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venerdì 21 maggio 2021

The Father (2020)

E' uscito ieri nelle sale italiane The Father, diretto e co-sceneggiato dal regista Florian Zeller, vincitore di un Oscar per il miglior attore protagonista e per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: Anthony, ormai anziano, si ritrova a non riconoscere più non solo i suoi familiari ma anche il mondo che lo circonda...


I film che trattano il tema delicato dell'Alzheimer e di tutto ciò che implica questa orribile malattia, per chi ne è affetto e per chi gli sta accanto, nel corso di questi ultimi anni si sono moltiplicati, eppure a me pare che The Father sia il primo a mostrare il punto di vista del malato senza piegarlo al desiderio di comprensione dello spettatore. L'opera di Florian Zeller, tratta da una sua pièce teatrale, ci introduce infatti alle ultime fasi della vita di Anthony, uomo che si ritrova a dipendere sempre più dalla figlia Anne a causa di una malattia degenerativa che lo sta privando, a poco a poco, della lucidità e della memoria; un uomo che si è sempre distinto per umorismo, intelligenza e gusti, fiero della propria indipendenza, arriva a guardare con diffidenza tutto ciò che lo circonda, ritrovandosi spiazzato davanti a persone che non riconosce e luoghi che non sono quello che sembrano. L'inizio del film è trattato come un giallo hitchcockiano, tanto che nello spettatore si insinua la stessa angoscia che comincia a corrompere ancor più la mente di Anthony, soprattutto dal momento in cui anche la dimensione temporale di The Father, la consecutio degli avvenimenti, comincia a privarsi di ordine e logica, lasciando ancora più spiazzati e consapevoli di come dev'essere "perdere le foglie", ritrovarsi come un albero nudo, privi di quella sicurezza che deriva dalla piena coscienza di sé, alla mercé di qualsiasi cambiamento. Quella stessa insicurezza si riversa sullo spettatore, che a un certo punto si chiede se ciò che si vede sullo schermo sia interamente reale o in parte frutto delle percezioni distorte di Anthony, soprattutto nella sequenza più orribile dell'intera pellicola, quella in cui il marito di Anne comincia a picchiare l'anziano suocero che scoppia in lacrime così cocenti e terrorizzate da spezzare il cuore a un sasso.


E lacrime si versano anche davanti ai dubbi di Anne e al suo senso di colpa, ché The Father, nonostante la sua breve durata, riesce anche, con poche pennellate, a delineare la situazione di chi ha a che fare con la malattia da "esterno", vittima non solo del dolore di vedere sfiorire il proprio caro ma anche di quello di diventare bersaglio di esternazioni violente e anche troppo "sincere", soprattutto quando a prendersi cura del malato non è la figlia preferita, come in questo caso. Lo strazio di sentirsi lacerare tra l'affetto per il malato, il senso di dovere filiale, e l'umana fatica di dover sopportare una simile situazione anelando la libertà e la possibilità di vivere un'esistenza normale si leggono in ogni ruga del viso della bravissima Olivia Colman, nei suoi sguardi, in quel groppo alla gola che diventa un riverbero di quello dello spettatore. E quanto è tornato ad essere bravo, finalmente, anche Anthony Hopkins, che in una sequenza affascina e conquista, per poi straziare durante un finale in cui si fatica a non distogliere lo sguardo per il modo in cui viene messa in scena tutta la pena di una malattia che priva le persone dell'indipendenza e della dignità, lasciando solo un fragile guscio vuoto là dove un tempo c'era un essere umano integro e meravigliosamente complesso. Di fronte a questo, The Father non è un film che consiglio a chi dovesse trovarsi in una simile situazione, perché rischierebbe di non essere per nulla catartico e di aumentare la sofferenza, tuttavia è una delle pellicole che ho apprezzato maggiormente nel corso dell'annuale, forsennata rincorsa al recupero pre-Oscar, quindi guardatelo perché merita. 


Di Anthony Hopkins (Anthony), Olivia Colman (Anne), Mark Gatiss (l'uomo), Olivia Williams (la donna), Imogen Poots (Laura) e Rufus Sewell (Paul) ho già parlato ai rispettivi link. 

Florian Zeller è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Francese, è al suo primo lungometraggio. Anche produttore, ha 42 anni.


Se The Father vi fosse piaciuto recuperate Still Alice, lo trovate a noleggio su varie piattaforme. ENJOY!

mercoledì 1 novembre 2017

Vittoria e Abdul (2017)

Nonostante l'uscita di Thor: Ragnarok, lunedì ho scelto di andare a vedere Vittoria e Abdul (Victoria and Abdul), diretto dal regista Stephen Frears e tratto dal libro omonimo di Shrabani Basu.


Trama: negli ultimi anni del regno della regina Vittoria, la corte viene sconvolta dall'amicizia tra la sovrana e Abdul, scrivano indiano di religione mussulmana.


Il motivo principale per cui sono andata a vedere Vittoria e Abdul, a parte l'essere una vecchia carampana con una passione per i film in costume ambientati possibilmente nell'Inghilterra vittoriana, è stato la presenza di Judi Dench. Dal trailer, il ritratto della Regina realizzato dall'attrice dava l'idea di una Vittoria imperfetta, anziana, malinconica e disperata oltre che forte e altera e non sono rimasta delusa, per fortuna. L'umanità instillata dall'attrice in un'icona della storia mondiale è sicuramente il merito principale del film, nel corso del quale si arriva a provare un'enorme simpatia nei confronti di Vittoria, persino in barba alla consapevolezza di avere davanti il capo di un impero che ha fatto più danni del colera, soprattutto in India. L'unico timore era quello che mi sarei trovata davanti una storiella zuccherosa a base di amicizie indissolubili e sermoni antirazzisti ma così, fortunatamente, non è stato. Benché inevitabilmente adattata per l'intrattenimento del pubblico e infiocchettata da siparietti anche esilaranti (in un modo tutto british, of course...) la storia raccontata in Vittoria e Abdul conserva uno (s)gradevole tocco di ambiguità interamente imperniato sulla figura di Abdul, diventato in pochi anni indispensabile Mushi, ovvero maestro, dell'anziana regina. Nel film di Frears non viene mai detto apertamente che questo scrivano indiano si sia approfittato di una sovrana magari non più lucidissima, tuttavia Abdul non viene neppure ritratto come un uomo dalla virtù adamantina, anzi: benché i sospetti giungano all'orecchio dello spettatore "dalle labbra" di corte, servitù e primi ministri inviperiti, quindi di parte, non è difficile provare un'istintiva antipatia verso una persona che, nonostante molti suoi compatrioti e seguaci della sua stessa religione si siano ribellati apertamente contro l'impero indiano, sceglie di "servire" la regina nemica arrivando persino a mentire pur di rimanere in Inghilterra. Il compare di sventura di Abdul, Mohammed, da voce alla speranza di vedere cadere le convenzioni e l'intero impero proprio grazie all'influenza del Mushi ma l'idea che mi ha dato quest'ultimo è stata quella di un ottimo affabulatore affatto intenzionato a cambiare lo status quo, anzi, ben deciso a tenersi stretto il suo ruolo di indiano di corte senza chiedere nulla per il suo popolo. D'altronde, da uno che non nomina la moglie perché convinto che l'esistenza di quest'ultima non possa interessare alla regina, e che segue i suoi principi religiosi che vedono le donne inferiori solo quando gli fa comodo, non mi sarei aspettata niente di meglio.


Momento "razzista" a parte, la storia di amicizia viene raccontata ed è comunque profonda e coinvolgente com'è giusto per un film simile. Victoria e Abdul contiene molti momenti commoventi e altri in grado di fare riflettere su cosa significhi rapportarsi al "diverso" da sé senza preconcetti, perché se è vero che l'indiano soffre perché vessato, è anche vero che, più in piccolo, c'è una donna altrettanto sofferente proprio per il suo essere a capo di mezzo mondo, circondata da persone servili e uccisa a poco a poco dalla rigida etichetta di corte; in questo, Abdul, con tutti i suoi difetti, viene a rappresentare per Vittoria non solo un diversivo ma anche la finestra verso un mondo paradossalmente a lei sconosciuto ed incredibilmente ricco di arte, storia, cultura ed insegnamenti. Nel raccontare questa storia Frears non esagera in barocchismi scenografici e non si appoggia a costumi sontuosi se non quando è strettamente necessario (si vedano gli abiti nuovi del Mushi), piuttosto predilige concentrarsi sulle porte chiuse dietro le quali i personaggi origliano e l'immensità di un paio di splendidi paesaggi naturali all'interno dei quali vanno a rifugiarsi Victoria e Abdul per fuggire da tutto ciò che li circonda. L'immagine più bella catturata dal regista è però quella di una Vittoria oppressa da una corona pesantissima, terribilmente vecchia e fragile, al punto che parrebbe quasi dovesse spezzarlesi il collo. Avendo visto il film doppiato sicuramente qualcosa si è perso sia a livello di interpretazione che di traduzione, tuttavia mi è parso che, oltre a Judi Dench, anche il resto del cast fosse all'altezza, per quanto un paio di attori siano costretti a recitare un po' sopra le righe, conferendo ai loro personaggi una sfumatura comica che probabilmente le loro controparti reali non avevano (per esempio Paul Higgins e il suo agitatissimo Dr. Reid) ma che personalmente ho apprezzato. Vero è che Frears ha fatto di meglio, tuttavia Vittoria e Abdul è una pellicola molto interessante che racconta una storia scoperta recentemente e sconosciuta ai più; a voi, ovviamente, decidere come considerarla, se edificante oppure soltanto paracula.


Del regista Stephen Frears ho già parlato QUI. Judi Dench (Regina Vittoria), Michael Gambon (Lord Salisbury), Olivia Williams (Lady Churchill) e Simon Callow (Puccini) li trovate invece ai rispettivi link.

Eddie Izzard interpreta il principe Bertie. Nato in Yemen, ha partecipato a film come L'agente segreto, Velvet Goldmine, L'ombra del vampiro, Blueberry, Ocean's Twelve, My Super Ex-Girlfriend, Ocean's Thirteen e a serie quali I racconti della Cripta e Hannibal; inoltre, ha lavorato come doppiatore per I Simpson e Lego Batman - Il film. Anche produttore e sceneggiatore, ha 55 anni e un film in uscita.


Se Victoria e Abdul vi fosse piaciuto recuperate La mia regina, dove Judi Dench aveva già interpretato la Regina Vittoria. ENJOY!

venerdì 22 novembre 2013

Rushmore (1998)

Dopo tutti questi film recenti è bene tornare a parlare di qualche recupero! Oggi tocca al bellissimo Rushmore, diretto nel 1998 dal regista Wes Anderson.


Trama: Max Fisher è uno studente della prestigiosa accademia Rushmore. Purtroppo, con tutte le sue attività extracurricolari e i vari club, i voti di Max sono a dir poco pessimi e il rischio di venire espulso è sempre dietro l’angolo… e le cose peggiorano quando il nostro si innamora di una nuova insegnante, miss Cross. 


Rushmore è il secondo film diretto da Wes Anderson nonché, all'epoca, il mio primo approccio alla poetica del regista. In esso si trovano, in maniera embrionale ma nemmeno poi molto, tutti i temi che sarebbero diventati il fondamento di quasi tutte le pellicole che sarebbero seguite: il protagonista a suo modo geniale ma disadattato, diverso; l'amore sfortunato, impossibile o contrario ad ogni convenzione; il co-protagonista condannato ad una vita banale e triste; il desiderio di sfogare le proprie particolarità in attività assurde o in qualche forma d'arte, spesso e volentieri il teatro; infine, l'incredibile colonna sonora "alternativa" che accompagna ogni singola immagine. Mancano ancora quell'incredibile, affascinante insistenza sul dettaglio vintage o la particolare fotografia satura e ricca di colori, ma Max Fisher con la sua giacchettina e le mise fuori dal tempo è già un passo avanti rispetto a tutti gli altri personaggi che lo affiancano nella pellicola e i siparietti con i giorni della settimana scritti in corsivo o le riprese al ralenti indicano già la dimensione grottesca, teatrale e spesso atemporale in cui verranno immerse tutte le vicende raccontate da Anderson.


La storia di Rushmore, di per sé, è molto semplice e può essere vista come un racconto di formazione. Max all'inizio del film appare molto sicuro di sé e delle sue capacità, ma capiamo benissimo che per il suo futuro vorrebbe di più e che si vergogna delle sue origini umili. La sua enorme fantasia, la sua grande inventiva sono ancora grezze, quelle di un ragazzino, e per essere "controllate" devono venire egoisticamente focalizzate su un obiettivo preciso, prima la Rushmore poi la dolce miss Cross. Come un moccioso viziato e spocchioso, Max non capisce il valore dell'amicizia, si circonda di galoppini e si impegna in attività che, alla fin fine, servono a soddisfare soprattutto il suo ego e lo stesso vale per colui che diventerà il suo antagonista, Herman Blume, un adulto prosciugato da una vita e un matrimonio insoddisfacenti. Entrambi i contendenti vivono ancorati ad un passato che li vede unici protagonisti, così come la giovane miss Cross, tenacemente legata al ricordo del defunto marito; la malinconica amarezza tipica dei film di Anderson si avverte palpabile anche nei momenti più esilaranti del film e avvolge i protagonisti anche sul finale, che chiude la pellicola con una sequenza volutamente ambigua, quasi in medias res.


Ad assecondare le idee di un regista giovane ma già ambizioso ci pensa un gruppo di attori che diventeranno quasi tutti dei feticci di Anderson: Bill Murray è perfetto come sempre nel ruolo di uomo  triste e fiaccato dall'ennui, un perdente dal cuore d'oro ma con poche speranze di migliorare sé stesso o la sua esistenza, mentre l'allora diciottenne ed esordiente Jason Schwartzman ha la perfetta espressione da sfigato con quel qualcosa in più in grado di renderlo attraente e piacevole. Gradevolissimi anche i personaggi di contorno, soprattutto gli esponenti di spicco della varia umanità studentesca che affiancano o ostacolano Max nelle sue imprese, tra i quali il mio preferito è sicuramente l'irlandesaccio Magnus Buchan, con quel suo incredibile e strafottente accento. Insomma, Wes Anderson colpisce ancora: se dovessi trovare un difetto a Rushmore direi che è soltanto la sua natura di opera seconda e ancora immatura, che lo rende inferiore rispetto ai "veri" capolavori del regista ma, preso da solo, è un gioiello che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita.


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato qui. Jason Schwartzman (Max Fisher), Bill Murray (Herman Blume), Olivia Williams (Rosemary Cross), Brian Cox (Nelson Guggenheim) e Luke Wilson (Dr. Peter Flynn) li trovate invece ai rispettivi link.

Seymour Cassel interpreta Bert Fisher. Americano, ha partecipato a film come Dick Tracy, Proposta indecente, Mosche da bar, Animal Factory, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e alle serie Ai confini della realtà, BatmanE.R. Medici in prima linea. Anche produttore, ha 78 anni e otto film in uscita.


Mason Gamble interpreta Dirk Calloway. Americano, lo ricordo per film come Dennis la minaccia, Spia e lascia spiare, Gattaca - La porta dell'universo e Arlington Road - L'inganno; inoltre, ha partecipato a serie come E.R. - Medici in prima linea e CSI: Miami. Ha 27 anni.


Nel film, in diversi ruoli, compaiono anche Andrew Wilson, fratello maggiore di Owen (che ha co-sceneggiato la pellicola) e Luke, Eric Chase Anderson, fratello minore del regista, e una diciassettenne Alexis Bledel. Infine, se Rushmore vi fosse piaciuto, consiglio il recupero di Moonrise Kingdom - Una storia d'amore, Il laureato, Napoleon Dynamite, Ghost World, Harold & Maude e L'attimo fuggente. ENJOY!

martedì 16 luglio 2013

A Royal Weekend (2012)

Niente, pare che luglio per me sia un mese particolarmente britannico. Dopo Shakespeare a colazione, in questi giorni ho guardato A Royal Weekend (Hyde Park on Hudson), diretto nel 2012 dal regista Roger Michell.


Trama: il film racconta del weekend in cui i reali d'Inghilterra si sono recati a fare visita al presidente americano Roosevelt nella sua tenuta di Hyde Park on Hudson e del legame tra quest'ultimo e sua cugina Daisy.


Per chi, come me, ha adorato Il discorso del re e si è in qualche modo affezionato al re Bertie, guardare Hyde Park on Hudson (mi rifiuto di usare il titolo italiano A Royal Weekend, sempre inglese è quindi a che pro tradurlo e cambiarlo?? Mah...) è come vedere lo spin-off di una serie scritto e diretto da altri autori, dove i personaggi vengono trattati in maniera un po' diversa e a volte in modo che non ci aspettiamo. Dico questo perché mi ha fatto effetto vedere una rigidissima e nervosa Regina cazziare il povero Bertie e rinfacciargli di non essere come il fratello, quando invece ne Il discorso del re la buona Elizabeth era un donnino dolce e comprensivo, non un'insopportabile e agitata bacchettona. A parte questo, Hyde Park on Hudson è un film simpatico ed interessante, che riesce a raccontare un pezzo di storia universale concentrandosi su un particolare weekend nella vita di Roosevelt e sulla nascita della sua storia d'amore con la cugina Daisy. Il punto di forza della pellicola è l'idea di trattare i grandi personaggi che hanno partecipato in prima persona alla Storia moderna come dei semplici esseri umani, con i loro (pochi) pregi e i loro (tanti) difetti, condizionati come tutti da pregiudizi e desideri, costretti a sottostare a rigidi protocolli quando invece, per venirsi incontro ed aiutare le rispettive nazioni, basterebbero semplicità e buonsenso.


Se il confronto tra i reali inglesi e l'entourage di Roosevelt è quindi, a mio avviso, la parte più riuscita della pellicola, risulta invece più fiacco l'idillio tra il presidente e la cugina (che in teoria dovrebbe essere il fulcro di Hyde Park on Hudson, anche perché la vicenda viene narrata in prima persona da una Daisy ormai anziana), che serve giusto a rimarcare la personalità calcolatrice e peculiare di Roosevelt e a ribadire il fascino che gli consentiva di tenere in scacco le persone nonostante il fisico fiaccato dalla polio. Tutti gli attori coinvolti si impegnano a dare il meglio, soprattutto Laura Linney nei panni della dimessa Daisy e Olivia Williams in quelli più spicci e sbrigativi di Eleanor, la moglie di Roosevelt, ma in generale il film non appassiona tanto quanto dovrebbe e scivola via come una divertente e garbata sciocchezzuola, quasi come se l'aplomb di Bill Murray si impossessasse dello spettatore. La colonna sonora e alcuni dei paesaggi mostrati nel corso delle scarrozzate in macchina del presidente libertino, invece, mi sono piaciuti parecchio e rendono bene l'idea della pace bucolica che probabilmente si respirava ai tempi a Hyde Park on Hudson.


Di Bill Murray (FDR) e Olivia Williams (Eleanor) ho già parlato ai rispettivi link.

Roger Michell è il regista della pellicola. Sudafricano, ha diretto Notting Hill e Ipotesi di reato. Ha 57 anni. 


Laura Linney interpreta Daisy. Americana, ha partecipato a film come L'olio di Lorenzo, Dave - Presidente per un giorno, Congo, Potere assoluto, The Truman Show, The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra, Mystic River, The Exorcism of Emily Rose e ha doppiato un episodio di American Dad!. Anche produttrice, ha 49 anni e un film in uscita.


Samuel West interpreta Bertie. Inglese, ha partecipato a Casa Howard, Jane Eyre, Notting Hill Van Helsing. Ha 47 anni.


Se Hyde Park on Hudson vi fosse piaciuto, consiglio il recupero del già citato Il discorso del re. ENJOY!!



mercoledì 6 marzo 2013

Anna Karenina (2012)

Folgorata dal trailer, completamente digiuna del romanzo di Lev Tolstoj da cui è stato tratto, lunedì sera sono andata a vedere Anna Karenina, diretto nel 2012 dal regista Joe Wright e vincitore di un premio Oscar per i migliori costumi.


Trama: Russia, fine '800. Anna Karenina è sposata con un rispettabile ufficiale governativo ma si innamora perdutamente del giovane Conte Aleksej Vronskij. L'uomo ricambia il suo affetto ma le convenzioni sociali porteranno Anna alla follia e alla rovina...


La mia ignoranza è crassa, lo ammetto, ma ogni tanto sono contenta di essermi persa qualche opera fondamentale della letteratura, così posso gustarmi appieno film dalla trama "risaputa" come questo Anna Karenina. Che, giusto cielo, è un film popolato da personaggi così odiosi che mi chiedo come il romanzo di Tolstoj abbia potuto sopravvivere al passare dei secoli visto che, a partire dalla protagonista, verrebbe voglia di prendere a badilate nella faccia tutti i coinvolti. Salvo solo il povero, sfigatissimo pel di carota Levin, che prima si vede rifiutata una proposta di matrimonio e poi, dopo anni, riesce a conquistare la finta oca giuliva che ama da sempre. La storia della "santa" Anna, infatti, è la storia di una stronza (esemplare il modo in cui prima chiede perdono al marito perché in punto di morte e poi, appena guarita, lo manda a spigolare per tornare dall'amante), egoista, zoccola e pure piagnona, che si innamora di un dongiovanni efebico e francamente pure leppegoso, alla faccia del marito mollo, succube e senza palle. Completano l'opera un fratello fedifrago, una cognata talmente scema da farsi intortare e rimanere assieme al marito traditore, una mocciosetta che manda a quel paese il pretendente per gli occhi blu di un ufficialetto da quattro soldi e un numero imprecisato di pettegole, peppie, zitelle e cutrettole della peggior specie. Insomma, un bel quadretto di perversione che fa rimpiangere più di una volta i complessi e compassati personaggi de L'Età dell'innocenza, catturati in una storia simile eppure ammantati di incredibile dignità.


Detta così, potreste pensare che il film non mi sia piaciuto, invece l'ho adorato. Della storia, lo ammetto, non me n'è fregato nulla. Anzi, pur non avendo letto il romanzo ho trovato persino discutibile l'idea di mettere tra i personaggi il fratello di Levin ed abbozzare appena una breve e risibile sottotrama relativa ad una specie di "rivoluzione Russa", visto che il personaggio serve giusto a far capire a Levin la profondità di spirito della novella moglie e non certo a farlo riflettere sulla condizione del proletariato. Questa volta, quindi, i miei occhi sono stati completamente catturati dalla bellezza incredibile delle immagini che scorrevano sullo schermo, tanto che avrei potuto continuare a guardare Anna Karenina per ore ed ore. Ogni scena è un'opera d'arte, un tassello di una vicenda ambientata all'interno di un teatro, dove i servitori danzano attorno ai padroni, gli impiegati timbrano documenti a ritmo di musica, i treni sono giocattoli e le case sono quelle delle bambole, dove ogni sequenza si riversa in un'altra grazie alla semplice apertura di una porta, dove persino i prati vengono rinchiusi all'interno di un palcoscenico e l'unico personaggio che arriva a meritare un ambiente "reale", un vero paesaggio innevato, è l'unico che riesce a ragionare al di fuori delle convenzioni e coronare il suo sogno senza venire meno alla propria natura. La regia di Joe Wright è un capolavoro, le scenografie e i costumi sono pura arte e le coreografie sono magnifiche, una su tutte quella del ballo che segna la nascita dell'amore tra Anna e Vronsky. Davanti a questo florilegio di luci e colori, davanti a questo tripudio di incastri e sfasamenti, sinceramente, che Anna Karenina abbia la faccia da vajassa di Keira Knightley, che lo sfigato Kick-Ass passi per essere un irresistibile ufficiale e che Jude Law sembri un prete pedofilo che giocherella con l'inquietante prototipo di un preservativo sono cose che passano in secondo piano, come molti dei ridondanti dialoghi. Il mio consiglio è di buttarvi nella Russia di fine '800 e prepararvi a un incredibile spettacolo!


Di Kelly MacDonald (Dolly), Keira Knightley (Anna Karenina), Jude Law (Karenin), Olivia Williams (Contessa Vronsky), Susanne Lothar (la principessa Shcherbatsky, madre di Kitty) e Aaron Taylor-Johnson (Vronsky) ho già parlato ai rispettivi link.

Joe Wright è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Orgoglio e pregiudizio e Hanna. Anche produttore e attore, ha 40 anni.


Matthew Macfadyen (vero nome David Matthew Macfadyen) interpreta Oblonsky. Inglese, ha partecipato a film come Orgoglio e pregiudizio, Funeral Party, Grindhouse (era nel fake trailer Don’t), Frost/Nixon – Il duello, Robin Hood e I tre moschettieri. Ha 38 anni e un film in uscita.


Domhnall Gleeson interpreta Levin. Irlandese, figlio del grande Brendan Gleeson, lo ricordo per film come Non lasciarmi, Harry Potter e i doni della morte: Parte 1, Il Grinta e Harry Potter e i doni della morte: Parte 2. Ha 30 anni e tre film in uscita.


Emily Watson interpreta la contessa Lydia Ivanova. Inglese, la ricordo per film come Gosford Park, Red Dragon ed Equilibrium, inoltre ha doppiato un personaggio de La sposa cadavere. Ha 45 anni e otto film in uscita.


Tra gli altri interpreti segnalo anche la presenza del figlio di Stellan Skarsgård, Bill, nei panni di Makhotin, uno degli avversari di Vrosnky durante la corsa di cavalli. Quanto allo stesso Vronsky, era proprio destinato ad essere rappresentato come un essere molle ed implume, perché Robert Pattinson era stato preso in considerazione per il ruolo, mentre per quelli di Levin, Kitty e della Contessa Lydia sono stati rispettivamente convocati James MacAvoy, Saoirse Ronan e Cate Blanchett, che però hanno tutti rifiutato. Se Anna Karenina vi fosse piaciuto, consiglio la visione del già citato e meraviglioso L'età dell'innocenza, Moulin Rouge e Romeo + Giulietta. ENJOY! 

venerdì 1 febbraio 2013

X-Men - Conflitto finale (2006)

E finalmente eccoci giunti alla fine della trilogia mutante che ha tenuto banco nei primi dieci anni del nuovo millennio! Nella fattispecie, oggi concludiamo con X-Men - Conflitto finale (X-Men: The Last Stand), diretto da Brett Ratner nel 2006.


Trama: le industrie Worthington hanno trovato una cura che cancellerebbe permanentemente il gene X. Tra mutanti che vorrebbero ritornare normali e altri che vedono la cura come una minaccia, ovviamente scoppia il caos... e gli X-Men si ritrovano decimati e in mezzo ai due fuochi!


Se con X-Men 2 veniva approfondito il discorso del mutante come emblema del "diverso", con questo Conflitto finale viene annullata ogni riflessione e il ruolo degli X-Men si riduce a quello di meri vigilantes ed eroi nell'accezione più ristretta del termine: Magneto e compagnia vogliono uccidere umani e distruggere la cura che renderebbe felici molti mutanti ai quali i poteri pesano particolarmente? Benissimo, mettiamoci tra i cattivi e questa fantomatica cura e speriamo che in questo modo il governo capisca quanto siamo buoni e collaborativi, così forse non la userà come arma. Mi sembra un OTTIMO piano. A questo esilissimo canovaccio, che poi è un mero pretesto per far sfilare sullo schermo tutti quei mutanti che negli altri due film non avevano trovato spazio, si aggiunge una gestione a dir poco talebana dei personaggi e delle trame lasciate in sospeso da Bryan Singer, con mutanti amatissimi che prendono decisioni inaudite (Rogue su tutti) ed altri che schiattano come se non fossero mai serviti all'economia delle storie (non faccio nomi per non spoilerare ma, per quanto mi stiano sulle balle, che diamine! ci voleva comunque un po' di coerenza). Va bene dare un piglio nuovo all'operazione, ma diciamo che hanno un po' esagerato. Nel finale, poi, si assiste ad una tristissima, incoerentissima ed assurda accettazione di tutti gli avvenimenti... salvo che per una scena aggiunta dopo i titoli di coda a mo' di ripensamento.


Quindi cosa rimane di questo Conflitto Finale? Eh beh, quello che probabilmente i realizzatori volevano che rimanesse: gran dispiego di effetti speciali e mutanti come se piovessero. Sui primi posso anche dar loro ragione, sono forse i più ben fatti tra tutti quelli visti nella trilogia e indubbiamente il make-up della Bestia supera quello orrendo visto in X-Men - L'inizio, ma l'effetto pixel sgranato che segue lo scatenarsi della forza Fenice è a dir poco imbarazzante... e nemmeno tanto potente visto che la signora scuoia vivo Wolverine strappandogli tutto tranne i pantaloni. Ma siamo matti?? Ehm, dicevo... Quanto ai nuovi mutanti introdotti, oddio. Il look degli Accoliti di Magneto è zamarro da far schifo, il Fenomeno (per quanto adori Vinnie Jones) sembra un uomo affetto da idrocefalia, con 'sto testone enorme innestato in un corpo normale e ripreso malamente in modo da sembrare più alto delle persone che lo affiancano, le aggiunte di Angelo e Bestia al roster dei buoni vanno dall'assolutamente inutile al vagamente piacevole, di sicuro non toccano le intensità raggiunte da Nightcrawler in X-Men 2. Questa volta, per la gioia dei maschietti, vincono i personaggi femminili: buona l'interpretazione di Famke Janssen nei panni di Fenice in almeno due scene madri, deliziosa la Kitty Pryde di Ellen Page, sempre validissima la pur breve presenza di Rebecca Romijn nei panni di Mystica, mentre ormai Wolverine, Xavier e Magneto sono tre povere macchiette senza nerbo alcuno... un po' come la patetica Rogue di Anna Paquin, l'unico personaggio di cui gli sceneggiatori non hanno veramente capito una mazza. In definitiva, X-Men - Conflitto finale è un film che bisognerebbe vedere solo per dovere di completezza, ma a mio avviso la serie doveva fermarsi a X-Men 2 per poi saltare direttamente all'ottimo spin-off  X-Men - L'inizio. Se non siete iper-appassionati eviterei... a meno che, certo, non vogliate a tutti i costi vedere i capelli di Tempesta finalmente realizzati in maniera umana, come viene sottolineato anche durante un dialogo.


Di Patrick Stewart (Prof. Charles Xavier), Hugh Jackman (Logan/Wolverine), Ian McKellen (Erik Lehnsherr/Magneto), Halle Berry (Ororo Munroe/Tempesta), Famke Janssen (Jean Grey), James Marsden (Scott Summers/Ciclope), Anna Paquin (Marie/Rogue), Rebecca Romijn (Raven Darkholme/Mystica), Shawn Ashmore (Bobby Drake/Uomo Ghiaccio), Olivia Williams (Moira McTaggart), Aaron Stanford (John Allerdyce/Pyro), Vinnie Jones (Cain Marko/Fenomeno), Ellen Page (Kitty Pryde/Shadowcat) e Michael Murphy (Warren Worthington II) ho già parlato ai rispettivi link.

Brett Ratner è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Rush Hour – Due mine vaganti, Colpo grosso al Drago Rosso -  Rush Hour 2, Red Dragon, Rush Hour: missione Parigi e un episodio di Prison Break. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 43 anni e un film in uscita.


Parecchi sono gli ospiti "televisivi" della pellicola: sotto il make-up della Bestia troviamo il Frasier dell'omonima serie, l'attore Kelsey Grammer; Ben Foster, ovvero l'Angelo, ha partecipato a diversi episodi di Six Feet Under e al film 30 giorni di buio, Dania Ramirez (Callisto) ha ripreso il ruolo di "mutante" in Heroes, l’uomo multiplo Eric Dane è in forza al cast di Grey’s Anatomy e Ken Leung/Kid Omega è stato invece l’odioso Miles di Lost. Daniel Cudmore e il piccolo Cameron Bright invece, che interpretano rispettivamente Colosso e Pulce, sono finiti poi a fare i vampiri nella saga di Twilight. Immancabile, ovviamente, Stan Lee, il vicino di casa dei Grey che si vede strappare di mano l'innaffiatoio... ma stavolta compare persino l'effettivo creatore dei nuovi X-Men, Chris Claremont, nei panni del vicino con la falciatrice. Halle Berry, invece, avrebbe rifiutato di riprendere il ruolo di Tempesta, sia per problemi con Bryan Singer sia per la staticità del personaggio: la fanciulla ha cambiato idea dopo l'arrivo di Ratner (l'ultima scelta dopo che erano stati chiamati registi come Darren Aronofski, Joss Whedon, Alex Proyas, Zack Snyder e Matthew Vaughn, tutti diversamente impegnati), la promessa che Tempesta avrebbe avuto un ruolo maggiore nel film e, soprattutto, dopo il giusto flop dell'orrendo Catwoman, che la vedeva protagonista. Certo, se Singer fosse rimasto avremmo avuto una gatta di marmo a recitare in meno e un film decisamente migliore, visto che la trama originale prevedeva uno scontro col Club Infernale (e una Regina Bianca interpretata nientemeno che da Sigourney Weaver!!) deciso a servirsi della Fenice e il suicidio finale di quest'ultima. Inoltre avremmo avuto anche il ritorno di Nightcrawler e la comparsa di un giovane Gambit che si sarebbe conteso con l'Uomo Ghiaccio il cuore di Rogue, insomma, una meraviglia! E invece.. ciccia! Vabbé. X-Men - Conflitto finale segue ovviamente X-Men e X-Men 2 (che vi consiglio di guardare se il film vi fosse piaciuto) mentre dalle costole della serie hanno avuto origine i due spin-off X-Men: Le origini - Wolverine e X-Men: L'inizio a cui presto seguiranno The Wolverine (in uscita in Italia a giugno 2013) e X-Men - Giorni di un futuro passato, che dovrebbe essere pronto per il 2014. ENJOY!


L'angolo del Nerd (o del gnégnégné, fate voi): 

Vista l'abbondanza di mutanti (anche gente che io nei comics non ho mai visto, come il lanciatore di coltelli d'osso Spike, l'Uomo Lucertola, il megamorfo Phat e Jones, il ragazzino che accende e spegne le TV con un battito di palpebre) che compaiono in X-Men - Conflitto finale questo angolino risulta oggi più importante che mai, e allora... via con le chiose!
Henry "Bestia" McCoy: membro degli X-Men originali. Intelligentissimo, nato con piedoni e manone ma senza pelo, a furia di sperimentare su sé stesso è diventato anche peloso e blu. Prima somigliava a una scimmia, da qualche anno somiglia a un leone ma l'indole più meno è sempre la stessa. Dopo aver mandato a spigolare Ciclope durante la saga Scisma, ha deciso di diventare uno degli insegnanti della Jean Grey School per giovani dotati e milita anche nei Vendicatori. Ah, in giro c'è anche una Bestia nera, esule dell'Era di Apocalisse. Diffidate dalle imitazioni.
Cain "Fenomeno"Marko: fratellastro di Charles Xavier e nemico storico degli X-Men, era il legame col demone Cyttorak a renderlo inarrestabile. In tempi recenti il demone si è legato però a Colosso e teoricamente Marko dovrebbe essere rimasto senza poteri, ma con la Marvel non si sa mai.
Warren "Angelo" Worthington III: membro degli X-Men originali, dopo anni passati a svolazzare qua e là tirandosela da ricco playboy è finito con le ali amputate. Il malvagio Apocalisse (potentissimo mutante mai apparso nei film) gliele ha sostituite con alucce di metallo organico senziente e lo ha trasformato nel bluastro Cavaliere Morte, per un po' è stato cattivo, poi è tornato buono, etc. etc. Ultimamente questo lato oscuro, per così dire, era tornato a sopraffarlo ma ci hanno pensato i membri della nuova X-Force a farlo secco. E' risorto senza ricordi e con i poteri di un vero Angelo di Dio. La questione è ancora avvolta nel mistero e al momento il personaggio è tornato a far parte degli studenti della nuova Jean Grey School per giovani dotati.
Callisto: altro che bellona incredibile, nel fumetto è un donnino bruttarello e con la benda sull'occhio. Nel film si picchia volentieri con Tempesta in omaggio ai comics, dove le due si sono sfidate per decidere chi avrebbe guidato i Morlock, gruppo di mutanti reietti che vivevano nelle fogne. Scontata la vittoria di una Tempesta senza poteri, che poi aveva lasciato Callisto come vice-capo. Sinceramente, non ho mai capito i poteri della tizia, credo avesse solo dei supersensi o giù di lì, ma di sicuro non ha mai rintracciato mutanti come fa nel film (quel potere ce l'aveva Calibano, un altro dei Morlock).
Jamie "Uomo multiplo" Madrox: mutante dotato del potere di generare infinite copie di sé stesso (ognuna con la propria personalità ahimé!), è nato come “malvagio” e poi si è evoluto, soprattutto grazie alle sante mani di Peter David, in uno dei personaggi più complessi e meravigliosi al momento in circolazione. Attualmente è a capo della X-Factor Investigations.
Pulce: mutantino deforme e Morlock dotato del potere di annullare quelli altrui. Spesso in coppia con l'altro mostrillo Artie, al momento sono senza poteri, persi in qualche limbo narrativo.
Psylocke: nel film ha il potere di fondersi con le ombre e compare per qualche minuto tra i mutanti Omega raggruppati da Magneto. Nei fumetti parliamo di uno dei personaggi più importanti della serie, un'X-Man inglese infilata nel corpo di una telepate asiatica, mezza ninja e molto puerca.
Kid Omega: qui bisogna fare delle distinzioni. Nel film Kid Omega è il mutante dal cui corpo spuntano le spine, un potere preso paro paro da Quill, che era in forza alla nuova Accademia degli X-Men prima di venire ucciso assieme al 90% dei suoi compagni durante un attacco di Stryker. Nei comics invece, al nome Kid Omega risponde Quentin Quire, un arrogante e potentissimo ragazzetto telepate che ha dato non poco filo da torcere agli X-Men e che ora frequenta di malavoglia la Jean Grey School.
Arclight: storica nemica degli X-Men in quanto membro dei malvagissimi Marauders, è una dei pochi mutanti “minori” che nel film mantengono i loro poteri, nella fattispecie quello di generare scosse sismiche o comunque fortissime onde d’urto battendo le mani. 
Glob Herman: nel film compare brevemente assieme agli accoliti di Magneto durante l’attacco ad Alcatraz, prima di essere “curato” da un dardo. Nei comics è uno degli studenti della Jean Grey School ed è dotato di un corpo fatto di paraffina trasparente, attraverso cui si vedono le ossa e gli occhi. Una schifezza d’essere, via, e uno dei mutanti più stupidi e inutili mai creati durante l’inquietante gestione Morrison.
Umani: Tra gli umani nominati nel film segnalo il Segretario della difesa Bolivar Trask, che ha preso evidentemente il nome da colui che nei comics ha inventato i robot cacciatori di mutanti denominati Sentinelle, la genetista ed ex fidanzata di Xavier prima e Banshee poi Moira McTaggert e la dottoressa Kavita Rao, inventore della terribile cura anti-mutante e oggi alleata degli X-Men, almeno nei comics.


 

martedì 4 ottobre 2011

Il sesto senso (1999) - Recensione

Sono sempre un po’ timorosa quando devo affrontare la recensione di un film che mi è piaciuto particolarmente, perché penso sempre che quello che scrivo non sia nemmeno lontanamente degno di parlare di qualcosa di bello. Quindi è questo lo stato d’animo con cui recensirò il bellissimo Il sesto senso, diretto nel 1999 dal regista M. Night Shyamalan.



Trama: Malcom Crowe è uno psichiatra infantile di fama riconosciuta, che si ritrova a dover aiutare il piccolo Cole, un ragazzino i cui problemi nascono dalla sua capacità di vedere i fantasmi.



Il sesto senso è senza ombra di dubbio l’unico film veramente bello girato dal sopravvalutatissimo regista Shyamalan (o Sciabadà. A me piace chiamarlo così). Quest’uomo ci ha fatto i miliardi speculando sull’unica, vera, interessante idea “ad effetto” che gli è venuta, e negli anni ha provato a ricreare qualcosa di simile, propinandoci uomini – supereroi, villaggi sperduti nei boschi, incurabili virus, persino ninfe acquatiche che compaiono nelle piscine altrui per scassare i cabasisi al prossimo. Il mio consiglio spassionato è quello di chiudere gli occhi di fronte a tanta immondizia e concentrarsi soltanto su Il sesto senso, facendo attenzione a che nessuno sia così bastardo da rivelarvi il finale se non lo avete mai visto. In tal caso, siete autorizzati a spedire l’eventuale chiacchierone di turno dritto dritto nelle schiere di fantasmi che il piccolo Cole dice di vedere.



Non mi sarà facile, quindi, recensire questo film senza scendere nei particolari e rimanendo molto vaga sulla trama. Facendola breve, Il sesto senso ha tutto. La sua sceneggiatura è un perfetto meccanismo ad orologeria, dove ogni singolo dettaglio, anche il più insignificante, acquista significato con il proseguire della storia e arricchisce il film di rinnovata bellezza anche dopo numerose visioni. Il colore rosso, le ferite di Cole, i silenzi, gli sguardi, sono tutti elementi che concorrono a svelare nuovi aspetti della vicenda e a creare contemporaneamente ulteriori misteri, aumentando incertezze ed inquietudine. Anche l’aspetto sovrannaturale de Il sesto senso è dosato con parsimoniosa furbizia. Gli spiriti dei morti incombono più come una presenza silenziosa o violenta, raramente si vedono perché il regista preferisce mostrarci gli effetti del loro passaggio e le reazioni che questo suscita su coloro che non li percepiscono. E quando i morti si mostrano sono sempre raccapriccianti e spaventosi, nonostante la loro intenzione sia semplicemente quella di comunicare; per questo non possiamo fare altro che rimanere terrorizzati assieme a Cole, un bimbo dalla situazione familiare disagiata, ulteriormente oppresso da quello che, più che un dono, è una maledizione.



Come avrete capito, quindi, l’aspetto umano è fondamentale per Il sesto senso. Ben lontano dall’essere un semplice horror, infatti, la pellicola è una riflessione sulla vita, sull’importanza dei legami familiari e sulla necessità di superare ed elaborare il lutto. Essenziale, quindi, la presenza di attori eccellenti. Se devo dire la verità, in questo film Bruce Willis è bravo e a tratti la sua interpretazione è toccante, ma viene completamente eclissato dalle performance di Haley Joel Osment e Toni Collette. Il primo regala un’interpretazione straordinaria, considerata anche la giovanissima età, riuscendo a passare dall’inquietante, al commovente, al divertente, persino all’irritante, senza mai risultare fasullo o irreale. E’ impossibile, infatti, non provare pena per il piccolo Cole o rabbia per la stupidità delle persone che lo circondano e che lo etichettano come mostro. Impossibile anche ignorare la forza che Toni Collette infonde al personaggio di Lynn, una madre single provata dalla vita con un figlio che vede soffrire senza riuscire ad intuirne il motivo, combattuta tra l’amore che prova per lui e la razionalità che le impedisce di capire i mille, inequivocabili segni lasciati dalle invisibili presenze che tormentano Cole. Rileggendo la recensione mi rendo conto di avere detto troppo. Fate come Cole, abbiate fiducia e guardate Il sesto senso, anche se avete paura di quel che potrete vedere. Non ve ne pentirete.

 

Di Bruce Willis, che interpreta il Dr. Crowe, ho già parlato qui, mentre un trafiletto su Toni Collette (che interpreta Lynn, la madre di Cole, ruolo che le è valso la nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista), lo trovate qua.

M. Night Shyamalan (vero nome Manoj Nelliyattu Shyamalan) è il regista della pellicola ed interpreta anche il dottore che visita Cole. Vorrei mettere agli atti il fatto che, pur detestandolo con forza, ho visto praticamente ogni suo film, e questo non depone a favore della mia sanità mentale. Indiano, è il responsabile (e sottolineo la parola responsabile) di film come Unbreakable – Il predestinato, Signs, The Village, Lady in The Water e E venne il giorno. Anche sceneggiatore e produttore (il già recensito Devil alla fine è completamente o quasi farina del suo sacco), ha 41 anni.



Haley Joel Osment interpreta Cole, ruolo che gli è valso la nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista. Sicuramente l’attore prodigio più bravo della sua generazione, anche se di lui si sono ora un po’ perse le tracce, lo ricordo per film come Forrest Gump, Bogus l’amico immaginario, il lacrimevole Un sogno per il domani e A.I. Intelligenza artificiale. Ha inoltre doppiato La Bella e la Bestia: un magico Natale, un episodio dei Griffin e partecipato alle serie Walker Texas Ranger, Jarod il camaleonte e Ally McBeal. Americano, anche produttore, ha 23 anni e due film in uscita.



Olivia Williams interpreta la moglie di Malcom, Anna. Inglese, la ricordo per film come Rushmore, Peter Pan e X – Men – Conflitto finale, inoltre ha partecipato alle serie Friends e Dollhouse. Ha 43 anni e tre film in uscita.



Donnie Wahlberg interpreta Vincent. Americano, lo ricordo per film come l’orrendo L’acchiappasogni, Saw II – La soluzione dell’enigma, Saw III  - L’enigma senza fine e Saw IV. Anche sceneggiatore e produttore, ha 42 anni.  



Tra gli altri interpreti segnalo la partecipazione di Mischa Barton, la sgallettata protagonista dell’orrida serie televisiva The O.C., nei panni della piccola Kyra. Se Il sesto senso vi fosse piaciuto, vi consiglio di cercare e guardare l’altrettanto bello The Others. E ora... sdrammatizziamo! Non vi lascio al trailer del film, a quello di un oscuro capolavoro del thriller... Il sesto scemo.... ENJOY!!

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