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martedì 5 settembre 2023

Bolla Loves Bruno: I protagonisti (1992)

Bolla Loves Bruno atipico quello di oggi, perché parliamo de I protagonisti (The Player), diretto nel 1992 dal regista Robert Altman, dove Bruccino compare per 1 minuto o poco più.


Trama: il produttore hollywoodiano Griffin Mill si ritrova ad essere oggetto di misteriose minacce. Nel tentativo di fare chiarezza, la sua vita si ingarbuglia ancora di più...


Non avendo mai visto I protagonisti, ho dovuto rischiare. Immaginavo che Bruce avrebbe avuto giusto una particina, visto che interpretava se stesso, ma nel caso non fosse stato così mi sarei sentita punta nella mia pignoleria. E' andata comunque bene, perché I protagonisti è la satira graffiante e tristemente attuale di un sistema che ha rifiutato i grandi Autori degli anni '70 preferendo un cinema di consumo e privo di coraggio, dove le cose che contano di più sono happy ending (anche paradossali), divi strapagati e tutto ciò che possa attirare lo spettatore medio, che ovviamente va fidelizzato. Altman si mette al servizio dello sceneggiatore Michael Tolkin e riporta su schermo tutto il suo disgusto verso il sistema delle grandi case di produzione, da cui il regista era stato tenuto lontano per anni, trasmettendo allo spettatore la sensazione di un "anti-sogno", di un freddo e caotico business dove uomini d'affari in giacca e cravatta plasmano e guidano i gusti del pubblico puramente in base a un'idea di profitto. Lo splendido piano sequenza iniziale, in tal senso, è lapalissiano: dieci minuti durante i quali miriadi di idee nascono e muoiono nel giro di una telefonata o una rapida conversazione, con gli studios brulicanti di formiche umane in cerca di una briciola di torta, i loro destini appesi a un filo anche nel caso di personaggi influenti, come nel caso di Griffin Mill. Quest'ultimo, il protagonista del film, è un giovane produttore che rischia di venire messo da parte in favore di un collega e che, come se non bastasse, continua a ricevere minacciose cartoline da parte di uno sceneggiatore scartato. Questo è l'aspetto del film che può risultare gradevole anche per chi non è appassionato di cinema, in quanto I protagonisti ha l'ossatura di un thriller non privo di colpi di scena, all'interno del quale le indagini di Mill prendono una piega sinistra e sempre più pericolosa; la cinepresa di Altman, coadiuvata dall'ottimo montaggio di Geraldine Peroni, circonda Mill di presagi funesti nascosti in locandine e cartoline, lo rende oggetto di sguardi da parte di figure sempre un po' defilate e accresce così il ritmo e la suspance del film.


So che la rubrica dovrebbe parlare di Bruce Willis (il quale, negli anni '90, poteva già permettersi di parodiare se stesso in una breve sequenza che è la summa di tutti i suoi personaggi, ironici e badass fino al midollo) ma il cuore nero de I protagonisti, stavolta, è Tim Robbins. Mill non è un personaggio gradevole, per nulla; fin dall'inizio viene connotato come uno squalo dai gusti snob, un uomo pavido consapevole dei suoi modi sbagliati, praticamente il "fratello" del protagonista di un altro film con Bruce Willis, Il falò delle vanità. Anche in questo caso, una sceneggiatura amaramente ironica sottolinea come, in una società dove l'unica cosa a contare sono fama e soldi, gente come Mill avrà sempre vita facile, non necessariamente per i "capricci" di uno sceneggiatore, ma è comunque difficile non lasciarsi coinvolgere, per buona parte del film, dalle vicende del protagonista e non tifare per lui, visto che tutto è filtrato dalla sua percezione personale. Tim Robbins è stata una scelta di casting fondamentale, con quella sua faccina da bimbo e gli occhi di un freddo blu che, da sempre, gli conferiscono un'aura ambigua, mentre l'altro colpo di genio è stato affiancargli co-protagonisti ancora più sgradevoli di lui e dotarlo di un antagonista, di uno stalker e persino di un affascinante love interest, tutti subdoli cliché che impediscono allo spettatore di odiarlo come meriterebbe. L'importante, guardando I protagonisti, è non lasciarsi sviare dalla marea di attori famosi che appaiono anche solo per un istante a gettarci fumo negli occhi (e deliziarci con battute improvvisate), facendoci girare la testa con la testarda illusione che, una volta arrivati a Hollywood, si possa inciampare in stelle del cinema e venire annaffiati di champagne, ma il gioco del who's who appassiona e regala momenti epici come quello del monologo dell'adoratissimo Richard E. Grant e la spassosa sequenza dell'interrogatorio con riconoscimento annesso, durante i quali credevo di strozzarmi dalle risate ad ogni espressione di Whoopi Goldberg. Come avrete capito, se non avete mai visto I protagonisti vi siete persi una gran cosa che consiglio senza remore... e pazienza per Bruno, al quale dò un amorevole appuntamento per il prossimo film!

Non si nomina Bruno!

Del regista Robert Altman ho già parlato QUI. Tim Robbins (Griffin Mill), Whoopi Goldberg (Detective Avery), Peter Gallagher (Larry Levy), Brion James (Joel Levison), Vincent D'Onofrio (David Kahane), Dean Stockwell (Andy Civella), Richard E. Grant (Tom Oakley), Jeremy Piven (Steve Reeves), Karen Black, Michael Bowen, Gary BuseyRobert Carradine, CherJames CoburnJohn Cusack, Peter FalkLouise Fletcher, Teri Garr, Jeff GoldblumElliott GouldAnjelica Huston, Jack LemmonAndie MacDowell, Malcom McDowell, Nick NolteJulia Roberts, Mimi RogersAlan RudolphSusan SarandonRod SteigerRobert Wagner e Bruce Willis li trovate invece ai rispettivi link.

Greta Scacchi interpreta June Gudmundsdottir. Nata a Milano, ha partecipato a film come Presunto innocente, Jefferson in Paris, Emma, Il morso del coniglio e a serie quali The Terror. Ha 63 anni e un film in uscita.

Fred Ward interpreta Walter Stuckel. Americano, indimenticabile Earl Bassett della saga Tremors, ha partecipato ad altri film come America oggi, Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale, Reazione a catena, e a serie quali L'incredibile Hulk, Grey's Anatomy, E.R. Medici in prima linea e True Detective. Anche produttore, è morto l'anno scorso, a 80 anni.


Nella miriade di guest star presenti nel film e non ancora "coperte" da un post sul Bollalmanacco segnalo il regista Sydney Pollack nei panni di Dick Mellen, Gina Gershon (Whitney Gersh) e, come se stessi, Richard Anderson, Harry Belafonte, Brad Davis, Dennis Franz, Scott Glenn, Sally Kellerman, Marlee Matlin, Burt Reynolds e Lily Tomlin, mentre le scene con Jeff Daniels e Patrick Swayze sono invece state tagliate. Nel 1997 era stato realizzato un pilot televisivo mai mandato in onda, con Patrick Dempsey nel ruolo di Mill. ENJOY!

martedì 25 febbraio 2020

Cattive acque (2019)

Messo di fronte ad una scelta, per il cinema della domenica il Bolluomo ha optato per Cattive acque (Dark Waters) diretto nel 2019 dal regista Todd Haynes.



Trama: Un giovane avvocato si ritrova dover intentare una causa milionaria all'azienda chimica DuPont, rea di aver inquinato le acque di svariate cittadine del West Virginia.



Se devo essere onesta, stavolta devo ringraziare il Bolluomo per aver proposto di guardare Cattive acque, perché non ero granché ispirata. Dal trailer, nel quale spiccava un Mark Ruffalo particolarmente bolso, si evinceva la solita mattonata americana di denuncia, tratta da una storia vera, a base di avvocati ed indagini, ma guardando il film si può capire che questi aspetti sono solo la punta dell'iceberg di una pellicola molto umana, costruita più come un thriller che come legal drama, ancor più angosciante di questi tempi in cui la gente ha perso la testa per il Coronavirus. La vicenda è tratta dall'articolo The Lawyer Who Became DuPont's Worst Nightmare di Nathaniel Rich e il titolo del pezzo in questione dà proprio l'idea di come il fulcro di tutto sia la testardaggine di Rob Bilott, avvocato che, benché all'inizio riluttante, non si è mai tirato indietro una volta addentata la carne nera di un'azienda chimica tra le più potenti in America, restando tenacemente attaccato alla preda non tanto per la gloria (anzi, ha rischiato più volte vita, carriera e famiglia) quanto piuttosto per l'indignazione e il desiderio di impedire che l'azienda continuasse ad avvelenare gli ignari americani e il resto degli ancor più ignari abitanti del pianeta Terra. L'"incubo" per la DuPont consiste tuttora in una lotta di nervi e soldi, in cui a fronte di scappatoie legali, tentativi di corruzione e di far perdere tempo, Billot non si è mai arreso e ha trovato, a sua volta, vie traverse per impedire che la DuPont uscisse pulita dall'intera faccenda, a costo di prendere le migliaia di persone ammalatesi di cancro a seguito dell'inquinamento delle falde acquifere e aiutarle a far causa, una per una, all'azienda. L'intera vicenda è poi costruita come un incubo, ma per Billot e persone come Wilbur Tennant, allevatore di mucche che ha progressivamente visto il suo bestiame mutare e marcire dentro, una sorte orribile toccata nel tempo a lui e a molti altri abitanti della zona e lavoratori; guardando Cattive acque si ha infatti la netta sensazione del tempo che scorre inesorabile, di un morbo che minaccia di divorare ogni cosa, di una corsa per evitare non solo che la DuPont la scampi ma soprattutto per far sì che la scampino i poveri abitanti delle zone inquinate.


Colpisce, di Cattive acque, una fotografia per l'appunto acquosa e putrida, di luoghi immersi in un inverno perenne, dove però l'aria stessa è cattiva, e colpisce la precisione chirurgica di una regia che si priva di ogni orpello e ogni distrazione che potrebbe accattivarsi il pubblico; l'unica concessione è la vista della famiglia di Billot, che sullo sfondo cresce e muta, scandendo il tempo che scorre e anche raccontando qualcosa di più di un uomo allevato con valori cristiani e in cerca di un posto da chiamare davvero casa, senza trasformarlo né in un santo né in un martire ma sottolineando la sua natura di persona semplice, di uomo comune dai saldi principi. Semplice non sarà, ma anche i principi di Mark Ruffalo parrebbero ben saldi, tanto che, oltre ad offrire un'ottima performance come attore, il nostro si è impegnato anche come produttore, affermando ancora una volta la sua natura di "star" impegnata in battaglie sociali, ambientali e persino politiche (lo stesso vale per Tim Robbins, ovviamente). Per il resto, ovviamente, fa molto la vostra predisposizione d'animo verso questo genere di film "d'inchiesta". Personalmente, nel corso della visione ho rasentato più volte quel magone "da frustrazione" che mi accompagna quando guardo pellicole di denuncia particolarmente sentite e riuscite, anche perché Cattive acque non lesina i colpi bassi pur senza risultare mai stucchevole o volutamente patetico; detto questo, sapere che in ognuno di noi c'è un po' di DuPont è davvero angosciante e non posso che augurare ogni bene al vero Rob Billot, pur tristemente consapevole di come il pover'uomo, a differenza di Bruce Banner, morirà ben prima di aver debellato la spaventosa Idra delle multinazionali che hanno irrimediabilmente corrotto la Terra e la nostra salute, un mostro innominabile di cui la DuPont forse non è nemmeno la propaggine peggiore.


Del regista Todd Haynes ho già parlato QUI. Mark Ruffalo (Rob Bilott), Anne Hathaway (Sarah Barlage Bilott), Tim Robbins (Tom Terp), Bill Pullman (Harry Dietzler), Bill Camp (Wilbur Tennant) e Victor Garber (Phil Donnelly) li trovate invece ai rispettivi link.

Mare Winningham interpreta Darlene Kiger. Americana, ha partecipato a film come Turner e il casinaro, Biancaneve e a serie quali Starsky & Hutch, Uccelli di rovo, Ai confini della realtà, Innamorati pazzi, E.R. Medici in prima linea, Six Feet Under, Grey's Anatomy, CSI:NY, Cold Case, 24, Criminal Minds, Under the Dome, American Horror Story e The Outsider. Ha 61 anni.


Se Cattive acque vi fosse piaciuto recuperate A Civil Action. ENJOY!

domenica 20 gennaio 2019

Howard e il destino del mondo (1986)

Già che si trova nel catalogo Netflix, durante i giorni di festa ho costretto il povero Bolluomo a guardare Howard e il destino del mondo (Howard the Duck), diretto nel 1986 dal regista Willard Huyck.


Trama: catapultato sulla Terra da un misterioso vortice, Howard il papero si ritrova alle prese con un universo sconosciuto e per nulla tenero ma per fortuna incontra la cantante Beverly, con la quale cercherà un modo per tornare a casa.


Gesù. Non so quanti giorni (settimane!!) siano passati dalla visione di Howard e il destino del mondo e io riesco a scrivere un post solo ora. E no, non sono una di quelle che ha passato l'infanzia guardando questo film al punto tale da ricordarlo a memoria; l'avrò guardato credo una volta sola e nemmeno tutto e ammetto di essermi vagamente assopita sul finale, durante il recupero, quindi scrivere qualcosa in merito sarà un casino. Nemmeno la presenza del meraviglioso Jeffrey Jones e la curiosità di vedere un imberbe, sfigatissimo Tim Robbins alle prese con un papero umanoide mi hanno salvata dal fatto che Howard il papero, per quanto trashissimo e vagamente imbarazzante, sia innanzitutto troppo lungo, tanto da farmi pregare di vederne presto la fine. Passato infatti il divertimento di vedere una Terra dove tutto viene declinato in chiave paperesca, film compresi, oppure un Howard alle prese con un pianeta sconosciuto, dove OVVIAMENTE un papero antropomorfo causa reazioni dal disgustato al perplesso, con varie sfumature nel mezzo, rimane una pesantissima trama avventurosa a base di alieni che si nutrono di energia e, orrore degli orrori, l'accenno di una love story tra Beverly e Howard. Per carità, per chi conosce i fumetti Marvel da cui hanno tratto il film la cosa non è una novità ma giuro che vedere Lea Thompson interagire "fisicamente" con questo nano inguainato in un costume da papero mi ha provocato più ribrezzo che tenerezza mista a un vago senso di nostalgia (anche perché di Howard il papero ho letto davvero pochissimo). Guardando il film, tra l'altro prodotto da nomi enormi tra i quali spicca quello di George Lucas, non si capisce davvero dove avessero voluto andare a parare i realizzatori. Per omaggiare un simile fumetto FORSE sarebbe servita una seria animata più che un live action a base di pessimi effetti speciali, quindi come "cinecomic" d'annata l'obiettivo è stato mancato. Film d'avventura per ragazzi... sì e no. Nonostante sia stato se non erro censurato nei passaggi televisivi USA, Howard il papero è abbastanza esplicito dal punto di vista sessuale, più nelle immagini che nei dialoghi, e solo la seconda metà della pellicola prevede qualche momento avventuroso concretizzato essenzialmente in un infinito inseguimento in volo/camion/altri mezzi e nella battaglia finale contro un malvagio introdotto in maniera gratuita, nemmeno segnasse l'inizio di un secondo film. Il resto assomiglia più ad una commedia americana leggermente sboccata, una roba tipo "scontro tra diverse realtà" alla Ho sposato un'aliena ma molto meno divertente e, come ho scritto all'inizio, dopo mezz'oretta di citazioni paperesche e Tim Robbins messo in imbarazzo uno alla fine si stufa e getta la spugna.


Per quanto riguarda il comparto tecnico e gli effetti speciali, fa un po' specie che il tutto porti la firma della Lucas Film e della Industrial Light and Magic. L'unica cose davvero terrificante e ben riuscita del film, a ben vedere, è il make up di Jeffrey Jones, impressionante per il modo in cui cambia nel giro di pochi fotogrammi e lo rende un mostro irriconoscibile, per il resto... eh. Diciamo che Lucas e compagnia hanno peccato di arroganza, sperando di riuscire ad affidare il "ruolo" di Howard a degli animatronics e ritrovandosi alla fine a dover optare per attori di diverse altezze da infilare all'interno di un vestito da papero, con ovvie e tristissime conseguenze, anche se la voce originale di Howard non è male. Sicuramente, meglio del look anni '80 affibbiato alla povera Lea Thompson e alle canzoni che l'hanno costretta a cantare con un gruppetto di sgallettate dalla dubbia moralità sessuale (sì, dite quello che volete ma le donne all'interno di Howard e il destino del mondo non ci fanno una bellissima figura, ché o sono zoccole o delle povere ochette, sempre per restare in tema). E molto meglio dei dialoghi messi in bocca a Tim Robbins, il quale fortunatamente non è stato toccato dal flop del film ed è andato avanti con la sua professione di attore senza mancare ottimi ruoli e almeno un Oscar, seppellendo giustamente nell'ignominia il suo insopportabile, psicotico Phil Blumburtt, l'unico personaggio "buono" della storia del cinema a sembrare malvagio senza un reale motivo. Howard e il destino del mondo è dunque uno di quei film anni '80 per i quali converrebbe tenersi stretto l'effetto nostalgia di chi ve ne parlerà come un cult della propria infanzia senza metterlo in dubbio, ché recuperarlo nel 2019 vorrebbe dire passare quasi due ore a chiedersi "perché?" oppure prendere un aereo solo per andare a tirare un coppino a George Lucas. Possiamo solo sperare, sicuramente invano, che prima o poi qualcuno come James Gunn riabiliti definitivamente il nome di Howard il Papero con un film degno di essere definito tale.


Di Lea Thompson (Beverly Switzer), Jeffrey Jones (Dr. Walter Jenning) e Tim Robbins (Phil Blumburtt) ho già parlato ai rispettivi link.

Willard Huyck è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Messia del diavolo, Baci da Parigi e La miglior difesa è... l'attacco. Anche produttore e attore, ha 73 anni.


Sotto il costume di Howard si sono avvicendati otto attori ma il principale era Ed Gale, già stuntman utilizzato al posto di Chucky ne La bambola assassina. Howard e il destino del mondo è stato nominato per sette Golden Raspberry Awards, tra cui peggior regista, peggior canzone originale e peggior attore non protagonista  (Tim Robbins), vincendone quattro: Peggior Nuovo Attore (i sei attori e l'attrice nascosti dal costume da papero), peggiori effetti speciali, peggior sceneggiatura e peggior film, vinto assieme a Under the Cherry Moon di Prince. John Landis, al quale era stata offerta la regia del film, ci ha visto lungo e ha declinato. Detto questo, se Howard e il destino del mondo vi fosse piaciuto recuperate i nuovi film Marvel, tutti, perché prima o poi un live action spin-off de I Guardiani della Galassia se lo meriterà il papero... e voi non vorrete arrivare impreparati! ENJOY!


venerdì 13 giugno 2014

Il Bollalmanacco on Demand: Mister Hula Hoop (1994)

Torna dopo una lunghissima pausa la rubrica On Demand! Oggi soddisferò la richiesta della cara Arwen Lynch, padrona del blog La fabbrica dei sogni, che qualche tempo fa mi chiese di parlare di Mr. Hula Hoop (The Hudsucker Proxy), diretto nel 1994 da Joel Coen. Il prossimo film On Demand, per la cronaca, sarà Cracks. ENJOY!!


Trama: il capo della compagnia Hudsucker si suicida gettandosi dall'ultimo piano di un grattacielo e i dirigenti dell'azienda cercano un sostituto idiota che possa convincere gli azionisti a far crollare il titolo. La scelta cade sul neo-assunto Norville Barnes che, tuttavia, ha più di un asso nella manica...


Mr. Hula Hoop era uno dei pochi film dei Coen che non avevo ancora visto e, neanche a dirlo, l'ho adorato. Surreale ed esilarante, mi è sembrato uno strano e bellissimo incrocio tra il miglior Fantozzi e Il canto di Natale (o forse è meglio dire di Capodanno) di Dickens, incentrato ovviamente su quel tipico esemplare di perdente tanto caro ai due fratellini. A differenza dei suoi esimi colleghi, però, Norville si distingue per essere un Candido, un'anima pura coinvolto involontariamente in un gioco di potere più grande di lui; il protagonista di Mr. Hula Hoop non cerca il successo facile, non è frustrato né schiacciato da una vita che non ama perché, come viene chiarito all'inizio, è senza esperienza. Senza esperienza lavorativa e, soprattutto, senza esperienza di vita, Norville è un animo semplice che ambirebbe sì ad una posizione alta all'interno della Hudsucker Company ma non si fa problemi a partire dal gradino più basso in quanto dotato di un'idea rivoluzionaria che, ne è consapevole, lo porterà lontano. Saranno poi le esperienze, la cattiveria o la furbizia di chi lo circonda, soprattutto i soldi guadagnati troppo facilmente a perderlo, privarlo del desiderio di inventare cose meravigliose per rendere felici i bambini in primis e trasformarlo in una brutta persona; tuttavia, siccome Norville non si è scavato volontariamente la fossa della rovina  per avidità o cattiveria (come invece succede ai protagonisti di Fargo o L'uomo che non c'era, giusto per fare due fulgidi esempi), i Coen decidono di dargli una seconda chance e la possibilità di imparare dai suoi errori, per crescere e diventare un uomo degno di tenere tra le mani il tanto bramato successo, per rimanere SU senza buttarsi GIU', letteralmente e metaforicamente.


Questo delicato racconto di formazione viene gestito dai Coen (coadiuvati nella sceneggiatura da Sam Raimi) in modo bizzarro e particolare anche per i loro canoni, sebbene non manchi una fantastica scena onirica sulle note della Habanera della Carmen che ricorda tanto il sogno del Drugo ne Il grande Lebowski. La regia e il montaggio sono frenetici, soprattutto all'inizio, dove immagini, dialoghi e musiche si susseguono senza soluzione di continuità come se il protagonista si trovasse in un vortice: l'interno dell'azienda, dal caotico ufficio postale fino ai piani alti, sembra uscito dritto da un film di Terry Gilliam e riesce a provocare sensazioni di sconcerto, ilarità ed inquietudine. Proseguendo, la pellicola diventa più un divertito omaggio alle commedie anni '50, non solo per i costumi ma anche per la colonna sonora e le inquadrature (emblematica quella del bacio tra Norville ed Amy), amalgamandosi completamente allo straniante inizio senza che si venga a creare un fastidioso senso di rottura, per poi concludersi con un finale che, nonostante l'assurdità e il palese impianto teatrale del deus ex machina, risulta invece convincente e indispensabile. Ovviamente, anche gli attori sono favolosi. Con quella faccia un po' così, l'allampanato Tim Robbins è un perfetto esemplare di loser Coeniano mentre Paul Newman, il cui carisma con l'età si è accentuato anziché diminuire, è un elegante e spietato squalo della finanza. Chapeau anche a tutti gli interpreti di "secondo piano", tra i quali spiccano caratteristi d'eccellenza come Bruce Campbell, Bill Cobbs e Steve Buscemi, capaci di entrare nel cuore con soli 10 minuti di presenza sullo schermo e, soprattutto, alla bella Jennifer Jason Leigh, convincente dark lady per imposizione, dal cuore tenero come burro. Se, come me, non avete mai visto Mister Hula Hoop, cercate di recuperarlo appena possibile perché è davvero un gioiellino!!!


Dei registi Joel Coen ed Ethan Coen (non accreditato come regista ma come sceneggiatore) ho già parlato qui. Tim Robbins (Norville Barnes), Jennifer Jason Leigh (Amy Archer), Bill Cobbs (Moses), Bruce Campbell (Smitty), Steve Buscemi (Beatnik Barman) e Sam Raimi (che, oltre ad essere co-sceneggiatore, offre anche la silhouette ad uno dei "cervelloni" della Hudsucker che cercano il nome per l'hula hoop) li trovate invece ai rispettivi link.

Paul Newman (vero nome Paul Leonard Newman) interpreta Sidney J. Mussburger. Americano, lo ricordo, oltre che per la sua linea di sughi pronti, soprattutto per film come Lassù qualcuno mi ama, La lunga estate calda, La gatta sul tetto che scotta, Lo spaccone, Hud il selvaggio, Nick mano fredda, Butch Cassidy, La stangata, L'inferno di cristallo, Il verdetto, Il colore dei soldi (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore protagonista) ed Era mio padre, inoltre ha prestato la voce per il film Cars - Motori ruggenti. Anche produttore, regista e sceneggiatore, è morto nel 2008, all'età di 83 anni.


Il produttore Joel Silver, a capo della Silver Pictures, avrebbe voluto Tom Cruise al posto di Tim Robbins ma, per fortuna, i Coen hanno insistito e vinto la battaglia; il ruolo di Sydney Mussburger, invece, era stato offerto a Clint Eastwood mentre Jennifer Jason Leigh è riuscita a spuntarla su nomi del calibro di Nicole Kidman, Winona Ryder e Bridget Fonda. Per concludere, se il film vi fosse piaciuto recuperate anche Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Essere John Malkovich o Ricomincio da capo. ENJOY!

domenica 28 luglio 2013

Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy (2004)

Continuiamo con le recensioni di supercazzole tipicamente estive proseguendo sul filone powersiano per arrivare ad un altro dei miei cult: Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy (Anchorman: The Legend of Ron Burgundy), diretto nel 2004 dal regista Adam McKay.


Trama: Ron Burgundy è l’anchorman numero uno di San Diego e assieme alla sua squadra di giornalisti, tutti rigorosamente uomini, è all’apice del successo. Questo finché non arriva Veronica Corningstone, bionda agguerrita e decisa ad affermarsi proprio come primo anchorman donna…


La prima volta che ho potuto “ascoltare” e ovviamente vedere la leggenda di Ron Burgundy ero su un enorme autobus in Australia, diretta a una delle tappe dell’incredibile tour che mi avrebbe portata, tra le altre cose, ad Ayer’s Rock. All’epoca avevo capito il minimo indispensabile per farmi delle grassissime risate e ricordare questo film come un cult che avrei dovuto assolutamente recuperare... e la seconda visione ha ovviamente confermato la sensazione. E pensare che come attori non sopporto né Will Ferrell Steve Carell, invece in Anchorman mi fanno entrambi morire dalle risate, basta solo che aprano bocca, ma non è solo questo a rendere il film uno dei miei preferiti. La verità è che, di solito, è molto difficile conciliare supercazzola farsesca al limite dell'incredibile e comicità un po' più "classica" perché o si rischia di avere un film talmente surreale che la risata viene strappata quasi per stupore, oppure una robetta stantia che ricalca sempre gli stessi cliché, invece Anchorman riesce a dosare tutti questi ingredienti e a tirarne fuori un mix vincente.


La storia segue il solito percorso successo-caduta-redenzione, con il protagonista dipinto come un ignorantissimo anchorman che tiene in pugno la città di San Diego (stay classy, San Diego) nonostante non sappia neppure presentare il notiziario senza leggere tutto quello che passa sul gobbo. Ferrell, conciato come una pornostar anni '70, è favoloso e inanella una gag dopo l'altra, degnamente spalleggiato dalla divertente Christina Applegate e, soprattutto, dal trio di presentatori formato da Paul Rudd, David Koechner e Steve Carell, ognuno dotato di un esilarante tratto distintivo e caratterizzato benissimo: solo per fare un esempio, il quoziente intellettivo del personaggio di Carell dovrebbe essere uguale, se non inferiore, a quello di Zach Galifianakis in Una notte da leoni, eppure fa ridere e non stufa perché ogni sua uscita è contestualizzata e centellinata, senza che la sceneggiatura lo renda il centro dell'attenzione. Dalla storia principale, di tanto in tanto si snodano dei siparietti zeppi di guest star che varrebbero da soli la visione del film per l'incredibile gusto dell'assurdo con cui sono stati girati (la battaglia tra anchormen è a dir poco favolosa) e persino i pochi numeri musicali, che di solito detesto, si incastrano perfettamente nella trama e sono molto piacevoli. Altro non aggiungo perché, per parafrasare un video de Er Piotta, Anchorman "nun va visto, va vissuto".. e come visione estiva è a dir poco perfetto!!


Di Will Ferrell (Ron Burgundy), Paul Rudd (Brian Fantana), Steve Carell (Brick Tamland), David Koechner (Champ Kind), Seth Rogen (il cameraman), Danny Trejo (il barista), Ben Stiller (Arturo Mendes), Jack Black (Steve Graff), Missi Pyle (la custode dello zoo), Tim Robbins (il bieco presentatore della tv pubblica) e Vince Vaughn (Wes Mantooth) ho già parlato ai rispettivi link.

Adam McKay è il regista e cosceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie, Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby (rifiuto di usare il titolo italiano, perdonate…) e Fratellastri a 40 anni. Anche produttore e attore, ha 45 anni e un film in uscita, Ron Burgundy: The Legend Continues.


Christina Applegate interpreta Veronica Corningstone. Americana, ha partecipato a film come Non dite a mamma che la babysitter è morta, Mars Attacks!, Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie e ha doppiato Alvin Superstar 2 e Alvin Superstar 3 – Si salvi chi può!. Ha inoltre partecipato alle serie Casa Keaton, 21 Jump Street e Friends. Anche produttrice, ha 42 anni e due film in uscita, tra cui Ron Burgundy: The Legend Continues.


Fred Willard interpreta Ed Harken. Americano, ha partecipato a film come Le notti di Salem, Roxanne, Giovani diavoli, Austin Powers – La spia che ci provava, American Trip – Il primo viaggio non si scorda mai, Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie e a serie come Love Boat, Saranno famosi, La signora in giallo, Friends, Otto sotto un tetto, Clueless, Pappa e ciccia, Sabrina vita da strega, Innamorati pazzi, Ally McBeal, That’ 70s Show e Wizards of Waverly Place. Come doppiatore, ha lavorato per le serie I Simpson, I Griffin, Il laboratorio di Dexter, Kim Possible e per il film Monster House. Anche sceneggiatore, ha 74 anni e tre film in uscita.


Luke Wilson (vero nome Luke Cunningham Wilson) interpreta Frank Vitchard. Fratello “serio” di Owen Wilson, lo ricordo per film come Scream 2, Rushmore, Charlie’s Angels, I Tenenbaum, Charlie’s Angels – Più che mai, Il giro del mondo in 80 giorni, Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie, My Super Ex-Girlfriend e Vacancy, inoltre ha partecipato alle serie X-Files e That’ 70s Show. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 42 anni e sette film in uscita tra cui Ron Burgundy: The Legend Continues


La prima bozza di sceneggiatura proponeva questi attori per i vari ruoli: John C. Reilly (Champ Kind, per come non sopporto quest'attore preferisco di gran lunga la scelta di Koechner), Ben Stiller (Brian Fantana, sarebbe stato perfetto!!), Ed Harris (Ed Harken), Dan Aykroyd (Garth Holliday, sarebbe stato sprecato per il ruolo), Alec Baldwin (Frank Vitchard, sarebbe stato simpatico da vedere!) e William H. Macy nella parte di un giornalista che poi non è stato usato per il film. Maggie Gyllenhaal, invece, aveva sostenuto il provino per il ruolo di Veronica. Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy è il primo di una trilogia non propriamente ufficiale denominata "Trilogia dell'uomo americano mediocre", il cui secondo capitolo sarebbe Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby e che, molto probabilmente, verrà conclusa a dicembre quando uscirà in America Anchorman: The Legend Continues. Non vedo l'ora di poterci mettere le mani sopra, sperando che gli inetti titolisti italiani rifuggano l'orrenda idea di chiamarlo Fotti la notizia, sarebbe una delle peggiori bestemmie dopo Se mi lasci ti cancello. Nell'attesa che il film, comunque vogliano chiamarlo, esca, vi consiglio il recupero di Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie, uscito solo in video e spin-off della pellicola principale, e di Nacho Libre (altro must australiano!) e Starsky & Hutch. ENJOY!!

lunedì 13 giugno 2011

Alta Fedeltà (2000)

Ho un rapporto di amore e odio con lo scrittore Nick Hornby. L’unico suo libro che ho letto, Non buttiamoci giù, è qualcosa che vorrei dimenticare, da tanto l’ho trovato brutto ed insipido. Per contro ho adorato questo Alta fedeltà (High Fidelity), diretto nel 2000 da Stephen Frears e tratto dall’omonimo romanzo dell’autore inglese.



Trama: dopo essere stato mollato dalla fidanzata Laura, Bob stila la Top 5 delle storie sentimentali che gli hanno spezzato il cuore e cerca di capire cosa non va nella sua vita costellata di fallimenti…



Non intendendomi affatto di musica, mi rendo conto che non sono in grado di apprezzare appieno un film come Alta Fedeltà, che cita a piene mani e vive su album, autori più o meno storici, band conosciute che hanno segnato generazioni. Mi rendo anche conto che, non avendo mai letto il libro, probabilmente avrò capito meno della metà di quello che Hornby voleva comunicare. Però, è anche vero che, se tanto mi da tanto, al mondo ce ne saranno parecchie di persone come me e, considerato che Alta Fedeltà mi è piaciuto tantissimo, uno dei vantaggi del film è quello di essere comunque “universalmente” godibile. Il merito, sicuramente, è da ricercarsi nella trama (particolare ma “semplice”, molto umana), negli attori (semplicemente eccelsi, soprattutto John Cusak, perfetto nel ruolo, e Jack Black, qui in una delle sue prime apparizioni ma già in grado di rubare la scena a tutti gli altri protagonisti e dotato di un’abilità canora sorprendente) e nella colonna sonora, importantissima per la trama stessa di Alta Fedeltà, che conta canzoni come I Want Candy, Walking on Sunshine, Crocodile Rock, Baby I love Your Way, We Are the Champions, e artisti come Elton John, Bruce Springsteen, Lou Reed, Aretha Franklin, i Queen, Elvis Costello, Bob Dylan, Stevie Wonder e Burt Bacharach.



Alta Fedeltà è la storia di un uomo “qualunque”, forse più intelligente di altri, sicuramente più egocentrico e psicolabile. La cosa bella del film è che il punto di vista della vicenda, per come ci viene mostrata, è quello assolutamente parziale di Bob, che ammicca costantemente allo spettatore rivolgendosi direttamente all’audience, come se il filtro dello schermo non esistesse. Detto questo, è ovvio che fin dall’inizio parteggiamo per lui: Bob è simpatico ma sfigato, è stato mollato per ben cinque volte da delle donne che, chi più chi meno, lo hanno trattato come un deficiente, tradito, preso in giro… e poi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Laura, che lo ha abbandonato quasi per capriccio dopo una storia durata anni. Se consideriamo che, in aggiunta, il povero Bob lavora in un negozio di dischi assieme a un pazzo fanatico di musica e ad uno sfigatello che ha paura persino della propria ombra, non possiamo fare altro che esser solidali. Purtroppo per il protagonista, però, il punto di vista soggettivo a poco a poco viene insidiato dalle testimonianze di amici, parenti ed ex fidanzate che ci mostrano una realtà ben diversa, costringendo anche Bob, spesso e volentieri, a fare dietrofront e a scusarsi quasi con il pubblico che fino a quel momento era stato ingannato dalla sua autocommiserazione. Ma, del resto, non siamo un po’ tutti come Bob? Non ci fissiamo su quello che non possiamo avere, magari tralasciando stupidamente quel che abbiamo e mitizzando un passato che forse non è proprio come lo ricordiamo? Meditate, gente, meditate… e magari stilate anche voi una Top 5 di quello che vi piace o non vi piace, non sia mai che serva come valvola di sfogo!



Di John Cusack, che interpreta Rob, ho già parlato qui, mentre la sorella Joan, qui nei panni della sorella di Rob, Liz, la trovate qua. Immancabile anche la presenza di Jack Black, che interpreta il folle Barry e che è già stato nominato qua. Comparsata anche per l’eclettico Tim Robbins, ovvero Ian, che già trovate in questo post. Last but not Least, Lili Taylor, già nominata qui, che in Alta Fedeltà interpreta una delle ex di Rob, Sarah.

Stephen Frears è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto uno dei miei film preferiti in assoluto, il sontuoso Le relazioni pericolose, oltre a Mary Reilly. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 70 anni e un film in uscita.



Catherine Zeta – Jones interpreta una delle ex di Rob, Charlie. Da anni moglie di Michael Douglas e vincitrice di un Oscar come miglior attrice non protagonista (per il musical Chicago), la ricordo per film come La maschera di Zorro, Entrapment, Haunting – Presenze, Traffic, Chicago (con cui ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista) e Ocean’s Twelve. Gallese, ha 42 anni e due film in uscita.



Lisa Bonet (vero nome Lisa Michelle Boney) interpreta la cantante Marie De Salle. L’attrice americana deve sicuramente la sua popolarità al telefilm I Robinson, dove interpretava Denise, e la sua carriera si è espansa poi anche in campo cinematografico, dove ha recitato per film come Angel Heart – Ascensore per l’inferno e Nemico pubblico. Anche regista, ha 44 anni.



Todd Louiso interpreta il timido Dick. Americano, lo ricordo per film come Scent of a Woman – Profumo di donna, Apollo 13, The Rock, Jerry Maguire e Snakes on a Plane; inoltre, ha partecipato alle serie Weeds, Dr. House e Medium. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 41 anni.



Impossibile non citare tra le guest star il cantautore Bruce Springsteen, guru dei sogni di Rob (anche se nelle intenzioni di John Cusak avrebbe dovuto esserci Bob Dylan al posto suo). Se il film vi è piaciuto, comunque, io vi consiglio spassionatamente di guardare anche I Love Radio Rock e ovviamente di cercare la colonna sonora da ascoltare quando volete. Intanto vi lascio al trailer originale di Alta fedeltà... ENJOY!!!

lunedì 20 settembre 2010

Le ali della libertà (1994)

Dopo il trash de I mercenari prendiamoci una pausa e torniamo a parlare di Cinema, quello con la C maiuscola. Di un film che ho già visto almeno una decina di volte, e che non mi stancherei mai di rivedere, perché è semplicemente splendido. Parlo di Le ali della libertà (The Shawshank Redemption), diretto nel 1994 dal regista Frank Darabont e tratto dal racconto Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, scritto da Stephen King e contenuto nella raccolta Stagioni diverse, uno dei pochissimi libri del Re a non fare ancora parte della mia collezione.

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La trama: alla fine degli anni ’40 il banchiere Andy Dufresne viene condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie e dell’amante di lei. Trasferito nel carcere di Shawshank, si troverà a dovere sopravvivere ad abusi e soprusi, contando solo sulla sua forza d’animo e su un unico vero amico, l’ergastolano Red.

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Non è facile scrivere una recensione obiettiva su un film che amo così tanto. Quindi eviterò di esserlo, qual è il problema? Per quanto mi sforzi, in effetti, non riesco a trovare un solo difetto ne Le ali della libertà. Certo, si potrebbe dire che la trama è un po’ facilona, nonostante non manchino pesanti descrizioni sulla dura vita delle prigioni. Il personaggio di Andy nonostante tutto gode di parecchi piccoli privilegi che gli consentono di far filare lisci i suoi piani, e inoltre c’è una divisione talmente netta tra buoni e cattivi che ad un certo punto lo spettatore si chiede come mai tutti gli amici di Andy, Red in primis, siano in prigione visto che, umanamente, sono le persone più simpatiche e buone sulla faccia della terra. Però, ammettiamolo, chi se ne frega? Un film non è la realtà, così come un racconto a volte deve mostrarci una realtà un po’ romanzata, altrimenti apriremmo un quotidiano o ci guarderemmo un telegiornale. Quindi, ignoriamo tutti questi “difetti” e passiamo oltre.

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La storia di Le ali della libertà è semplice, universale e, per questo, bella. Andy viene condannato (ingiustamente o meno lo si scopre a metà film, ma fino ad allora non è troppo importante) per l’omicidio della moglie e dell’amante di lei. Dopo un processo sommario viene condannato all’ergastolo e chiuso nel carcere di Shawshank, dove si svolge tutta la vicenda. Il senso della film sta tutto nel titolo originale: redemption in inglese significa sia redenzione che liberazione. A dire il vero Andy non si redimerà durante il film, anzi. Paradossalmente imparerà non a diventare malvagio, ma a giocare sporco mantenendosi comunque in linea con i suoi principi. Però redimerà gli altri, ricercando insistentemente la libertà dalla prigione, un traguardo non banalmente fisico, ma mentale: attraverso il triste personaggio di Brooks (vecchietto ormai “istituzionalizzato”, come dice il saggio Red, che dopo aver passato a Shawshank gran parte della sua vita si ritrova impossibilitato ad affrontare il mondo esterno) capiamo come il carcere imprigioni innanzitutto l’animo delle persone, privandole della speranza e dell’umanità, due cose che il protagonista cercherà di ottenere disperatamente, per lui in primis ma anche per gli altri e attraverso di loro. A cominciare dal piccolo squarcio di luce rappresentato dal poster di Rita Hayworth, per poi continuare con la birra, la biblioteca, la filodiffusione de Le nozze di Figaro e infine il diploma del giovane Tommy, la ricerca della libertà da parte di Andy, vista attraverso l’occhio cinico e disilluso (ma via via sempre più meravigliato) di Red continua in un crescendo di gioie, disperazioni ed ingiustizie che si concretizzano alla perfezione in un meraviglioso ed emblematico finale.

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Al cuore della vicenda, a sostenere una solida sceneggiatura, ci sono ovviamente gli attori. Tim Robbins interpreta un meraviglioso Andy, conferendogli quell’aria snob di chi è in carcere ma sa di non appartenere affatto a quel mondo; non un eroe nel senso stretto del termine, e nemmeno un perfetto redentore, ma un ometto quasi banale in apparenza, dall’insospettabile forza d’animo. Gli fa da degnissimo contraltare Morgan Freeman, talmente adatto come attore da spingere Frank Darabont a cambiare drasticamente la storia di King: nel libro, infatti, Red è irlandese e non afroamericano. Quando, nel film, Andy gli chiede “Ma perché ti chiamano Red?”, intelligentemente il personaggio risponde “Forse perché sono irlandese” e quindi scoppia a ridere. La regia è assai curata, la macchina da presa si sofferma sui particolari apparentemente più insignificanti e ci regala un paio di scene assolutamente indimenticabili: la prima è la splendida panoramica del carcere, visto dall’alto mentre arriva il furgone che trasporta anche Andy, con tutti i convitti che si radunano, curiosi, vicino alla recinzione. La seconda scena, indubbiamente la più famosa, è quella dove Andy allarga le braccia, a petto nudo, sotto la pioggia, il viso illuminato dai lampi e rivolto verso il cielo, un’immagine splendida che riesce sempre a commuovermi, anche grazie ad una meravigliosa colonna sonora che impreziosisce tutto il film. Insomma, se non lo aveste ancora capito, vado matta per Le ali della libertà, ma come al solito la visione del film vale molto più di qualsiasi parola potrei spendere io, quindi guardatelo!

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Del regista Frank Darabont ho già parlato qui, mentre per un piccolo excursus su Morgan Freeman, che interpreta Red, potete andare qua. Il regista è alle prese con una nuova serie che debutterà in tutto il mondo il 31 ottobre e che non vedo l’ora di vedere, The Walking Dead, mentre l’attore sta per tornare sugli schermi con un action assieme al divino Bruce Willis e dovrebbe riprendere il ruolo di Lucius Fox nel prossimo Batman diretto da Christopher Nolan.

Tim Robbins interpreta Andy Dufresne. A mio avviso uno dei migliori attori americani viventi, lo ricordo per film come Quinto potere, Top Gun, Howard… e il destino del mondo, Cadillac Man, Allucinazione perversa, America oggi, il bellissimo Arlington Road – L’inganno, Austin Powers la spia che ci provava, Alta Fedeltà, il meraviglioso Mystic River (per il quale ha vinto un Oscar come miglior attore non protagonista), Anchor Man: The Legend of Ron Burgundy e Tenacious D in The Pick of Destiny. Ha recitato nelle serie tv Santa Barbara, Love Boat, Moonlighting, doppiato un episodio de I Simpson e inoltre è anche regista: suo è infatti Dead Man Walking – Condannato a morte, dove recita, tra gli altri, la ex compagna storica Susan Sarandon). Ha 52 anni e tre film in uscita.

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Bob Gunton interpreta il viscido direttore del carcere, Norton. Americano, tra i suoi film segnalo Nato il quattro luglio, JFK – un caso ancora aperto, Giochi di potere, Demolition Man, L’ultima eclissi, Ace Ventura: missione Africa, Nome in codice: Broken Arrow, Mezzanotte nel giardino del bene e del male e Patch Adams; l’attore è inoltre molto attivo per quanto riguarda le serie televisive, infatti compare in episodi di Miami Vice, Law & Order, Avvocati a Los Angeles, Star Trek: The Next Generation, Perry Mason, Ally McBeal, Oltre i limiti, Greg the Bunny, CSI, Giudice Amy, Monk, Nip/Tuck, Desperate Housewives, Numb3rs e 24. Ha 65 anni e un film in uscita.

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William Sadler interpreta il prigioniero Heywood. Per me questo attore ha una faccia conosciutissima, dato che avrò visto almeno 6 volte I racconti della cripta – Il cavaliere del male, dove interpreta uno degli sfortunati avventori del motel, ma è comparso anche in molti altri film, come Poliziotto a 4 zampe, Die Hard 2 – 58 minuti per morire, Freaked – Sgorbi, Bordello of Blood, Il miglio verde (dove compariva nei panni del papà delle due bimbe uccise), The Mist e serie tv come L’ispettore Tibbs, Pappa e ciccia, Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti, Star Trek: Deep Space Nine, Roswell, JAG, Tru Calling, Law & Order, CSI, Numb3rs, Medium, Criminal Minds. Americano, ha 60 anni e la bellezza di dieci film in uscita.

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Clancy Brown interpreta il bastardissimo capitano Hadley. Caratterista americano dalla faccia abbastanza riconoscibile, lo potete trovare in film come Highlander, l’ultimo immortale, Cimitero vivente 2, Dead Man Walking – Condannato a morte, Starship Troopers – fanteria dello spazio, Flubber – un professore fra le nuvole e Nightmare (non l’ho mica riconosciuto lì: interpretava il padre di Quentin, ammazza quanto è invecchiato!!) o in telefilm come Hazzard, Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti, ER, Lost e Law & Order. Ultimamente si è specializzato come doppiatore di serie animate, tanto che la sua voce si può sentire in serie come La Sirenetta, Gargoyles, L’incredibile Hulk, Estreme Ghostbusters, Hercules, i divini The Angry Beavers, Superman, Ricreazione, Buzz Lightyear comando spaziale, Le superchicche, Jackie Chan Adventures, Kim Possible, Biker Mice From Mars, Wolverine & The X-Men, American Dad!, I pinguini di Madagascar; in originale tra l’altro presta la voce al Mr. Krabs di Spongebob. Ha 51 anni, un film in uscita e tre serie animate che beneficeranno della sua voce.

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David Proval interpreta Snooze, uno dei carcerati. Proval fa parte dell’infinita schiera di caratteristi utilizzati quasi esclusivamente per ruoli da mafioso (e in questo è assolutamente magistrale nei panni dello schifoso Richie Aprile ne I Soprano) e delinquente; lo ricordo per film come Mean Streets, Scuola di mostri, Viceversa,due vite scambiate, Un poliziotto in blue jeans, Amore all’ultimo morso, Four Rooms, dove interpreta il geniale Sigfried, Relic – l’evoluzione del terrore, Attacco al potere. Per la tv lo troviamo in serie come Il tenente Kojak, Supercar, Miami Vice, Saranno famosi, Jarod il camaleonte, West Wing, Giudice Amy e Tutti amano Raymond. Americano, ha 68 anni e otto film in uscita.

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Segnalo inoltre la guest appearance, nei panni di una guardia semplice, l’attore Paul McCrane, ovvero l’odioso (ma adorabile!!) Dr. Romano di E.R.  E ora.... giusto per sdrammatizzare, beccatevi il trailer fatto con degli spezzoni di una puntata de I Griffin che omaggia palesemente il film. Scusate la blasfemia e... ENJOY!!




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