venerdì 18 luglio 2025

You'll Never Find Me (2023)

Con tutta la calma del mondo, è uscito ieri in pochissimi cinema italiani un film che gli appassionati conoscono da più di un anno, ovvero You'll Never Find Me, diretto nel 2023 dai registi Josiah Allen e Indianna Bell (anche sceneggiatrice).


Trama: durante una tempesta, una donna bussa alla porta del trailer di un uomo. I due si confrontano, cercando di reprimere la diffidenza reciproca...


Ho un piccolo disclaimer da fare, prima di iniziare la recensione. Se siete stanchi, malaticci, assonnati, reduci da una sessione di palestra più o meno intensa, vecchi come la sottoscritta, aspettate prima di mettervi a guardare You'll Never Find Me, o rischiate di addormentarvi dopo 10 minuti. Parlo per via di un'esperienza personale durata ben due giorni, dopo i quali, al terzo giorno, sono finalmente riuscita a vedere il film per intero senza addormentarmi ignominiosamente. Il problema, se così si può dire, di You'll Never Find Me, è quello infatti di essere uno slow burn molto ma molto slow. Il che non è un male, ma bisogna avere il cervello reattivo, pena il rischio di non gustarsi lo spettacolare, tesissimo confronto tra gli unici due personaggi presenti nel film. E' una notte da tregenda, un uomo se ne sta solo all'interno del suo squallido trailer a bere e rimuginare, ascoltando il vento e i tuoni che sembrano voler sradicare da terra il suo fragile rifugio, ed altri rumori non meglio definiti. A un certo punto, bussa alla porta una ragazza scalza e bagnata fradicia che, sorpresa dalla tempesta, vorrebbe usare il telefono per farsi venire a prendere. Partendo da questo incipit semplicissimo, You'll Never Find Me imbastisce un'opera dall'impianto teatrale, basata sul diffidente confronto tra due persone che hanno evidentemente qualcosa da nascondere e si ritrovano a dover condividere un ambiente piccolo e claustrofobico per motivi di convenienza. Naturalmente, la maggior parte delle sensazioni disturbanti proviene da Patrick, uomo burbero e solitario che induce la nuova arrivata a rimanere all'interno del trailer sfruttando un mix di altruismo e gaslighting da manuale, aiutato dalle condizioni esterne assai poco favorevoli, ma anche la ragazza emana vibrazioni "sbagliate" e si trincera dietro tante piccole bugie che esulano dalla semplice autoconservazione; ad aggravare il tutto, ci sono svariati indizi che darebbero l'impressione di un qualcosa di sovrannaturale all'opera nel trailer, tra visioni sanguinolente, voci nel vento e la canzone Sleepwalk che si ripete in loop, sempre più distorta. 


Non voglio fare l'esperta che "se la crede", ma il twist di You'll Never Find Me è intuibile dopo pochi minuti. Il valore del film, però, risiede soprattutto nella performance di Brendan Rock e Jordan Cowan, che sembra quasi camminino sulle uova onde evitare che il sottilissimo filo di (s)fiducia teso tra i loro due personaggi si spezzi; i dialoghi tra Patrick e la sconosciuta non sono particolarmente innovativi o ficcanti, ma coinvolgono nella misura in cui ogni volta riverbera qualcosa di sbagliato anche nei discorsi più banali o cortesi, un nervosismo sotteso che fa eco al delirio meteorologico che imperversa all'esterno e che i protagonisti vogliono evitare si riproponga in casa con uno scoppio di violenza. Inevitabilmente, lo spettatore si ritrova coinvolto da questa tensione, dall'attesa che succeda qualcosa di orribile, e queste sensazioni vengono enfatizzate a dismisura dall'uso di un sonoro snervante (a un certo punto mi sono alzata per vedere se qualcuno o qualcosa fosse entrato in casa mia, coperto dai rumori incessanti della pioggia, del vento, dei tuoni e degli infissi scricchiolanti che riecheggiano per tutto il film) e da una fotografia cupa che, impercettibilmente, vira sempre più nei toni del rossastro, garantendo un senso di claustrofobia assecondato anche dalle inquadrature ravvicinate e sghembe della regia. Il pre-finale è un delirio visionario che dà sfogo a tutte le emozioni trattenute fino a quel momento, ma in tutta onestà l'ho trovato un po' poco soddisfacente, mi è sembrato che i realizzatori abbiano voluto dare mostra della loro intelligenza e della loro bravura senza però riuscire a centrare un punto, qualunque esso fosse, né a sconvolgermi con qualcosa di inaspettato. Ciò non toglie che, per essere alla loro prima esperienza nel lungometraggio, Josiah Allen e Indianna Bell abbiano realizzato un'opera notevole, con tantissimi aspetti positivi, quindi aspetto con trepidazione il loro prossimo film, sperando rimangano nell'ambito horror. 

Josiah Allen e Indianna Bell sono i registi della pellicola. Australiani, anche produttori, sono al loro primo lungometraggio ma hanno all'attivo già alcuni corti realizzati insieme.



 

mercoledì 16 luglio 2025

Clown in a Cornfield (2025)

Per ovvi motivi, appena è uscito anche in Italia con l'innominabile titolo Il clown di Kettle Springs, ho recuperato Clown in a Cornfield, diretto e co-sceneggiato dal regista Eli Craig partendo dal romanzo di Adam Cesare.


Trama: Quinn si traferisce con suo padre nella cittadina di Kettle Springs. Lì, fa amicizia con Cole e con altri suoi coetanei, minacciati dall'inquietante presenza del clown Frendo...


Gli ovvi motivi, se seguite da un po' il mio blog, si trovano nel titolo del film. Due delle cose che mi terrorizzano di più, da quando ho cominciato a guardare gli horror, sono i clown e i campi di grano. Diciamo che Adam Cesare avrebbe fatto filotto se, nel titolo, avesse inserito anche bambole e burattini ma, anche così, il suo romanzo mi ha abbastanza incuriosita da leggerlo, quando ho saputo che ne avrebbero tratto un film. Clown in a Cornfield è uno young adult in salsa horror, scritto da un autore nato nel 1988 e quindi abbastanza vecchio da poter essere genitore di uno dei protagonisti; nonostante la "vecchiaia", o forse proprio grazie ad essa, Cesare ha basato il suo romanzo più famoso sulla lotta generazionale e sulla pessima abitudine che abbiamo noi Millenials (e le generazioni prima di noi) di rifiutare il passare del tempo, aggrappandoci testardamente a una nostalgia che sta progressivamente devastando il mondo in generale, e quello dell'entertainment in particolare. A questo, bisogna aggiungere che Clown in a Cornfield è ambientato nella cosiddetta flyover country, in bifolcolandia, dove le diavolerie moderne e il progresso sono guardati ancora più con sospetto, quindi terreno fertile per tradizioni stagnanti e potenzialmente pericolose. A Kettle Spring, paese dove si trasferiscono Quinn e suo padre, chiamato a ricoprire il ruolo di dottore locale, dette tradizioni (vecchie di BEN 100 anni!!) ruotano tutte attorno alla fabbrica di sciroppo di mais Baypen e della sua mascotte Frendo, un clown celebrato dalla gente del luogo come un eroe leggendario. Gli unici immuni al fascino di Frendo sono Cole e i suoi amici, i quali, da bravi zoomers, sognano un futuro migliore e lontano ma, nel frattempo, si divertono a tutto spiano cercando fama e followers su internet caricando video di burle pesanti, arrivando persino a screditare Frendo presentandolo come un serial killer. I problemi, ovviamente, iniziano quando gli adolescenti di Kettle Springs cominciano a cadere davvero come mosche per mano dell'inquietante clown.

Il film di Eli Craig segue in buona misura la trama del libro, con un'unica differenza davvero importante, ovvero quella di riservare il plot twist al finale, mentre Cesare scopre le carte ben prima. Il medium cinematografico è anche più rapido e divertente, popolato da personaggi un po' più stereotipati e superficiali (protagonista compresa), che seguono modelli di comportamento più esasperati e meno inquietanti rispetto alle loro controparti cartacee. Il risultato, però, non è affatto disprezzabile ed è un simpatico dito medio rivolto agli slasher nostalgici, un horror per i ragazzi di oggi e per gli adulti che hanno abbastanza cervello da ridere di loro stessi, magari riconoscendosi un po' negli abitanti di Kettle Springs e nel goffo padre di Quinn (la battuta pronunciata dalla ragazza, "Sai che gli anni '80 sono lontani da me quanto lo erano per te gli anni '40?" mi ha stesa anche se, come direbbe Titty Ferro, fa "male, male, male da morire"). A livello di gore, Clown in a Cornfield regala un paio di morti molto belle ai danni di poveri ragazzetti, mentre il sembiante del clown Frendo, riproposto in un terrificante carillon con pupazzo a molla che non vorrei in casa nemmeno me lo regalassero, è inquietante a sufficienza per il pubblico a cui è rivolto (non supererà MAI l'orrore dei clown di Hell House LLC, ci mancherebbe, ma fa il suo). Anche gli attori sono molto validi. La ragazza che interpreta Quinn è bellina e cazzuta, Cole è come me lo sarei aspettato leggendo il libro e Kevin Durand regala sempre grandi gioie; continuo a contestare un po' il casting di Will Sasso nei panni dello sceriffo, e anche personaggi come Janet e Ronnie sono un po' sottotono, ben diverse dalla queen bee e dalla zoccolotta del libro, per non parlare di quel blocco di tufo che interpreta Rust, ma non si può avere tutto dalla vita. Sarei curiosa di vedere adattati gli altri romanzi della serie, arrivata ormai al terzo capitolo, ma temo che rispecchierebbero un po' troppo la realtà Trumpiana, soprattutto Frendo Lives!, e servirebbe un approccio meno giocoso rispetto a quello di Eli Craig. Ma mai dire mai, comunque!


Del regista e co-sceneggiatore Eli Craig ho già parlato QUI. Kevin Durand (Arthur Hill) e Will Sasso (Sceriffo Dunne) li trovate invece ai rispettivi link. 


Se Clown in a Cornfield vi fosse piaciuto, recuperate Tucker and Dale vs Evil. ENJOY!

martedì 15 luglio 2025

The Surfer (2024)

In occasione della triste ed inaspettata dipartita di Julian McMahon ho deciso di guardare il suo ultimo film, The Surfer, diretto nel 2024 dal regista Lorcan Finnegan.


Trama: un uomo d'affari torna nella cittadina costiera australiana dov'è nato, nella speranza di acquistare la vecchia casa di suo padre e fare surf col figlio nella spiaggia della sua infanzia. Nel frattempo, purtroppo, il posto è diventato ritrovo di una gang di surfisti ostili nei confronti degli autoctoni...


Lorcan Finnegan
si era imposto all'attenzione degli amanti dell'horror in tempo di pandemia, quando col suo Vivarium aveva dato voce al terrore claustrofobico di una vita ripetuta sempre nelle stesse modalità e all'interno dello stesso ambiente ristretto. Insomma, era uscito col film giusto al momento giusto, alimentando incubi radicati in una percezione tristemente attuale della realtà dell'epoca. Nel frattempo, sono usciti Nocebo Nightmare Radio: The Night Stalker, due film che purtroppo devo ancora recuperare, quindi non saprei dire se il suo discorso sulla progressiva perdita dell'individualità e sui non luoghi che inducono alla pazzia sia proseguita ininterrotta; di sicuro, però, The Surfer ha molte similarità con Vivarium. La sceneggiatura racconta di un uomo senza nome (il "surfista", nei titoli di coda), nato in Australia ma vissuto in America fin dall'adolescenza, che torna nella cittadina dove ha passato l'infanzia per ricomprare la casa paterna. Il protagonista è molto benestante, ma non abbastanza da acquistare l'immobile senza dare fondo a tutte le sue finanze aggiungendo anche ingenti prestiti; ciò, tuttavia, non lo ferma, perché il suo obiettivo è dare al figlio l'opportunità di vivere proprio in quella casa, e fare surf nella spiaggia poco distante. Purtroppo, il luogo è anche ritrovo di una banda di violenti surfisti che lo hanno riservato ad uso esclusivo dei "locals", e il protagonista viene brutalmente invitato ad andarsene e non mettere mai più piede lì. Determinato a non cedere, e a rivivere i tempi felici che furono, l'uomo decide di piantonarsi lì ad aspettare la conferma della banca, decisione che lo condannerà a vivere un incubo sempre più surreale e allucinato, perdendo brandelli di se stesso ad ogni ordalia impostagli dai surfisti. 


Fin da quando ho visto Fuori orario di Scorsese, ho capito che uno dei concetti che più mi inquieta è quello di perdere il controllo della propria vita non per mano di forze sovrannaturali, ma della propria "ingenuità", della "sfiga" e della cattiveria altrui (persino Roba da matti mi mette inquietudine, per dire). In Fuori orario, il protagonista "osava" uscire dalla sua comfort zone e ne pagava le conseguenze rischiando di morire o finire in galera, perdendo tutto ciò che lo caratterizzava. In The Surfer, il concetto di base è un po' diverso, perché il protagonista non è un outsider, almeno dal suo punto di vista, anzi, ritiene di avere tutto il diritto di riottenere ciò che percepisce come "suo", ma il risultato finale non cambia. A differenza di Paul, che non vedeva l'ora di tornare a casa, il protagonista di The Surfer non si smuove di un passo, ed è lui stesso a fornire ai suoi nemici i mezzi per rinchiuderlo saldamente in una realtà da incubo, sia fisica che psicologica. Nonostante la dimensione ridotta della sua prigione, inoltre, il labirinto di insidie di cui è popolata è grande quanto l'intera New York, questo perché l'Australia non perdona; ti frigge il cervello col sole a picco, ti cattura col suo bush, ti minaccia con pericolosi animali, ti isola con l'accento incomprensibile dei suoi abitanti, ti illude con la promessa di una civiltà tanto rara quanto preziosa, travestendosi da paradisiaca meta turistica. La setta di surfisti capitanata da Scally, riccastro che si spara le pose di santone, è figlia del territorio e i suoi membri sfruttano tutti questi elementi per ridurre "l'invasore" a un groviglio di puro istinto animale, andando a pungolare non solo la sua volontà di sopravvivere, ma anche un orgoglio e un pensiero elitario che non lo rende poi così dissimile dai suoi carnefici. A un certo punto, l'alternativa è arrendersi e morire come un guscio svuotato di ogni consapevolezza di sé, oppure lasciarsi assimilare, perdendo comunque la propria individualità; l'aspetto angosciante di The Surfer è proprio il modo infido in cui, pur nella consapevolezza dello schifo incarnato da Scally e soci, instilla nello spettatore una sorta di colpevole sollievo all'idea di riottenere tutti i diritti che dovrebbero essere garantiti da una società civile.  


Lorcan Finnegan
rinfocola il disagio dello spettatore dando vita a un'Australia bruciata dal sole, fotografata con colori nitidissimi in cui prevale un'arancione ambivalente, che rappresenta sia la letterale fornace che minaccia di inghiottire il protagonista privato di cibo, acqua e refrigerio, sia memorie baciate da un ingannevole tramonto. Le inquadrature di Finnegan fanno sentire tutto il caldo che risale a ondate dall'asfalto e indugiano su degradanti, puzzolenti schifezze alternandole a momenti in cui ogni cosa che circonda il protagonista sembra un incubo da disidratazione, mentre un sapiente montaggio contribuisce a instillare dubbi su cosa sia vero e cosa sia falso (il fatto che a un certo punto sia difficile distinguere il protagonista dal barbone è geniale). Non aiuta l'ingannevole colonna sonora chill out, che punteggia ironicamente le inquadrature di Luna Bay e delle onde del mare, irraggiungibili miraggi da cartolina e status symbol di una vita da sogno tenuti saldamente nelle mani abbronzatissime di un Julian McMahon mefistofelico. Ho sempre avuto un debole per Julian, la sua morte mi ha spezzato il cuore, ma sono contenta che la sua ultima interpretazione sia stata questa; carismatico, con sorriso assassino d'ordinanza e una cappa rossa che non avrebbe sfigurato in una puntata di Streghe, l'attore non si lascia rubare la scena da Nicolas Cage e diventa un capobranco da antologia, ma anche un inquietante guru, santone e salvatore di un'orribile umanità che verrebbe voglia di vedere annegata nei flutti. Quanto a Nic, lui fa il suo, e non mi aspettavo di meno. Anzi, stavolta riesce persino ad essere misurato nella sua follia ed angosciante, tristissimo in quella che non è altro che la massima rappresentazione di un'ossessione scambiata erroneamente per sana, doverosa rincorsa verso la felicità. The Surfer lo trovate su quasi tutti i servizi streaming italiani, fatevi un favore e recuperatelo, perché è un film bellissimo!


Del regista Lorcan Finnegan ho già parlato QUI. Nicolas Cage (Il surfista) e Julian McMahon (Scally) li trovate invece ai rispettivi link.



venerdì 11 luglio 2025

2025 Horror Challenge: Mon Mon Mon Monsters (2017)

Questa settimana la challenge chiedeva di guardare un horror che non fosse in lingua inglese. Siccome, grazie a questo post di Lucia, avevo da tempo in watchlist il film Mon Mon Mon Monsters (報告老師!怪怪怪怪物!), diretto e sceneggiato dal regista Giddens Ko nel 2017, ho deciso di colmare la lacuna!


Trama: Lin Shuwei è lo zimbello della classe e le cose peggiorano quando viene accusato ingiustamente di avere rubato dei soldi proprio dai veri ladri, il bulletto Renhao e i suoi amici. Quando l'insegnante costringe tutti i ragazzi coinvolti a fare ammenda attraverso lavori sociali, Shuwei e i suoi aguzzini trovano per caso una ragazza mostruosa e cannibale, e decidono di tenerla prigioniera...


Mon Mon Mon Monsters
è uno dei film più ingannevoli visti recentemente. Pubblicizzato, fin dalla giocosa locandina, come una commedia horror, in realtà è un'opera di rara cupezza, colma di personaggi orrendi, che fanno le peggio cose col sorriso sulle labbra. Il pessimismo che permea Mon Mon Mon Monsters è comprensibile, perché la sceneggiatura è stata scritta da Giddens Ko come "reazione" alle pesantissime critiche arrivategli quando ha ammesso di avere tradito la fidanzata di lunga data con una reporter; il regista ha dichiarato di volere "spaventare i Taiwanesi che lo odiavano" ma, in realtà, ciò che traspare dal film è un disgusto totale verso la società, che spinge anche chi è innocente, o cerca di vivere senza dare fastidio a nessuno, a diventare un mostro assetato di sangue altrui. Il fulcro di Mon Mon Mon Monsters non è tanto l'orrore inspiegabile di bulli crudeli che si accaniscono contro i deboli per divertimento, quanto la necessità di chi è bullizzato di "rimediare", in qualche modo, di ottenere l'approvazione dei suoi aguzzini, protetti da un inspiegabile status quo sociale. In particolare, Shuwei si abbassa a diventare il giocattolo di Renhao e soci, andando contro la sua natura mite per venire accettato dal branco; un obiettivo praticamente impossibile da raggiungere, almeno finché un mostro non incrocia il loro cammino, prendendo il posto di Shuwei come bersaglio di vessazioni quotidiane. La situazione precaria di Shuwei, in realtà, cambia poco, anzi, peggiora. Il mostro catturato dal branco, infatti, non è altro che una ragazzina, pericolosa e mortale quanto si vuole, ma non troppo difficile da rendere impotente, e per sopravvivere Shuwei deve lasciare che Renhao e gli altri la torturino, riscoprendosi non già mite ed innocente, quanto piuttosto pavido, egoista, segretamente desideroso di poter a sua volta diventare un bullo ed esercitare potere sugli altri. L'atmosfera da commedia demenziale studentesca che caratterizza le sequenze iniziali si affievolisce in maniera impercettibile ma sempre più inesorabile, e lascia spazio ad un'anima nerissima, che si cristallizza nei pianti disperati di due sorelle, due mostri che, nonostante si nutrano di esseri umani, fanno molto meno schifo e paura dei ragazzi coi quali hanno avuto la sfortuna di scontrarsi. 


Anche la regia e la performance degli attori si evolve pian piano, assecondando i cambiamenti della sceneggiatura. In generale Mon Mon Mon Monsters è realizzato molto bene, ma l'inizio ha i toni pop della tipica commedia adolescenziale asiatica, e i giovani interpreti fanno a gara a chi è più scemo; Shuwei non fa pena, verrebbe voglia di tirargli due schiaffi per svegliarlo, e i bulletti che lo tormentano sembrano ancora più stupidi e innocui di lui. Ad accrescere la sensazione di avere davanti una commedia bizzarra ci pensano la caratterizzazione assurda dell'insegnante responsabile di classe (una giovane professoressa devotissima al buddhismo, che sminuisce ogni lamentela di Shuwei e giustifica ogni angheria di Renhao, almeno finché non le parte la placca col monologo più spietato di sempre) e di un anziano eroe di guerra, amarissimo comic relief di cui ci si vergogna di avere riso, col senno di poi. E' andando avanti che il tormento di Shuwei e la natura mostruosa di Renhao e soci si palesano in tutta la loro forza, mentre l'arrivo delle due creature cancella con un colpo di spugna tutti i cliché della commedia, per spingere il film nel territorio dell'horror. Sangue che scorre a fiumi, corpi mutilati, zanne, strumenti di tortura e persino elementi da body horror si inseriscono perfettamente nella narrazione, e la regia di Giddens Ko li amalgama con un'eleganza che farebbe invidia a registi ben più addentro al genere. Il regista confeziona persino un paio di sequenze memorabili, come il finale (che mi ha lasciata senza fiato e con un gelo addosso che nemmeno le temperature torride hanno potuto alleviare) e quel gioiellino di montaggio e colonna sonora che è l'attacco all'interno dell'autobus, dove immagini di pura carneficina si alternano alla preparazione di uno smoothie all'anguria, con una bella versione di My Way che suona in sottofondo. L'unico difetto di Mon Mon Mon Monsters, se proprio bisogna dirne uno, è che non è proprio facilissimo da trovare, ma merita l'impegno, perché è un film originale, in grado di sorprendere anche gli spettatori più scafati. Provare per credere, con un po' di cautela e senza farsi ingannare dal poster e dai suoi gioiosi caratteri fucsia. 

Giddens Ko è il regista e sceneggiatore della pellicola. Taiwanese, ha diretto film come Till We Meet Again e Miss Shampoo. Anche produttore, ha 47 anni e un film in uscita. 



giovedì 10 luglio 2025

Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan (2025)

Lo so, non si fa, ma non esiste che io aspetti per vedere Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan (LUPIN THE IIIRD 銭形と2人のルパン), ONA diretto dal regista Takeshi Koike.

EDIT: è notizia proprio di oggi che quest'autunno Anime Factory porterà in Italia sia questo ONA, con titolo Lupin III: Zenigata e i due Lupin, che verrà distribuito sulle principali piattaforme streaming, sia Lupin III: La stirpe immortale, che uscirà al cinema (spero non col solito sistema: 3 giorni in tre sale in tre città principali, o piangerò lacrime di sangue). Riguarderò molto volentieri Zenigata e i due Lupin, e spero di riuscire a veder proiettato La stirpe immortale anche dalle mie parti!


Trama: un aeroporto della Federazione di Robiet viene fatto saltare in aria da un terrorista che, sotto gli occhi di Zenigata, si palesa con lo stesso volto di Lupin III. Messosi a caccia del ladro, Zenigata scopre una terribile verità...


No, non mi sento in colpa. A casa ho due versioni de La donna chiamata Fujiko Mine e un cofanetto dedicato alla trilogia di Koike a dimostrare che acquisterò qualsiasi versione home video di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan, quando riterranno opportuno distribuirlo finalmente in Italia, anche se ciò significasse avere in casa un altro cofanetto di bluray. Premesso questo, io lo avevo detto già nel 2017 che avrei voluto un "trattamento Koike" anche per Zenigata, e sebbene il regista, da buon vecchio marpione, abbia preferito dedicarsi prima alle bugie di Fujiko, ha infine esaudito il mio desiderio. E' valsa la pena aspettare così tanto? Sì, dai. Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan punta i riflettori sul bistrattato ispettore, rendendolo un integerrimo uomo di legge dal fascino hard boiled, un poliziotto che nella vita ha visto di tutto, ma si tiene ancora stretta un'integrità morale adamantina, quasi d'altri tempi. Il sentimento che Zenigata prova verso Lupin è un odio smisurato, a livello quasi istintivo, e non stupisce quindi che l'ispettore venga ingannato, all'inizio del film, dal terrificante attentato che spazza via un aeroporto e buona parte degli innocenti passeggeri che hanno avuto la sfortuna di transitare di lì per caso; il terrorista ha il volto di Lupin, Lupin normalmente è un ladro ma è comunque un criminale, quindi il colpevole DEVE essere Lupin. Quel rispetto diffidente che, nelle varie serie dell'anime, è diventato un rapporto assai simile a quello tra Tom e Jerry, con Zenigata costretto nelle vesti di comic relief, nell'universo di Koike non esiste, e ciò che arriva a legare i due personaggi alla fine di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è qualcosa di ancora diverso, ovvero un reciproco riconoscimento delle rispettive abilità che genera la consapevolezza di avere di fronte un avversario formidabile e pericoloso. 


Questo piccolo ma soddisfacente character study viene inserito all'interno di una trama dal sapore anni '70-'80, la quale si snoda in un Paese che richiama tanto l'Unione Sovietica dell'epoca (Robieto, potete pronunciarlo anche "Roviet", direi che l'assonanza è palese), in guerra aperta con gli Stati Uniti di Arka. Una metafora sottile come un tubo Innocenti e altrettanto leggera, ma le storie di Lupin ambientate nei climi da guerra fredda sono anche le migliori, e dovete tenere presente che le opere di Koike hanno sempre un sapore un po' vintaggio. Inoltre, ancor più dei tre film che lo hanno preceduto, Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è asservito ad una trama generale che fa capo a un lungometraggio uscito da pochissimo in Giappone, ovvero Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline. I due Lupin del titolo originale sono, infatti, il vero Lupin e un folle dinamitardo che ha il suo stesso viso, il che ci porta direttamente al primo film dedicato al personaggio di Monkey Punch, che noi avremmo anche intitolato Lupin III e la pietra della saggezza, ma che in originale è "Lupin vs il Clone". L'ombra di Mamo (o di un personaggio che gli somiglia molto), d'altronde, si profila sinistra sin dalle immagini post credit di quel capolavoro di Lupin the IIIrd - La lapide di Jigen Daisuke, a proposito del quale mi sento di dire che l'unico, reale difetto di Lupin the IIIrd: Zenigata to Futari no Rupan è un Jigen sottoutilizzato, relegato un po' al ruolo di beone brontolone che, l'unica volta in cui tira fuori la pistola, è per farsi fregare da Zenigata. E' giusto e doveroso che i riflettori siano puntati sull'Ispettore, ma cosa deve fare una fangirl di Jigen, salvo lamentarsi e sperare in un altro film in solitaria?


Sto divagando, scusate. In realtà, all'inizio del post ho scritto " E' valsa la pena aspettare così tanto? Sì, dai.", quindi qualcosina che non va nell'ultimo ONA diretto da Takeshi Koike c'è, e non è tanto la poca attenzione dedicata a Jigen, quanto la solita tendenza alla sciatteria per quanto riguarda character design e animazioni. Questo stile più asciutto e meno barocco rispetto a La donna chiamata Fujiko Mine e La lapide di Jigen Daisuke era già un grosso difetto di Lupin the IIIrd - Ishikawa Goemon getto di sangue; anche in questo caso, nei campi lunghi e medi i personaggi risultano appena abbozzati, in contrasto con primi piani fatti di linee pesanti e chiaroscuri marcati, una scelta che, probabilmente, aiuta in primis a contenere il budget, ma che non ha mai incontrato il mio favore (per dire quanto disattenti sono animatori e disegnatori, c'è un corpo a corpo tra Jigen e Zenigata in cui il primo è privo del "pizzetto" distintivo di Koike, che parte subito sotto il labbro inferiore, e sembra senza barba, come potete vedere nell'immagine sotto). Chapeau invece alle scene d'azione, il cui montaggio trasforma ogni attentato del Lupin malvagio in uno jump scare coi fiocchi, e all'abbondanza di sangue e violenza che rende soddisfacente anche una scazzottata tra Lupin e Zenigata, al netto di favolose esagerazioni anatomiche che rendono i personaggi praticamente immortali. E, a proposito di "immortali", chiudo dicendo che non vedo l'ora che esca anche in Italia Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline, un film che aspetto quasi più di qualsiasi opera horror o d'autore, anche se segnerà la fine della collaborazione tra  Lupin e Takeshi Koike, l'unico autore capace di infondere nelle creature di Monkey Punch quel fascino underground e adulto che le rende affascinanti ancora oggi. Che la Koch Media mi ascolti, magari senza limitarsi a qualche evento speciale al Lucca Comics, al Far East Festival o alle solite proiezioni di tre giorni che dalle mie parti non si vedono nemmeno per sbaglio, grazie!
 
Ma cosa mi tocca vedere?

Del regista Takeshi Koike ho già parlato QUI.

Ma cosa mi tocca leggere??? O Takeshi!!! MA....!

Il mediometraggio è una prosecuzione degli special dedicati ai singoli comprimari del franchise (Lupin the IIIrd - La lapide di Jigen DaisukeLupin the IIIrd - Ishikawa Goemon getto di sangue Lupin the IIIrd - La bugia di Mine Fujiko), ed è il prequel di Lupin the IIIrd the Movie: The Immortal Bloodline, che dovrebbe essere uscito nelle sale giapponesi il 27 giugno e chissà se e quando arriverà mai da noi. Nell'attesa, le opere precedenti di Koike sono racchiuse in un ottimo cofanetto edito da Koch Media, che vi consiglio di recuperare, aggiungendo l'indimenticata serie Lupin the Third - La donna chiamata Fujiko Mine. ENJOY!

martedì 8 luglio 2025

Notte Horror 2025: So cosa hai fatto (1997)

Buona sera a ttutti gli amanti dell'horror e a quelli che sono capitati qui per caso! Oggi comincia la tradizionale Notte Horror Blogger Edition, un omaggio allo storico contenitore di Italia1 che prevede due post a tema (uno alle 21 e uno alle 23) su due blog diversi, ogni martedì. Quest'anno è toccato a me e a Cassidy de La Bara Volante aprire le danze: sul suo blog trovate Autostrada per l'Inferno mentre io parlerò di So cosa hai fatto (I Know What You Did Last Summer), diretto nel 1997 dal regista Jim Gillespie e molto liberamente tratto dal romanzo omonimo di Lois Duncan. La rassegna andrà avanti fino al 9 settembre, quindi avete un sacco di film da recuperare e guardare insieme a noi! ENJOY!


Trama: durante la festa del paese, quattro ragazzi investono involontariamente un pescatore e si liberano del cadavere. Un anno dopo, cominciano a ricevere minacciosi messaggi da parte di qualcuno che, appunto, "sa"...


Correva l'anno 1999 e la Bolla andava al cinema a vedere un horror dall'evocativo titolo di Incubo finale. La protagonista mi sembrava una faccia familiare, ma non avevo visto neanche un trailer, non sapevo di cosa parlasse il film, quindi sono rimasta abbastanza male quando ho capito che Incubo finale presupponeva una conoscenza pregressa da parte dello spettatore, e mi sono parecchio incazzata quando ho capito di essermi spoilerata un altro horror che non avevo mai guardato. Mi sembra di parlare del medioevo, ché ora queste cose non accadrebbero più (non con Facebook, Letterboxd, Imdb, Instagram, Rotten Tomatoes, YouTube, ecc), ma mentirei se dicessi di non avere mai più recuperato So cosa hai fatto a causa della delusione da spoiler; in realtà, la cosa che mi aveva fatto più girare le palle in assoluto, è che a me So cosa hai fatto stava antipatico a prescindere, perché l'ho sempre inteso come un emulo mal riuscito di Scream (in questo, sono un po' come Melissa Joan Hart, d'altronde adoravo Sabrina vita da strega), e la visione del sequel mi avrebbe costretta a guardarlo, anche solo per pignoleria. Non so come, invece, sono riuscita ad evitarlo fino al 2025, anno che segna il ritorno della saga al cinema con un reboot diretto da Jennifer Kaytin Robinson, cosa che mi ha portato a scegliere proprio So cosa hai fatto per Notte Horror. E sapete una cosa? Io e Sabrina avevamo più o meno ragione. Il film di Jim Gillespie non è un rip-off di Scream, bensì il contrario; Kevin Williamson, che ha sceneggiato entrambi i film, lo aveva scritto ben prima, e solo il successo di Scream ha fatto sì che un banale slasher più volte rifiutato sia stato prodotto in tutta fretta dalla Columbia Pictures. Purtroppo, So cosa hai fatto non è Scream, che ragionava sul genere reinventandolo e prendendolo in giro con ironia, e per chi non ama il "normale" genere slasher, come la sottoscritta, è l'equivalente di una mattonata sui marroni.  


Tratto da un romanzo per ragazzi del 1973, So cosa hai fatto non nasce come slasher, quanto piuttosto come thriller, il che ha fatto parecchio arrabbiare la scrittrice Lois Duncan. Posso capirla e mi spiace per lei, ma la struttura di So cosa hai fatto è perfetta per un horror, a partire dalla stupidità mista a cattiveria congenita dei protagonisti, che li rende vittime perfette di un killer mascherato assetato di vendetta. Julie, Helen, Barry e Ray meritano infatti di morire male, senza che lo spettatore investa una singola oncia di empatia per loro; come si fa a dispiacersi per quattro stronzi che investono un uomo e, invece di chiamare i soccorsi almeno da una cabina anonima, ne gettano il cadavere in acqua? Quando dico che i quattro sono anche scemi, è perché il tizio è stato investito dall'unico sobrio del gruppo, al quale sarebbe bastato un alcol test per farla franca. Tutto il pippone del riccastro che piange perché "il suo futuro verrà irrimediabilmente rovinato", con l'aggiunta di "oddio la pena di morte!", non sta in piedi, e lo so che non dovrei fare le pulci a un horror, ma è per dire che, anche legando la suspension of disbelief alla sedia, non c'è motivo per non tifare per il serial killer uncinato. A questo, bisogna aggiungere che, per quanto mi riguarda, gli omicidi sono particolarmente mosci, salvo la bellissima, lunga sequenza che coinvolge due vicoli bui e un negozio (un giro di parole per non fare spoiler), e che l'unica idea simpatica del film è proprio quella di far stringere il culetto delle quattro pavide oloturie con dei bigliettini scritti in stampatello, con tutto il "gioco dei sospetti" che consegue e che, al momento della risoluzione, quando la palpebra era già quasi (ho detto QUASI!! Non ho dormito, ma avrei tanto voluto) irrimediabilmente calata, mi ha fatta dire "aspetta, CHI??". Sulla storia di Billy Blue sorvolo, ho riso talmente tanto per 'sta clamorosa vaccata da avere mal di stomaco.


Poi, per carità, è un teen horror di fine anni '90, con un'estetica ben precisa che deve piacere o, perlomeno, dev'essere fruita da chi è in grado di contestualizzarla. Probabilmente, sarebbe servito se avessi visto So cosa hai fatto all'epoca dell'uscita cinematografica e ne conservassi un bel ricordo ma, così, posso solo farmi del male pensando al tempo che passa per tutti, magari preservando alcuni attori meglio di altri. Di sicuro, ho sorriso alla vista di un power pack di giovani talenti che, in quegli anni, erano sulla cresta dell'onda principalmente per ruoli televisivi, spesso e volentieri riuniti anche in altri film. Sarah Michelle Gellar, all'epoca alla prima stagione di Buffy, risulta anche ad una visione attuale l'attrice più brava del mucchio e, anche se la sua Helen è odiosa, è l'unico personaggio che riesce a veicolare un sincero dispiacere all'idea di aver perso amici e futuro per una scelta terribilmente sbagliata. Sugli altri, ahimè,  c'è da stendere veli pietosi. Jennifer Love Hewitt non mi è mai piaciuta e, come protagonista, è tremenda, non solo nello stile (un'altra cosa che mi ammazza è che il disagio psicologico di Julie sia principalmente reso dai suoi capelli e, soprattutto, dall'orrenda frangetta, unta come se il personaggio non la lavasse da almeno due settimane), ma perché è priva del carisma della final girl; Ryan Phillippe e, soprattutto, Freddie Prinze Jr. (il quale saggiamente, nel 2002 si è sposato la Gellar e vive da allora di gloria riflessa lavorando principalmente come doppiatore), sono due blocchi di tufo, il primo messo lì perché allora era molto bello, il secondo perché aveva una faccia da medioman perfetto per Ray. Passando ai comprimari, stringe il cuore vedere la sfortunata Anne Heche nel ruolo, efficacissimo, della matta malinconica, ed impressiona la fortuna di Johnny Galecki il quale, nel tempo, è riuscito a scampare ad un typecasting da viscido disagiato agguantando un ruolo che lo avrebbe fatto diventare l'idolo di tutti i nerd del pianeta. Tutto sommato, non mi sono pentita di avere guardato So cosa hai fatto, perché è stato un nostalgico viaggio negli anni '90, ma continuo a dire che preferisco non solo Scream, ma anche tutte le parodie che ne hanno tratto.


Di Sarah Michelle Gellar (Helen Shivers), Anne Heche (Melissa Egan) e Johnny Galecki (Max) ho parlato ai rispettivi link. 

Jim Gillespie è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come D-Tox. Anche produttore e sceneggiatore, ha un film in uscita.  


Jennifer Love Hewitt
interpreta Julie James. Americana, la ricordo per film come Sister Act 2 - Più svitata che mai, Giovani, pazzi e svitati, Incubo finale, Heartbreakers - Vizio di famiglia, Lo smoking, Tropic Thunder; inoltre, ha partecipato a serie come Cinque in famiglia, Ghost Whisperer e Criminal Minds. Come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Hercules, I Griffin e nel film Il gobbo di Notre Dame 2 - Il segreto della campana. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 46 anni e un film in uscita, il reboot di So cosa hai fatto


Ryan Phillippe
interpreta Barry Cox. Americano, lo ricordo per film come Allarme rosso, Studio 54, Cruel Intentions, Gosford Park; inoltre, ha partecipato a serie come Oltre i limiti e Will & Grace. Come doppiatore, ha lavorato nella serie Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 51 anni e tre film in uscita. 


Freddie Prinze Jr.
interpreta Ray Bronson. Americano, sposato con Sarah Michelle Gellar, lo ricordo per film come A Gillian, per il suo compleanno, Incubo finale, Scooby-Doo, Scooby-Doo 2: Mostri scatenati e Clerks III; inoltre, ha partecipato a serie come 8 sotto un tetto, Friends, 24 e Bones. Come doppiatore, ha lavorato nella serie Robot Chicken.  Anche produttore e sceneggiatore, ha 49 anni e un film in uscita, il reboot di So cosa hai fatto


So cosa hai fatto
ha generato due seguiti, Incubo finale e Leggenda mortale, oltre a una serie che potete trovare su Prime Video, So cosa hai fatto. ENJOY!

Lo trovate anche sul lato destro del blog, ma ecco qui il bannerone con la programmazione di quest'anno!





venerdì 4 luglio 2025

2025 Horror Challenge: Specie mortale (1995)

La challenge horror di oggi predeva il recupero di un film uscito nel 1995, quindi ho scelto Specie mortale (Species), diretto dal regista Roger Donaldson, che compie 30 anni proprio tra un paio di giorni. 

Il post, anche se non avrei voluto perché il film in questione è parecchio brutto, serve anche a commemorare Michael Madsen, una delle mie grandissime crush cinematografiche nonché emblema di uomo estremamente cool, che è purtroppo morto ieri. Ci vediamo nei film, Michael, ballando leggeri e strafottenti sulle note di Stuck in the Middle With You.


Trama: Sil, ibrido femmina tra umano e alieno, fugge da un laboratorio di ricerca a seguito del tentativo degli scienziati di ucciderla. Sviluppatasi da bambina a donna nel giro di un paio di giorni, Sil si mette in cerca di un uomo con cui accoppiarsi e generare un figlio, lasciandosi dietro una scia di cadaveri...


Aah, che belli gli anni nov... ehm. No, nemmeno gli '80 erano belli ma, Cristo, la monnezza che hanno prodotto i '90. Specie mortale è uno di quei "simpatici" horror sci-fi ad altissimo budget e zeppo di facce famose che non è invecchiato male, di più, e questo nonostante abbia ottenuto tutto ciò che si era sicuramente prefissato, ovvero fare soldi a palate e generare un'infinità di seguiti. Diciamo che, di base, ricordo un battage pubblicitario che puntava essenzialmente sulla bellezza sensuale di Natasha Henstridge, e immagino che chi sia andato al cinema a vedere Specie mortale per godere della vista dell'attrice sia tornato a casa soddisfatto. In realtà, Specie mortale è molto castigato in questo, perché non ha il coraggio dei thriller erotici di fine anni '80 e dell'inizio della decade successiva, e si limita a mostrare la  Henstridge e seno nudo o mentre si profonde in tre amplessi (tra i quali due tentativi che si limitano a una limonata "spinta") sensuali quanto una puntata di Arriva Cristina. Il resto è un "vorrei ma non posso", ovvero un film estremamente maschilista imperniato su una creatura aliena, guidata dall' imperativo genetico dell'accoppiamento a scopo riproduttivo, la quale, in quanto donna, non può perseguirlo senza uccidere i malcapitati che le capitano sotto mano. Sil è una creatura indesiderata fin dall'inizio, da quando il suo viscido creatore Fitch decide di sbarazzarsene salutandola con un gesto della mano e una lacrima, un'aliena che fugge e, nel giro di un paio di giorni, si ritrova vittima di uno sviluppo fisico iperaccelerato che ne cambia completamente le priorità; non più bambina in fuga, bensì donna nel pieno dell'età fertile. Una sceneggiatura non dico intelligente, ma almeno interessante, avrebbe puntato sulla confusione di Sil, extraterrestre prigioniera di un mondo estraneo e anche di un corpo governato da pulsioni sconosciute; avrebbe sfruttato un empatico come andrebbe fatto, utilizzandolo per capire i tormenti della creatura e magari farsene portavoce, creando qualche legame originale, invece di fargli fare da cercapersone e indovino. Invece, abbiamo un gruppo di scienziati capitanati da un mercenario, il cui unico scopo è capire la fisiologia di Sil solo per eliminarla prima che si accoppi e procrei, secondo un pattern abbastanza banale che vede gli umani contro il mostro, senza grandi dubbi morali.


Specie mortale,
se non altro, vanta un design alieno e un paio di sequenze oniriche realizzate da Giger, il quale avrebbe voluto molti più stadi evolutivi per Sil, ma quel paio di guizzi originali fanno a pugni con la piattezza generale della regia di Roger Donaldson, che si "risveglia" giusto nel corso delle sequenze finali ambientate nelle fognature (qui l'unico vero difetto sono, purtroppo, i primi tentativi di motion capture, che rendono Sil un ammasso di pixel appiccicati sullo schermo, inguardabili a livello Il tagliaerbeed è un peccato, perché gli effetti speciali artigianali non sono male). La cosa che fa più "specie" del film è però lo spreco di attoroni da Oscar, i quali vengono surclassati da una novellina come la Henstridge la quale, forse perché insicura e spaesata, conferisce a Sil una sorta di confusa ingenuità che si amalgama alla perfezione con la fredda sensualità dell'attrice, rendendo il personaggio almeno carismatico, se non tridimensionale. Il resto, lo ammetto, mi provoca imbarazzo a parlarne. Andiamo per ordine di credits. Non so cosa avesse visto Ben Kingley, dopo un Oscar per Gandhi e una signora interpretazione in Schindler's List, tranne forse un assegno, per interpretare uno scienziato talmente mal caratterizzato che non viene neanche voglia di sottolinearne la pochezza morale; Michael Madsen all'epoca era all'apice della forma fisica, quindi un figo da primato, ma sfido chiunque a considerarlo un attore capace di portare sulle spalle il ruolo dell'eroe protagonista e, in tutta onestà, il ruolo in cui è costretta Marg Helgenberger (quello della scienziata che non vede l'ora di scoparsi il mercenario muscoloso e misterioso, al punto da fare scenate di frustrazione in pubblico) è svilente per entrambi i coinvolti; Alfred Molina era ai primi ruoli in suolo americano e, preso come comic relief pesantemente connotato come sfigato affamato di patata può anche andare bene, contestualizzando un simile ruolo nell'anno in cui il film è stato girato; Forest Whitaker è un altro che, probabilmente, ha visto un assegno sostanzioso in un momento di magra pre-riconsacrazione a grande attore, perché Dan l'empatico è tutto ciò che uno dotato di simili poteri non dovrebbe essere, oltre a non servire a un cazzo in un contesto di militari e scienziati. Potrei andare avanti ore a ribadire quanto Specie mortale sia un film invecchiato male, ma non vale la pena. Questa è un'altra di quelle opere che può sopravvivere grazie alla nostalgica indulgenza di chi lo ha visto per la prima volta a 16 anni, consacrandolo a film del cuore, e purtroppo per Specie mortale io sono vissuta fino a 44 anni senza averlo mai visto. Ops. 


Di Ben Kingsley (Fitch), Michael Madsen (Press), Alfred Molina (Arden), Forest Whitaker (Dan), Marg Helgenberger (Laura) e Michelle Williams (Sil da piccola) ho parlato ai rispettivi link.

Roger Donaldson è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto film come Cocktail, Cadillac Man - Mister occasionissima e Dante's Peak - La furia della montagna. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 80 anni.


Natasha Henstridge
interpreta Sil. Canadese, ha partecipato a film come Species II, FBI - Protezione testimoni, Fantasmi da Marte, FBI - Protezione testimoni 2, Species III e a serie quali Oltre i limiti e CSI - Miami; come doppiatrice ha lavorato in South Park. Anche produttrice, ha 51 anni e quattro film in uscita. 


Specie mortale
vanta ben quattro seguiti: Species II, Species III e Species IV - Il risveglio, tutti a me sconosciuti. Se volete sapere come prosegue la storia, recuperateli! ENJOY!

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