mercoledì 8 febbraio 2017
La battaglia di Hacksaw Ridge (2016)
Trama: durante la seconda guerra mondiale, Desmond Doss si arruola nell'esercito americano come medico, rifiutando tuttavia di portare con sé un fucile o di uccidere i nemici. Nonostante le rimostranze dei superiori, il soldato riuscirà comunque ad andare in guerra ad Okinawa e a tenere fede alle sue convinzioni...
Strana la storia di Desmond Doss. Uno pensa che gli obiettori di coscienza non desiderino andare in guerra e ritengano sia meglio mettersi al servizio della comunità in altri modi, rimanendo comunque sul suolo patrio, invece questo ragazzo della Virginia aveva un enorme desiderio di affiancare i suoi compatrioti in battaglia e provava un enorme senso di colpa all'idea di restarsene al sicuro. Come conciliare dunque le fortissime credenze religiose di un Avventista del settimo giorno e le necessità dell'esercito? Semplice: andando in guerra senza fucile, come medico, rischiando la propria vita e molto probabilmente anche quella degli altri. Solo che la scelta di Desmond Doss è stata tutt'altro che semplice, come potete immaginare, e il film di Mel Gibson ce la racconta senza eccessi di retorica né elogi del superuomo (anzi, pare che nell'ultima battaglia prima di venire congedato il soldato Doss, benché ferito dalle schegge di una mina, abbia lasciato il posto sulla barella ad un suo commilitone e abbia aspettato i soccorsi per alcune ore, episodio che Gibson ha scelto di non mostrare perché "difficilmente il pubblico ci avrebbe creduto"), focalizzando l'attenzione sul Credo inflessibile di un ragazzo al tempo stesso patriota ed altruista, sicuramente ingenuo ma anche molto coraggioso, con una prima parte di pellicola dedicata al difficile periodo passato da Desmond in un campo d'addestramento dell'esercito e una seconda in cui l'orrore della guerra viene sbattuto in faccia allo spettatore con la crudezza di cui solo il regista australiano è capace. Benché sia stato tacciato di fascismo, il bello de La battaglia di Hacksaw Ridge è che non elogia la guerra, anzi. La figura di Tom Doss, padre di Desmond, potrà anche sembrare un personaggio aggiunto tanto per dare colore e un trauma infantile al protagonista, eppure è palese come questo reduce disperato, alcoolizzato e desideroso di morire ribadisca l'inutilità dei conflitti armati e l'enorme prezzo pagato da chi, ferito nel fisico o nell'animo, non riesce più a vivere un'esistenza normale. Al limite, si può discutere della valenza di un personaggio ambiguo come quello di Desmond ma qui dipende dalla soggettività dello spettatore e dalla sua disponibilità ad accettare l'esistenza di un uomo che ha effettivamente vissuto le esperienze descritte nel film e compiuto determinate scelte.
E' indubbio, infatti, che Mel Gibson celebri Desmond Ross e renda omaggio al primo obiettore di coscienza decorato con la Medal of Honor, tuttavia non si può negare che le azioni di questo soldato fossero paradossali, come viene più volte sottolineato nel corso della pellicola. Andare in guerra come medico, benché giurando di non uccidere nessuno e di salvare vite umane, significa comunque appoggiare le azioni di chi combatte e chiudere gli occhi davanti alla morte di migliaia di individui, amici o nemici che siano, senza contare il rischio di diventare un ulteriore peso per i commilitoni che non possono venire difesi e che, in qualche modo, devono comunque difendere il medico. Certo, questo è il ragionamento di chi vive nel 2016 e non ha mai provato sulla pelle un conflitto armato, mentre è chiaro che la seconda guerra mondiale è stato uno sconvolgimento capace di mandare a gambe all'aria retorica, pacifismi e buonismi, quindi tanto di cappello a chi ha avuto il coraggio di "fare il suo dovere nei confronti del proprio Paese" e salvare quante più persone possibili (alla fine del film ci sono dei filmati originali che mostrano Desmond Ross in tempi recentissimi; al netto della follia religiosa, mi fossi trovata davanti quest'uomo lo avrei abbracciato come un nonno, altro che apologia del fascismo). Tanto di cappello anche a Mel Gibson, che è riuscito a girare un film interessante, pieno di momenti in qualche modo toccanti e con delle sequenze di battaglia realistiche, ben definite, a tratti difficili da sostenere ma incredibilmente belle dal punto di vista della regia. L'incubo (altro che battaglia) di Hacksaw Ridge è degno di un Train to Busan, con i giapponesi che escono a frotte, come ratti o zombie, dai tunnel sotterranei e cominciano a falciare soldati senza pietà, mentre a noi spettatori non resta che sentire sulla pelle ogni goccia di sangue, il fango, il sudore e il dolore di questi esseri umani ridotti a sacchi sanguinolenti, impossibilitati a contrastare un nemico che mette davanti al proprio benessere quello del paese (anche la scena del seppuku è parecchio impressionante). Quindi bravissimo Mel Gibson e bravo anche Andrew Garfield, molto intenso nei panni di Desmond Doss, nonostante come attore continui a preferirgli altri. La battaglia di Hacksaw Ridge non è magari un film di guerra all'altezza del più volte citato Full Metal Jacket (Vince Vughn dev'esserselo guardato più di una volta in preparazione al ruolo del Sergente Howell) ma è comunque un grande film che merita almeno una visione, possibilmente su grande schermo per godere appieno dell'orribile spettacolo della guerra.
Del regista Mel Gibson ho già parlato QUI. Andrew Garfield (Desmond Doss), Hugo Weaving (Tom Doss), Rachel Griffiths (Bertha Doss), Teresa Palmer (Dorothy Schutte), Vince Vaughn (Sergente Howell) e Sam Worthington (Capitano Glover) li trovate invece ai rispettivi link.
Se La battaglia di Hacksaw Ridge vi fosse piaciuto recuperate American Sniper, Salvate il soldato Ryan e l'immancabile Full Metal Jacket. ENJOY!
venerdì 24 giugno 2016
Priscilla - La regina del deserto (1994)
Trama: dopo aver ricevuto una telefonata dalla moglie, che gli ha chiesto di fare uno spettacolo ad Alice Springs, la drag queen Mitzi si mette in viaggio assieme al collega Felicia e al trans Bernadette, a bordo di un pulman battezzato Priscilla, la regina del deserto...
Passano gli anni, ormai sono più di 20, ma Priscilla - La regina del deserto rimane sempre un film divertentissimo e capace di far riflettere. Sono poche le pellicole a sfondo "arcobaleno" in grado di mantenersi in equilibrio tra umorismo e denuncia sociale senza scadere nella farsa o nella tragedia e soprattutto credo che Priscilla sia l'unica a raccontare con naturalezza le vicende umane di tre uomini che, prima ancora di venire etichettati come gay, trans, travestiti o quant'altro, sono semplicemente tre esseri umani. Il road trip di Mitzi, Felicia e Bernadette attraverso le zone desertiche dell'Australia e i minuscoli paesini che le punteggiano è un classico viaggio di scoperta, rinascita e presa di coscienza, durante il quale le tre artiste sono innanzitutto costrette a sopportarsi a vicenda, cosa non facile, in secondo luogo ad affrontare i tristi pregiudizi di un Paese ancora sostanzialmente retrogrado (nonostante i tipi assurdi che vi si possono incontrare), popolato da "dure" figure maschili al limite dello stereotipo e femmine assoggettate a questi villani barbuti ed ubriaconi; in un trionfo di glitter, piume di struzzo e "frocks", le tre eroine attirano a sé come delle calamite gli spiriti liberi che hanno la fortuna di incontrare, facendosi accettare e cambiando in meglio le loro esistenze, e talvolta sono costrette a frenare la propria esuberanza, acquistando esperienza in un mondo ancora non pronto ad accoglierle. All'interno del trio possiamo osservare anche tre modi diversi di vivere l'omosessualità, a seconda dell'età anagrafica del singolo. Abbiamo la giovane Felicia, "antipatico" stronzetto convinto di avere il mondo in mano ed interessato solo ai lustrini e all'aspetto fisico, la "mezzana" Mitzi, abbastanza adulto da avere provato anche esperienze eterosessuali e dotato di un passato sconosciuto alle due amiche, infine c'è Bernadette, la più anziana e matura, dolorosamente consapevole del fatto che la sua scelta di vita rischia di condannarla alla solitudine proprio nel momento di maggiore vulnerabilità. L'intreccio di questi caratteri così diversi e di queste varie esperienze di vita, vivacizzato da dialoghi naturalissimi e assai coloriti, è uno dei punti forte del film ed è necessario a far sì che lo spettatore si affezioni a tutti e tre i personaggi, magari preferendone uno in particolare (io ho sempre amato Bernadette, la trovo molto commovente).
Nonostante il piglio serio che ha preso il post (d'altronde sto diventando vecchia e malinconica come Bernadette), Priscilla - La regina del deserto è anche e soprattutto apparenza, fatta di stupendi paesaggi naturali, mise e make-up da urlo e tanta, tanta musica. Il road trip delle tre grazie tocca posti davvero esistenti, a cominciare dalla cittadina di Broken Hill in cui spicca il trashissimo Mario's Palace Hotel il quale non è assolutamente un'invenzione degli scenografi: purtroppo la stanza dove alloggiano le protagoniste era occupata ma vi assicuro che soggiornare in quel trionfo di corridoi dipinti è stata un'esperienza indimenticabile, per quanto spartana (le camere e la cittadina in sé non sono nulla di che, uno di quei posti che ti porta a chiedere come facciano gli abitanti a sopravvivere senza impiccarsi dalla noia...) e la sola idea di avere condiviso un pezzo di viaggio con Felicia e compagnia mi ha scaldato il cuore. Allo stesso modo, scalda il cuore scatenarsi al ritmo delle canzoni cantate in playback dalle nostre eroine, capaci di unire i personaggi più inaspettati, che siano vecchi burberi dal matrimonio facile a giovani aborigeni che probabilmente non avevano mai visto un trans in vita loro; nonostante l'odio di Bernadette per i "fuckin'Abba" il sound del gruppo svedese è immancabile e Mamma Mia corona una colonna sonora nella quale spiccano pezzi da '90 come gli immancabili Village People, Donna Summers, Gloria Gaynor e mille altri successi molto "disco" e molto gay. Fondamentali, infine, gli abiti di scena delle ragazze, che non a caso hanno portato a casa l'Oscar. Vedere un "cock in a frock on a rock" è sicuramente tanta roba ma mai come vedere metri di stoffa satinata che si snodano dal tetto di un autobus sparato in mezzo al deserto oppure la fantasia immessa nella creazione delle parrucche, dei vestiti e del terrificante make-up indossato dalle fanciulle in ogni loro spettacolo, cose che probabilmente farebbero sciogliere il trucco dall'invidia ad ogni drag queen che si rispetti. A prescindere da quali siano le vostre idee in merito, Priscilla la regina del deserto è un film stupendo che mi sento di consigliare a tutti, gay e soprattutto etero... chissà che, tra un lustrino e l'altro, non riescano a scorgere un barlume di comprensione e tolleranza!
Di Hugo Weaving (Tick/Mitzi), Guy Pearce (Adam/Felicia) e Terence Stamp (Bernadette) ho già parlato ai rispettivi link.
Stephan Elliott è il regista e sceneggiatore della pellicola. Australiano, ha diretto film come Scherzi maligni, The Eye - Lo sguardo e Un matrimonio all'inglese. Anche attore e produttore, ha 52 anni e un film in uscita.
Tim Curry, famoso per aver interpretato il transessuale Frank'n'Furter nel Rocky Horror Picture Show, ha rifiutato all'epoca il ruolo di Mitzi, purtroppo. Detto questo, se Priscilla - La regina del deserto vi fosse piaciuto recuperate proprio il Rocky Horror e aggiungete A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar e Piume di struzzo. ENJOY!
mercoledì 4 maggio 2016
The Dressmaker - Il diavolo è tornato (2015)
Trama: Tilly torna al suo paese dopo anni di esilio imposto all'estero, durante i quali è diventata un'affascinante sarta. Decisa ad avere vendetta per la vita che le è stata rubata, Tilly comincia a "rivestire" molti abitanti della cittadina...
Se avessi dato retta al battage pubblicitario di The Dressmaker probabilmente non avrei mai guardato il film di Jocelyn Moorhouse. Erroneamente presentata come un emulo de Il diavolo veste Prada, se non peggio, questa pellicola è in realtà una particolare storia di vendetta introdotta quasi come un western, con una Singer al posto delle pistole, oltre che un film difficile da ascrivere ad un unico genere: se, infatti, l'inizio ricorda molto le tragicommedie corali di cui negli anni '90 era maestro Lasse Halstrom, la vicenda di Tilly a un certo punto svolta nel melò (vero ed unico punto debole di The Dressmaker, a mio avviso) e poi si inoltra nelle tinte sanguinose del grottesco, regalando un finale sorprendente. La trama, prima ancora della vendetta, prende in realtà in esame la ricerca della verità e il disperato tentativo della protagonista di riprendersi una vita che le è stata strappata senza che neppure lei sappia bene il perché. Mandata via del paese a seguito di una terribile tragedia che, a suo dire, l'ha "maledetta" per sempre, Tilly torna nella sua terra profondamente cambiata, almeno all'esterno, mentre a Dungatar il tempo pare essersi fermato, radicandosi in uno status quo di profondo squallore e piccineria mentale. Mentre la madre pare non avere memoria di lei, tutti gli abitanti di Dungatar sono concordi nel ritenere Tilly una disgrazia e soltanto le sue arti sartoriali li costringono a mettere da parte la diffidenza per puro interesse personale; gli abiti di Tilly trasformano letteralmente chi li indossa, mettendone a nudo la bellezza esteriore, ma così non è, purtroppo, per la bruttezza interiore, che rimane tale oppure peggiora. E' in questo modo che gli sceneggiatori giocano con lo spettatore, sfidandolo a capire quale direzione prenderà una storia che avrebbe tutte le carte in regola per sfociare in una perfetta morale Disneyana e in una liaison da sogno tra Tilly e il meraviglioso Teddy, se non fosse che la "maledizione" della protagonista risiede nella fondamentale cattiveria di tutti gli abitanti di Dungatar, falsi, ipocriti e meschini a tal punto che i protagonisti de Il seggio vacante della Rowling sono al confronto dei docili agnellini.
Ad affiancare una trama per la gran parte assai particolare ed interessante, c'è la fondamentale scelta di dotare Tilly di una Singer invece che di una pistola, cosa che rende The Dressmaker incredibilmente stiloso. Attenzione però, la pellicola della Moorhouse non è una robetta per donnine modaiole! I costumi sono un fondamentale veicolo per l'amara ironia di cui è permeata la pellicola, ambientata negli anni '50, e molte delle mise create da Tilly (per inciso, una più bella dell'altra) vengono utilizzate per sottolineare la natura ridicola dei personaggi, una su tutti la vanesia Gertrude che, con le sue pose da diva consumata, richiama più volte il contrasto vincente tra paesanotti e glitter che era uno dei punti chiave in Priscilla la regina del deserto. L'omaggio a questo stupendo caposaldo della cinematografia australiana si ripropone nella figura di uno Hugo Weaving nuovamente en travesti, l'unico personaggio positivo assieme a Teddy e alla madre di Tilly nonché, finalmente, un ruolo capace di svecchiare un attore che ormai si era abbonato a parti da impersonale malvagio; tra gli altri attori spiccano, oltre all'inedita Sarah Snook in versione bitch, una Kate Winslet magnifica, perfettamente a suo agio negli eleganti panni di una donna costretta a mostrarsi più forte di quanto non sia per sopravvivere ad una comunità che la vorrebbe vedere morta, e soprattutto Judy Davis, la quale nei panni della folle ed ubriaca Molly ruba spesso la scena alla bellissima (pure troppo!) coppia formata da Liam Hemsworth e la "vecchia" Kate. Le scenografie che mescolano suggestioni da western di frontiera a quello che, ahimé, è il reale paesaggio dell'outback australiano, unite ad una colonna sonora piacevole e ai già citati costumi da urlo, sono la ciliegina sulla torta di un film sorprendente, che vi consiglio di guardare in barba alla pubblicità ingannevole italiana... e per le donnine che ancora non fossero convinte, aggiungo in omaggio un Liam Hemsworth in mutande che è davvero tanta ma tanta roBBa!
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Non ringraziatemi :) |
Jocelyn Moorhouse è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Australiana, ha diretto film come Istantanee, Gli anni dei ricordi e Insieme per caso. Anche produttrice e attrice, ha 56 anni.
Kerry Fox, che interpreta la terribile Beulah Harridiene, era una dei tre protagonisti di Piccoli omicidi tra amici. Detto questo, se The Dressmaker vi fosse piaciuto guardate Chocolat oppure divertitevi con She Devil - Lei, il diavolo. ENJOY!
domenica 30 marzo 2014
Captain America - Il primo vendicatore (2011)
Trama: Steve Rogers è un ragazzo che, a causa del fisico a dir poco sottosviluppato, non riesce ad arruolarsi nell’esercito per andare a combattere al fronte durante la seconda guerra mondiale. Un giorno però uno scienziato lo seleziona per testare un siero in grado di rendere le persone dei supersoldati ed ecco nascere Capitan America, l’ultimo baluardo contro i piani del folle nazista Teschio Rosso…
Poteva andare peggio. Captain America non mi ha entusiasmata come hanno fatto Iron Man o The Avengers ma pensavo mi sarei trovata davanti un’insopportabile e cosmica camurrìa, invece alla fine la pellicola è un action abbastanza dignitoso con gli ovvi limiti che il genere comporta. La cosa buona, innanzitutto, è che l’abbondanza di umorismo (che sarebbe fuori luogo per il personaggio Capitan America tanto quanto lo è stata per Thor) tipica dei film Marvel è stata limitata a qualche battuta di spirito qui e là e poi anche la trama è molto semplice e lineare, priva di spiegoni e con pochi personaggi chiave, così che anche i neofiti possano approcciarsi alla pellicola senza maledirne i realizzatori. D’altronde Captain America – Il primo vendicatore doveva innanzitutto presentare il protagonista in modo chiaro ed immediato e, secondariamente, fare da apripista a The Avengers, quindi non credo si potesse fare diversamente e il risultato è un film raccontato come un lungo flashback che spiega chi sia il fantomatico capitano, cosa l'abbia spinto a fregiarsi di un nome così altisonante e, soprattutto, perché diamine lo ritroveremo negli Avengers quando le sue vicende risalgono all'epoca della seconda guerra mondiale. A proposito del periodo storico, forse è proprio quest'ambientazione vintage che rende Captain America un po' diverso dai soliti cinecomic; è vero che le armi tecnologiche del Teschio Rosso si sprecano e che qualche laser andava messo oppure gli adolescenti sarebbero usciti dal cinema, tuttavia per buona parte della pellicola le atmosfere sono quelle di un film di guerra ed è molto divertente vedere questo patriota sbeffeggiato e utilizzato a mo' di mascotte per la bieca propaganda dell'industria bellica. Anzi, considerata la comprensibile antipatia che si porta dietro Steve Rogers, un ometto patriottico, coraggioso, retto, probo, giusto, noioso, petulante, per dirla con le parole del Doc Manhattan un "precisino della fungia", che diventa un supereroe mantenendo queste caratteristiche fatali, vederlo perculato mentre è avvolto nella bandiera americana è praticamente il punto più alto, intelligente e pregevole del film. Il resto, alla fine, sa tanto di già visto in mille altre pellicole simili.
Del regista Joe Johnston ho già parlato qui. Chris Evans (Steve Rogers/Capitan America), Tommy Lee Jones (Colonnello Chester Phillips), Hugo Weaving (Johann Schmidt/Teschio Rosso), Dominic Cooper (Howard Stark), Richard Armitage (Heinz Kruger), Stanley Tucci (Dr. Abraham Erskine), Samuel L. Jackson (Nick Fury), Toby Jones (Dr. Arnim Zola), Neal McDonough (Timothy "Dum Dum" Dugan) e Natalie Dormer (Soldato Lorraine) li trovate invece ai rispettivi link.
mercoledì 16 gennaio 2013
Cloud Atlas (2012)
Trama: il film mostra il concatenarsi di sei storie in sei epoche diverse. Nella prima, il giovane Adam Ewing affronta un difficile viaggio di ritorno su una nave piena di insidie; nella seconda, un musicista cerca di comporre la sinfonia che lo renderà famoso; nella terza, una giornalista rischia la vita per portare alla luce un complotto legato ad una centrale nucleare; nella quarta, un editore cerca di fuggire dai creditori ma finisce invece in una inespugnabile casa di riposo; nella quinta, l'"artificio" Sonmi-451 viene liberata da un orrendo destino e infine, nella sesta, il membro di una tribù cerca di fuggire alle insidie di un demone e comprendere quale verità si nasconda nel passato dell'umanità intera...
Amicizia, amore, coraggio, libertà, fiducia, cultura. Ma anche il loro esatto contrario, come l'odio, la codardia, il desiderio di sottomettere e conquistare, il pregiudizio, l'ignoranza. Sono queste "forze" universali le vere protagoniste dell'epico, torrenziale e ambizioso Cloud Atlas, il fil rouge che lega ogni storia all'altra e l'unico modo per comprendere l'opera nella sua totalità. Sono cose che possiamo testimoniare ogni giorno e che ogni giorno governano le azioni di ogni individuo, da quelli "speciali" (per esempio nati con una voglia a forma di stella cometa e per questo destinati a incidere sul destino dell'umanità...) a quelli comuni, influendo sul cammino dell'esistenza nostra e di quanti hanno a che fare con noi. Basta riflettere un istante su questa verità lapalissiana e, come d'incanto, anche un film intricato come Cloud Atlas diventa semplice e scorrevole, ogni storia che lo compone si dota di una propria identità e tutte si collegano logicamente le une alle altre, incastrandosi alla perfezione come i tasselli di un puzzle. Un puzzle che, nella sua totalità, regala parecchie emozioni e sicuramente è una gioia per gli occhi e un divertimento per lo spettatore.
Molto semplicemente quindi, senza indulgere in lunghissimi spiegoni, vi butto giù un paio di motivi per cui Cloud Atlas mi è piaciuto davvero tantissimo, un po' come ho fatto per La migliore offerta.
Innanzitutto per il gioco, infantile ma assolutamente irresistibile, di scoprire dove si nascondano i vari attori, famosissimi ma a tratti talmente ben truccati che è talvolta diventa difficile individuarli, soprattutto quando li si vede letteralmente mescolati tra la folla di comparse.
Poi, per le storie narrate. Tralasciando la prima, una banalotta riflessione sulla schiavitù e l'amicizia, le altre mi hanno completamente catturata: il film passa dal raffinato melò gay alla spy-story anni '70, dalla commedia inglese tutta wit e situazioni paradossali (la migliore e la più divertente, con un geniale Jim Broadbent e un esilarante Tom Hanks che all'inizio si profonde in un numero d'altissima scuola!) all'horror fantascientifico ispirato a Matrix, per finire con il dramma post-apocalittico che, come in un cerchio perfetto, racchiude l'intera vicenda umana.
Per gli attori, ovviamente. Cloud Atlas è il primo film ad essere riuscito, dopo anni, a farmi tornare ad apprezzare Tom Hanks (Halle Berry invece no, mi spiace, anche qui non mi ha convinta), ma i migliori sono il già citato Jim Broadbent, Ben Whishaw con la sua sensibile e toccante interpretazione del musicista Frobisher e, last but not least, l'irresistibile Hugo Weaving che sparge cattiveria e minacciosità a piene mani, soprattutto nel finale oppure quando lo ritroviamo en travesti nei panni di un'infermiera virago.
Per la realizzazione in generale e soprattutto per la qualità del montaggio in particolare: ogni sequenza è legata a quella precedente da un particolare, un concetto, una parola, una sensazione che ne è la logica conseguenza oppure l'esatto contrario, così che tutte e sei le storie diventano perfettamente concatenate e comprensibili, parti indispensabili del quadro globale.
Ovviamente, per quanto mi sia piaciuto, Cloud Atlas non è esente da difetti.
Personalmente, ho un po' patito il trucco dei protagonisti del segmento ambientato nella Corea del futuro. Aver deciso di trasformare tutti gli attori (anche quelli dai tratti somatici più marcatamente occidentali) in asiatici con gli occhi a mandorla è stato un azzardo non da poco che scade drammaticamente nel trash, nonostante le scene d'azione e le ambientazioni a dir poco mozzafiato di questa parte del film facciano quasi dimenticare questo dettaglio.
Secondo punto a sfavore, che ad essere sincera mi ha lasciato molto perplessa, è la mancanza di una colonna sonora degna di questo nome. La cosa è inspiegabile, soprattutto perché la sinfonia scritta da Frobisher che dà il titolo al film è l'unico elemento di Cloud Atlas che si dimentica appena usciti dalla sala.
Altro non mi sento di segnalare, sono quisquilie che non cambiano il fatto che Cloud Atlas, pur con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni, sia uno di quei rarissimi film in grado di coniugare la sua natura di blockbuster radicato nell'immaginario dell'inizio del nuovo millennio a quella di una pellicola più autoriale e cinefila, maggiormente interessata a raccontare una storia per immagini e concetti piuttosto che scodellare al pubblico pagante la solita pappetta pronta e di immediata comprensione. Sicuramente non si tratta di un film per tutti (e sicuramente la mia recensione è più incomprensibile dello stesso Cloud Atlas) ma lo consiglio comunque spassionatamente.
Del co-regista e co-sceneggiatore Tom Tykwer ho già parlato qui. Di Tom Hanks (Dr. Henry Goose / Il direttore dell’hotel / Isaac Sachs / Dermot Hoggins / l’attore che interpreta Cavendish / Zachry), Jim Broadbent ( Capitano Molyneux / Vyvyan Ayrs / Timothy Cavendish / Musicista coreano / Uno dei prescienti), Hugo Weaving (Haskell Moore / Tadeusz Kesselring / Bill Smoke / l’infermiera Noakes / Mephi / Vecchio Georgie), Ben Whishaw (Un ragazzo all'interno della nave/ Robert Frobisher / Il commesso del negozio di dischi / Georgette / Uno degli indigeni "post-atomici"), Keith David (Kupaka / Joe Napier / An-kor Apis / uno dei Prescienti), Susan Sarandon (Madame Horrox / Ursula / Yusouf Suleiman / Abbessa) e Hugh Grant (Reverendo Giles Horrox / uno degli ospiti dell'hotel in cui si incontrano Rufus e Robert / Lloyd Hooks / Denholme Cavendish / Seer Rhee / Capo Kona) ho parlato invece nei rispettivi link.
Andy Wachowski (vero nome Andrew Paul Wachowski) e Lana Wachowski (vero nome Laurence Wachowski) sono co-registi e co-sceneggiatori della pellicola. Americani, hanno diretto film come Bound – Torbido inganno e la trilogia di Matrix. Anche produttori, Andy ha 45 anni e Lana ne ha 47. Hanno un film in uscita.
Halle Berry interpreta una degli indigeni nel segmento ambientato nell’800, Jocasta Ayrs, Luisa Rey, l’ospite travestita da indiana al party per la presentazione del libro, Ovid e Meronym. Americana, la ricordo per film come L'ultimo boyscout - Missione sopravvivere, I Flinstones, Bulworth - Il senatore, X-Men, Codice: Swordfish, Monster's Ball - L'ombra della vita (che le è valso l'Oscar come migliore attrice protagonista), X-Men 2, Gothika, l'orrendo Catwoman e X-Men - Conflitto finale. Anche produttrice, ha 46 anni e tre film in uscita, tra cui X-Men: giorni di un futuro passato.
Jim Sturgess (vero nome James Anthony Sturgess) interpreta Adam Ewing, uno degli ospiti dell’hotel, il padre di Megan, uno dei tifosi ubriachi nel pub, Hae-Joo Chang e il cognato di Zachry. Inglese, ha partecipato recentemente a La migliore offerta. Ha 34 anni e due film in uscita.
James D'Arcy (vero nome Simon D'Arcy) interpreta Rufus Sixsmith da giovane e da vecchio, l'infermiera James e l'Archivista. Inglese, ha partecipato a film come Wilde, L'esorcista - La genesi e W.E. - Edward e Wallis. Ha 37 anni e tre film in uscita, tra cui Hitchcock, dove interpreterà Anthony Perkins.
Il ruolo di Sonmi-451 (interpretata dall'attrice coreana Doona Bae) in verità era stato promesso a Natalie Portman, che poi è colei che ha fatto conoscere il libro Cloud Atlas a Lana Wachowski sul set di V per Vendetta .La gravidanza dell'attrice le ha impedito di partecipare al film, tuttavia il suo nome viene citato nei ringraziamenti finali... e Doona Bae è riuscita a conferire al suo "artificio" un incredibile dignità e una grande delicatezza. Infine, se il film vi fosse piaciuto, vi consiglio la visione di The Tree of Life e della trilogia di Matrix (che per me, con rispetto parlando, poteva fermarsi tranquillamente al primo capitolo!!). ENJOY!
mercoledì 19 dicembre 2012
Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012)
Trama: 60 anni prima degli eventi narrati ne Il Signore degli Anelli, troviamo un giovane Bilbo Baggins alle prese con una spedizione organizzata dal mago Gandalf e da un pugno di Nani che desiderano riprendersi la loro dimora, usurpata dal feroce Drago Smaug.
"Ma... sei emozionata??". Questa la prima domanda postami all'inizio del film dal buon Toto, che ha accettato di buon grado di accompagnarmi a vedere Lo Hobbit. La risposta è giunta naturalissima: sì!! E non per una questione di amore nerd o incredibile passione per i film della trilogia dedicata al Signore degli Anelli, ma per l'inspiegabile sensazione che mi ha presa nel vedere la primissima inquadratura della casa di Bilbo, accompagnata dalla meravigliosa musica "della Contea" che inevitabilmente associo alla paciosa, coraggiosissima e splendida figura di Samvise Gamgee: è stato come incontrare nuovamente degli amici che non vedevo da tempo o, meglio, andare a casa loro, una casa che è rimasta esattamente come me la ricordavo. Per questo non crederei mai ad una recensione scritta da una persona che, dopo aver visto la trilogia e averla amata, arrivasse a dire che Lo Hobbit è un brutto film oppure "non è come Il Signore degli Anelli". Perché non è davvero cambiato nulla per quanto riguarda attori, colonna sonora, regia ed effetti speciali: parliamo di un prodotto confezionato al meglio, che annienta lo spettatore con splendide riprese di paesaggi naturali a dir poco mozzafiato, lo incanta con battaglie epiche ed effetti speciali all'avanguardia, lo diverte con personaggi destinati a diventare icone, lo commuove con canti e musiche in grado di sottolineare alla perfezione il momento per cui sono stati scritti (il canto iniziale dei Nani mette i brividi) e, infine, mette sullo stesso piano sia i fan del libro che quelli della trilogia Jacksoniana, consentendo ai primi di godere di un adattamento minuziosissimo de Lo Hobbit e ai secondi di trovare alcuni dei personaggi più amati dei "vecchi" film e maggiori riferimenti all'epico tomo Il Signore degli Anelli.
Infatti, l'unica critica che si può muovere all'ex ciccione neozelandese è: bimbo bello, ma come hai potuto tirare fuori due ore e mezza di film dalle prime pagine di un romanzo che ne conterrà si e no quattrocento?? Eh, come si dice, "volere è potere". La struttura de Lo Hobbit viene rispettata dall'inizio alla fine, ma regista e sceneggiatori si sono presi, pur senza snaturare troppo il materiale di partenza, parecchie libertà, prendendo spunto dalle Appendici de Il Signore degli Anelli e ricollegando il nuovo film a quelli vecchi: la caduta del regno dei Nani viene narrata con un intensissimo e drammatico flashback iniziale (dove Smaug viene prefigurato, in maniera deliziosa, da un aquilone a forma di Drago...), l'avventura di Bilbo viene introdotta da un'intera sequenza nella quale compare anche Frodo, riusciamo finalmente a vedere il mago Radagast il bruno nonché un indizio della nascita di Sauron, assistiamo a un conciliabolo tra Gandalf, Saruman, Galadriel ed Elrond di cui ne Lo Hobbit non si fa affatto menzione ma che serve comunque a costituire una sorta di "prequel" dei tre film precedenti. Il materiale nuovo non stona con quello originale e l'inserimento non risulta forzato ma, sicuramente, osservandolo con un occhio disincantato si vede che è stato messo per allungare parecchio il brodo e giustificare una nuova trilogia. Tuttavia, personalmente, mi sento di perdonare l'avidità di Peter Jackson e di tutti i coinvolti, perché le quasi tre ore di film sono passate in un lampo.
D'altronde, è impossibile non farle passare, soprattutto in modo assolutamente soddisfacente. Ammetto che l'inizio, nonostante l'innegabile simpatia dei personaggi (e la bellezza del nano Thorin, porca misera, non me l'aspettavo!!!), il film risulta un po' troppo lento e che l'apparizione di Radagast, con la sua slitta trainata da conigli, sfiora i limiti del trash ma, a parte questi due aspetti, il resto del film è un trionfo. Assolutamente epiche la fuga dal sotterraneo dei Goblin e la battaglia tra i giganti di pietra, mozzafiato il volo finale delle aquile, splendide le scenografie che rappresentano Gran Burrone. I personaggi nuovi sono ben caratterizzati e la trama del primo film mira a concludere un percorso di formazione per il giovane hobbit Bilbo e anche per il nano Thorin: il primo deve cercare di diventare parte integrante di un gruppo in cui è stato inserito con l'inganno (a fin di bene, ma pur sempre inganno) e di aprire gli occhi sul mondo che lo circonda e sulle proprie, enormi potenzialità, mentre il secondo deve imparare a diventare un vero re e una guida a prescindere dalla sua forza morale e fisica, mettendo da parte pregiudizi e diffidenze legate ai torti passati e a un distorto senso di superiorità razziale. Ovvio, il punto più alto della pellicola si tocca con l'apparizione di Gollum, con il solito Andy Serkis che, pur nascosto dall'orrido sembiante della creatura (e il film abbonda di bestie inguardabili, a cominciare dal Re dei Goblin dotato di pappagorgia mastodontica!), riesce a mangiarsi in un sol boccone tutti gli altri bravissimi interpreti con un'interpretazione magistrale, inquietante e pietosa allo stesso tempo. Roba che mette i brividi, son sincera. E per concludere, altrettanto sinceramente e come lo direbbe Gandalf, vi dico: andate a vedere Lo Hobbit, sciocchi!!
Del regista Peter Jackson ho già parlato qui, mentre Martin Freeman (il giovane Bilbo), James Nesbitt (Bofur), Ian Holm (il vecchio Bilbo), Hugo Weaving (Elrond), Christopher Lee (Saruman) ed Andy Serkis (Gollum) ho già parlato nei rispettivi link.
Ian McKellen interpreta Gandalf, ruolo ripreso dalla trilogia de Il Signore degli Anelli. Grandissimo attore inglese, lo ricordo anche per film come The Last Action Hero - L'ultimo grande eroe, L'uomo ombra, Demoni e dei, L'allievo, X-Men, X-Men 2, Il codice Da Vinci, X-Men - Conflitto finale e Stardust. Anche sceneggiatore e produttore, ha 73 anni e film in uscita, tra cui i seguiti di Lo Hobbit e X-Men - Giorni di un futuro passato, dove riprenderà il ruolo di Erik "Magneto" Lehnsherr.
Richard Armitage interpreta Thorin. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma e Capitan America – Il primo vendicatore. Ha 42 anni e tre film in uscita, tra cui ovviamente i due seguiti di Lo Hobbit.
Ken Stott interpreta Balin. Scozzese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, King Arthur e Le Cronache di Narnia: il principe Caspian. Ha 57 anni e due film in uscita, i seguiti di Lo Hobbit.
Elijah Wood interpreta Frodo, ruolo che lo ha reso famoso per la trilogia de Il Signore degli Anelli. Americano, lo ricordo per Ritorno al futuro – Parte II, Affari sporchi, Amore per sempre, L’innocenza del diavolo, Tempesta di ghiaccio, Deep Impact, The Faculty, Se mi lasci ti cancello e Sin City, inoltre ha doppiato episodi delle serie American Dad! e Robot Chicken. Anche produttore e assistente alla regia, ha 31 anni e otto film in uscita, tra cui i due seguiti di Lo Hobbit.
Cate Blanchett interpreta Galadriel, ruolo ripreso dalla trilogia de Il Signore degli Anelli. Splendida e assai capace attrice australiana, la ricordo per film come Elizabeth, Il talento di Mr. Ripley, The Gift - Il dono, The Shipping News - Ombre dal profondo, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, The Aviator (ruolo che le è valso l'Oscar per la miglior attrice non protagonista), Hot Fuzz, Elizabeth: The Golden Age, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo e Il curioso caso di Benjamin Button; inoltre, ha doppiato Granmamare nella versione USA di Ponyo sulla scogliera e un episodio de I Griffin. Anche produttrice e regista, ha 44 anni e nove film in uscita, tra cui i due seguiti di Lo Hobbit.
Jed Brophy, che interpreta Nori, aveva già partecipato alla trilogia del Signore degli Anelli e ad altri film di Peter Jackson come Splatters – Gli schizzacervelli e Creature dal cielo, mentre Sylvester McCoy, che interpreta il bizzarro stregone Radagast, è stato il settimo Dottor Who. Per chi, come me, non conosce benissimo l’universo Tolkieniano, aggiungo che questo Radagast viene solo citato nella versione cartacea de Lo Hobbit, ma compare nel libro Il Signore degli Anelli come ingenua pedina di Saruman e nel Silmarillion; l’orco Azog, invece, che passa per eterna nemesi del nano Thorin, viene appena menzionato in un’appendice de Il signore degli anelli nella quale si racconta di come l’orco sia stato decapitato da Dain Piediferro come vendetta per l’uccisione di Thror, nonno appunto di Thorin. Probabilmente non ci avrete capito una mazza, ma vi consiglio comunque di leggere questi libri perché sono un capolavoro della letteratura fantasy e non... inoltre, se Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato vi fosse piaciuto, nell'attesa che escano Lo Hobbit: La desolazione di Smaug nel 2013 e Lo Hobbit: Andata e ritorno nel 2014 vi consiglio di riguardare la trilogia de Il signore degli anelli. ENJOY!
martedì 23 febbraio 2010
The Wolfman (2010)
“C’è una lupa nell’armadio”, canta la buona Shakira. Se avessi Benicio del Toro nell’armadio credo che non uscirei più di casa, ma non divaghiamo. Tutto questo sproloquio iniziale per dire che ieri sera ho visto The Wolfman, omaggio ai vecchissimi horror della Universal (e remake dello storico Uomo Lupo con Lon Chaney Jr.), girato quest’anno per mano del regista Joe Johnston.
La trama è risaputa: Lawrence Talbot torna nel paese dov’è nato e cresciuto, per cercare di capire chi o cosa abbia fatto fuori suo fratello. Quando quella stessa cosa si rivela essere un lupo mannaro e gli morde via un bel pezzo di spalla, lasciandolo comunque in vita, il povero Larry deve sperimentare sulla sua pelle (e su quella degli altri) cosa sia la maledizione della licantropia.
Questa sarà la recensione più breve che abbia mai fatto in vita mia. C’è effettivamente molto poco da dire su questo Wolfman. La sensazione che lascia, infatti, è quella di trovarsi di fronte una mega confezione di cioccolata piena di trine, lazzi, sete e quant’altro. Una volta aperta si scopre che all’interno c’è del banalissimo cioccolato Kinder, e ovviamente si storce un po’ il naso. Intendiamoci, non è un film brutto Wolfman, però rimane più impresso per la realizzazione che per la storia in sé, che dagli anni ’40 non è cambiata, rimanendo molto statica e priva di qualunque sorpresa, almeno per chi la conosce: Lawrence indaga, viene morso e va incontro al suo ovvio ed ineluttabile destino. Punto. Ci si può ricamare sopra quanto si vuole, ma alla fine quello è e quello rimane.
Certo, con una confezione come questa mi mangio anche un chilo di cioccolato Kinder. Gli attori sono fenomenali, Anthony Hopkins in prima fila come sempre si mangia il pur bravo Benicio del Toro riproponendo il personaggio del vecchio e bastardo maestro di vita con le palle, mentre Hugo Weaving è forse il migliore tra tutti, con il suo ironico e flemmatico ispettore. Ma oltre gli attori, ci sono delle scenografie stupende e dei paesaggi magnifici che ci catapultano direttamente nell’Inghilterra di fine ‘800 (il maniero dei Talbot è meravigliosamente decadente, la nebbia e la luna piena nei boschi oscuri fanno molto atmosfera, e le scene al manicomio sono le migliori di tutto il film); dei costumi che fanno perdere la bava a chiunque abbia un minimo di interesse nella moda del tempo e che non a caso sono stati realizzati dalla nostrana e bravissima Milena Canonero; delle musiche evocative che richiamano molto il Dracula di Coppola e che sono state firmate nientemeno che dal dio Danny Elfman. Gli effetti speciali ed il trucco, per nulla trash o cacofonici come dovrebbero essere in un film come questo, sono stati fatti dal mago Rick Baker, già responsabile di storiche trasformazioni “mannare” nei capolavori L’ululato e Un lupo mannaro americano a Londra, e richiamano alla mente quelli dell’Uomo lupo originale, risultando molto più artigianali e piacevoli del previsto (come film è parecchio truculento tra l’altro). Però io voglio vedere di questi tempi chi ha voglia di attaccarsi a questi particolari per amare un film. The Wolfman purtroppo, se aveva un target prefissato, di sicuro non lo ha raggiunto: i nostalgici e i puristi preferiranno sempre quello del 1941, i ragazzini deploreranno la mancanza di gente come Blade o Van Helsing a salvare la bella in pericolo, e gli altri, come me, lo prenderanno solo come un film da vedersi in compagnia per una serata senza troppe pretese. Peccato, perché nelle mani del già citato Coppola o in quelle di Tim Burton, sarebbe potuto diventare un capolavoro.
Joe Johnston è il regista della pellicola. Non ha mai messo le mani su film memorabili per la trama, ma su opere che sono entrate momentaneamente nella storia per gli effetti speciali; infatti tra i suoi film figurano il pur mitico Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi (che nostalgia!!), Pagemaster , Jumanji e Jurassic Park III. Inoltre ha realizzato alcune puntate del telefilm Le avventure del giovane Indiana Jones. Ha 60 anni e un film in uscita, The first Avenger: Captain America. Ma anche no…
Benicio del Toro interpreta Lawrence Talbot. Non nascondo di avere sempre avuto un debole per l’attore portoricano, che è uno dei miei preferiti. Tra i suoi film figurano molte bellissime pellicole come I soliti sospetti, The Fan – Il mito, Fratelli, Paura e delirio a Las Vegas, Snatch, Traffic, Sin City e altre meno belle come The Hunted- La preda; inoltre ha recitato in telefilm come Miami Vice e Racconti di mezzanotte. Ha 43 anni e cinque film in uscita tra cui la riduzione cinematografica di Lunar Park di Bret Easton Ellis!!
Anthony Hopkins interpreta il padre di Lawrence, John Talbot. Parlare dell’attore gallese è parlare di una moderna icona cinematografica, basti solo pensare alla sua splendida interpretazione di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli Innocenti (e anche l’orribile Hannibal si salvava giusto perché c’era lui…) e di molti altri bei film come The Elephant Man, il già citato Dracula di Coppola, Charlot, Vento di passioni, Vi presento Joe Black, Cuori in Atlantide, Red Dragon e paccottiglia come Instinct – Istinto primordiale, Titus, Mission: Impossibile 2 e l’orrido Beowulf senza dimenticare il suo ruolo nel pregevole Il Grinch come narratore. Ha 73 anni e cinque film in uscita, tra cui l’ennesima pellicola dedicata ad un eroe Marvel, Thor, dove lui interpreterà Odino (!!).
Hugo Weaving interpreta l’ispettore Abberline. Meglio conosciuto per la sua interpretazione dell’agente Smith nella trilogia di Matrix, l’attore originario della Nigeria ha anche recitato nel geniale Priscilla, la regina del deserto, nella trilogia de Il Signore degli Anelli, in V come Vendetta e ha inoltre prestato la voce al cane Rex in Babe maialino coraggioso e nel suo seguito. Ha 50 anni e quattro film in uscita, tra cui The Hobbit, dove riprenderà probabilmente il ruolo di Elrond.
E ora un paio di curiosità. Emily Blunt, che interpreta la fidanzata del fratello di Lawrence, era la povera e vessata “schiava” di Meryl Streep in Il Diavolo veste Prada, mentre la zingara che aiuta il protagonista è interpretata nientemeno che dalla figlia del grande Charlie Chaplin, Geraldine Chaplin. Tra l’altro, a proposito di cammei, anche Rick Baker compare nei panni dello zingaro fischiante che viene accoppato per primo dal mannaro. E aspettando l'ennesimo remake di qualche altro storico MMMostro, vi lascio con il trailer dell'originale Uomo Lupo. ENJOY!