di provocare sia nello spettatore sentimenti ambivalenti di ammirazione e odio. Tra i due non saprei dire chi ho preferito, anche perché, come ho detto, i caratteri contrastanti di entrambi i personaggi si completano a vicenda e i duetti tra loro sono a tratti emozionanti quanto quelli tra Salieri e Mozart sul finale di Amadeus, soprattutto quando il montaggio (curatissimo, come la regia, la fotografia e la generale ricostruzione storica) offre allo spettatore uno scorcio di "processo creativo" durante il quale si alternano animate discussioni, implacabili segni di matita rossa e un paragrafo che viene a poco a poco spogliato da tutti i suoi inutili orpelli. Diciamo, molto banalmente, che i fan dei due attori avranno molto di cui godere, soprattutto guardando il film in lingua originale... e, potrei sbagliarmi, ma sento odore di candidature all'Oscar. A prescindere, Genius è un film che consiglio a tutti quelli che amano non solo il buon cinema attoriale ma anche le pellicole di stampo biografico, soprattutto quelle che si focalizzano su eventi non proprio universalmente conosciuti, e ovviamente i libri. Sia mai che capiti di guardare il romanzo che abbiamo tra le mani con occhi diversi!


Di Colin Firth (Max Perkins), Jude Law (Thomas Wolfe), Nicole Kidman (Aline Bernstein), Laura Linney (Louise Perkins), Guy Pearce (F. Scott Fitzgerald) e Dominic West (Ernest Hemingway) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Grandage è il regista della pellicola, al suo debutto dietro la macchina da presa. Inglese, ha lavorato come attore e produttore e ha 54 anni.


Se Genius vi fosse piaciuto recuperate L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo. ENJOY!

martedì 21 aprile 2015

Black Sea (2014)

Nonostante il genere “suBBaquo” non faccia proprio al caso mio, qualche sera fa ho deciso di guardare Black Sea, diretto nel 2014 dal regista Kevin MacDonald.


Trama: abbandonato dalla moglie e licenziato dalla ditta per cui lavora, l’ex marinaio Robinson decide di riunire una ciurma per recuperare un’enorme quantità di lingotti d’oro che dovrebbero trovarsi all’interno di un sottomarino affondato nel corso della seconda guerra mondiale…


Come saprete se seguite da qualche tempo il mio blog, riassumere i film in tre righe di trama non è il mio forte. Questo per dire che, rileggendo quello che ho scritto sopra, sembrerebbe che Black Sea sia un film d’avventura imperniato su un’allegra caccia al tesoro, magari una tamarreide con Nicolas Cage, invece non è affatto così. Black Sea è uno dei film più cupi, coinvolgenti, tesi e persino commoventi che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi e se è vero che quella raccontata nel film è un’avventura, bisogna considerare soprattutto i motivi che hanno spinto i protagonisti ad intraprenderla. Il film diretto da MacDonald è infatti un triste figlio della crisi globale e mette in scena dei personaggi ruvidi, segnati dalla vita, arrivati ad un età in cui un licenziamento si tradurrebbe in una ricerca ininterrotta di lavori svilenti (quando va bene) o in una perenne condizione di indigenza e solitudine. Accettare una missione potenzialmente mortale, finanziata da un riccone al quale ovviamente spetterebbe la parte più sostanziosa del bottino, è l’unico modo per tornare ad avere un po’ di respiro e tornare ad essere “umani” agli occhi di figli e mogli che li disprezzano o che a loro volta soffrono per la condizione disagiata di chi dovrebbe mantenerli ed assicurare loro un futuro; sperando per il meglio o spinti, come nel caso di Robinson, da un bruciante misto di rimpianti, desiderio di rivalsa e odio nei confronti della società, questo branco di derelitti si immerge nelle acque oscure del titolo. Da questa premessa si dipana una pellicola difficile da guardare serenamente, per più di un motivo. In primis, perché l’abilità con cui lo sceneggiatore definisce in pochi tratti le personalità dei coinvolti ci spinge ad immedesimarci maggiormente con questi esperti marinai, rendendo ancora più insostenibili i vari “inconvenienti” di navigazione; secondariamente, quegli stessi “inconvenienti” rischiano di uccidere uno spettatore mediamente claustrofobico come la sottoscritta. Black Sea, come ho detto sopra, è infatti un film molto teso, costruito in modo da non dare un attimo di tregua pur rimanendo credibile in ogni twist, anche il più inaspettato. Inoltre, all’isolamento creato dal sottomarino, dall’oscurità delle acque profonde e dalla necessità di rimanere in incognito si aggiungono l’imprevedibilità di tutti i membri dell'equipaggio (uno è psicopatico, uno ha un enfisema, uno è un ragazzino, uno è un ambiguo topo di scrivania e lo stesso Robinson è troppo coinvolto a livello personale per essere un capitano obiettivo) e l’ulteriore isolamento provocato dalla compresenza di metà equipaggio anglofono e metà formato da russi, cosa che, inevitabilmente, richiede mediatori in grado di capire entrambe le lingue, prima che le inevitabili differenze linguistiche e un malcelato razzismo facciano precipitare una situazione già molto delicata.


Essendo Black Sea un film che da molta importanza all’elemento umano, linguistico e culturale ma anche una pellicola fatta di sequenze concitate e claustrofobiche riprese sottomarine, lo spettatore italiano rischia di trovarsi in una bruttissima situazione di impasse. Da un lato, infatti, io ho amato alla follia i peculiari accenti degli attori (tutti bravissimi, non ce n’è uno che mi abbia fatto considerare il suo personaggio come una banale macchietta, neppure i russi), a partire da quello di Jude Law che parla con una pesantissima inflessione aberdoniana, un ulteriore “indizio” della mentalità chiusa, ruvida, tradizionalista e anche un po’ “ignorante” non solo del protagonista ma di tutto il resto della ciurma; in italiano quest’incredibile varietà linguistica è andata inevitabilmente perduta, col risultato che Black Sea già dal trailer convince davvero poco e da l’erronea impressione di essere l’ennesima copia di film come Caccia a ottobre rosso o simili (senza contare il fatto che ogni russo, come mi hanno detto, è stato doppiato con la cadenza tipica degli imitatori di Putin). Vi direi quindi di guardare Black Sea in lingua originale ma l’altro lato della medaglia è che sicuramente al cinema, con un grande schermo e un bel sonoro spacca timpani, la sensazione di trovarsi all’interno del sottomarino o a centinaia di metri dalla superficie del mare, immersi nell’oscurità e privi di ossigeno, dev’essere un’esperienza ancora più emozionante e terribile, nonché il modo migliore per apprezzare la bella regia di MacDonald. Se, a differenza mia, siete persone in grado di resistere ai fortissimi stimoli che potrebbe procurarvi la visione in sala di Black Sea, la cosa migliore da fare sarebbe probabilmente guardarlo due volte, prima al cinema in italiano e poi a casa in lingua originale (o viceversa), così da godere al meglio di entrambi gli aspetti della pellicola. In ogni caso, non lasciatevi fuorviare da pregiudizi o recensioni negative; nonostante l’impianto abbastanza tradizionale che mi impedisce di elevarlo a cult o capolavoro, Black Sea è un gran bel film che vi consiglierei di vedere senza indugio!


Di Jude Law (Robinson), Scoot McNairy (Daniels) e Ben Mendelsohn (Fraser) ho già parlato ai rispettivi link.

Kevin MacDonald è il regista della pellicola. Scozzese, ha diretto film come L'ultimo re di Scozia, State of Play, The Eagle e il documentario One Day in September, col quale ha vinto un premio Oscar. Anche produttore e sceneggiatore, ha 48 anni e sta dirigendo i primi episodi della miniserie 11/22/63, tratta dall'omonimo libro di Stephen King.


Michael Smiley interpreta Reynolds. Irlandese, ha partecipato a film come Shaun of the Dead, Profumo - Storia di un assassino, The ABCs of Death, La fine del mondo e a serie come Black Mirror e Doctor Who. Ha 52 anni e quattro film in uscita.


Se Black Sea vi fosse piaciuto recuperate Abissi, The Abyss e Leviathan, gli unici film "sottomarini" o acquatici che sono riuscita a vedere fino alla fine prima di passare a miglior vita per l'ansia! ENJOY!

Qui trovate la recensione de Il giorno degli zombi, che mi ha invogliata tantissimo nel recupero!

mercoledì 4 giugno 2014

Dom Hemingway (2013)

Mi rendo conto che negli ultimi tempi sto privilegiando le nuove uscite a discapito di film più vecchi o rubriche come il Bollalmanacco On Demand ma sono rimasta un po' indietro e tento di recuperare. In questi giorni, per esempio, ho guardato lo spassoso Dom Hemingway, diretto e sceneggiato nel 2013 dal regista Richard Shepard.


Trama: Dopo 12 anni di prigione il folle e sboccatissimo Dom Hemingway esce di prigione. Come prima cosa, decide di recuperare i soldi che gli spettano dal suo ex boss poi cerca di ricostruire il rapporto con la figlia, ma le cose non saranno così facili...


Un monologo sul ca**o recitato con un cacofonico, roboante accento inglese. Ecco come comincia Dom Hemingway, assestandosi subito su un binario di esilarante volgarità appoggiata interamente sulle spalle di un Jude Law ingrassato, imbruttito e, letteralmente, larger than life. Le peripezie di Dom, malvivente di bassissima lega afflitto da problemi di autocontrollo che lo portano, assieme alle epiche sbronze, a rovesciare invettive e pugni contro chiunque gli capiti a tiro, sono uno spiazzante e divertentissimo mix tra i momenti più goliardici di Arancia Meccanica e il sottobosco criminale dipinto nei film di Guy Ritchie, con in più un leggero tocco di classe e wit tutto british che mancava ai film dell'ex Mr. Ciccone. Come in un romanzo picaresco che si rispetti, la storia di Dom Hemingway viene divisa in capitoli che segnano diverse e fondamentali tappe della sua "riabilitazione" e che lo vedono alle prese con vari problemi legati al post-prigionia e, non meno importante, alla presa di coscienza di essere ormai un vanitoso dinosauro, un relitto del passato che dovrebbe smettere di fare il giovincello scapestrato e darsi una regolata per non sputare in faccia alla seconda chance (diciamo anche terza o quarta...) che gli è stata concessa, soprattutto dopo aver perso già troppo a causa del suo carattere bizzoso. Dopo aver soddisfatto i desideri più immediati, nella fattispecie donne, alcool, droga, vendetta e soldi, veri e propri protagonisti della prima, scoppiettante parte del film, nella seconda parte assistiamo ad un naturale rallentamento del ritmo e ad un'atmosfera quasi più malinconica, nella quale Dom è costretto ad affrontare le conseguenze dei suoi atteggiamenti passati per riuscire a ricostruirsi una vita quantomeno dignitosa e a "crescere" come persona. Niente di patetico, per fortuna, e nessun happy ending da Mulino Bianco, ma forse una speranza, come succede nella vita di tutti i giorni, sempre piena di false partenze ed incertezze.


La sceneggiatura di Richard Shepard è brillantissima ed interessante e la sua regia, pur di stampo classico, riesce a non appiattirla, ricorrendo anche ad un'esilarante scena al ralenti dove sfiderei chiunque a non ridere davanti all'oggetto che lo strafattissimo protagonista si vede volare davanti alla faccia. A tal proposito, l'aspetto fondamentale di Dom Hemingway sono i due attori principali, Jude Law e Richard E. Grant, che sullo schermo mostrano una sinergia a dir poco incredibile: Jude Law ha un carisma fuori dal comune e, come ho detto all'inizio, regge sulle sue spalle l'intero film senza mai risultare esagerato o ridicolo ma l'aplomb britannico di Richard E. Grant fa da perfetto contraltare all'incontenibilità dell'amico, creando così una moderna strana coppia di opposti che regala allo spettatore risate a non finire. Valido anche tutto il cast di supporto, a cominciare da quel gigionissimo Demian Bichir già visto in Machete Kills per concludere con l'esilarante gangsta nero afflitto da trauma infantile felino (vedere per credere, ero piegata in due dalle risate!) e non mancano ovviamente personaggi un po' più "realistici" come la figlia di Dom o il tenero e silenzioso nipotino che, a differenza del logorroico nonno, fa breccia nel cuore e nella mente delle persone con un semplice, eloquente sguardo. Insomma, avrete capito che, complici anche una bella colonna sonora e un'azzeccatissimo stile per quel che riguarda abiti e scenografie (le mise di Dickie sono spettacolari ma anche la villa di Mr. Fontaine non scherza!) Dom Hemingway mi è piaciuto davvero un sacco. Ora, il problema è capire se questo mio amore si sarebbe manifestato con la stessa intensità anche davanti all'adattamento italiano perché, come ho detto, buona parte della bellezza del film risiede nei dialoghi e in quel mix di rhyming slang e accento cockney con cui vengono pronunciati, quindi non vorrei che la versione nostrana risultasse inevitabilmente piatta. Voi andatelo comunque a vedere e poi, nel caso, recuperate l'imprescindibile versione in lingua originale!


Di Jude Law (Dom Hemingway), Richard E. Grant (Dickie Black) e Demian Bichir (Mr. Fontaine) ho già parlato ai rispettivi link.

Richard Shepard è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Oxygen, The Matador, The Haunting Party - I cacciatori ed episodi delle serie Ugly Betty, 30 Rock, Criminal Minds, Ringer e Salem. Anche produttore e attore, ha 49 anni.


L'attrice romena Madalina Diana Ghenea, che interpreta Paolina, oltre ad essere una delle protagoniste de I Borgia ha avuto anche la sfortuna di partecipare a I soliti idioti: il film mentre Kerry Condon, che interpreta Melody, è comparsa in This Must Be the Place e un paio di episodi di The Walking Dead. Emilia Clarke infine, che interpreta la figlia di Dom, altri non è se non la "nana ciglioparrucca"® Daenerys de Il trono di spade. Detto questo, se Dom Hemingway vi fosse piaciuto recuperate Lock & Stock - Pazzi scatenati e Snatch - Lo strappo. ENJOY!

venerdì 18 aprile 2014

Grand Budapest Hotel (2014)

A breve il Bollalmanacco andrà in ferie ma c'è ancora tempo per recensire qualche bel film... e cosa c'è di più bello di una pellicola attesa come Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel), diretto e co-sceneggiato dal mio adorato Wes Anderson?


Trama: negli anni '30, il consierge del Grand Budapest Hotel, M. Gustave, assieme al fido garzoncello Zero, si ritrova invischiato in una misteriosa storia a base di quadri, vecchie abbienti ed omicidi...


Io amo Wes Anderson. Se la felicità è un cucciolo caldo, per me il cucciolo caldo, nel senso di delizioso e confortevole, è un film di Wes Anderson. Come dice uno dei personaggi di Grand Budapest Hotel, "il suo modo di vivere forse era fuori dal tempo già allora" e lo stesso vale per le creature di questo meraviglioso regista che riesce, con una grazia e una delicatezza incredibili, a prendere lo spettatore e trascinarlo in un mondo atemporale, fatto di vezzi, immagini, icone e regole che solo lui è in grado di gestire e far apprezzare. L'universo di Anderson è un piccolo universo di bomboniera, grottesco, dove personaggi tanto carini ed eleganti quanto folli e pieni di tic e manie turbinano in una girandola di eventi solo appartentemente leggerini e sciocchi (la pellicola è ispirata alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig, perseguitato ed osteggiato dai nazisti), incantando chi è tanto fortunato da dar loro la chance di esibirsi e mettere in scena le loro strampalate vicende. La solitudine, l'eccentricità portata all'eccesso, quelle incredibili capacità che rendono superiori ma non felici, vite e avventure da favola, la morte o la repressione sempre lì a sogghignare dietro un angolo aspettando furtive il momento di fare la loro mossa, sono tutti elementi tipici della poetica di Anderson e, in Grand Budapest Hotel, si mescolano ad una specie di commedia "gialla" che, se fosse stata girata 50 anni fa, avrebbe visto probabilmente Peter Sellers come unico mattatore. Scendere nei dettagli della trama sarebbe un delitto, bisogna solo lasciarsi trasportare dalle assurdità e dall'arguzia che il regista mette su schermo, dai colori, dagli abiti, dalle scenografie, da quell'incredibile commistione di disegni simil-decoupage e riprese dal vivo, da una colonna sonora questa volta poco modaiola ma tremendamente carina.


E poi, ovviamente, gli attori. Io credo che ogni artista degno di questo nome darebbe l'anima per partecipare ad un film di Wes Anderson, perché mi da l'idea che sul set ci si debba divertire come matti e, soprattutto, che lo stimolo intellettuale sia ai massimi livelli. Ma guardatelo lì, quel Ralph Fiennes di solito compassato e serio, come si trova tremendamente a suo agio nei panni del vanitoso, coltissimo concupitore di vecchie: i dialoghi tra lui e Zero o tra lui e il bellissimo, ipnotico Adrien Brody (che si è fatto ampiamente perdonare l'orrida parentesi Byron Deirdra) varrebbero da soli il prezzo del biglietto! E poi Willelm Dafoe, cosa non è, con quella faccia da mastino e gli abiti da SS, mentre si getta in una corsa a perdifiato sugli sci come non si vedeva dai tempi del meraviglioso Per favore, non mordermi sul collo! Per non parlare di tutti gli attori feticcio di Anderson, dosati col contagocce; voi direte "E che due marroni, in tutti i film fa così" e io dico sì, avete ragione ma sentite un po', quando andate nel vostro ristorante preferito non vi va di mangiare quello stesso piatto che tanto adorate anche se lo avete già fatto millemila volte? E' una cosa che mette a proprio agio, è come ritrovare degli amici... è il cucciolo caldo di cui parlavo a inizio paragrafo, no? Poi, ovviamente, ben vengano i ragazzini scafatissimi ed innamorati dell'amore, nuovi arrivi della famiglia Anderson come la bravissima Saoirse Ronan e il co-protagonista Tony Revolori col baffetto disegnato e l'occhio a palla di chi non crede a quel che vede. Un po' come lo spettatore. Che, tra una risata e l'altra, una lacrima di commozione e un pensiero profondo, non può fare a meno di stupirsi ogni volta di questo piccolo, grande universo Andersoniano.


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato qui. Ralph Fiennes (M. Gustave), F. Murray Abraham (Mr. Moustafa), Adrien Brody (Dmitri), Willelm Dafoe (Jopling), Jeff Goldblum (Kovacs), Harvey Keitel (Ludwig), Jude Law (lo scrittore da giovane), Bill Murray (M. Ivan), Edward Norton (Henckels), Saoirse Ronan (Agatha), Jason Schwartzman (M. Jean), Léa Seydoux (Clotilde), Tilda Swinton (Madame D.), Tom Wilkinson (l'autore), Owen Wilson (M. Chuck), Bob Balaban (M. Martin) e Fisher Stevens (M. Robin) li trovate invece ai rispettivi link.

Mathieu Almaric interpreta Serge X. Francese, ha partecipato a film come Munich, Marie Antoinette, Quantum of Solace, Pollo alle prugne, Cosmopolis e Venere in pelliccia. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 49 anni e quattro film in uscita.


Nonostante il perfetto make up che ha reso Tilda Swinton irriconoscibile, in verità era stata Angela Lansbury a venire scelta per il ruolo; purtroppo, la Signora in giallo era già impegnata sul set della versione teatrale di A spasso con Daisy. Johhny Depp invece sarebbe stato la prima scelta del regista per il ruolo di M. Gustave ma, sinceramente, io preferisco di gran lunga Ralph Fiennes! Se invece aguzzate può essere che riuscirete a scorgere, in mezzo alla sparatoria finale, Mr. George Clooney... Ovviamente, se il film vi fosse piaciuto, non perdetevi Moonrise Kingdom - Una storia d'amore e tutte le altre pellicole di Wes Anderson. ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...