mercoledì 30 novembre 2016

Zombi (1978)

A ridosso dell'uscita italiana delle tre edizioni distribuite dalla Midnight Factory mi sono ritrovata a guardare la cosiddetta "versione europea" di Zombi (Dawn of the Dead), scritto e diretto nel 1978 da George A. Romero e ri-montato da Dario Argento.


Trama: l'apocalisse zombi iniziata ne La notte dei morti viventi sembra ormai inarrestabile e quattro persone decidono di lasciare la città in elicottero, dirigendosi verso un centro commerciale ormai abbandonato. Ricominciare una nuova vita sarà però molto difficile...


Come tutti i primi tre film a tema diretti da George A. Romero, anche Zombi mi era capitato di vederlo durante gli anni del liceo. A differenza de La notte dei morti viventi, al quale mi ero già "abboccata" grazie al remake di Tom Savini, né Zombi né il seguente Il giorno degli zombi sono mai entrati nel novero dei miei film preferiti, probabilmente perché all'epoca preferivo un horror più grezzo e meno adulto, il che, se ci si pensa, è ironico. Leggendo qui e là onde documentarmi prima di scrivere il post sono venuta infatti a sapere che la versione Romeriana della pellicola (quella, cioé, distribuita essenzialmente solo in America) era stata ritenuta da Dario Argento troppo bambinesca, piena di inutili momenti ironici ed introspettivi, persino troppo "colorata" per quel che riguarda la fotografia e non parliamo poi della colonna sonora, signora mia!, quindi il buon Darione era intervenuto  rimaneggiando la versione europea e consegnando alla Bolla adolescente un film per molti aspetti diverso da quello che avrebbe voluto il regista americano. Il motivo per cui Argento ha potuto compiere una simile operazione va ricercato nel suo ruolo di co-produttore del film e in quello di "ospite" di un Romero che ha ricercato la tranquillità romana per scrivere la sceneggiatura di Zombi e che, per racimolare i fondi necessari, ha accettato di farseli prestare dai produttori italiani a condizione che Argento potesse rimontare a piacimento il film per il mercato europeo, giapponese e medio-orientale; il risultato di questa operazione è stato un horror tout-court, molto cupo ed incentrato sulle scene d'azione, accompagnato dalla colonna sonora degli immancabili Goblin, con zombi che non si limitano a grugnire ma sussurrano eterei. Non avendo mai avuto modo di vedere la versione "americana" posso solo dire che riguardare Zombi dopo almeno 20 anni è stata un'esperienza affascinante e persino "nostalgica", non tanto per le immagini quanto proprio per la colonna sonora che, nel frattempo, ho avuto modo di ascoltare più volte in un paio di CD tra i miei preferiti, ovvero la OST di Shaun of the Dead e la raccolta di successi argentiani Puro Argento Vivo. La musica dei Goblin è insinuante, mette inquietudine e segue la volontà Argentiana di rendere l'azione più incalzante, soprattutto quando gli zombi attaccano in branco le loro vittime privandole di un posto dove fuggire ed è l'elemento che più mi è rimasto impresso guardando Zombi sia la prima che la seconda volta.


Ora come ora, dopo anni di serie "patinate" incentrate sui morti viventi, l'altra cosa che ho adorato è l'aspetto vintage degli zombi, poveri figuri dal colorito grigio-bluastro (grazie Tom Savini e non te la prendere se il risultato finale non ti è piaciuto!!) che staccano, letteralmente, brandelli di carne dalle loro vittime: gli effetti speciali danno proprio l'idea di un boccone succulento che viene troncato di netto dal corpo degli esseri umani e non importa che il sangue sia rosso come un pomodoro e abbia la consistenza della vernice, vedere delle scene simili richiama alla mente il gusto dell'artigianalità e della passione, alla faccia della maniera verosimile in cui gli zombi si accaniscono, per esempio, contro i protagonisti di The Walking Dead (quando succede, ovvio!). Passando alla trama, è un peccato che la versione europea non indulga nell'approfondimento psicologico dei personaggi ma a mio avviso anche dalla versione Argentiana si evince un senso di sconfitta umana difficilmente superabile. Chi si ritrova a dover affrontare gli zombi soffre all'idea di dover uccidere persone che una volta erano vive e probabilmente comprende che di fronte ad un simile ribaltamento delle leggi naturali e delle convenzioni morali non rimane altro che il suicidio (il film originariamente doveva concludersi con DUE suicidi...); chi sceglie di sopravvivere, come i quattro protagonisti di Zombi, lo fa sapendo che potrà avere solo un pallido surrogato della "vita" come viene comunemente intesa e che non basteranno tutti i centri commerciali di questo mondo, i lussi un tempo tanto importanti e persino legami come il matrimonio o la maternità/paternità ad assicurare un futuro che valga la pena di affrontare. Quello che non hanno capito i personaggi che infestano The Walking Dead, tanto meno gli sceMeggiatori della serie, è l'impossibilità di tornare a vivere come se nulla fosse successo, perché ormai i vivi sono costretti a "mangiare" e accaparrarsi il necessario per sopravvivere proprio come quegli zombi che, spinti da un inquietante quanto atavico senso di "necessità consumistica", vengono attirati dal centro commerciale come fossero delle falene. Che Romero, già nel 1978, fosse riuscito a spiegarci con un solo film il vero significato di Apocalisse e Fine del mondo, due catastrofi che sono innanzitutto qualcosa di personale e molto umano, senza ricorrere alla serialità che rischia davvero di trasformarci tutti in zombie, fa di lui un genio dell'horror e di Zombi una di quelle pellicole da conservare e tramandare in saecula saeculorum.


Del regista e sceneggiatore George A. Romero (che compare anche nei panni del regista e di uno dei motociclisti) ho già parlato QUI. Ken Foree (Peter) e Tom Savini (uno dei motociclisti) li trovate invece ai rispettivi link.


Scott H. Reiniger, che interpreta Roger, è tornato nel remake diretto da Zack Snyder nei panni del Generale mentre Gaylen Ross, che interpreta Francine, prima di intraprendere la carriera di regista ha partecipato al film Creepshow, nell'episodio Alta marea. Il film segue La notte dei morti viventi ed è stato seguito nel tempo da Il giorno degli zombi, La terra dei morti viventi, Le cronache dei morti viventi e Survival of the dead - L'isola dei sopravvissuti oltre ad essere stato rifatto da Zack Snyder e distribuito in Italia col titolo L'alba dei morti viventi. Se il film vi fosse piaciuto recuperate tutti questi titoli e considerate l'idea di acquistare una delle tre versioni home video distribuite dalla Midnight Factory e restaurate in 4K; da non fan all'ultimo stadio quale sono mi è bastato il DVD doppio con la versione montata da Argento e un sacco di contenuti speciali (Interviste a Tom Savini, Nicolas Winding Refn, Dario Argento, Michele De Angelis e Gianni Vittori, conferenza stampa tenuta al Festival del Cinema di Venezia con presentazione in sala alla proiezione del film restaurato, trailer e spot televisivi, per non parlare del bel packaging con all'esterno un artwork di Refn e le locandine originali dei vari paesi nella custodia rigida interna) ma per i più esigenti c'è la versione in 4 Blu Ray (che contiene anche la versione voluta da Romero e la Extended Version presentata a Cannes nel 1978) e soprattutto quella in 6 Blu Ray, che contiene le versioni 4k Ultra HD e Full Frame della versione europea. A prescindere, tutte le edizioni contengono 5 cartoline con fan art a tema selezionate da Nicolas Winding Refn e il solito, esaustivo libretto curato da Manlio Gomarasca e Davide Pulici di Nocturno Cinema  con tanto di botta e risposta tra Romero e Argento, quindi potrebbe essere un bel regalo di Natale. ENJOY!

martedì 29 novembre 2016

Amore folle (1935)

Mi rendo conto che ultimamente parlo quasi sempre solo di film recenti quindi, per cambiare un po' e ribadire il mio amore per il cinema d'antan, ho deciso di recuperare Amore folle (Mad Love), diretto nel 1935 dal regista Karl Freund e tratto dal racconto Le mani di Orlac di Maurice Renard.


Trama: il dottor Gogol, follemente innamorato della bella attrice Yvonne Orlac, rimane inorridito alla scoperta che la donna è già sposata con un famoso pianista. Di ritorno da un concerto, proprio Monsieur Orlac rimane coinvolto in un incidente e, per evitare che gli vengano amputate le mani, Yvonne chiede aiuto a Gogol che trapianta all'uomo le mani dell'assassino Rollo, giustiziato poco prima...



C'è qualcosa di incredibilmente affascinante in un horror in bianco e nero. Innanzitutto, un film come Amore folle costringe noi spettatori "moderni" a metterci nei panni di quelli dell'epoca, i quali sicuramente non erano abituati alle mattanze cinematografiche che sarebbero venute nei decenni a venire e i quali, di conseguenza, saranno rimasti sconvolti anche solo all'idea di una decapitazione suggerita, di torture su un palco, di un trapianto di mani, addirittura di un esperimento rivoltante come il trapiantare la testa di un assassino su un altro corpo. Poi, c'è l'innegabile fascino di un modo di recitare e di parlare "antico", ancora di stampo assai teatrale, così come teatrale è il make-up utilizzato per gli attori principali, che diventano o splendide dee ultraterrene oppure terrificanti mostri dagli occhi penetranti. Sono caratteristiche come queste che riescono a prendermi mentre guardo film come Amore folle, dotati di una storia semplicissima per l'epoca in cui siamo, come anche di pochissimi twist, eppure in qualche modo lo stesso intrigante. Amore folle contiene, come da titolo, la rappresentazione di un amore talmente disperato ed impossibile da portare alla follia il "povero" dottor Gogol, dotato di un aspetto abbastanza inquietante eppure fissato con la splendida attrice Yvonne Orlac al punto da decidere di portarsi a casa la sua statua di cera; quando il marito di Yvonne, pianista di incredibile bravura, perde le mani in un incidente, Gogol non si fa scrupolo ad accettare di guarirlo e, allo stesso tempo, di assecondare la sua follia di scienziato, intraprendendo un'operazione a dir poco spregiudicata, all'insaputa dei due. Le mani dell'assassino Rollo vanno a sostituire quelle di Orlac e l'uomo, dopo una lunga convalescenza e cure costosissime, si ritrova incapace di suonare il piano ma abilissimo nell'uso di coltelli da lancio, cosa che lo rende psicologicamente instabile, dando così a Gogol l'occasione di corteggiare Yvonne, cercando di convincerla a lasciare il marito. Gli sceneggiatori del film non specificano se le mani di Rollo siano effettivamente dotate di "volontà propria" ma lo spettatore è portato a pensare di sì e lo stesso vale per tutti coloro che entrano in contatto con Gogol e gli Orlac, polizia compresa.


Il clima di incertezza viene lievemente stemperato dall'introduzione di figure "comiche" quali il giornalista americano, la governante di Orlac e quella di Yvonne, tuttavia è innegabile che Amore folle sia fondamentalmente un film cupo ed oscuro, che non lascia molti spiragli di ottimismo per la coppia protagonista, nonostante l'inevitabile happy ending. La "colpa" di tutto è in primis dell'inquietante Peter Lorre, al suo primo film americano, talmente magnetico da aver influenzato Orson Wells nell'interpretazione del suo Kane (almeno così si dice e pare che Quarto potere, che con Amore folle condivide il direttore della fotografia Gregg Toland, abbia diversi punti in comune con il film di Freund, almeno visivamente parlando, ma non lo vedo da tantissimi anni quindi non posso confermare); completamente pelato e con quegli occhi giganteschi e spiritati, Lorre interpreta un uomo geniale progressivamente divorato dalla follia d'amore, che lo spinge a compiere i gesti più turpi e a confondere sogno e realtà, esseri umani e figure mitologiche, poesia e scienza. Una sequenza che ho trovato ancora oggi inquietantissima, e che immagino all'epoca abbia terrorizzato più di uno spettatore, è quella in cui Monsieur Orlac si confronta con il presunto donatore delle sue mani, ovvero un Gogol ormai fuori controllo col viso nascosto da occhiali da sole, cappello e un collare metallico a dimostrazione di essere una "testa" trapiantata su un corpo altrui, praticamente la terrificante evoluzione del concetto già espresso da Mary Shelley nel suo Frankenstein. Questi tocchi "horror", derivanti da un certo tipo di cinema espressionista per quanto adattati ad un gusto più classico ed americano, hanno certamente codificato parecchi degli stilemi che accompagnano ancora oggi il genere, quindi Amore folle è una pellicola che potrebbe fare felice più di un appassionato ed è certamente una piccola chicca da riscoprire... anche per chi segue le serie TV dato che la seconda stagione di Scream Queens ha tratto ispirazione anche dal racconto di Renard!

Karl Freund è il regista della pellicola. Nato nell'allora Boemia, ha diretto film come La mummia. Anche direttore della fotografia (arte che gli ha fruttato un Oscar per il film La buona terra), produttore, attore e sceneggiatore, è morto nel 1969 all'età di 79 anni.


Peter Lorre (vero nome László Löwenstein) interpreta il Dottor Gogol. Nato nell'ex impero Austro-Ungarico, lo ricordo per film come M - Il mostro di Dusseldorf, L'uomo che sapeva troppo, Lo sconosciuto del terzo piano, Il mistero del falco, Casablanca, I racconti del terrore, I maghi del terrore e Il clan del terrore, inoltre ha partecipato a serie come Alfred Hitchcock presenta. Anche sceneggiatore e regista, è morto nel 1964 all'età di 59 anni.


Colin Clive, che interpreta Stephen Orlac, è stato Henry Frankenstein sia nel Frankenstein di James Whale che in La moglie di Frankenstein. Del racconto di Maurice Renard esisteva già una versione del 1924, Orlacs Hände di Robert Wiene, e in seguito sono usciti Le mani dell'altro con Christopher Lee e, due anni dopo, Hands of a Stranger; se Amore folle vi fosse piaciuto recuperateli e magari aggiungete La jena: L'uomo di mezzanotte, Il mistero delle 5 dita e La mano. ENJOY!

domenica 27 novembre 2016

Robert Altman Day - Gosford Park (2001)


Dopo una lunghissima pausa è arrivata Alessandra di Director's Cult a tirare fuori da letargico torpore il F.I.C.A., gruppetto di blogger sempre pronti ad unirsi per celebrare registi, attori e Cinema in generale. Oggi tocca a Robert Altman, a dieci anni dalla sua morte, finire sotto i riflettori e io ho scelto di riguardare un film che non vedevo dal lontano 2001, Gosford Park, premiato con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. ENJOY!


Trama: a Gosford Park, tenuta dell'opulenta famiglia McCordle, si riuniscono per un weekend tutti i più alti esponenti del parentado e qualche ospite più o meno illustre, oltre ai membri della relativa servitù. Tra una battuta di caccia e un pettegolezzo ci scapperà anche il morto...



Prima di cominciare il post, l'inevitabile premessa: di Altman avrò visto sì e no un paio di film, ovvero l'adorato M.A.S.H. e il bellissimo America oggi, con qualche spezzone di Popeye - Braccio di ferro da bambina. Ciò che ho guardato di suo mi è piaciuto ma non ho mai elevato il regista americano a feticcio, conseguentemente non mi sono mai documentata molto in merito, nemmeno ai tempi dell'università quando, per svariati motivi, mi è capitato di recuperare le pellicole di cui sopra e, ovviamente, Gosford Park. Visto al cinema, per inciso, non perché diretto da Altman ma semplicemente in quanto ambientato in un'Inghilterra affascinante, fatta di Ladyships e Lordships, dove la divisione tra chi sta al piano di sopra (i padroni) e chi in quello di sotto (i servi) è netta ma permeabile. Sì, lo ammetto, le ambientazioni alla Downton Abbey (che, secondo le intenzioni dello sceneggiatore Julian Fellowes, avrebbe dovuto essere uno spin-off del film poi ha preso tutta un'altra direzione) mi sono sempre piaciute tantissimo e il piglio tra il serio e il faceto con cui Altman ha scelto di affrontare questo ambiente probabilmente a lui sconosciuto è talmente interessante che le due ore e passa di film volano via come fossero mezza. Che poi, in soldoni, Gosford Park è un film fatto "di nulla", all'interno del quale l'unico evento davvero degno di nota è l'omicidio di uno dei protagonisti con conseguente investigazione; eppure, nonostante il fulcro dell'azione sia un delitto, chiunque capirebbe che Altman e compagnia non erano interessati a girare un giallo, quanto piuttosto un "documentario" antropologico imperniato sui rapporti tra servitù e padroni, su due microcosmi separati giusto da una rampa di scale. Logorroico e difficile da seguire, Gosford Park immerge subito lo spettatore in un intrico di parentele, nomi e legami dati per scontati ma che si chiariscono solo mano a mano che la pellicola prosegue, e che costringe a mettersi nei panni del servo che raccoglie spizzichi e bocconi di conversazioni per mettere insieme un quadro generale il più possibile esaustivo e, neanche a dirlo, succulento. Inutile fare domande dirette come il povero ispettore Thompson: in Gosford Park ogni informazione passa attraverso l'attenta e silenziosa osservazione, attraverso il rapporto privilegiato tra padroni e valletti personali, fatto di un amore/odio comprensibile soltanto da chi lo vive quotidianamente sulla propria pelle, attraverso riti e consuetudini che sicuramente a noi risultano ridicoli ma comunque imprescindibili per quel tipo di società.


Spinta dalla necessità di riuscire a cogliere anche il più piccolo sussurro e il più sottile degli sguardi indiscreti, la cinepresa di Altman si sdoppia e non sta mai ferma, sguscia dietro porte socchiuse e diventa parte integrante del fermento presente a Gosford Park in un weekend particolarmente difficile, soffermandosi sui mille lavori in cui sono impegnati cuochi, valletti, camerieri ed autisti e non liquidando alcun gesto come inutile o superfluo, neppure quelli dei nobili indolenti. E le emozioni, in tutto questo? In un mondo severamente regolato come quello di Gosford Park l'emotività è di norma riservata agli aristocratici, che la trasformano in un teatrino con il quale è difficile empatizzare. La sofferenza, quella vera in quanto costretta a rimanere celata, è prerogativa di quella servitù tanto disprezzata quanto necessaria, al punto che le scappatelle notturne si sprecano, come se i padroni cercassero disperatamente qualcosa di "reale" a cui appigliarsi al di là dei freddi rapporti tra pari. E' per questo che Gosford Park trova il suo punto di forza principalmente negli attori, sia nei grandi nomi capaci di mangiare la scena con poche battute che nelle semplici comparse, ancora più genuine ed indispensabili in un film corale come questo. Nella miriade di attoroni che popolano i due piani di Gosford Park ce ne sono alcuni che hanno catturato particolarmente la mia attenzione e che reputo degni di menzione, fermo restando che tutti i coinvolti avrebbero meritato l'Oscar. Cominciamo con sua maestà Maggie Smith, un concentrato di wit, cattiveria, taccagneria e sguardi fulminanti, la vecchia carampana che neppure il capofamiglia vuole avere accanto durante il pranzo, e continuiamo scendendo al piano inferiore, dove si nascondono le vere perle: l'impacciata ma decisa Kelly MacDonald, la compassata Helen Mirren, la magnetica Emily Watson, il miserevole Alan Bates e quella faccia da schiaffi di Richard E. Grant che come servo farebbe venire i brividi persino a Tim Curry sono gli attori che mi hanno colpita più di tutti ma probabilmente l'elenco cambierebbe a seconda dello spettatore, tanto non ce n'è uno che sia meno che bravissimo. In conclusione sono dunque felicissima di aver riguardato Gosford Park e di averlo finalmente potuto vedere in inglese, che persino nel 2001 avevo capito quanto più potente sarebbe stato un film simile in lingua originale, quindi grazie Robert Altman per questo particolarissimo esperimento cinematografico!

Robert Altman ha già fatto capolino sul Bollalmanacco col suo M.A.S.H., racconto anti-militare zeppo di humour nero.


I miei compagni di ventura hanno invece partorito questi post, che vi consiglio di leggere:

Director's Cult - I protagonisti
Non c'è paragone - Nashville
Solaris - Radio America
White Russian - I compari



venerdì 25 novembre 2016

Animali fantastici e dove trovarli (2016)

Dopo gli Animali notturni di Tom Ford è arrivato il momento degli Animali fantastici e dove trovarli (Fantastic Beasts and where to Find Them), diretto da David Yates e sceneggiato da J.K. Rowling in persona!


Trama: il mago inglese Newt Scamander approda a New York con una valigia piena di Bestie Magiche proprio quando in città comincia a manifestarsi un pericoloso Oscuro. I sospetti del Ministero della Magia Americano ricadono ovviamente su Newt ma la verità sull'origine dell'Oscuro è ben più pericolosa...


Chiusa la parentesi Harry Potter e la maledizione dell'erede (che, peraltro, ho letto senza trovarlo abominevole come tanti avrebbero voluto far credere) è giunta di nuovo l'ora, per gli appassionati, di tornare ad immergersi nelle atmosfere magiche create da J.K. Rowling e il viaggio questa volta non parte proprio da Hogwarts, bensì dal libriccino Gli animali fantastici: dove trovarli, scritto dalla Rowling nel 2001 a scopi benefici. Il libro in questione è uno dei testi che Harry, Ron ed Hermione vengono costretti a studiare nei romanzi e, alla faccia degli scopi benefici, la Rowling ha deciso di trarne una serie di cinque film legati anche ad alcuni avvenimenti che si trovano solo sul sito Pottermore, ampliando di fatto la sua ormai tentacolare presa sui nerd di tutto il mondo e aumentando esponenzialmente le proprie finanze. Sospendo un attimo la critica morale sulla natura bieca di questa operazione chinando il capo con vergogna perché, pur consapevole di tutto ciò che ho detto sopra, Animali fantastici e dove trovarli mi è piaciuto molto, per un paio di motivi. Innanzitutto, Animali fantastici e dove trovarli è fruibile anche da un neofita poiché è stato scritto sfruttando il punto di vista privilegiato del no-mag Jacob, dell'englishman in New York Newt Scamander e di un mondo magico ancora privo dell'agevole manuale di quest'ultimo e, seconda cosa ma non meno importante, fa piazza pulita di tutte le trame legate al Prescelto e Colui-che-non-deve-essere-nominato, offrendo qualcosa di nuovo e fresco anche per gli appassionati. Il gusto della "scoperta" è dunque l'emozione che governa il film dall'inizio alla fine e che rende giustizia al titolo in quanto, al di là dell'indispensabile sotto-trama "oscura" che spero verrà sviluppata meglio nei prossimi capitoli della saga, sotto i riflettori ci sono principalmente gli Animali Fantastici. Quello di Newt è un personaggio molto delicato, un outsider capace di rendersi speciale e unico in virtù del rapporto privilegiato che ha con le bestie del mondo magico, rapporto coltivato grazie ad un'incredibile dose di sensibilità combinata con pazienza, passione e sincero amore per queste creature; accompagnati dalla mano esperta dello zoologo, noi spettatori ci mettiamo nei panni del no-mag Jacob e testimoniamo incantati un mondo precluso non solo ai normali esseri umani ma anche alla maggior parte dei maghi i quali, come abbiamo già avuto modo di evincere dai romanzi di Harry Potter e come viene ulteriormente chiarito in questo film, formano una comunità di individui elitari, diffidenti, superbi e crudeli. Nel mondo magico degli anni ’20, afflitto dallo spauracchio di Grindelwald, le bestie amate da Newt vengono bollate semplicemente come mostri, vige il divieto di sposare babbani e la pena di morte viene elargita con un sorriso, tanto che il cieco terrore mostrato dai cosiddetti Salemiani non appare poi così infondato: quello di Newt Scamander è pertanto un universo più “adulto”, dove i ricordi di scuola sono ormai lontani e mitizzati e chi non riesce ad adeguarsi alle severe leggi vigenti oppure ad usare al meglio la magia viene trattato da reietto se non addirittura obliviato e ucciso.


Aggiungere qualcos’altro relativamente alla trama imbastita dalla Rowling è peccato mortale, il bello di Animali fantastici e come trovarli è proprio quello di godersi una storia nuova, all’interno della quale le dinamiche tra i personaggi principali e la natura dei villain (sotto alcuni aspetti prevedibili, per altri meno) sono tutte da scoprire per poi cominciare a ricamare tutta una serie di congetture, pensieri e speranze. Quello che posso dire è che il bestiario messo in piedi dai tecnici degli effetti speciali è delizioso; accanto all’inevitabile omaggio ad animaletti già comparsi nei film precedenti che però in questa pellicola ottengono un ruolo maggiore, come per esempio l’asticello, compaiono finalmente bestiole mitiche come lo Snaso (mattatore indiscusso di buona parte del primo tempo) e il Purvincolo e si aggiungono quegli animali che i lettori del libro della Rowling aspettavano da tempo di vedere portati in vita. Da bambina quale sono, mi sono innamorata sia del mondo nascosto all’interno della valigia di Newt, un trionfo di CG combinata alla bellezza artigianale delle scenografie classiche, sia delle adorabili bestie piumate e pelose che i nostri devono recuperare (lo scimmiesco Demiguise è tenerissimo ma il premio dolcezza va agli Occamy e, soprattutto, al meraviglioso Tuono Alato di nome Frank, che interagisce assieme ad Eddie Redmayne con una naturalezza incredibile), e ammetto che anche se il film fosse stato carente per quel che riguarda il reparto “battaglie a colpi di bacchetta magica” sarei uscita comunque molto soddisfatta. Da fangirl quale sono (quindi non solo bimbaminkia), mi sono anche ritrovata a fare un tifo spaventoso per la buona riuscita di una relazione sentimentale tratteggiata magnificamente, scritta da una Rowling particolarmente ispirata e interpretata da due attori che, non me ne vogliano quelli principali e soprattutto le fan di Redmayne che mi pare sempre più assimilabile per aspetto fisico al rospo Demetan, mi sono rimasti nel cuore più di tutti gli altri, ovvero il cicciotto Dan Fogler e la svampita Alison Sudol, che spero verranno riconfermati anche nel prossimo film. Redmayne, come ho detto, continua a non piacermi ma per il personaggio schivo di Newt Scamander sfodera un linguaggio corporeo e un'interpretazione a dir poco perfetti mentre se devo proprio trovare un difetto al film lo ricercherei nell’insipienza di Tina e dell’attrice che la interpreta, difetto superato solo da un diludendo finale con tanto di occhi roteati che ovviamente non spoilero. A parte questo, mi unisco all’inaspettato applauso spontaneo partito in sala durante i titoli di coda e confermo quello che ho scritto su Facebook appena uscita dalla visione: cinematograficamente parlando, Animali fantastici e dove trovarli è MOLTO meglio di Harry Potter. E ora, resta "solo" da aspettare il 2018!  


Del regista David Yates ho già parlato QUI. Eddie Redmayne (Newt Scamander), Colin Farrell (Graves), Katherine Waterston (Tina Goldstein), Dan Hedaya (Red), Jon Voight (Shaw senior) e Ron Perlman (Gnarlack) li trovate invece ai rispettivi link.

Samantha Morton interpreta Mary Lou. Inglese, la ricordo per film come Minority Report, The Libertine e Elizabeth: The Golden Age. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 41 anni e un film in uscita.


Dan Fogler interpreta Kowalski. Americano, ha partecipato come doppiatore a film quali Kung Fu Panda e a serie come American Dad! e Robot Chicken; come attore, è comparso in serie quali Hannibal. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e tre film in uscita.


Ezra Miller interpreta Credence Barebone. Americano, ha partecipato a film come ... e ora parliamo di Kevin, Noi siamo infinito e Suicide Squad. Ha 24 anni e tre film in uscita, ovvero Justice League, The Flash e Animali fantastici e dove trovarli 2.


Carmen Ejogo interpreta Seraphina Piquery. Inglese, ha partecipato a film come The Avengers - Agenti speciali, Anarchia - La notte del giudizio e Selma - La strada per la libertà. Ha 43 anni e due film in uscita tra cui Alien: Covenant.


Una curiosità divertente sul film: Eddie Redmayne aveva fatto il provino per interpretare Tom Riddle in Harry Potter e la camera dei segreti ma era stato subito scartato mentre, una volta arrivato il successo, è stato la prima ed unica scelta per il ruolo di Newt Scamander. Michael Cera invece ha rinunciato a partecipare come Jacob Kowalski, preferendo lavorare come doppiatore di Robin nell'imminente The Lego Batman Movie. Nell'attesa che esca Animali fantastici e dove trovarli 2, previsto per il 2018, se il film vi fosse piaciuto consiglio di recuperare tutti gli Harry Potter scritti e cinematografici. ENJOY!

giovedì 24 novembre 2016

(Gio)WE, Bolla! del 24/11/2016

Buon giovedì a tutti! Nonostante l'abbondanza di uscite, questa settimana a Savona siamo scarsini e preferiamo trincerarci sui film arrivati in sala giovedì scorso... spero che dalle vostre parti abbiate più fortuna! ENJOY!

La cena di Natale
Reazione a caldo: (mi fa talmente pena che devo ringraziare Mr. Ink per avermi segnalato l'errore di averlo chiamato "Io che amo solo te")
Bolla, rifletti!: La solita, orrida commediola italiana a base di corna, gravidanze inaspettate e rimpianti d'amore, che già dal trailer fa cadere le braccia, soprattutto grazie alla "bella" colonna sonora. Non posso farcela.

Palle di neve
Reazione a caldo: Che due palle!
Bolla, rifletti!: Film canadese ad ambientazione invernale che mi ispira davvero poco. For children only.

Come diventare grandi nonostante i genitori
Reazione a caldo: Se avrò dei figli li farò diventare grandi nonostante l’esistenza di film simili
Bolla, rifletti!: La Disney mette i soldi (probabilmente per garantirsi la presenza di Matthew Modine, poveraccio) e confeziona un orrore pseudo-raffinato a beneficio dei fan di tale Alex & Co., la solita rumenta a base di adolescenti di bella presenza e talent show. A naso, confrontato a questo film anche Jem e le Holograms potrebbe candidarsi a capolavoro dell’anno.

Mechanic: Resurrection
Reazione a caldo: Bono Statham, eh, però…
Bolla, rifletti!: … però non è la molla che mi spinge ad andare a vedere film tamarri, soprattutto se non ho visto il prequel. Ai fan magari potrebbe piacere, chissà.


Al cinema d'élite arriva Oliver Stone!

Snowden
Reazione a caldo: Mooolto interessante!!
Bolla, rifletti!: Come sapete, adoro Joseph Gordon Levitt quindi Snowden sarebbe da vedere anche solo per quello. L'unica cosa che temo è la natura cervellotica del film, basato sulla vita e le "opere" dell'uomo che ha denunciato al mondo i magheggi dell'NSA. Altro enorme problema, gli orari e i giorni limitati di programmazione del cinema d'élite mi impediranno probabilmente di vedere il film...

mercoledì 23 novembre 2016

ATM - Trappola mortale (2012)

Siccome il periodo è propizio, oggi resto in argomento thriller-horror parlando di ATM - Trappola mortale (ATM), diretto nel 2012 dal regista David Brooks.


Trama: lasciata la festa natalizia organizzata dall'azienda, a notte tarda, tre impiegati tornano a casa insieme ma decidono di fermarsi a ritirare dei soldi da un bancomat. Conclusa l'operazione si ritrovano però l'uscita bloccata da un misterioso uomo incappucciato...



Durante i titoli di coda di ATM mi sono chiesta come affrontare il post: sarebbe stata meglio la serietà oppure l'utilizzo di un approccio ironico? Ancora meglio: mi è piaciuto o non mi è piaciuto questo film? La risposta l'ho ottenuta dal dialogo intercorso tra me e la mia collega alla quale ho cercato di raccontare ATM, tentativo conclusosi con lei piegata in due dalle risate e io che mi maledicevo per non avere registrato il "cineracconto" che le ha allietato la giornata lavorativa. Senza stare a riproporvi la versione bollesca del film, posso lo stesso affermare con certezza che ATM è una cretinata che prende a schiaffi la suspension of disbelief e che, se fosse ambientata nella realtà, si concluderebbe dopo cinque minuti. Non sto a fare troppi spoiler ma, in sostanza, i tre protagonisti del film sono uno più scemo dell'altro, ognuno in modo diverso, e meritano giustamente di venire perculati da chiunque abbia desiderio di vederli morti. Corey è scemo perché il ruolo glielo impone, è l'amico stronzo che non capisce di essere il terzo incomodo e fa di tutto per rovinare la serata a David che, finalmente, ha trovato il coraggio di chiedere a Emily di uscire; David è scemo perché si fa intortare da Corey e, ancora peggio, non ha le palle per spingere gli altri due ad affrontare subito un tizio che, di fatto, si limita a stare fermo davanti all'ATM senza mostrare segni di ostilità, almeno all'inizio; Emily è scema perché copre una distanza di almeno 100 metri abbandonando un'automobile (non sua) senza chiuderla (e va bene, il telecomando non funziona ma ce l'avrai una chiave??) e lasciando, alle 2 di notte, borsa e cellulare sul sedile. Queste tre aquile, grazie a cotanta manifesta inettitudine, consentono ad un tizio incappucciato di fingersi un genio del male capace di pianificare violenze inaudite progettate con mesi di anticipo quando, nella realtà, un povero cretino incappucciato ma disarmato verrebbe giustamente corcato di mazzate da tre giovani nel fiore degli anni, senza avere tempo di mettere in piedi tutte le sue machiavelliche trappole o di ottenere armi da vari malcapitati che non hanno di meglio da fare che passeggiare di notte accanto a bancomat isolati.


Date le premesse, capirete perché ho passato il restante minutaggio della pellicola a sbuffare davanti alle torture psicologiche dell'incappucciato, sempre più improbabili col passare del tempo, e, nonostante abbia dato atto agli sceneggiatori della loro capacità di rendere dinamico l'assedio di un luogo spazialmente limitato come un ATM, è anche vero che del destino dei protagonisti non mi caleva né tanto né poco. Come nei migliori thriller tutto torna nel finale ma grazie al pazzo: non c'è UN solo evento all'interno del film che non risulti forzato, condotto da un deus ex machina particolarmente svogliato palesemente pagato da un ingegnere gestionale con velleità di killer e non mi basta che gli sceneggiatori cerchino disperatamente di convincere lo spettatore a dubitare, a turno, di ognuno dei tre assediati, facendo credere che qualcuno sia in combutta con il maniaco incappucciato. Bimbi belli, mi spiace ma il gioco non regge e con questo mi sa che, pur non volendo, un po' ho spoilerato. A concorrere nel rendere il film poco interessante ci si mettono anche gli attori, non particolarmente carismatici né espressivi. La bionda Alice Eve è la tipica bellezza americana un tanto al chilo, garbatamente sensuale ma senza esagerare, ché comunque il suo ruolo è quella dell'impiegata, mentre Brian Geraghty e Josh Peck si distinguono l'uno dall'altro giusto per la differenza del colore dei capelli, visto che nessuno dei due colpisce particolarmente l'attenzione dello spettatore. Infine, se pensate che il regista David Brooks si è poi dedicato completamente all'attività di produttore, capirete che anche la regia di ATM è totalmente anonima quindi il post può tranquillamente concludersi qui, visto che sul film non c'è praticamente nient'altro da dire. Forse era davvero meglio il cineracconto spoilerosissimo, almeno mi facevo quattro risate.

David Brooks è il regista della pellicola, al suo primo e finora unico lungometraggio. Probabilmente americano o canadese, ha lavorato anche come produttore e sceneggiatore.


Brian Geraghty interpreta David Hargrove. Americano, ha partecipato a film come Jarhead, Chiamata da uno sconosciuto, The Hurt Locker e serie come I Soprano e Broadwalk Empire. Anche produttore, ha 41 anni e tre film in uscita.


Alice Eve interpreta Emily Brandt. Inglese, ha partecipato a film come Sex and the City 2, The Raven, Man in Black 3 e serie come Black Mirror. Anche produttrice, ha 34 anni e cinque film in uscita.


Josh Peck, che interpreta Corey, è la voce originale dell'opossum Eddie nella saga L'era glaciale. Se ATM - Trappola mortale vi fosse piaciuto recuperate Identità, Saw - L'enigmista e magari anche Frozen. ENJOY!

martedì 22 novembre 2016

Swiss Army Man (2016)

Dopo un tam tam mediatico durato settimane e una vittoria al Sundance, approda anche sul Bollalmanacco (sempre col solito ritardo) Swiss Army Man, opera d'esordio dei registi e sceneggiatori Daniels, alias Dan Kwan e Daniel Scheinert.


Trama: Henry si ritrova solo su un isola deserta e, disperato, tenta il suicidio. L'improvvisa comparsa del cadavere di un uomo, portato dalla risacca, lo distoglie dai suoi intenti e lo spinge ad intraprendere un particolare ed avventuroso viaggio di ritorno verso casa...



Il post su Swiss Army Man sarà molto breve purtroppo ma non perché il film non mi sia piaciuto. Anzi, Swiss Army Man è probabilmente uno dei film più interessanti dell'anno, anche perché è difficile trovarne uno in grado di suscitare nello spettatore la stessa abbondanza di sensazioni contrastanti: perplessità, divertimento, ribrezzo, ansia, divertito disgusto, fascinazione, tristezza, ancora disgusto, commozione, pietà, tristezza e persino speranza, tutte mescolate senza soluzione di continuità. E' per far sì che queste sensazioni vi colpiscano in modo fresco ed inaspettato che vorrei parlare il meno possibile di Swiss Army Man, perché il film dei Daniels va scoperto poco a poco, accettando anche di non avere tutte le risposte alla fine della visione o di vivere l'avventura di Henry in base alla propria predisposizione d'animo individuale. Che potrebbe anche portarvi a considerare questa pellicola la peggiore delle p*ttanate, eh, mica detto. Oggettivamente, posso dire senza paura di venire smentita che Paul Dano e Daniel Radcliffe si impegnano al massimo delle loro possibilità portando a casa due delle interpretazioni più belle dell'anno (soprattutto Radcliffe, mai così perfetto in tutta la sua carriera) mentre la fantasia e la cura con le quali i Daniels giocano con regia, scenografie, montaggio e soprattutto colonna sonora creano un'opera che ricorda tantissimo gli esperimenti più folli di Gondry e Jonze. Quindi, oggettivamente parlando, Swiss Army Man è un film bellissimo, girato ed interpretato da Dio, e nessuno potrà convincermi del contrario. Da un punto di vista meramente soggettivo, l'ho trovato assurdamente commovente in ogni sua sfaccettatura e ho molto apprezzato il modo in cui un uomo sconfitto dalla vita (che, probabilmente, non ha MAI saputo vivere) si ritrovi costretto a spiegarne la bellezza e la trivialità, a vivere tutte le gioie di cui si è sempre privato per paura e ad apprezzare anche ciò che normalmente diamo per scontato oppure ignoriamo per pudicizia. E qui mi devo fermare, necessariamente, o parte lo spoiler. Aggiungo solo che neppure la Disney ha mai raccontato così bene la bellezza di riuscire ad essere sé stessi e di assaporare la libertà di vivere semplicemente, senza paura del giudizio altrui, a prescindere da quanto siamo strani, brutti o impacciati (in una parola umani)... e che non bisogna tenersi tutto dentro. Non sempre almeno, via.


Di Paul Dano (Henry), Daniel Radcliffe (Manny) e Mary Elizabeth Winstead (Sarah) ho già parlato ai rispettivi link.

Dan Kwan e Daniel Scheinert, conosciuti come "Daniels" sono i registi e sceneggiatori della pellicola, al loro primo lungometraggio. Assieme hanno diretto video per artisti come Tenacious D, Foster the People e pubblicità per marchi quali Levi's, Weetabix e Converse.


Se Swiss Army Man vi fosse piaciuto recuperate Weekend con il morto, Fido e Lars e una ragazza tutta sua. ENJOY!


domenica 20 novembre 2016

Animali notturni (2016)

Approfittando di un'"offerta che non potevo rifiutare", venerdì sono andata a vedere Animali notturni (Nocturnal Animals), diretto e co-sceneggiato dal regista Tom Ford a partire dal romanzo Tony & Susan di Austin Wright e vincitore del Leone d'argento all'ultima Mostra del cinema di Venezia.


Trama: la ricca gallerista Susan riceve dall'ex marito, dalla quale è divorziata da diciannove anni, il manoscritto del romanzo Animali Notturni, a lei dedicato. Immersa nella lettura del manoscritto, Susan sarà costretta a ripensare agli errori del passato...


Un vecchio adagio recita "Ne uccide più la penna che la spada". Il secondo film di Tom Ford (e mi si perdoni l'ignoranza ma non ho mai guardato A Single Man) è la perfetta rappresentazione per immagini di questa antica massima e di una tristissima crisi di mezza età. Susan è una donna ricchissima, sposata con un marito bello ma inespressivo che la tradisce con una donna ben più giovane, ed è giunta ad un punto della sua esistenza in cui l'importantissimo lavoro di gallerista non la soddisfa né la entusiasma più, al punto che l'insofferenza per tutto ciò che la circonda non la fa dormire la notte. Inaspettatamente, dopo diciannove anni di silenzio, Susan riceve il manoscritto del primo romanzo del suo ex marito, Edward. Non sappiamo perché i due hanno divorziato né perché non si parlano più dopo tutti questi anni ma sta di fatto che il primo romanzo completato dallo scrittore è interamente dedicato a Susan e lei, approfittando dell'ennesima assenza del marito, comincia a leggerlo. Animali Notturni (identico al soprannnome dato da Edward a Susan) è l'agghiacciante storia di una famiglia che, in viaggio per le strade desolate del Texas, viene attaccata da un quartetto di balordi e costretta a vivere un'esperienza terribile che poco ha da invidiare ad un horror e Susan, come vediamo, ne è profondamente colpita, al punto da arrivare a vivere sulla propria pelle le sensazioni dei protagonisti. Immergersi in questi due livelli narrativi paralleli e capire cosa abbiano a che fare l'uno con l'altro è l'aspetto più bello di Animali Notturni e rovinarsi il gusto dell'esperienza con degli spoiler sarebbe nocivo; aggiungo solo che il film di Tom Ford è la storia crudele di una vendetta sottile, l'urlo disperato di chi si è visto strappare dalle mani ogni cosa buona e la triste sconfitta di chi non ha mai neppure provato ad affrontare la vita con coraggio, fuggendo per cordardia da un'esistenza magari priva di agi ma quasi sicuramente ricca di "sentimento", di emozioni capaci di travalicare una vuota apparenza.


E l'apparenza è ciò che colpisce maggiormente guardando Animali notturni, a partire dal sublime trash della sequenza iniziale, a base di ciccione twerkanti e lustrini, per arrivare allo skyline di una New York patinatissima e al trucco pesante di una Amy Adams splendida. L'estetica vuota del mondo reale (o meglio, del mondo di Susan), fatto di arte moderna, superfici riflettenti, accecanti luci al neon, candele soffuse e look curatissimi, fa a pugni con i flashback di una vita semplice e priva di orpelli e, soprattutto, con i colori saturi di un Texas da incubo, caratterizzato da tramonti infuocati, impietose distese desertiche e un'umanità che raschia il fondo della depravazione. Amy Adams sfoglia le pagine del manoscritto mentre la macchina da presa di Ford ne coglie ogni espressione, ogni moto di dolore, paura e stupore, affiancandole grazie ad un montaggio superbo alle emozioni di chi, all'interno del romanzo, soffre e muore in un'incontrollabile spirale di violenza. Al vuoto di una vita "reale" ma malvissuta (Susan chiede alla giovane assistente "Pensi mai che alla fine la tua vita non si sia rivelata come volevi che fosse?"), all'interno della quale persino i quadri diventano meri oggetti di arredamento invece che espressioni della personalità dell'artista e dove la quotidianità coi figli viene affidata alle app degli onnipresenti smartphone, si contrappongono dunque le potenti emozioni di un'opera di finzione che, di fatto, risulta molto più "vera" del mondo surreale abitato da Susan e compagnia; l'animo dell'artista, vomitato su carta e concretizzatosi in fiumi d'inchiostro, si rivela così un'arma potentissima capace di scuotere le coscienze "ciniche" e mandare in frantumi un'esistenza dalla quale è stato brutalmente buttato fuori. Alla fine della fiera, Animali notturni lascia un pesante senso di sconfitta che si estende a tutti i protagonisti, "reali" o di finzione che siano, a prescindere che si tratti di persone colpevoli di qualunque peccato si possa loro imputare o innocenti, e l'unico ad uscirne vincitore è lo spettatore che si è goduto quasi due ore di ottimo Cinema (dove, per una volta, la bellezza formale è assolutamente indispensabile e funzionale alla trama) e una di quelle rare opere capaci di far riflettere e discutere.


Di Amy Adams (Susan Morrow), Jake Gyllenhaal (Tony Hastings/Edward Sheffield), Michael Shannon (Bobby Andes), Aaron Taylor-Johnson (Ray Marcus), Isla Fisher (Laura Hastings), Armie Hammer (Hutton Morrow), Laura Linney (Anne Sutton), Andrea Riseborough (Alessia), Michael Sheen (Carlos) e Jena Malone (Sage Ross) ho già parlato ai rispettivi link.

Tom Ford è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come A Single Man. Anche attore, produttore e stilista, ha 55 anni.


Karl Glusman interpreta Lou. Americano, ha partecipato a film come e serie come Ratter: Ossessione in rete e The Neon Demon. Ha 28 anni e un film in uscita.


Ellie Bamber, che interpreta India Hastings, ha partecipato ad PPZ: Pride and Prejudice and Zombies nei panni di Lydia Bennet. Sinceramente, se Animali notturni vi fosse piaciuto non saprei quale altro film consigliarvi di vedere... probabilmente, io recupererò A Single Man! ENJOY!

venerdì 18 novembre 2016

Ouija: L'origine del male (2016)

Con tre tranquillissime settimane di ritardo è arrivato anche a Savona Ouija: L'origine del male (Ouija: Origin of Evil), diretto e co-sceneggiato dal regista Mike Flanagan nonché sequel dell'abominevole Ouija.


Trama: Alice Zander, vedova con due figlie, si guadagna da vivere fingendo doti di sensitiva e abbindolando chi cerca di parlare coi propri cari defunti. Per aggiungere spettacolarità alle sue frodi decide di acquistare una tavoletta ouija ma lo strumento comincia ad influenzare negativamente Doris, la figlia minore...


Dopo la visione di quella schifezza invereconda di Ouija, horror fatto coi piedi se mai ce n'è stato uno, rivolto ad un pubblico di bambini minorati, l'idea che a qualcuno fosse venuto in mente di produrre e girare un sequel mi aveva portata a giurare di non guardarlo neppure per sbaglio. Quando hanno cominciato a circolare voci sul coinvolgimento dell'apprezzato Mike Flanagan e, soprattutto, quando sono spuntati i primi, terrificanti trailer, la mia decisione è venuta meno, al punto che Ouija: L'origine del male è diventato uno dei must see della stagione. Ora che finalmente ho avuto modo di guardarlo, posso dire che come sequel è sicuramente meglio del predecessore, ma ci voleva poco, e che in generale come horror è molto gradevole e spaventevole il giusto. Niente di eclatante, per carità, ché Flanagan ha fatto di meglio, tuttavia la personalità del regista si sente, almeno nella prima parte della pellicola. Ouija: L'origine del male in verità è, come dice il titolo, il prequel di Ouija ma è un film godibilissimo anche da chi non ha mai guardato il primo capitolo della saga, se così si può chiamare; ambientato nella Los Angeles degli anni '60, si concentra sulle vicissitudini della famiglia Zander e sugli sforzi di mamma Alice per sbarcare il lunario e crescere due figlie comprensibilmente traumatizzate dalla morte improvvisa del padre. Immerse in un'atmosfera che mescola elementi religiosi (le ragazze frequentano una scuola cattolica e Doris prega ogni sera) ed esoterici (il sostentamento della famiglia proviene dalle false sedute spiritiche della madre, eseguite con l'aiuto delle figlie), le due fanciulle fanno del loro meglio perché la loro vita sociale non venga rovinata da questa condizione disagiata ma Doris, la più piccola e permeabile alle suggestioni, conserva nel suo cuore la speranza che le arti della madre siano vere e che le consentano un giorno di parlare con l'amato papà. Quando la terribile tavoletta ouija entra nella loro casa, Doris comincia a sviluppare strane abilità e diventa il canale attraverso cui gli spiriti riescono a comunicare con i vivi e ovviamente Alice, spinta anche dalla convinzione che il marito defunto abbia avvicinato la piccola, inizia ingenuamente a sfruttare il dono della bambina per legittimare il proprio lavoro di ciarlatana, ignorando le regole del buonsenso fino all'estremo punto di rottura (nel vero senso della parola). Da qui in poi il film si snoda su percorsi abbastanza prevedibili e l'approfondimento psicologico-sociale della vicenda viene un po' gettato alle ortiche, preferendo concentrarsi su una serie pressoché ininterrotta, benché nel mio caso efficace, di sequenze inquietanti e jump scare assortiti, quasi tutti incentrati sulla terrificante "mascella snodata" di Doris.


Ouija: L'origine del male è dunque un film dove la mano dell'autore, sia alla regia che alla sceneggiatura, si vede e si sente, ma è una mano frenata dalle esigenze di mercato e dalle necessità della Blumhouse factory, la quale fondamentalmente esige prodotti assai simili, di rapido consumo e remunerativi. La cura iniziale nel tratteggiare i personaggi e cercare di renderli diversi dalle figure monodimensionali che popolavano Ouija si sottomette, nel corso del film, alle regole di questo tipo di horror a base di possessioni spiritico-demoniache, tanto che la seconda parte di L'origine del male probabilmente arriverà a confondersi, col tempo, nel calderone delle mille altre pellicole a tema che ho visto in questi ultimi anni. Stesso discorso per la regia. Flanagan si prende il tempo di giocare non solo con le atmosfere vintage, aggiungendo di tanto in tanto delle "scollature" tra un fotogramma e l'altro così da simulare l'utilizzo della vecchia pellicola, ma impone allo spettatore il punto di vista degli spiriti che circondano la famiglia Zander, ruotando spesso la cinepresa dall'alto verso il basso, oppure sceglie di mostrarci cose spaventevoli lasciandole volutamente sfocate e in secondo piano, concentrandosi sulle espressioni bellamente ignare di chi non ha idea di cosa stia accadendo alle sue spalle. Sono tocchi di stile che, come ho detto, alla lunga sono costretti a lasciare spazio ad una risoluzione imperniata sull'effetto digitale rapido e scioccante, talvolta fatto a tirar via (a mio avviso la scena del "bungee jumping col morto" è inguardabile), e sul make-up a effetto più che sull'intelligenza di regia e montaggio. Dunque Ouija: L'origine del male rischia di farsi ricordare giusto per l'aria di modernariato data da costumi, trucco e parrucco delle protagoniste, per la colonna sonora a tema e per le fattezze genuinamente inquietanti della giovanissima Lulu Wilson, fin dai trailer vero fulcro della pellicola nonché bimbetta dal sorriso maligno ben più terrificante di qualsiasi bambola Annabelle: che l'attrice sia stata una delle poche persone, assieme agli sceneggiatori, ad avere compreso le reali implicazioni della "possessione" e la natura del destino di Doris? A prescindere, spero di rivederla presto in altri film di genere, prima che l'incedere dell'età la condanni al dimenticatoio come altri suoi colleghi bambini. A voi intanto consiglio la visione di Ouija: L'origine del male senza aspettarvi troppo e aggiungo di rimanere in sala fino alla fine dei titoli di coda (o mandare avanti veloce sperando non li abbiano tagliati) perché c'è una breve scena post-credit che lega definitivamente il film di Flanagan al suo abominevole predecessore.


Del regista e co-sceneggiatore Mike Flanagan ho già parlato QUI. Doug Jones (il fantasma di Marcus), Kate Siegel (Jenny Browning) e Lin Shaye (Lina Zander) li trovate invece ai rispettivi link.

Elizabeth Reaser interpreta Alice Zander. Americana, ha partecipato a film come Twilight, The Twilight Saga: New Moon, The Twilight Saga: Eclipse, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2 e serie quali I Soprano, Grey's Anatomy e True Detective. Ha 41 anni.


Henry Thomas interpreta padre Tom Hogan. Americano, universalmente conosciuto come il piccolo Eliott di E.T. L'extraterrestre, ha partecipato a film come Valmont, Psycho IV, Vento di passioni, Gangs of New York, Desperation e serie quali Masters of Horror, Incubi e deliri e CSI - Scena del crimine. Ha 45 anni e un film in uscita, l'imminente Il gioco di Gerald.


Annalise Basso, che interpreta Lina, aveva già partecipato al film Oculus - Il riflesso del male, sempre diretto da Flanagan mentre la piccola Lulu Wilson, che interpreta Doris, tornerà ad inquietarci nell'imminente Annabelle 2. Come ho già avuto modo di dire nel post, Ouija: L'origine del male segue (o meglio, precede) l'orrido Ouija, che non vi consiglio di recuperare: se il film di Flanagan vi fosse piaciuto guardate piuttosto Oculus - Il riflesso del male e Somnia. ENJOY!

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