mercoledì 30 agosto 2023
Oppenheimer (2023)
venerdì 21 aprile 2023
Air - La storia del grande salto (2023)
Stavo quasi per perderlo, poi le recensioni entusiaste mi hanno convinta ad andare a vedere Air - La storia del grande salto (Air), diretto dal regista Ben Affleck.
Trama: Sonny Vaccaro, consulente della divisione basket di una Nike in crisi, cerca di assicurarsi Michael Jordan come volto per promuovere una nuova linea di scarpe...
Il motivo per cui stavo quasi per snobbare Air risiede nel mio atavico disinteresse verso ogni cosa che sia anche solo lontanamente legata allo sport; in particolare, di basket so solo che, da ragazzina, mi piacevano i cappellini della NBA per i colori sgargianti delle squadre e che Michael Jordan ha partecipato a Space Jam, quindi il mio terrore era quello di non capire una mazza del film e di farmi due palle cubiche. Poi hanno cominciato ad arrivare le prime recensioni positive e la quasi unanime consacrazione di Air a film da recuperare assolutamente, quindi, contando anche che al Bolluomo il basket piace, ho colto la palla al balzo per passare la domenica sera in sala. Finita la visione, sono stata molto contenta di guardare Air. Il film, co-sceneggiato dallo stesso Ben Affleck e da Matt Damon, nonostante i due non siano citati come sceneggiatori nei credits, è il classico "drama" USA in cui il destino di un'azienda e di tutti quelli che ci lavorano è affidato al carisma di una sola persona, che si fa carico di un compito apparentemente impossibile da portare a termine mentre chi lo circonda, alternativamente, lo aiuta o gli mette i bastoni tra le ruote. Nel caso in questione, Air racconta la storia "vera" di Sonny Vaccaro, il quale, per evitare il tracollo di una Nike che negli anni '80 rischiava il fallimento, ha puntato tutto su un promettente giocatore di basket di nome Michael Jordan, già all'epoca conteso da Adidas e Converse ma non ancora diventato la stella di fama mondiale che conoscono persino le capre come me. Detto questo, Air non deve però venire considerato una celebrazione di Vaccaro, della Nike o di Jordan (il quale non viene quasi mai inquadrato, se non di spalle, o mostrato in poche immagini d'archivio; al limite, la celebrazione viene riservata a Deloris Jordan, dipinta come donna di raro acume ed intelligenza, oltre ad avere fiuto per gli affari), quanto piuttosto la fotografia di un sogno americano appoggiato sulle fragilissime spalle di scommesse più o meno rischiose, dove contano sì il carisma e la capacità di capire come sta girando il vento, ma soprattutto contano le botte di culo, e se non arrivano la conseguenza è la distruzione di vite e famiglie, sacrificate al dio denaro e al capitalismo, o ai capricci di un ragazzino che vuole una Mercedes rossa, se per questo.
Lapalissiano, in tal senso, è il bellissimo, commovente monologo pronunciato da Matt Damon per convincere Jordan a dare una chance alla Nike, interamente imperniato sul coraggio necessario a compiere il "grande salto" del titolo italiano, sulla forza indispensabile per sopportare i dolori che, inevitabilmente, verranno con le gioie, perché il rischio è quello che abbiano un peso identico se non addirittura maggiore; e altrettanto bella, a mio avviso, è l'inquadratura che, all'improvviso, si apre a mostrare per intero l'open space di cui gli uffici di Sonny e Rob Strasser sono solo una piccola parte, quella parte su cui, fino a quel momento, si sono inevitabilmente concentrate le attenzioni dello spettatore, dimentico (come del resto Sonny) della presenza di altre persone destinate a venire pesantemente influenzate dall'esito della scommessa di Vaccaro, collateral damages i cui nomi non verranno ricordati come quello di Jordan, certo, ma che sono stati comunque indispensabili per consacrarlo alla gloria imperitura. Questi, a mio avviso, sono i picchi più alti di un film ben scritto, ben diretto da un Ben Affleck sempre più sicuro dietro la macchina da presa (e più valido come regista che come attore, ma questa ormai sembra quasi una banalità da scrivere) e arricchito dal cast delle grandi occasioni. Senza nulla togliere a Matt Damon, assai bravo a reggere il film come protagonista, i miei preferiti sono Viola Davis, che spicca nei panni di una Deloris Jordan intensa ed elegante, Jason Bateman, il quale si conferma uno degli attori più versatili della sua generazione, e Chris Messina, volgarissima ed esagitata fonte delle poche ma sentite risate che mi sono fatta guardando Air. Personalmente, non lo considero il film dell'anno, ma è comunque una pellicola bella ed interessante, che merita di essere vista. Non perdetelo!
Del regista Ben Affleck, che interpreta anche Phil Knight, ho già parlato QUI. Matt Damon (Sonny Vaccaro), Jason Bateman (Rob Strasser), Chris Messina (David Falk), Viola Davis (Deloris Jordan), Chris Tucker (Howard White) e Marlon Wayans (George Raveling) li trovate invece ai rispettivi link.
Nel cast ciccia fuori un altro degli Skarsgård, Gustaf, che nel film interpreta Horst Dassler. Julius Tennon, che interpreta il padre di Jordan, è il marito di Viola Davis anche nella realtà. Se Air vi fosse piaciuto recuperate La grande scommessa. ENJOY!
martedì 19 ottobre 2021
The Last Duel (2021)
Attirata da un trailer a dir poco spettacolare, non potevo farmi scappare The Last Duel, diretto da Ridley Scott e tratto dal libro The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France di Eric Jager.
Trama: Francia, quattordicesimo secolo. Il Cavaliere Jean De Carrouges sfida ad un duello mortale lo scudiero Jacques Le Gris, accusandolo di avere stuprato la moglie.
Apparentemente, il protagonista "buono" è Jean de Carrouges, mentre Jacques De Gris è il "cattivo" scudiero che vive di leccate di piedi e gli ruba persino la virtù della moglie; in realtà, l'indomito e indiscutibile valore del Cavaliere Jean nasconde un animo gretto, una testardaggine inamovibile, un egoismo senza pari che non vacilla neppure davanti all'idea dell'orribile morte della moglie, nell'eventualità della sconfitta nel corso del duello. Ma anche De Gris, per quanto deprecabile, ancor più perché scatenato da un "sentimento" da consumare a tutti i costi, ha qualche lato positivo, soprattutto prima di impazzire per amore, e sembrerebbe quasi che la sua discesa nell'abisso dell'abiezione nasca principalmente dall'incapacità di Carrouges di ignorarlo e lasciare correre, godendosi la fortuna che la vita gli ha concesso, ovvero la bella, intelligente e fedele moglie Marguerite. Marguerite, poverina, di par suo non è né una dea né una strega, ma una donna normalissima che si impegna per essere fedele a un marito che le è stato imposto e che cerca quel minimo di felicità innocente per sfuggire alla pressione di essere una moglie inadempiente (sapevate che nel Medioevo si pensava che una donna potesse rimanere incinta solo dopo aver raggiunto l'orgasmo? Ecco, immaginate quali accuse doveva sostenere chi non riusciva a fare figli...), finendo per ritrovarsi vittima di una faida di decenni dove non contano più né lei né l'amore, ma solo la sopraffazione, l'affermazione davanti a un Dio menefreghista quanto i nobilastri che infestano la pellicola, a partire dal disgustoso Pierre per arrivare all'orrido Re bambino Carlo VI. L'ossessione senza fine, per l'appunto, che si ripropone da I duellanti a The Last Duel.
Avrete capito che la storia raccontata in The Last Duel mi ha avvinta parecchio e, a mio avviso, dimostra come la coppia Ben Affleck/Matt Damon possa ancora fare faville alla sceneggiatura, ma ho ovviamente apprezzato anche la regia e gli attori, chi più chi meno. Ho in particolare amato moltissimo i piccoli dettagli e cambiamenti a livello di regia ed atmosfera tra le sequenze apparentemente uguali raccontate dai diversi punti di vista, dai momenti più eclatanti (la violenza di Marguerite, vista attraverso gli occhi di Le Gris, è praticamente un soft core dove lei, pur terrorizzata, non è così riottosa e lancia segnali assai espliciti allo scudiero, mentre dal punto di vista della donna è un orrore che mozza il fiato, qualcosa di squallido e terribile nella sua disgustosa "banalità") a quelli più sottili, dove bisogna stare molto attenti per cogliere le importanti differenze; inoltre, le battaglie, soprattutto il duello finale, sono violentissime e rozze, talmente tese da risultare, a tratti, difficili da sostenere. Per quanto riguarda gli attori, non seguendo serie TV per mancanza di tempo, sono rimasta sorpresa dalla bravura di Jodie Corner, attrice che non conoscevo per nulla, mentre invece ho avuto ulteriore conferma della versatilità di Adam Driver, che qui offre nuovamente un'interpretazione ricchissima di sfumature, perfetta. Inguardabili, invece, i due sceneggiatori, Affleck e Damon, ma è una pura questione di estetica dovuta ai tagli di capelli e tinte improponibili che gli hanno appioppato, tranquilli, ché sono molto bravi anche loro. Siccome da giovedì usciranno fior di film della Madonna, il mio consiglio è quello di correre al cinema ORA così da non lasciarvi scappare The Last Duel sacrificandolo ad altre pellicole più "importanti", perché rischiate di perdervi davvero un lavoro egregio.
Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Matt Damon (Sir Jean De Carrouges), Adam Driver (Jacques Le Gris), Ben Affleck (Pierre D'Alençon) e Marton Csokas (Crespin) li trovate invece ai rispettivi link.
Jodie Comer interpreta Marguerite De Carrouge. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars - L'ascesa di Skywalker, Free Guy - Eroe per gioco e a serie quali Killing Eve. Anche produttrice, ha 27 anni.
martedì 19 novembre 2019
Le Mans '66 - La grande sfida (2019)
Trama: quando Enzo Ferrari rifiuta di unire la propria azienda alla Ford, Henry Ford II decide di batterlo sul campo delle corse automobilistiche e chiede l'aiuto fondamentale dell'ex pilota Carrol Shelby e del pilota Ken Miles per progettare un'auto in grado di competere alla 24 Ore di Le Mans...
Questo sarà un post viziato da tutta l'ignoranza del caso, anche più del solito. Se c'è una cosa infatti che non ho mai sopportato, dopo vedere ventidue tizi che corrono dietro a un pallone, è assistere alle corse di automobili. Di motori non so nulla, posso giusto apprezzare il design dei veicoli ma ho gusti particolari quindi rischio di provare schifo davanti a molti modelli adorati dagli appassionati, e onestamente l'idea di andare al cinema a vedere la storia della 24 Ore di Le Mans del '66 mi perplimeva non poco. Ribadisco di non avere idea di quali reali eventi siano accorsi quel giorno quindi mi sono bevuta tutto ciò che è stato raccontato sullo schermo da James Mangold e compagnia, ritrovandomi, inaspettatamente, ad esaltarmi, commuovermi e persino a pensare che avrei ucciso chiunque mi avesse spoilerato il finale della sfida tra Ford e Ferrari. Sfida che, per inciso, viene resa per una volta meglio nel titolo italiano; di Ferrari e di Ford, due macchiette dall'ego smisurato, alla fine importa poco, perché l'intera storia è imperniata sulle epiche fatiche di Carrol Shelby, ex pilota costretto a riciclarsi venditore di auto a causa di una malattia cardiaca, e Ken Miles, pilota geniale ma intrattabile. Come da tradizione americana, i due si imbarcano in un'impresa titanica, ovvero creare la prima macchina da corsa a marchio Ford, infondendo nell'opera e nella preparazione per la 24 Ore di Le Mans tutta la passione e la voglia di rivalsa contro un mondo che li ha quasi costretti a rinunciare ai loro sogni, combattendo allo stesso tempo contro la freddezza di uomini d'affari che guardano solo al profitto. La realtà dei fatti è stata dunque schematizzata mettendo da una parte i buoni, come Shelby, Miles e tutto il loro team, i collaboratori riluttanti come l'addetto al marketing Iacocca, e dall'altra parte i cattivi tout court come il viscido Leo Beebee, lo stesso Henry Ford II e, ovviamente, i piloti della Ferrari che sembrano usciti dritti da un film di mafia.
La semplificazione funziona, inutile nascondersi dietro a un dito. Viene incontro a chi, come me, di macchine non sa nulla e rischia di perdersi i tecnicismi di buona parte dei dialoghi iniziali, e consente allo spettatore di avere qualcuno per cui tifare, per cui trattenere il fiato ogni volta che le prove e le gare sembrano andare male, perché i due protagonisti sono caratterizzati alla perfezione, coi loro pregi e i loro umanissimi difetti, tanto che è impossibile non voler loro bene. Aiuta, ovviamente, che ad interpretarli siano due signori attori come Matt Damon e Christian Bale, di nuovo ridotto ad uno scheletro e quasi irriconoscibile nei panni di un "ragazzo" di campagna fattosi pilota e aiuta, neanche a dirlo, il fatto che James Mangold sia un regista capace di creare gradevoli sequenze di quiete familiare e complicità amichevole, ma anche di pestare (stavolta letteralmente) duro sul pedale dell'acceleratore quando si tratta di rendere l'idea di automobili lanciate a velocità impensabili su piste pericolosissime. Che anche una profana come me, a un certo punto, si sia ritrovata seduta sulla poltrona coi muscoli tesi e il piede pigiato su un freno virtuale, può darvi l'idea del dinamismo della messa in scena di Mangold, che nel corso di queste sequenze ad alta velocità alterna sapientemente riprese all'interno dell'abitacolo dell'auto, soggettive di ciò che il pilota vede dall'interno di una potenziale macchina di morte, panoramiche dei circuiti e ovviamente riprese ravvicinatissime dei veicoli in corsa, alternando il tutto con un montaggio serrato che riesce a non dare l'impressione di assistere a un freddo videogame. Alla fine della fiera, non bisogna sorprendersi se guardando Le Mans '66 ci si indigna e ci si commuove, ché la sceneggiatura è MOLTO bastarda e studiata a tavolino per toccare più cuori possibile, ma per una volta si può anche stare al gioco e godersi un film inaspettatamente bello, due ore e mezza che sembrano una. Magari da vedere in lingua originale per superare quel fastidioso (mabbasta con sti stereotipi...) tocco esotico della pronuncia itanglish, terribile da ascoltare in un film doppiato, e dare finalmente al signorile Remo Girone quel che è di Cesare.
Del regista James Mangold ho già parlato QUI. Matt Damon (Carrol Shelby), Christian Bale (Ken Miles), Jon Bernthal (Lee Iacocca), Josh Lucas (Leo Beebee), Tracy Letts (Henry Ford II) e Ray McKinnon (Phil Remington) li trovate invece ai rispettivi link.
Noah Jupe interpreta Peter Miles. Inglese, ha partecipato a film come Wonder, A Quiet Place: Un posto tranquillo e a serie quali Penny Dreadful e Downton Abbey. Ha 14 anni e un film in uscita, A Quiet Place: Part II.
Remo Girone interpreta Enzo Ferrari. Nato in Eritrea, lo ricordo per serie quali La piovra 3 (per me sarà sempre Tano Cariddi), La piovra 4, La piovra 5 - Il cuore del problema, La piovra 6 - L'ultimo segreto, La piovra 7 - Indagine sulla morte del commissario Cattani, Fantaghirò 5 e Il commissario Rex. Ha 71 anni e un film in uscita.
Se l'argomento vi intriga, potete recuperare il documentario The 24 Hour War, disponibile su Prime Video, e magari anche Le 24 ore di Le Mans. ENJOY!
lunedì 9 luglio 2018
Unsane (2018)
Trama: Sawyer Valentini è una ragazza traumatizzata da un pesantissimo episodio di stalking accorso nel suo passato. Convinta di non essere in grado di superare il terrore da sola, Sawyer decide di recarsi in un centro comportamentale dove viene internata a causa di un inghippo burocratico e dove comincia a vedere il suo stalker dietro ogni angolo...
Quest'anno il superlavoro a cui si costringe Soderbergh (ma non aveva smesso di dirigere film o ricordo male io?) lo ha portato ad essere spesso presente nelle sale italiane, con due pellicole che più diverse non si può. Da una parte abbiamo La truffa dei Logan, divertente e quasi coeniano nella sua rappresentazione di personaggi al limite del borderline, diretto con tutti i crismi del caso; dall'altro, abbiamo questo Unsane, thriller ripreso interamente con un I-Phone 7 che rispetto al film precedente risulta quasi "piccolino", una sorta di divertissement. Peccato che di divertente Unsane non abbia proprio nulla e che, anzi, nella prima parte spinga lo spettatore a provare un'angoscia incredibile per la facilità con cui un paio di legalissime gabole presenti all'interno del complesso sistema sanitario-assicurativo americano possano privare una persona della libertà senza che né polizia né avvocati possano metterci becco. La storia, infatti, prevede che la protagonista, reduce da una terrificante esperienza di stalking e per questo costretta a cambiare città, lavoro e abitudini, non sia più in grado di relazionarsi normalmente con nessuno e decida quindi di chiedere aiuto ad un centro comportamentale. La povera Sawyer si aspetta di parlare con uno psichiatra e concordare un paio di incontri, non di più, invece si ritrova internata dopo avere messo una firma su fogli mai letti con attenzione (cosa sbagliatissima!!). Ora, il bello di Unsane è che la protagonista, interpretata da una fantastica Claire Foy, sia fondamentalmente una persona che ne ha le palle piene di vedersi mettere i piedi in testa da chicchessia e che si ritrova all'improvviso trattata da pazza, privata dei suoi diritti e costretta ad affrontare delle infermiere equiparabili a kapò, col risultato che la degenza di un giorno si prolunga inevitabilmente nel tempo in virtù dei suoi violentissimi scatti di rabbia. E poi, ovviamente, c'è lui, lo stalker, la cui presenza improvvisa all'interno della struttura potrebbe essere l'ennesimo segno di come Sawyer sia effettivamente matta da legare oppure la persona più sana del mucchio, dottori ed infermieri compresi.
Quest'incertezza sulla quale si costruisce l'intera prima metà del film è ciò che rende Unsane un gioiellino di suspance anche a fronte di una storia molto banale, già raccontata in decine di altri film simili, mentre la seconda parte si appoggia maggiormente all'aspetto più horror del genere thriller e in generale diventa abbastanza prevedibile ma non per questo sgradevole. Due aspetti interessanti hanno tuttavia catturato la mia attenzione, al di là della già citata bravura di Claire Foy, incazzosa e terrorizzata dall'inizio alla fine. Il primo aspetto è la forza con la quale, a un certo punto, Sawyer affronta il suo stalker, con un monologo fiume da applauso, in cui si concentra un tale mix di odio, disgusto, frustrazione e desiderio di fare male che bisognerebbe campionarlo e farlo ascoltare, a mo' di tortura, a tutti coloro (uomini e donne) che si fissano talmente tanto su una persona da distruggerle la vita, fantasticando su un amore impossibile ed egoista che bisogna assolutamente imporre sull'altro... per fare cosa, poi? Per raddoppiare l'inadeguatezza e l'infelicità? Ah, che bella cosa. Il secondo aspetto ad avermi colpita è la scelta di girare il film con un I-Phone 7. Nonostante, tecnicamente, non dimostri nulla se non che Soderbergh è in grado di realizzare un prodotto pulito e assolutamente guardabile persino con l'ausilio di un telefonino, io l'ho intesa come espressione di nera ironia. Infatti, Sawyer è alternativamente costretta a rinunciare al cellulare (e a tutte le app ad esso connesse, Facebook e Instagram in primis) in quanto principale mezzo attraverso cui lo stalker può arrivare a conoscere tutto di lei e dei suoi amici o familiari, oppure a dipendere da esso per cercare di riconquistare la sua libertà; il fatto che il regista sfrutti proprio questo mezzo per riprendere le sventure della ragazza rende ancor più, a mio avviso, l'idea di impotenza e vulnerabilità davanti a un occhio nascosto, invadente e malevolo. O forse, per carità, Soderbergh voleva solo fare il figo, tutto può essere. A prescindere, consiglio comunque la visione di Unsane, ottimo thriller per rinfrescare le calde serate estive!
Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Joshua Leonard (David Strine), Amy Irving (Angela Valentini), Juno Temple (Violet) e Matt Damon (poliziotto, non accreditato) li trovate invece ai rispettivi link.
Claire Foy interpreta Sawyer Valentini. Inglese, ha partecipato a film come L'ultimo dei templari, The Lady in the Van e a serie quali The Crown. Anche, ha 34 anni e due film in uscita tra cui Quello che non uccide, dove interpreterà Lisbeth Salander.
Se Unsane vi fosse piaciuto recuperate Ratter: Ossessione in rete. ENJOY!
martedì 22 maggio 2018
Deadpool 2 (2018)
Trama: a causa di una serie di sfortunati, inspoilerabili eventi, Deadpool si ritrova a dover combattere contro Cable, soldato proveniente dal futuro e deciso a impedire che esso si compia.
Eh sì, mi tocca davvero fare outing, manco fossi 'Pool davanti a Colosso: mi sono innamorata di Ryan Reynolds. Lo considero sempre mostruoso con o senza trucco, nonché un pessimo attore, ma ca**o come crede lui nel personaggio cinematografico di Deadpool, come sia RIUSCITO a diventarlo dentro e fuori dal set, arrivando persino a prendersi spietatamente per il c*lo, davvero, nessuno mai. Fondamentalmente, Deadpool 2 è la riproposizione pedissequa (Weasel: "Ehm. No, davvero, io non so cosa voglia dire pedissequa") del primo film, con supereroi sboccati che fanno le peggio cose accompagnati da umorismo di grana grossissima, metacinema come se non ci fosse un domani, citazioni come se piovessero, una colonna sonora che fa ridere tanto quanto la sceneggiatura, contentini per i nerd più accaniti. Che a me, ovviamente, va benissimo: ho riso come una demente dall'inizio alla fine e sebbene dovessi dire che da Leitch come regista mi sarei aspettata di più nei corpo a corpo (eh, temo che Atomica Bionda sia stato l'apice della sua carriera...) e per quel che riguarda il tasso di gore, le sequenze catastrofiche non sono comunque mancate e i comprimari di Deadpool stavolta sfiorano il sublime... ma capisco perché in sala a ridere eravamo giusto in tre/quattro e il Bolluomo spesso si girava a guardarmi con la faccia di chi cerca aiuto e trova solo biasimo. Non avendo riguardato il primo Deadpool non saprei dire se succedesse anche lì (ormai la mia memoria fa cilecca) ma Deadpool 2 presuppone una conoscenza enciclopedica non solo dell'universo Marvel (cinematografico e cartaceo) ma anche di film e serie TV come nemmeno Ready Player One e siccome al 90% sono tutte citazioni "vocali" prima ancora che visive, inserite tra una parolaccia e l'altra di cinque/sei personaggi logorroici da morire, lo sforzo di attenzione richiesto allo spettatore è altissimo e si rischia davvero di chiedersi perché la gente stia ridendo. Detto questo, Deadpool 2 sarebbe un film da rivedere almeno altre tre/quattro volte in lingua originale (il brano di Yentl ne è un esempio lampante, visto che la strofa incriminata "Do You Wanna Build a Snowman?" in italiano è "Sei già sveglia oppure dormi?", come sa chiunque ha stravisto Frozen) e con un bel telecomando in mano, così da mettere qualche fermo immagine di tanto in tanto e cogliere gli omaggi a Stan Lee e Alpha Flight, per esempio.
Ma parliamo un po' di storia, attori e "villani", partendo da questi ultimi. Josh Brolin rimarrà nella memoria dei Marvel fan come Thanos ma il suo Cable oscuro tanto da sembrare un eroe DC, per quanto molto divertente nel suo porsi come buddy di Deadpool sul finale, non ha il carisma della sua controparte cartacea e lo stesso vale per il Fenomeno, poco più di un divertissement perfetto per sfoderare il brano più esilarante della colonna sonora (potete ascoltarlo senza disturbi alla fine dei titoli di coda oppure QUI); il "vero" cattivo della pellicola è invece una sorpresa adattissima alle atmosfere irriverenti del film ma non riesco a capire se Reynolds e soci abbiano volutamente scelto di scrivere una sceneggiatura così "sentimentale" e retorica onde prendere in giro la maggior parte dei film di genere oppure fossero seri nell'intento di dotare il mercenario chiacchierone di un cuore e un'etica morale, per quanto contorta. Probabilmente avranno voluto mostrare il dito medio al successo di Logan - The Wolverine (sono una persona malvagia, rido ancora adesso per quel carillon!!) ma quasi sicuramente non lo sapremo mai, così come non sapremo mai perché un nome "importante" come quello di Essex sia stato sprecato così proprio in un film che contempla la presenza di Cable. Ma questi sono sproloqui da nerd e per farmi perdonare vi rimando al nutrito e spoileroso infoporn finale. Voto dieci invece a Zazie Beets, una Domino molto meno misteriosa di quella dei fumetti ma comunque simpatica e sexy, protagonista di alcune delle sequenze più spettacolari grazie proprio al suo potere della "fortuna", mentre stavolta la contrapposizione Colosso/Deadpool mi ha divertita meno del film precedente (anzi, diciamo che a un certo punto quel terrificante accento russo m'è venuto persino a noia) e anche Testata Mutante Negasonica non ha brillato di luce propria quanto avrei sperato, non dopo aver visto quello di cui è capace Brianna Hildebrand. Le spalle comiche per fortuna sono favolose come sempre: ai già collaudati Weasel, Dopinder e Blind Al si aggiungono i vari membri di X-Force, tra i quali ovviamente spicca l'adorabile Peter, anche perché gli altri... vabbé, lasciamo perdere e godetevi uno dei gruppi più amati della carta stampata, benché in una versione particolare. E godetevi (perpietàdiDeadpoolnonfateico**ioni!) le scene mid-credits perché stavolta valgono da sole, letteralmente, tutto il film. Anche se mi chiedo... come faranno ora a girare Deadpool 3? Oh beh, come direbbe Ryan Reynolds, "tanto basta scrivere due min**iate sulla sceneggiatura, chi sta a guardarla?". Io, neanche a dirlo, aspetto comunque trepidante il terzo capitolo, magari ballando su un tamarrissimo pezzo di musica dubstep!!
Del regista David Leitch ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (Wade Wilson/Deadpool, anche sceneggiatore della pellicola e motion capture per il Fenomeno, oltre che voce originale), Josh Brolin (Nathan Summers/Cable), Morena Baccarin (Vanessa), Brianna Hildebrand (Testata Mutante Negasonica), Brad Pitt (Svanitore), Bill Skarsgård (Zeitgeist), Matt Damon (Redneck numero 2), T.J. Miller (Weasel), Terry Crews (Bedlam), Alan Tudyk (Redneck numero 2), Eddie Marsan (Direttore), Nicholas Hoult (Bestia, non accreditato), James McAvoy (Charles Xavier, non accreditato), Evan Peters (Quicksilver, non accreditato), Tye Sheridan (Ciclope, non accreditato) e Hugh Jackman (Wolverine, in filmati d'archivio modificati in post produzione) li trovate invece ai rispettivi link.
Karan Soni interpreta Dopinder. Americano, ha partecipato a film come Safety not Guaranteed, Piccoli brividi, Deadpool, Ghostbusters e Creep 2. Ha 29 anni e un film in uscita.
Come tutti i sequel che si rispettino anche Deadpool 2 ha avuto una storia travagliata. Tim Miller, regista del primo capitolo, si è chiamato fuori dal progetto per divergenze creative con Ryan Reynolds e si è portato dietro Gina Carano e Junkie XL, compositore della colonna sonora di Deadpool. Brad Pitt, che "compare" come Svanitore, aveva partecipato all'audizione per il ruolo di Cable ma aveva dovuto rinunciare per l'impossibilità di far combaciare i vari impegni; altri candidati per il ruolo erano Russell Crowe, "benedetto" nientemeno che da Rob Liefeld, e Michael Shannon, che si è tirato indietro per impegni pregressi. Zazie Beets, che interpreta Domino e che ha strappato la parte ad attrici come MacKenzie Davis e Sofia Boutella, dovrebbe tornare nell'annunciato X-Force assieme a Ryan Reynolds e Josh Brolin. Nell'attesa che esca, chissà quando, se Deadpool 2 vi fosse piaciuto recuperate Deadpool e magari X-Men - Origins: Wolverine, Wolverine - L'immortale e Logan - The Wolverine visto che sono ampiamente citati! ENJOY!
E ritorna, per la gioia di tutti i bambini...
L'angolo del Nerd (o del gnégnégné, fate voi) rigorosamente scritto a memoria e senza l'aiuto di Wikipedia
HIC SUNT SPOILER!:
Cable: uno dei personaggi creati negli anni '90 dal nemico giurato dell'anatomia, Rob Liefeld, introdotto inizialmente come "terrorista" traviatore della generazione giovane degli X-Men, i Nuovi mutanti, da lui trasformati nella formazione paramilitare X-Force nonché paladino del "sacchettismo" preso in giro anche nel film. Col tempo si è scoperto che il vecchiaccio veniva dal futuro e che era nientemeno che il figlio di Ciclope e di un clone di Jean Grey, spedito nel futuro per salvarlo dal cosiddetto "virus tecnorganico", ovvero quella rumenta che lo ha reso un mezzo cyborg. In realtà Cable, il cui vero nome è Nathan Christopher Summers, ha enormi poteri telepatici e telecinetici e virtualmente sarebbe il mutante più potente della terra, se non fosse per quel virus. La sua nascita è stata infatti pianificata da Sinistro, il cui cognome è Essex (vi dice nulla? Leggete QUI...) ma ci si è messo di mezzo Apocalisse a rovinargli i piani. Non sto a tediarvi con ulteriori ragguagli, vi dico solo che in tempi recenti (dieci anni fa?) Cable ha salvato, adottato e cresciuto tale Hope (nominata nel film), salvatrice di mutanti imbevuta del potere di Fenice nonché ultima speranza dell'umanità "casualmente" identica a Jean Grey. Due co**oni, via. E mi chiedete perché ho abbandonato i fumetti degli X-Men?
Russell Collins: Alto e biondo, insomma col casting di D2 non ci azzecca una cippa, Russell "Rusty" Collins ha fatto parte della prima formazione di X-Force prima di venire rapito da Stryfe (clone di Cable proveniente anch'egli dal futuro) che gli ha fatto il lavaggio del cervello rendendolo malvagio. I poteri sono quelli mostrati nel film, gli manca solo la compagna di sempre accanto, Sally "Skids" Blevins. Ah, ora credo che nei fumetti sia morto.
Domino: Albina con un occhio nero, Neena "Domino" Thurman faceva parte del Six Pack, la prima squadra di mercenari in cui ha militato Cable, poi è stata rapita dalla mutaforma Vanessa (all'epoca malvagia, come Deadpool) che si è sostituita a lei per un po' di tempo, anche nelle fila di X-Force. Tornata nei ranghi, s'è tirata un paio di storie con Cable e, più recentemente, con Wolverine (alla coppia è dedicato il bellissimo Wolverine: Sex and Violence) e persino con Colosso. Il potere che ha è quello della fortuna ma diciamo che nei fumetti non è così smaccato come nel film!
Shatterstar: Come viene detto nel film, Shatterstar è un alieno proveniente dal Mojoverso, pianeta "televisivo" governato dal berlusconiano Mojo, dove le persone vengono gettate nelle arene e uccise per il piacere del pubblico. Shatterstar ha fatto parte per anni della seconda squadra di X-Force, distinguendosi come uno dei membri più sanguinari, mentre recentemente aveva cominciato a militare in X-Factor, dove ha finalmente palesato di essere gay e di provare sentimenti per il compagno di squadra Rictor. Per anni si è favoleggiato che Shatterstar fosse il figlio dei mutanti Longshot e Dazzler ma se non rammento male alla fine si è scoperto che Longshot era nato in provetta da materiale genetico di Shatterstar, il che ne fa... il nonno di sé stesso? Gesù... Ah, come poteri abbiamo agilità sovrumana e la capacità di emettere scariche bioelettriche attraverso le spade.
Black Tom Cassidy: Fratello di Banshee (per chi segue solo i film, ne avete visto una versione giovane QUA), amico di vecchissima e lunghissima data del Fenomeno, Black Tom Cassidy è irlandese ed è sempre stato un nemico degli X-Men. Più che essere un gangsta figo è un signore di mezza età vestito come un peerla, zoppo e costantemente appoggiato a un shillelag. Per quel che riguarda i poteri se non mi sbaglio riusciva a emettere scariche di energia attraverso il legno e a manipolare le piante.
Svanitore, Bedlam, Zeitgeist e Yukio: personaggi che ricordo pochissimo o affatto. Bedlam e Zeitgeist hanno fatto parte di un paio di formazioni di X-Force quando non ne leggevo le storie e sono credo durati il tempo di un arco narrativo, massimo due, il tempo di cambiare gli scrittori; lo Svanitore è un nemico dei vari X-Gruppi ma non è un uomo invisibile, bensì si teletrasporta, di fatto scomparendo. Yukio è invece un mix tra l'assassina già comparsa in Wolverine - L'immortale e la giovane mutante di nome Surge, dalla quale riprende i poteri energetici.
Fenomeno: ne ho parlato QUI
martedì 28 febbraio 2017
The Great Wall (2016)
Trama: Nell'anno mille, due mercenari alla ricerca della "polvere nera" arrivano fino alla Grande Muraglia cinese, dove un'armata cerca di contrastare l'attacco di mostri ancestrali proteggendo così la capitale del regno.
Non so effettivamente se riuscirò a raggiungere i due paragrafi standard di post ma proviamoci. Non è che The Great Wall non mi sia piaciuto però posso definirlo al massimo carino e, in verità, più ci penso più gli trovo dei difetti, anche perché sulla pellicola c'è veramente poco da dire. Innanzitutto, a livello di trama, ci troviamo davanti ad una leggenda, un racconto di mostri e combattenti, di mercenari che cercano di recuperare un senso dell'onore ormai perduto così come la fiducia nel prossimo e di altri mercenari che invece, giustamente, vogliono solo i soldi. C'è una condanna all'avidità umana, esemplificata dal desiderio di possedere la fantomatica "polvere nera" cinese, veicolo di morte e distruzione che l'uomo farebbe meglio a non conoscere neppure, quindi, in parallelo, corre anche un messaggio pacifista che all'interno di un blockbuster sta sempre bene. I personaggi sono tagliati con l'accetta ma non potrebbe essere altrimenti visto che la storia è stata scritta, tra gli altri, da quel Max Brooks che già ci aveva "regalato" lo script di World War Z, quindi se vi sembrerà di avere un senso di déja vu guardando The Great Wall sappiate che è normale; là c'erano gli zombi, qui i mostruosi Tao Tei, esseri alieni evocati dalla già citata avidità umana che si manifestano ogni sessant'anni, a contrastarli c'è un bel muro alto (come quello che proteggeva Gerusalemme in World Ward Z) e un manipolo di eroi modellati in base alle regole auree del genere sentai, almeno per quel che riguarda la gamma di colori, sui quali poi tornerò. In tutto questo, gli sceneggiatori sono anche riusciti ad infilare lo scontro culturale tra occidente e oriente, esemplificato nella figura di William, mercenario che nel giro di mezz'ora passa dall'essere ladro senza scrupoli ad eroe grazie al bel faccino di una badassissima comandante cinese che vola leggiadra come una gru affondando lance appuntite nelle gobbe dei Tao Tei. Insomma, come blockbuster avventuroso ci sta, così come la visione disimpegnata... il problema è che alla regia non c'è proprio l'ultimo degli strepponi.
Fa un po' strano che dietro la macchina da presa di questa co-produzione cinoamericana ci sia lo stesso regista di Lanterne rosse, Hero e La foresta dei pugnali volanti. Prendiamo come esempio Hero, che è il film di Yimou che ho rivisto più di recente. Da ogni fotogramma di quel meraviglioso omaggio allo wuxia trasparivano eleganza, ricercatezza, cura maniacale del dettaglio ed infinito amore per l'aspetto artigianale della settima arte; i colori erano utilizzati secondo un criterio narrativo, ed erano ancor più meravigliosi in quanto venivano ripresi non solo dai costumi ma dalle scenografie artificiali e dai paesaggi naturali. In The Great Wall, nonostante ci siano un paio di sequenze effettivamente mozzafiato ed elegantissime, come la miriade di palloni luminosi che salutano la dipartita del generale innalzandosi dalla Muraglia e l'attacco kamikaze delle gru azzurre, pare che Zhang Yimou si sia adagiato sugli allori del già diretto (la carrellata delle frecce che si abbattono sui mostri, per esempio) e che si sia fatto comprare dalla "comodità" della fredda CGI, per non parlare del kitschissimo tripudio di colori che sono le sequenze girate all'interno della pagoda con le vetrate, talmente psichedeliche da far male agli occhi. Mai, ovviamente, quanto le patacche colorate indossate dai protagonisti, una roba che probabilmente potrà giusto fare la gioia dei cosplayer a cui piacciono le sfide e che sì, consente al regista di piazzare un paio di immagini ad effetto con migliaia di comparse divise per tinta ma, in definitiva, risulta incredibilmente fasulla e... si può dire cinese o sfocio nel politically incorrect? Insomma, The Great Wall nel complesso non mi è dispiaciuto quanto avrei temuto ma è davvero poca roba, sicuramente non rimarrà impresso nella mia memoria e anzi, temo che probabilmente quando mi faranno il nome di Yimou non ricorderò nemmeno che l'abbia girato lui. E neppure che tra gli interpreti ci sia Willem Dafoe, in effetti.
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Andy Lau interpreta lo stratega Wang. Nato a Hong Kong, ha partecipato a film come Infernal Affairs, Infernal Affairs III e La foresta dei pugnali volanti. Anche produttore e regista, ha 56 anni e tre film in uscita.
Pedro Pascal interpreta Tovar. Cileno, ha partecipato a film come Bloodsucking Bastards e a serie quali Undressed, Buffy l'ammazzavampiri, NYPD, Charlie's Angels, CSI - Scena del crimine, Nikita, Il trono di spade e Narcos. Anche, ha 42 anni e un film in uscita, Kingsman: The Golden Circle.
L'attrice Tian Jing, che interpreta il comandante Lin Mae, tornerà sui grandi schermi con Kong: Skull Island e Pacific Rim: Uprising. Nelle prime fasi del progetto, Bryan Cranston avrebbe dovuto interpretare Ballard mentre Edward Zwick (tra coloro che hanno realizzato la sceneggiatura) avrebbe dovuto dirigere la pellicola con Henry Cavill nel ruolo di protagonista. Se The Great Wall vi fosse piaciuto recuperate il già citato World War Z e Pacific Rim. ENJOY!
martedì 12 luglio 2016
The Zero Theorem (2013)
Trama: Qohen è un genio dei computer, disadattato e zeppo di fobie, che da anni aspetta "quella" telefonata capace di cambiargli la vita e renderlo felice. Un giorno il Management della ditta per cui lavora gli affida il compito di risolvere la terribile formula matematica denominata "The Zero Theorem", atta a dimostrare come tutto sia vanità...
Da quando ho cominciato a sviluppare la passione per il cinema mi sono spesso ritrovata a chiedermi perché determinati film non godano della fama e del successo che meriterebbero e lo stesso vale per i registi. Il povero Terry Gilliam viene trattato sempre malissimo e non solo dalla terrificante distribuzione italiana, che ha aspettato ben tre anni per fare arrivare The Zero Theorem in sala, eppure i suoi film hanno sempre quel non so che capace di renderli unici, graffianti, ironici e bellissimi. Non ho detto facili, ci mancherebbe, sebbene il suo ultimo lavoro sia uno dei più "a misura d'uomo", se posso permettermi, oltre che zeppo di rimandi al capolavoro Brazil; tuttavia, siccome sono decenni che non guardo la pellicola con De Niro, non mi addentrerò in scomodi confronti e mi limiterò a parlare di The Zero Theorem, film ambientato in un futuro distopico neppure troppo diverso dal nostro presente, in cui ogni cosa, a maggior ragione se incomprensibile e vana, dev'essere ridotta a misura d'uomo, resa comprensibile e "venduta", condannando di fatto l'umanità al decadimento perpetuo e alla totale assenza di contatti o emozioni che non siano preconfezionati e "gestibili", se non addirittura di comodo. In tal senso, Qohen ha già un piede nella fossa, per così dire. Misantropo, afefobico e costretto a parlare in seconda persona plurale a seguito di una terapia psichiatrica, Qohen vive isolato all'interno di una chiesa sconsacrata ed esce solo per andare a lavorare alla Mancom, ditta in cui è impiegato come hacker col compito di "schiacciare entità"; a differenza di altri, tuttavia, Qohen è dotato di una fede incrollabile verso una "telefonata" che potrebbe dare finalmente un senso alla sua esistenza rendendolo così finalmente felice e, nella sua costante ricerca di questo "segno divino", diventa facile preda delle macchinazioni del Management della Mancom, un ingannevole quanto misterioso Grande Fratello. Tra ragazzini geniali ma spersonalizzati, terrificanti buchi neri che minacciano di inghiottire la realtà e donne fatali dotate di un grande cuore, la tragedia umana di Qohen si snoda davanti allo spettatore che non può fare altro che provare pietà per quest'uomo così triste e bisognoso di ritrovare sensazioni dalle quali egli stesso ha scelto di tagliarsi fuori. La grottesca ironia che pervade The Zero Theorem, cifra stilistica del migliore Gilliam, non riesce a celare la natura fondamentalmente triste e claustrofobica della distopia rappresentata nella pellicola, tanto che persino il finale, per quanto a modo suo poetico e "rivelatore", non offre il sollievo sperato e lascia più di qualche dubbio.
La trama di The Zero Theorem poggia quasi interamente sulle spalle di un Christoph Waltz immenso che, per una volta, attenua un po' la sua tendenza a gigioneggiare per incarnare un personaggio allo stesso tempo freddo e vulnerabilissimo, dolorosamente consapevole delle storture del mondo in cui è costretto a vivere ma incapace di trovare salvezza nonostante questa sua particolare sensibilità (tanto da essere convinto di essere costantemente in punto di morte). Il fatto che l'attore sia costretto spesso e volentieri ad interagire con schermi animati o personaggi non presenti fisicamente non toglie nulla alla sua sentita interpretazione, anzi: vederlo abbracciare idealmente il vuoto oppure imporre la propria volontà sul paesaggio circostante da l'idea della terribile solitudine del personaggio e della sua grande speranza di raggiungere un mondo migliore. Ad affiancarlo ci sono fior di caratteristi come David Thewlis, che adoro sempre più ad ogni film in cui mi capita di vederlo, una Tilda Swinton sempre più meravigliosamente assurda e due volti per me sconosciuti come quelli di Lucas Hedges e Mélanie Thierry che non ho potuto fare a meno di amare, soprattutto per quel che riguarda l'attrice francese, uno scoppiettante mix di sensualità, allegria e romanticismo. Le vere protagoniste del film sono però le splendide scenografie. Girato interamente in Romania per abbattere i costi di produzione, The Zero Theorem è ambientato quasi interamente all'interno di una chiesa sconsacrata ricostruita in studio, la quale contiene elementi dello stile Ortodosso (vedi i muri pesantemente affrescati, con i volti che scrutano Qohen) e di quello Anglicano/Cattolico, riconoscibili nell'organo, nell'altare e nel vestibolo all'ingresso, un ambiente chiuso che credo sia tra i più belli che mi sia capitato di vedere in un film recente. Non che il resto delle location sia meno bello, anzi: il luogo dove Joby organizza il party ha la stessa decadente bellezza della chiesa in cui vive Qohen mentre le strade dove si muovono i personaggi sono un trionfo di fantasioso caos e persino gli ambienti virtuali sono incredibilmente piacevoli da vedere. Insomma, The Zero Theorem sazia gli occhi, il cuore e la mente quindi vi consiglio di recuperarlo il prima possibile!
Del regista Terry Gilliam ho già parlato QUI. Christoph Waltz (Qohen Leth), David Thewlis (Joby), Peter Stormare (Dottore), Ben Whishaw (Dottore), Matt Damon (Management) e Tilda Swinton (Dr. Shrink-ROM) li trovate invece ai rispettivi link.
Lucas Hedges, che interpreta Bob, aveva già partecipato sia a Moonrise Kingdom che a Grand Budapest Hotel. Detto questo, se The Zero Theorem vi fosse piaciuto recuperate Brazil, L'esercito delle 12 scimmie e The Congress. ENJOY!