venerdì 23 giugno 2023
Lightyear - La vera storia di Buzz (2022)
martedì 23 agosto 2022
Thor: Love and Thunder (2022)
martedì 17 agosto 2021
The Suicide Squad - Missione suicida (2021)
Quale modo migliore per festeggiare la riapertura del multisala di Savona se non andando a vedere The Suicide Squad - Missione suicida (The Suicide Squad), diretto e sceneggiato dal regista James Gunn?
Trama: il governo americano riunisce la squadra di antieroi nota come Suicide Squad per recuperare una pericolosissima arma da un piccolo paese del Sud America...
Ci sarebbero poi da scrivere righe intere sullo stile di Gunn, ovviamente, sul profumo di B-Movie che la patina glamour dei grandi nomi e dei bellissimi effetti speciali non riesce a nascondere del tutto, ma anche sulla raffinatezza con cui, per esempio, uno dei confronti più importanti del film viene mostrato riflesso su un lucidissimo elmo (abbandonato per un motivo ben preciso) invece che inquadrato direttamente. Eredi diretti dei b-movie sono in primis Starro, colorato ed esageratissimo eppure lo stesso capace di fare rabbrividire per il terribile destino riservato alle sue vittime, ma in generale tutto lo stuolo di "cattivi" lo è, popolato com'è di personaggi che non avrebbero affatto sfigurato in un action anni '80 fatto di militari spietati, ribelli sudaticci e Paesi dai nomi inventati; l'intera sequenza in cui Bloodsport e soci si addentrano nella giungla mentre lui e Peacemaker si sfidano con omicidi sempre più elaborati avrebbe fatto invidia sì a Schwarzenegger e Stallone ma soprattutto ai più trash Norris, Seagal e Van Damme, mentre il presidente belloccio "col mostro tra le gambe" è l'ennesimo sbeffeggiamento a quel genere di boss finali che nei vecchi film di cassetta avrebbe messo in scacco i nostri eroi nell'ultimo confronto prima di venire brutalmente sconfitto. E non vogliamo parlare dei membri della Suicide Squad? Uno più esilarante e interessante dell'altro, tutti in grado di non sfigurare davanti all'ormai "solita" Harley Queen, con Idris Elba che calcioruota fino allo spazio siderale quel mollusco di Will Smith e Polka-Dot Man che, assieme alla sua mamma, diventa il personaggio più adorabile di tutto il film, degnamente accompagnati dai "soliti" caratteristi che ormai Gunn si porta giustamente dietro ovunque e da un paio di new entries deliziose, tra le quali la carinissima Ratcatcher 2, lenta a rapire il cuore dello spettatore ma capacissima di non lasciarlo più andare. Voto dieci allo splatter esagerato e alla bella colonna sonora (la vittoria spetta alla nenia à la Rosemary's Baby che accompagna la visita all'acquario del meraviglioso King Shark e che, onestamente, avrei detto appartenere a qualche horror anni '70 mentre invece è stata composta per il film) mentre se dovessi per forza trovare un difetto segnerei un paio di forzatissimi e ridicoli dialoghi a base di volgarità assortite e poi SPOILER macheccazzovipareilcasodifaremorirecosìMichaelRookerlWeaselBoomermaddaiporcoddue! FINESPOILER Molto poco per non richiedere a gran voce James Gunn dietro ad ogni singolo film DC da ora e per sempre.
Del regista e sceneggiatore James Gunn ho già parlato QUI. Michael Rooker (Savant), Viola Davis (Amanda Waller), Nathan Fillion (T.D.K.), Sean Gunn (Weasel/Calendar Man), Margot Robbie (Harley Quinn), Idris Elba (Bloodsport), David Dastmalchian (Polka-Dot Man), Sylvester Stallone (voce originale di King Shark), Alice Braga (Sol Soria), Peter Capaldi (Thinker) e Taika Waititi (Ratcatcher) li trovate invece ai rispettivi link.
Joel Kinnaman interpreta Rick Flag. Svedese, ha partecipato a film come Millenium - Uomini che odiano le donne e Suicide Squad. Ha 42 anni.
martedì 21 gennaio 2020
Jojo Rabbit (2019)
Trama: Johannes Betzler, dieci anni, è pronto ad entrare nella Gioventù Hitleriana e ha un amico immaginario importante, lo stesso Adolf Hitler. L'esperienza nei ranghi dei suoi coetanei si conclude con un incidente e, quel che è peggio, tornato a casa JoJo scopre che la madre nasconde una ragazza ebrea nella camera della figlia defunta.
Non so se sia il caso di definire "geniale" Taika Waititi, ché "genio" è un'altra di quelle parole di cui si arriva ad abusare molto volentieri, come "capolavoro"; certo è che il regista neozelandese è uno degli autori più particolari ed eclettici sulla scena cinematografica internazionale e il suo ultimo film, Jojo Rabbit, è una perfetta espressione di questo suo assurdo modo di fare cinema. Un po' commedia un po' tragedia, un po' satira demenziale un po' serissima tirata anti-odio e anti-guerra, contenitore all'interno del quale c'è spazio persino per il romanticismo, capace di saltare da un registro all'altro nel giro di mezzo fotogramma, con sequenze dove Benigni va a braccetto con Wes Anderson ma anche con Jim Abrahams o con l'Adam McKay di The Anchorman, Jojo Rabbit è un film fuori da ogni schema in grado di far ridere a crepapelle e piangere in egual misura. Dando per buono che tutto sia filtrato attraverso lo sguardo stralunato di Jojo, tenero bimbetto di 10 anni che si sforza di essere un vero nazista per compiacere il suo amico immaginario Hitler, abbiamo la possibilità di vedere sullo schermo tutta l'assurdità (spesso, giustamente, ridicola) di un fanatismo che rifugge ogni razionalità e preda le menti delle persone più ignoranti e malleabili, schiacciandone la personalità grazie a un mix di terrore, propaganda e bugie propinate ad hoc; se i personaggi di Rebel Wilson, Sam Rockwell ed Alfie Allen sono volutamente estremizzati (soprattutto nel pre-finale), sta di fatto che le idiozie di cui i nazisti si riempivano la bocca e l'aria fritta distribuita a manciate da Hitler non saranno state tanto meno assurde, basti "solo" pensare alla fregnaccia della razza pura che ha condannato un intero popolo allo sterminio. Jojo, piccolo coniglietto impaurito con la salda volontà di diventare una tigre nazista, si ritroverà a sbattere la faccia contro quelle stesse fregnacce nel momento esatto in cui scoprirà che la madre nasconde in casa nientemeno che un'ebrea, la giovane Elsa, e proprio nel periodo in cui il castello di carte dell'incontrastato potere nazista è in procinto di crollare.
Con la comparsa di Elsa, il film piano piano prende una svolta più drammatica, malinconica e sentimentale. Le surreali idiozie che per Jojo erano la norma, in primis i dialoghi con un Hitler sempre più infantile e sciocco, cominciano a rivestire sempre meno importanza mano a mano che la patina di "nazismo" viene cancellata a favore della reale personalità del bambino, suo malgrado affascinato dalla "nemica ebrea" che, sorpresa delle sorprese, non è così diversa da una qualsiasi altra ragazza, con la differenza sostanziale che Elsa ha conosciuto dolore e sofferenza, diventando molto più saggia, consapevole e matura. Un personaggio molto simile a quello della madre di Jojo, interpretato da una Scarlett Johansson mai così affascinante e dolce, la quale è costretta a superare tutto il dolore causato da una guerra che non ha portato gloria nemmeno al "popolo eletto" indossando un viso felice mentre cerca di insegnare al figlio cosa sia davvero importante nella vita. In questo clima quasi favolistico, all'interno di una realtà filtrata da colori e costumi vintage incredibilmente accattivanti, dove nessun personaggio, salvo forse Elsa, risulta davvero "realistico", l'ingresso a gamba tesa della morte è l'equivalente di uno schiaffo. Priva della levità di un passo dell'oca con cui ingannare un figlioletto devoto, la morte rappresentata in Jojo Rabbit fa ancora più male perché arriva inaspettata, senza fanfare, senza anticipazioni, senza scene madri a precederla; è gretta, stupida e fa male, come la guerra, a prescindere da chi sia a combatterla, e come l'odio, a prescindere da chi sia a darlo o a riceverlo. E' per questo che ritengo Jojo Rabbit un film meno frivolo, sciocco e paraculo di quanto non appaia a una prima occhiata. Vero, la scorrettezza di un Waititi che infila a tradimento un Heroes di Bowie sul finale è pari a quella già citata di Benigni e del suo passo dell'oca, eppure proprio quella levità e quelle risate grasse che accompagnano il film dall'inizio alla fine rendono la pellicola adatta anche ad essere vista da un pubblico di ragazzini (ovviamente accompagnati da adulti intelligenti) che potrebbero ritrovarsi a ragionare, vivere ricordi non loro ma neppure troppo distanti, tenere viva una memoria che non andrebbe mai fatta scomparire. Adorabile Jojo Rabbit, con quel tenerissimo ragazzino dalla faccia buffa, che sembra proprio un coniglietto, ti ho aspettato per mesi ma ne sei valso la pena!
Del regista e sceneggiatore Taika Waititi, che interpreta Adolf, ho già parlato QUI. Scarlett Johansson (Rosie), Sam Rockwell (Capitano Klenzendorf) e Stephen Merchant (Deertz) li trovate invece ai rispettivi link.
Rebel Wilson interpreta fraulein Rahm. Australiana, ha partecipato a film come Ghost Rider, Che cosa aspettarsi quando si aspetta, Cats e ha lavorato come doppiatrice nel film L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 40 anni.
Alfie Allen interpreta Finkel. Inglese, è stato Theon Greyjoy nella serie Il trono di spade, inoltre ha partecipato a film come Elizabeth, John Wick e The Predator. Ha 34 anni.
Se Jojo Rabbit vi fosse piaciuto recuperate La vita è bella e Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore. ENJOY!
martedì 14 novembre 2017
Thor: Ragnarok (2017)
Trama: Thor torna su Asgard solo per vederla cadere in mano a Hela, dea della morte, e perdere martello e poteri. Esiliato su un pianeta governato da un folle schiavista, il Dio del Tuono incontra Hulk e medita vendetta...
Di Thor: Ragnarok avevo letto le peggio cose, la più lusinghiera delle quali era la definizione "Natale a Sakaar/Asgard", per non parlare dell'istintivo disgusto all'idea di sentire chiamare Thor "Zio del Tuono" in più di un'occasione (in originale credo sia semplicemente Sparkles ma potrei sbagliarmi), due cose che mi avevano tenuta ben lontana dalla sala. Ho sentito poi di amici che si sono divertiti molto, altri moltissimo, e in generale ero curiosa di capire cosa avrebbe potuto combinare il folle Taika Waititi all'interno del Marvel Universe, quindi alla fine sono andata al cinema, benché con il cuore carico di tristi presagi. E ora, sinceramente, non so che dire di questo Thor: Ragnarok, perché la mia anima è fondamentalmente spaccata in due, quindi sarebbe meglio fare un po' di chiarezza prima di venire ricoperta di guano da sostenitori e detrattori "estremisti" del terzo capitolo della saga iniziata sei anni fa nel segno di Kenneth Branagh. Innanzitutto, e probabilmente l'ho già scritto negli altri post, a me di Thor come personaggio non è mai fregato una benemerita, così come del resto di tutti i Vendicatori, beninteso; che lo trasformino in donna, rana o imbecille che inanella una figura di tolla dietro l'altra poco m'importa, apprezzo la visione in deshabillé di Chris Hemsworth, il taglio corto che gli da un che di sbarazzino, asciugo la bava e passo oltre. Lo stesso vale, ça va sans dire, per tutto il carrozzone di personaggi che il titolare si porta appresso, gente che ho conosciuto giusto guardando i film precedenti oppure giocando al defunto e compianto Avengers Alliance su Facebook. Non conosco la mitologia della Asgard versione Marvel quindi ho poca confidenza con Hela, quella roba fiammeggiante che risponde al nome di Surtur (il gran figlio di bagascia, per la cronaca) e neppure il Gran Maestro, se è per questo, e l'idea che stavolta siano state liquidate sia Sif che Jane Foster, la prima senza un perché la seconda con un "t'ha mollato, eh?", non ha causato in me né gioia né rabbia. Tutto questo giro intorno al mondo per dire che l'idea di stravolgere completamente Thor e farne un personaggio più ironico de I guardiani della Galassia, confezionando un film dalla trama semplicissima e molto diretta (i cattivi sono cattivi, i buoni sono buoni ma in generale fanno tutti ridere) con un'infinità di rimandi ai vecchi buddy movies, gli sci-fi supercazzola (Goldblum non l'hanno messo a caso, dai) e i film d'avventura anni '80 poteva anche starci. Ho trovato quest'approccio molto più sensato rispetto all'intestardirsi a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, tenendosi il personaggio serio ma infilando qualche momento comico a casaccio "perché sì", sfruttando vecchi svedesi in mutande o nudi. Qui hanno buttato tutto in caciara fin dai trailer e perlomeno stavolta abbiamo avuto un film coerente dall'inizio alla fine, il problema è che in Thor: Ragnarok la comicità è spesso infantile, demenziale, fuori contesto, reiterata, asfissiante, inserita a forza anche quando proprio non sarebbe stato il caso e, dal mio umile punto di vista di chi vede i film Marvel una volta e ormai se li dimentica il giorno dopo, arriva a dare interpretazioni assurde di personaggi come Loki o Bruce Banner, uno sacco da punchball "di ridere", l'altro isterico che si ravana il pacco perché i pantaloni sono stretti, vi lascio la sorpresa di capire chi sia cosa.
Con me la via dell'ilarità a tutti i costi non ha quindi proprio attecchito, vuoi perché sono vecchia o vuoi perché al terzo "Zio del Tuono" le mie orecchie hanno cominciato a secernere sangue, oppure sarà perché quando un malvagio ti sta parlando TU APRI LE ORECCHIE E ASCOLTI TUTTE LE BELINATE CHE HA DA DIRE, non che giochi al salame appeso interrompendolo per due volte, santo Odino (l'altro buono. Hopkins non fa più un film decente da anni, l'ormai old fart britannica dichiara inorridita che MAI più parteciperà a pellicole su Thor poi passa alla cassa per una comparsata da 5 minuti perché "oh, lo script era validissimo!!". Ma vai a prendertela nel passaggio dimensionale e corri subito a lezione di coerenza da Natalie Portman, fila. Vecchiaccio guercio), però devo anche dire che Thor: Ragnarok è bellissimo dal punto di vista del ritmo, della regia, del delirio anni '80 che rende praticamente ogni scena un trip psichedelico. Il meglio di sé Taika Waititi lo da sul pianeta Sakaar, un luogo troppo assurdo per essere vero, pericolosissimo ma giocoso come un qualsiasi mondo assassino creato dal pazzo Arcade: tra la spazzatura che cade dall'alto rischiando di accoppare gli astanti e quelle creature in odore di Star Wars, passando per il tunnel dentro cui risuona Pure Imagination, arrivando all'assurdità di una cella dove spazio e tempo non esistono, giochi laser che nemmeno in discoteca, prospettive ribaltate e giochi di specchi, per finire con la sboronata di un inseguimento su navicelle spaziali adibite a boudoir e scoppiettanti di fuochi d'artificio, mi veniva voglia di non tornare mai più ad Asgard, anche perché il personaggio migliore della pellicola, diciamolo, è il buliccissimo e assurdo Gran Maestro di Jeff Goldblum (affiancato da Rachel House. Più Rachel House per tutti, vi prego, altro che strafighe beone). Per carità, ad Asgard ci sono scheletri semoventi, un ponte arcobaleno mai così kitsch, morte e distruzione in quantità tali da poter ridere in faccia ai primi due Thor e a buona parte del franchise Marvel, oltre alla bella Cate Blanchett che si è palesemente divertita ad interpretare Hela, però, anche lì, zero pathos, zero serietà, zero empatia con un intero popolo a rischio sterminio, un sacco di risate a vedere Idris Elba imparruccato... mah. Insomma, per una volta non so davvero cosa pensare. Come ho scritto su Facebook, mi sento come il tizio che deve respingere la ragazza che gli hanno presentato e, per non ferire i sentimenti degli amici che ne dicono ogni bene si ritrova a dover dire "Non è che non mi piaccia, per carità. Non è bella però ha personalità. E' simpatica, via. Non è lei, sono io." Il film di Waititi ha una SPICCATA personalità, si innalza nel mare delle produzioni Marvel come solo Guardiani della Galassia e, in parte, Doctor Strange erano riusciti a fare e sicuramente lo rimpiangerò a febbraio dopo il probabile piattume di Pantera Nera (altro personaggio Marvel di cui fregaca**i)... ma non riesco a definirlo bello ora come ora, mi spiace. In compenso mi è tornata la voglia di rivedere sia What We Do in the Shadows sia Buckaroo Banzai o Le ragazze della terra sono facili e di farli vedere per la prima volta a Mirco e questo non è mai un male!
Del regista Taika Waititi, che presta anche la voce a Korg e il corpo a Sultur, ho parlato già QUI. Chris Hemsworth (Thor), Tom Hiddleston (Loki), Cate Blanchett (Hela), Idris Elba (Heimdall), Jeff Goldblum (Gran Maestro), Tessa Thompson (Valchiria), Karl Urban (Skurge), Mark Ruffalo (Bruce Banner/Hulk), Anthony Hopkins (Odino), Benedict Cumberbatch (Doctor Strange), Clancy Brown (voce di Surtur), Tadanobu Asano (Hogun), Ray Stevenson (Volstagg), Zachary Levi (Fandrall), Sam Neill (attore Odino) e Matt Damon (non accreditato, è l'attore che interpreta Loki) li trovate invece ai rispettivi link.
Rachel House, che interpreta Topaz, aveva partecipato ad un paio di episodi di Wolf Creek e prestato la voce a Nonna Tala in Oceania mentre Luke Hemsworth, fratello di Chris, interpreta il falso Thor nella scenetta teatrale all'inizio; ovviamente, nel film compare anche Stan Lee, stavolta nei panni di barbiere. Sif avrebbe dovuto comparire nel film ma Jaimie Alexander era impegnata nelle riprese della serie Blindspot e il suo personaggio è stato conseguentemente "spedito in missione". Oltre a dirvi di rimanere seduti in sala fino alla fine dei titoli di coda, ché le scene post credits sono due, nell'attesa che esca Avengers: Infinity War, dove tornerà Thor, facciamo il solito ripasso dei film da vedere per ingannare il tempo: intanto vi consiglio di recuperare di sicuro Thor, Thor: The Dark World, The Avengers, Avengers: Age of Ultron e Doctor Strange poi magari aggiungete Iron Man, Iron Man 2, Captain America - Il primo vendicatore, Iron Man 3, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della galassia, Ant-Man, Captain America: Civil War, Guardiani della Galassia vol. 2 e Spider-Man: Homecoming. ENJOY!
domenica 9 agosto 2015
What We Do in the Shadows (2014)
Trama: una troupe viene invitata nella casa di quattro vampiri per documentare il loro stile di vita..
Non avevo dubbi che l'unico Paese in grado di ridare un senso alla parola mockumentary e alla stra-abusata figura del vampiro sarebbe stato la Nuova Zelanda. Così come non avevo dubbi che What We Do in the Shadows sarebbe stato uno spasso incredibile, una commedia horror dai risvolti tanto imprevedibili quanto esilaranti, con un po' di spazio anche per alcune riflessioni malinconiche e non banali. Il film (o meglio il documentario) ci introduce nelle vite di Vladislav, Viago, Deacon e Petyr, quattro vampiri strappati a quattro differenti epoche e conseguentemente dotati ognuno di una spiccata personalità legata ad altrettante figure leggendarie e sdoganate dall'industria cinematografica/letteraria. Vladislav è la parodia del Conte Dracula, l'"impalatore" (o meglio il "poker") un tempo capace di ipnotizzare gli esseri umani, di devastare intere nazioni e di far cadere ai suoi piedi ogni donna (e viene giustamente rappresentato come un mezzo zingaro inverosimilmente zamarro), Viago è il vampiro incredibilmente dandy, raffinato e al limite dell'effemminato, Deacon il ribelle più "cattivo" ed incurante della vita umana e Petyr un Nosferatu fatto e finito che parla a malapena; attorno a questi quattro elementi ruotano una varietà di "subalterni", vittime, amici e nemici che offrono al documentario una serie di dinamiche in grado di trasformarlo in un racconto per immagini e dotarlo di una trama parecchio appassionante. I vampiri, come avrete capito, vengono dipinti come degli sfigati, delle creature fuori dal tempo che, nonostante i loro patetici tentativi di interagire col mondo, non hanno ancora capito quanto la società sia cambiata e quanto i loro pregiudizi o le errate convinzioni rischino di portarli ad una prematura estinzione: l'arrivo del "moderno" Nick e del dolce Stu (un uomo talmente benvoluto che al confronto lo Sbranzo di Daw è l'ultimo degli ultimi) li porterà ad aprire gli occhi e ad abbracciare il cambiamento, anche per superare la tristissima ed imbarazzante solitudine a cui si sono volutamente condannati. Jemaine Clement e Taika Waititi, anche sceneggiatori della pellicola nonché protagonisti, imbastiscono una trama dove ogni cliché del genere "vampirico" viene messo alla berlina e, unito alle caratteristiche tipiche delle commedie alla Animal House nonché a dialoghi brillanti ("We're Werewolves, NOT Swearwolves"), diventa una scusa per offrire allo spettatore delle gag esilaranti, apprezzabilissime sia dagli amanti dell'horror che da chi non bazzica questo tipo di film.
La scelta di girare il film con la tecnica del mockumentary non è, per fortuna, una scusa per indulgere nella sciatteria tipica del genere e nonostante gli ambienti mostrati siano quelli squallidi della periferia di Wellington o quelli decadenti in cui amano trastullarsi queste quattro "creature della notte", si vede che Clement e Waititi ci sanno fare dietro la macchina da presa. A dirla tutta, ci sanno fare anche davanti visto che Vladislav e Viago (rispettivamente interpretati da Clement e Waititi) sono due dei personaggi più irresistibilmente comici che mi sia capitato di vedere ultimamente sullo schermo (alla danza erotica sono morta malamente) ma anche il resto del cast, fatto di visi "banali" in aperto contrasto con le regole che vogliono i vampiri e chi sta loro accanto tutti "belli belli in modo assurdo", è davvero ottimo e l'interpretazione "rilassata" di tutti i coinvolti (buona parte di quel che accade nel film e dei dialoghi sono stati improvvisati partendo da un progetto generale) da l'idea di un'operazione creata non solo per il piacere dello spettatore, ma anche per il divertimento di chi ci ha lavorato. Siccome What We Do in the Shadows è, non dimentichiamolo nonostante non faccia paura neppure per un istante, anche un horror, è inevitabile la presenza di sequenze esageratamente sanguinose e realizzate con tutti i crismi: la scena in cui Viago "cena" con una gentile donzella e sbaglia mira azzannando la giugulare, la trasformazione dei licantropi, le battaglie volanti dei protagonisti e l'incredibile trucco di Petyr farebbero invidia a più di una produzione dotata di fondi considerevolmente più consistenti ed è un peccato che il buon Petyr non si veda di più nel film ma il suo make-up era davvero parecchio costoso. Punto d'onore anche alla colonna sonora affatto banale, nella quale spiccano l'ipnotica Lastochka del gruppo russo Leningrad e la deliziosa improvvisazione del delirante terzetto di vampiri. Ora che ci penso, vista la scena post-credits non avrei dovuto riuscire a scrivere nulla su What We Do in the Shadows ma tant'è, siccome mi sono divertita come una pazza guardandolo non posso fare altro che ignorare l'ordine di "dimenticarlo" e consigliarvelo spassionatamente!
Jemaine Clement è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Vladislav. Neozelandese, ha partecipato a film come Men in Black 3, Muppets 2 - Ricercati e doppiato pellicole come Cattivissimo me e serie come I Simpson. Anche compositore e produttore, ha 41 anni.
Taika Waititi è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Viago. Neozelandese, ha partecipato a film come Lanterna verde. Anche produttore, ha 40 anni e un film in uscita.
Se What We Do in the Shadows vi fosse piaciuto recuperate anche Suck e Shaun of the Dead! ENJOY!