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martedì 29 aprile 2025

Queer (2024)

La settimana scorsa sono riuscita anche a recuperare Queer, diretto nel 2024 dal regista Luca Guadagnino e tratto dal romanzo omonimo di William S. Burroughs.


Trama: William Lee è uno scrittore che passa le giornate in Messico tra alcool, droga e la ricerca di giovani ragazzi da portare a letto. Un giorno, si invaghisce di Eugene Allerton, un giornalista di passaggio dal comportamento ambiguo...


Piccolissimo disclaimer: non conosco Burroughs. Avevo letto, durante gli anni dell'università, Il pasto nudo, per cercare di comprendere e dare un senso al film omonimo di David Cronenberg, ma era stata un'esperienza ancora più straniante della precedente visione. Queer non l'ho mai letto e, poiché nel frattempo le poche cose che ricordavo de Il pasto nudo e della biografia di Burroughs si sono sfocate all'interno della mia mente, partivo con una buona base di ignoranza. Di conseguenza, non pretendo che questo post sia una critica esatta ed inconfutabile dell'ultimo film di Guadagnino, anzi, sarei molto felice che nei commenti arrivassero quelli che hanno amato la pellicola ad esporre le loro ragioni, possibilmente senza insultarmi. Per quanto mi riguarda, infatti, Queer è, al momento, la pellicola del regista che ho apprezzato di meno tra quelle viste. L'ho trovata, molto più delle altre, un lavoro di ricamo sul nulla, che non è riuscito affatto ad entusiasmarmi né ad incuriosirmi. Queer è diviso in tre capitoli: il primo ambientato in Messico, il secondo in Sudamerica, il terzo nella Foresta Equatoriale. I primi due capitoli li ho trovati una lunghissima, ripetitiva introduzione ai concetti un po' più corposi dell'ultima tranche di film, visionaria e talvolta anche commovente. Lo spettatore, infatti, è costretto a testimoniare l'indolente (ed indulgente) quotidianità di William Lee, scrittore benestante che, non vergando mai un rigo né battendo un singolo tasto della macchina da scrivere, passa le serate a fare cruising da un bar all'altro, talvolta rimediando un incontro notturno, più spesso tornado a casa sempre più triste, solo ed ubriaco. Attorno a lui, come le cosiddette "mosche da bar" dell'omonimo film di Buscemi, ronza un variegato microcosmo di uomini queer, perdigiorno quanto Lee, dall'atteggiamento più o meno predatorio e tutti più o meno inutili all'economia della vicenda, che si avvia davvero solo quando subentra la presenza di Eugene. Di quest'ultimo, un giornalista, Lee si invaghisce perdutamente, nonostante il suo atteggiamento ambiguo e prevalentemente disinteressato; buona parte del film verte sui grotteschi, talvolta imbarazzanti tentativi di Lee di approcciare, conquistare Eugene e, in seguito, di tenere desto il suo interesse impedendogli di abbandonarlo. Un genere di vicenda, insomma, verso la quale ho avuto un'enorme difficoltà a provare qualsivoglia forma di interesse, tanto è ripetitiva e, apparentemente, vacua. 


Dico apparentemente, perché nel momento in cui Queer entra nel terzo capitolo, qualcosa cambia. Intanto aumenta l'elemento ironico e grottesco, già molto presente nel film, e la sensazione di avere davanti una vicenda surreale, persa nel tempo e nello spazio. Inoltre, attraverso immagini oniriche e sequenze completamente scollegate dalla realtà, assume concretezza uno dei concetti chiave del film, una battura ripetuta più volte nel corso di Queer: "I’m not queer. I’m just disembodied". Il desiderio di trovare "un corpo" nella persona dello stesso sesso, di perdersi in esso, di diventare, finalmente, integro e reale; ma, anche, il dolore di sentirsi dissociati dal nostro stesso essere, a causa delle circostanze o di una società che prova disgusto nei nostri confronti. Allora, acquista più senso anche una primo atto ripetitivo, dove il cruising diventa la disperata ricerca del protagonista di qualcosa che gli dia un senso, che lo ancori in una parvenza di sé stesso portata via da "pilastri" instabili come droga ed alcool. E acquista più senso anche il comportamento di Eugene, probabilmente in cerca, a sua volta, di un corpo, un'identità in cui identificarsi, che potrebbe essere Lee ma anche qualcun altro; d'altronde, Eugene, a differenza di Lee, è giovane ed è comprensibile che senta di avere ancora tutta una vita di esperienze davanti, là dove Lee, invece, sente di non avere quasi più occasioni per diventare integro. O magari sto sbagliando tutto, anche perché Queer è zeppo di citazioni che rimandano alla vita di Burroughs, alcune colte grazie proprio alla passata visione de Il pasto nudo, altre sicuramente perse senza nemmeno rendermene conto.


Date queste premesse, Queer è un film che non riguarderei, perché, pur con tutte le riflessioni che mi ha suscitato, nate dal desiderio di andare oltre un "non fa per me", è, in effetti, un'opera che mi ha lasciato ben poco. Oggettivamente parlando, invece, posso dire che l'ho trovato un bel film. Innanzitutto, ha una bellissima colonna sonora, che mescola lo score originale degli ormai immancabili Trent Reznor e Atticus Ross a successi più o meno conosciuti che hanno ben poco a che fare con l'epoca in cui è ambientata la vicenda (salvo la tradizionale Malaguena), con due canzoni dei Nirvana e persino New Order, Prince e Verdena; in particolare per quanto riguarda i NirvanaGuadagnino ha dichiarato di aver voluto creare una sorta di "ponte" tra la personalità di Burroughs e l'audience attuale, in quanto sia i Nirvana che lo scrittore erano molto sensibili a temi quali la depressione, il dolore e il sentirsi outsider all'interno della società contemporanea. Ho inoltre apprezzato il ricorso di Guadagnino a sequenze oniriche, tra momenti più "lirici" e altri che ho interpretato come omaggi da incubo al Pasto Nudo di Cronenberg, e, ovviamente, mi è piaciuta molto l'interpretazione di Daniel Craig. L'attore si è immerso completamente in un personaggio dalla personalità complessa e per nulla accattivante, riuscendo a camminare sul filo sottile che separa il disgusto e l'abbruttimento (onestamente, ho provato per Lee la stessa repulsione provata per il Berlusconi di Sorrentino in Loro, verso un vecchio predatore che sbava davanti alle grazie giovanili) da un'umanissima e profonda tristezza, una solitudine infinita che può suscitare solo compassione e pietà. Tutto questo, senza mai risultare patetico, anzi, spesso l'attore abbraccia una vis grottesca che è perfetta per quel poco che ricordo dello stile di Burroughs. Riassumendo, dunque, Queer non è un film "per me", ma non mi sento di sconsigliarlo.  Posso solo assicurarvi che non è la mattonata sulle palle che temevo, già solo per quello il mio consiglio è quello di provare e "vedere"; astenetevi solo se, come il Bolluomo, amate le pellicole con un inizio, una trama fatta di cause ed effetti, e una fine che concretizzi un qualche "risultato", perché Queer non è proprio il film che fa per voi (infatti, conoscendolo, gliel'ho risparmiato!). 


Del regista Luca Guadagnino ho già parlato QUI. Daniel Craig (William Lee), Jason Schwartzman (Joe Guidry), Ariel Schulman (Tom Weston) e David Lowery (Jim Cochran) li trovate invece ai rispettivi link.

Drew Starkey interpreta Eugene Allerton. Americano, ha partecipato a film come American Animals, Le strade del male, Hellraiser e serie quali Scream: la serie. Ha 32 anni e un film in uscita, Onslaught, la nuova pellicola di Adam Wingard


Se Queer vi fosse piaciuto, recuperate Chiamami col tuo nome e Il pasto nudo. ENJOY!

venerdì 13 gennaio 2023

Glass Onion - Knives Out (2022)

Visto quanto mi era piaciuto Cena con delitto - Knives Out, sono saltata sulla sedia all'idea del seguito, Glass Onion - Knives Out (Glass Onion), film diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Rian Johnson e disponibile su Netflix.


Trama: Un multimilionario convoca i suoi amici più stretti su un'isola deserta di sua proprietà, per un weekend "con delitto". Quando però fa la sua comparsa il detective Benoit Blanc, il delitto si compie sul serio...


Aspettavo con gioia il ritorno di Daniel Craig e del suo Benoit Blanc, detective sui generis dall'accento improbabile, ma di Glass Onion avevo letto le peggio cose, quindi ero pronta a rimanere delusa. Per fortuna, col Bolluomo ci siamo fatti un paio d'ore di sane risate, riuscendo anche a mettere in pausa la visione nel momento clou per cenare e riprendere ancora più fomentati di prima, quindi per quanto mi riguarda Glass Onion è un film perfettamente riuscito. Certo, la differenza con Cena con delitto è lampante, ché nel film del 2019 c'era una critica sociale molto più marcata, forse anche perché Johnson era reduce dallo stress di Star Wars ed era probabilmente (e giustamente) incattivito, mentre Glass Onion presenta personaggi ancora più assurdi del suo predecessore e, per quanto alcuni "tipi sociali" siano ben riconoscibili, le loro caratteristiche sono talmente esagerate da rendere il sequel di Knives Out ancora più parodico e legato ai modelli storici che lo hanno ispirato. Dunque, si potrebbe benissimo dire che Glass Onion è forse più superficiale, ma siccome da questo genere di prodotti non cerco alcun genere di riflessione seria, per quanto mi riguarda va benissimo così: fin dall'inizio il film intriga ed intrattiene, presenta le potenziali vittime/assassini sfruttando un paio di sequenze esilaranti e dei rompicapi da far invidia a Hellraiser, e qui e là getta i semi del vero whodunnit?, che comincia a svilupparsi seriamente nel momento in cui tutte le pedine, Benoit Blanc compreso, mettono piede sulla favolosa isola privata del geniale imprenditore Miles Bron (un misto di Zuckerberg, Begos, Musk e tutti i magnati antisociali che popolano questa terra). Ovviamente, ognuno degli stretti amici di Miles avrebbe un motivo perfetto per ucciderlo e il padrone di casa, con sommo scorno del detective Blanc, decide di "stuzzicarli" proponendo un weekend con delitto, ma questa è solo la superficie di una trama stratificata come la cipolla del titolo, che nasconde più di quanto salta all'occhio nella prima mezz'ora di film. Altro non aggiungo, ovviamente, per non rovinare la sorpresa a quel paio di persone che devono ancora vedere Glass Onion.


A livello di realizzazione, ciò che mi ha molto entusiasmata è lo sforzo incredibile degli scenografi. Se in Knives Out la scenografia era fondamentale per arrivare alla risoluzione del delitto, in Glass Onion essa rappresenta lo sfarzo vuoto e la volontà di impressionare e distogliere l'attenzione, privilegiando contorti argomenti arzigogolati ma privi di contenuto a una diretta semplicità che sbatte in faccia la verità senza troppi fronzoli (attenzione, però: nella citazione più bella del film si sottolinea che "bisogna stare attenti a non confondere il parlare senza pensare col dire la verità"); per questo, l'isola di Miles Bron è un trionfo di assurde architetture, zeppo di oggetti d'arte di ogni genere, tecnologie d'avanguardia, sfacciata opulenza e luci al neon, e lo stesso vale per l'ingegnoso rompicapo inviato a mo' di invito, che nasconde molto più di un biglietto, come diverrà chiaro verso la fine del film. Per quanto riguarda gli attori, ognuno di loro è ugualmente detestabile e, ovviamente, adorabile proprio per questo motivo. A parte un paio di guest star che non vi spoilero (una mi ha spezzato il cuore, l'altra mi ha slogato la mascella, ma d'altronde non mi aspettavo che Blanc fosse convenzionale!) e a parte la raffinatezza di un Daniel Craig che si riconferma mattatore assoluto, sono rimasta nuovamente colpita dalla versatilità dell'affascinante Janelle Monáe, che non sfigura davanti a un divertitissimo Edward Norton e all'esilarante prezzemolino Dave Bautista, ma il mio personaggio preferito è senza dubbio quello interpretato da Jackie Hoffman, che ha conquistato il mio cuore pur col suo brevissimo minutaggio. Dopo le mattonate di Kenneth Branagh e del suo insopportabile Poirot, quello di Knives Out si riconferma dunque, almeno per me, il franchise "giallo" che preferisco e non vedo l'ora che Johnson realizzi un terzo capitolo, soprattutto ora che un crossover con i Muppets si è rivelato un rumor privo di fondamento!


Del regista e sceneggiatore Rian Johnson ho già parlato QUI. Daniel Craig (Benoit Blanc), Edward Norton (Miles Bron), Janelle Monáe (Andi Brand), Kathryn Hahn (Claire Debella), Leslie Odom Jr. (Lionel Toussaint), Kate Hudson (Birdie Jay), Dave Bautista (Duke Cody), Ethan Hawke (Uomo efficiente), Hugh Grant (Phillip) e Joseph Gordon-Levitt (doppia l'orologio quando suona) li trovate invece ai rispettivi link.

Jessica Henwick interpreta Peg. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars - Il risveglio della Forza, Underwater e a serie quali Il trono di spade, Luke Cage, Iron Fist e The Defenders. Anche sceneggiatrice, regista e produttrice, ha 31 anni e un film in uscita.


Il film si ispira molto a Un rebus per l'assassino, sceneggiato dallo stesso Stephen Sondheim che compare, nei panni di se stesso (altri VIP che compaiono nel film, tra i quali una che non spoilero, sono la tennista Serena Williams e l'attrice Natasha Lyonne), durante la multichat iniziale con Benoit. Non l'ho mai visto ma potreste recuperarlo, assieme a Cena con delitto - Knives Out, se vi fosse piaciuto Glass Onion. ENJOY!

mercoledì 4 dicembre 2019

Cena con delitto - Knives Out (2019)

Al Torino Film Festival mi sono fiondata a vedere il film di chiusura, che uscirà domani in tutta Italia, Cena con delitto - Knives Out (Knives Out), diretto e sceneggiato dal regista Rian Johnson. NO SPOILER, ci mancherebbe, tanto sapete che l'assassino è sempre il maggiordomo, giusto?


Trama: dopo una festa in famiglia lo scrittore di gialli Harlan Trombey muore, apparentemente suicida. L'investigatore Benoit Blanc, però, decide di fare luce sul caso...



Come si fa a parlare di un giallo senza fare spoiler? Semplice, cominciando a gioire per il ritorno del giallo come genere cinematografico, tanto per cominciare, e poi anche dei film corali con un cast della Madonna, all'interno dei quali anche chi presenzia per poco tempo rimane comunque impresso. Quello di Rian Johnson è il classico giallo corale alla Signori il delitto è servito e Invito a cena con delitto, modelli conclamati e dichiarati (e quanto è divertente la citazione de La signora in giallo?), eppure non si limita ad essere un divertissement per appassionati o meno ma contestualizza la vicenda nella realtà dell'attuale America senza risultare pedante o pesante. L'intera vicenda viene infatti raccontata attraverso gli occhi di due personaggi che non potrebbero essere più diversi; da una parte abbiamo Benoit Blanc, investigatore sui generis dal profondo accento e dai modi del Sud, completamente distaccato da qualsiasi parvenza di verosimiglianza, dall'altra invece c'è Marta, infermiera immigrata di buon cuore che si ritrova coinvolta non solo nelle indagini ma anche in tutto ciò che consegue la morte del suo paziente Harlan Trombey, diventato col tempo amico, confidente e figura paterna. Se ciò che concerne Benoit Blanc è caricaturale e inverosimile, due caratteristiche che si estendono anche a tutti coloro che hanno a che fare con lui e grazie alle quali i membri della famiglia Thrombey tirano fuori tutti gli aspetti ridicoli delle loro personalità e delle loro condizioni sociali, quando invece viene coinvolta Marta ecco che quelle stesse persone si trasformano in tipi immediatamente riconoscibili nel quotidiano e, attenzione, potremmo anche essere noi. Ipocriti, falsamente perbenisti finché non vengono toccati i soldi, pronti a parlare di "famiglia allargata" a patto che ci si limiti a piccoli atti di beneficenza, esponenti del "non sono razzista ma...", leoni da tastiera slegati da ogni relazione sociale (il piccolo bastardo interpretato da Jaeden Martell è l'incarnazione di tutti gli haters che hanno smontato lo Star Wars di Johnson per questioni razziali), persone pronte a sfruttare i problemi familiari degli altri per il proprio interesse o a trattare lo straniero, non importa quanto professionale e competente, come un grazioso animaletto da compagnia, ecco i "simpatici" protagonisti di questa tragicommedia familiare, roba da far perdere la fiducia nell'umanità anche al più innocente dei candidi.


Rian Johnson regge le fila di queste dinamiche familiari e sociali con incredibile abilità, confezionando un rompicapo all'interno del quale tutto torna, anche i più piccoli dettagli, sia nella sceneggiatura che, ovviamente, nella regia. Ciò che salta maggiormente all'occhio sono le sequenze "alla Rashomon" in cui tutto cambia a seconda di chi racconta, ma bisogna fare attenzione, come in ogni giallo che si rispetti, non tanto agli elementi macroscopici quanto a piccole cose che magari rischiano di passare inosservate, come sfondi rivelatori, oggetti fuori posto e omaggi apparentemente gratuiti ma in realtà molto importanti; in generale, si vede che Rian Johnson gode a spaziare con la cinepresa all'interno della magione di Thrombey, la quintessenza dell'arredamento tra il kitsch e l'intellettuale-ricercato, dove l'unica stanza "sentita" e realmente vissuta è il rifugio nel sottotetto del vecchio scrittore di gialli, un paradiso all'interno di un inferno "built to impress", dove tutti si sono fatti da soli, sì, ma col c*lo degli altri, o meglio DELL'altro. E chi sono questi altri? A mio avviso, quanto di meglio possa offrire l'attuale mercato internazionale degli attori, tra nomi grandissimi, come Daniel Craig e Chris Evans, enormi vecchi come Christopher Plummer e Jamie Lee Curtis, nomi meno conosciuti tra i non appassionati ma amatissimi dai cinefili come Toni Colette e Michael Shannon e, ovviamente, la stella nascente di una Ana De Armas bellissima anche quando deve interpretare un personaggio dimesso, come in questo caso. Premesso che ho adorato le interpretazioni borderline delle meravigliose Jamie Lee Curtis e Toni Colette, è ugualmente molto buffo vedere Daniel Craig, la cui immagine è quasi sempre legata a quella del fascinoso ed elegante James Bond, impegnato a biascicare ragionamenti assurdi con atteggiamento piacione e un pesantissimo accento dell'America del sud (auguri non solo ai doppiatori italiani ma anche agli adattatori, non vorrei essere nei panni di chi dovrà tradurre IL gioco di parole risolutivo per eccellenza) e personalmente ho apprezzato anche la svolta "malvagia" di un Chris Evans passato, dopo anni nei panni del pulitino Captain America, ad interpretare uno sboccatissimo moccioso viziato. Per una volta quindi non sono stata tradita nelle aspettative suscitate dal trailer e posso tranquillamente consigliare Knives Out perché rischia seriamente di essere uno dei film "commerciali" più divertenti e ben realizzati dell'anno!


Del regista e sceneggiatore Rian Johnson ho già parlato QUI. Daniel Craig (Benoit Blanc), Chris Evans (Ransom Drysdale), Ana De Armas (Marta Cabrera), Jamie Lee Curtis (Linda Drysdale), Michael Shannon (Walt Thrombey), Don Johnson (Richard Drysdale), Toni Collette (Joni Thrombey), Lakeith Stanfield (Tenente Elliott), Christopher Plummer (Harlan Thrombey), Jaeden Martell (Jacob Thrombey), Frank Oz (Alan Stevens) e Joseph Gordon Levitt (Non accreditato, è la voce del detective protagonista della serie che sta guardando la sorella di Marta) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Cena con delitto vi fosse piaciuto recuperate Invito a cena con delitto, Signori il delitto è servito e Gosford Park. ENJOY!



venerdì 1 giugno 2018

La truffa dei Logan (2017)

Ieri è uscito in Italia La truffa dei Logan (Logan Lucky), diretto nel 2017 dal regista Steven Soderbergh. Siccome ne ho letto bene un po' ovunque ho deciso di dargli una chance...


Trama: dopo essere stato licenziato, Jimmy Logan decide di tentare un furto alla Charlotte Motor Speedway durante una delle corse più importanti dell'anno, affiancato dai fratelli e da altri peculiari figuri, in barba alla famigerata "sfortuna" dei Logan...



Avevo un po' lasciato perdere Soderbergh dopo aver visto l'ammorbante Knockout - Resa dei conti e più che La truffa mi sarei aspettata quindi La FUFFA dei Logan, motivo che mi ha spinta a non recuperare subito il film in questione nonostante fosse disponibile da mesi in rete. Poi hanno cominciato a proiettare i trailer al cinema e, nonostante la solita imbecillità del titolo italiano che ignora la sottotrama per cui i Logan avrebbero delle enormi botte di sfiga proprio quando tutto per loro comincia a girare bene, mi sono fatta attirare dall'immagine di un Daniel Craig tatuato e ossigenato e mi sono gettata nella visione. Il motivo per cui La truffa dei Logan andrebbe snobbato al cinema e visto in lingua originale non appena disponibile in DVD, Bluray o streaming legale, è la sua natura di "Ocean's Seven-Eleven", radicato in quel West Virginia magnificato nella canzone di John Denver dove gli abitanti sono grezzi e "provinciali", a voler far loro un complimento (altrimenti si può utilizzare il raffinato termine "Hillbilly", più calzante); tra una canzone folk e un concorso di bellezza alla Little Miss Sunshine, tra signore in viola e birra, tra delinquentelli di campagna e lavoratori precari, si dipana la trama di questo heist movie che manca della raffinatezza, per l'appunto, di un Ocean's Eleven ma non della suo sottile umorismo o della capacità di avvincere il pubblico. A onor del vero, ci vuole un po' prima di affezionarsi a Jimmy e ai suoi compari, perché la costruzione dei personaggi è assai simile a quella di un film dei Coen, con protagonisti malinconici e un po' stundai affiancati da spalle mai abbastanza weird o strabordanti da riuscire a colpire subito l'attenzione dello spettatore. Anche Clyde e Joe Bang, gli unici che spiccherebbero per le loro peculiarità fisiche o per lo "stile", sono infatti figure che vanno "fatte decantare" e che acquistano spessore man mano che il film procede, mai troppo esagerate, perfettamente amalgamate all'interno di quest'opera corale dove chiunque ha una sua importanza fondamentale, anche il personaggio apparentemente più inutile. Come raramente accade in questo genere di pellicole, il piano che porta al furto è plausibile e logico, non richiede personaggi con abilità fuori dal comune, ed è perfettamente inserito all'interno di una realtà che più USA non si può, quella delle corse NASCAR, che ogni anno inchiodano davanti allo schermo milioni di americani e che sono delle istituzioni intoccabili (non a caso, Jack e il fratello alla fine sono sconvolti all'idea di profanare una simile icona americana!).


Per quanto mi riguarda, l'unica cosa che non ho apprezzato troppo è proprio la location del furto, che sicuramente ha consentito a Soderbergh di sfoggiare la sua abilità di regista  ma mi ha anche costretta a "subire" una paio di giri di pista in auto (se c'è una cosa che non sopporto è la Formula 1 e qualunque cosa le somigli anche solo vagamente...), e per fortuna le sequenze incriminate sono poche, degnamente surclassate da una delle evasioni più esilaranti della storia del cinema e persino da un momento di commozione in cui la canzone Country Road la fa da padrone. Ma a parte tutto, ciò che mi ha stupita di La truffa dei Logan sono gli interpreti, anche perché sia Channing Tatum che Adam Driver non rientrano nel novero dei miei preferiti, invece qui danno veramente il bianco. Zoppo, barbuto e appesantito, addosso a Jimmy Logan persino la monoespressività di Channing Tatum diventa funzionale e si annulla nella generale rappresentazione del personaggio, mentre con la sua naturale bruttezza e l'aria di chi non capisce mai quello che gli sta succedendo, Adam Driver è meglio come loser senza braccio (anzi, senza mano e avambraccio) piuttosto che come malvagio intergalattico. Detto questo, anche il resto del cast è validissimo. Daniel Craig, col capello ossigenato e ricoperto di tatuaggi, è meraviglioso come avevo sperato guardando il trailer e in mezzo a tutto il cucuzzaro di attori più o meno riconoscibili, "mascherati" come sono da bifolchi, spunta persino Seth McFarlane, impegnato nell'offrire al pubblico il suo strepitoso accento british con un personaggio che avrei visto benissimo indosso ad Andy Nyman. L'unica domanda che mi pongo, alla fine del film, è: ma perché una volta Hilary Swank era una delle attrici più quotate del mondo e adesso si limita a fare delle comparsate che a momenti non accetterebbero nemmeno dei caratteristi? Mah, mistero della fede! Comunque datemi retta, recuperate La truffa dei Logan perché è molto ben fatto e divertente.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Channing Tatum (Jimmy Logan), Riley Keough (Mellie Logan), Katie Holmes (Bobbie Joe Chapman), Adam Driver (Clyde Logan), Seth McFarlane (Max Chilblain), Daniel Craig (Joe Bang), Brian Gleeson (Sam Bang), Katherine Waterston (Sylvia Harrison), Sebastian Stan (Dayton White) e Hilary Swank (Agente Speciale Sarah Grayson) li trovate invece ai rispettivi link.

David Denman interpreta Moody Chapman. Americano, ha partecipato a film come Big Fish - Le storie di una vita incredibile, Chiamata da uno sconosciuto, Shutter - Ombre dal passato, Regali da uno sconosciuto - The Gift e serie quali E.R. - Medici in prima linea, Jarod il camaleonte, X-Files, CSI: Miami, Angel, Senza traccia, Bones, Grey's Anatomy, Due uomini e mezzo, True Detective e Outcast. Ha 45 anni.


Jack Quaid interpreta Fish Bang. Americano, ha partecipato a film come Hunger Games, Hunger Games: La ragazza di fuoco e Tragedy Girls. Anche sceneggiatore e produttore, ha 26 anni e un film in uscita, inoltre interpreterà Hughie nell'imminente serie The Boys.


Michael Shannon e Matt Damon erano entrati a far parte del cast ma hanno entrambi dovuto rinunciare perché impegnati in altri progetti. Detto questo, se La truffa dei Logan vi fosse piaciuto recuperate Ocean's Eleven e i suoi sequel! ENJOY!

domenica 3 gennaio 2016

Star Wars - Il risveglio della forza (2015)

Sì, alla fine ci sono riuscita anche io. Dopo una bradipesca maratona dei vecchi Star Wars (bradipesca al punto che i post, se mai usciranno, chissà quando lo faranno) sono andata al cinema a vedere Star Wars - Il risveglio della forza (Star Wars - The Force Awakens), diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista J.J.Abrams. Fermo restando che l'unica, vera recensione del film è QUESTA, faccio seguire il mio modesto post SPOILER FREE.


Trama: In una galassia lontana lontana sono passati 30 anni dalla sconfitta dell'Impero ma un'altra oscura minaccia si profila all'orizzonte, quella del Primo Ordine. Un gruppo di improbabili eroi si unisce ai membri della Resistenza per cercare colui che potrebbe riuscire a sconfiggere questo nuovo "braccio" del Lato Oscuro, ovvero quel Luke Skywalker scomparso ormai da anni..


Dopo la visione di tre pietre miliari della fantascienza mai mi sarei aspettata di entusiasmarmi maggiormente per un sequel/remake/aggiornamento piuttosto che per gli originali, eppure è successo. Sono uscita da una sala gremita felicissima di avere guardato Star Wars - Il risveglio della forza ed elucubrando come l'ultima dei nerd bibini su cosa ci riserverà la saga nel futuro prossimo venturo, altrettanto contenta di potermi confrontare col Bolluomo e con tanti amici visti dentro e fuori dal multisala. L'ultima opera di J.J. Abrams, fattosi carico di uno scomodo testimone particolarmente pesante dopo il fallimento dei prequel diretti da George Lucas in persona, è cinema d'intrattenimento nella sua massima espressione, quello che unisce le masse lasciando il nome "Star Wars" sulla bocca di tutti, anche di quelli che probabilmente non ne hanno mai sentito parlare. Il che, se da una parte è un bene (persino io mi sono emozionata vedendo scorrere su uno schermo gigante le parole "Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana..." mentre suonava il tema portante della saga), dall'altra costringe l'ignaro spettatore a dribblare tutta una serie di spoiler importantissimi che persone più o meno stronze hanno disseminato in quasi tutti i social network e la potenza dell'approccio "Abramsiano" diventa tale proprio quando riesce ad emozionare lo spettatore ANCHE quando a quest'ultimo è stato rivelato il colpo di scena più grande (per quanto telefonato anche in assenza di spoiler). Tolti gli effetti speciali eccelsi sui quali non sto a disquisire, Kadan, Abrams e compagnia sono riusciti a creare (o ricreare) una storia comprensibile, emozionante, universale e popolata da personaggi simpatici e cazzuti, mescolando il lieve umorismo della vecchia trilogia a sequenze di forte impatto emotivo capaci di rendere i nuovi personaggi (e soprattutto le loro scelte nel corso del film) assai credibili ed "umani", anche grazie a degli attori giovani ma già molto espressivi e distanti dai canoni di bellezza che vanno tanto di moda ora.


Importantissimo, ma non c'è neanche da dirlo, il "fattore nostalgia". Quelle strizzate d'occhio tanto vituperate da Leo e quella pesantissima voglia di "vintage a tutti i costi" che avevo percepito in Super 8 qui mi sono sembrate un sentito omaggio a dei personaggi iconici, per una volta non inseriti "tanto per" (a parte il braccio rosso di C-3PO, messo davvero lì solo per far sbavare i collezionisti) ma funzionali ai fini della saga; per fare un esempio banale, non avete idea di quanto abbia apprezzato la piega presa dalla storia d'amore tra Han Solo e la Principessa Leila che, se devo essere sincera, all'epoca mi era parsa talmente forzata e campata in aria da chiedermi come potessero i personaggi stare davvero insieme. L'unico, grande difetto di Star Wars - Il risveglio della forza, quello che davvero non riesco a farmi andare giù nonostante abbia letto migliaia di articoli che ne hanno giustificato l'essenza, è il Trota, quello che Leo chiama giustamente "Il Frignetta". E' vero, Darth Vader non tornerà più e io capisco la scelta di creare un wannabe cattivo che si dispera come un ragazzino di 10 anni perché non riesce ad essere come il suo idolo (che poi, idolo perché? Lo scopriremo nei prossimi capitoli, spero...) ma non accetto il casting di uno identico al figlio di Bossi, con lo sguardo fisso dell'ottuso tipico di un Herbert Ballerina qualsiasi, un essere talmente sfigato che verrebbe voglia di impalarlo con la sua spada laser triforcata. Accanto a lui, probabilmente risulterebbe carismatico persino Jar Jar Binks e non stupisce che anche un sottoutilizzato Domhnall Gleeson diventi al suo cospetto il re dei supercattivi, nonostante la faccetta tenera e simpatica che normalmente lo contraddistingue. A parte questo, a me Star Wars - Il risveglio della forza è piaciuto e mi sono divertita come una bambina: tra un inseguimento spaziale, un urlo di Chewbacca, la scoperta che Han Solo ha lo stesso taglio e colore di capelli di papà, che la principessa Leila è diventata identica a mia nonna, la visione dell'adorato Greg Grunberg, una lacrima, una risata e un insulto grosso come una casa al maledetto Kylo Ren, non vedo l'ora che esca l'Episodio VIII tra due anni e nell'attesa passo al lato buono della Forza ché quello Oscuro ormai è diventato il regno della Dilusione!


Del regista e co-sceneggiatore J.J. Abrams ho già parlato QUI. Harrison Ford (Han Solo), Mark Hamill (Luke Skywalker), Carrie Fisher (Principessa Leia), Oscar Isaac (Poe Dameron), Andy Serkis (Leader Supremo Snoke), Domhnall Gleeson (Generale Hux), Max Von Sydow (Lor San Tekka), Simon Pegg (Unkar Plutt), Warwick Davis (Wollivan) e Daniel Craig (il trooper che viene "fregato" da Rey) li trovate invece ai rispettivi link.

Adam Driver interpreta Kylo Ren. Americano, ha partecipato a film come J.Edgar, Lincoln e A proposito di Davis, inoltre ha doppiato un episodio de I Simpson. Ha 33 anni e quattro film in uscita tra cui Star Wars: Episodio VIII, che stanno girando proprio in questo periodo.


John Boyega, che interpreta Finn, aveva già partecipato al carinissimo Attack the Block; Lupita Nyong'o, che aveva vinto l'Oscar come miglior attrice non protagonista per 12 anni schiavo, interpreta invece Maz Kanata mentre pare che sotto il casco del Comandante Phasma ci sia la Brienne de Il trono di spade, Gwendoline Christie. In un piccolo ruolo compare anche la figlia di Carrie Fisher Billie Lourd, ovvero l'esilarante Chanel n.3 di Scream Queens, e persino il compositore Michael Giacchino spunta in mezzo ai troopers, dopo aver scelto di lasciare la colonna sonora a John Williams. Per quel che riguarda il "seggio vacante" del regista, Brad Bird ha rinunciato perché già impegnato con Tomorrowland mentre Matthew Vaughn ha persino lasciato il timone di X-Men - Giorni di un futuro passato a Bryan Singer per riuscire a partecipare, tuttavia ha abbandonato presto il progetto per divergenze creative. Tra quelli che non ce l'hanno fatta segnalo Michael Fassbender con Hugo Weaving (entrambi considerati per il ruolo di Kylo Ren) e Gary Oldman, il quale si è visto soffiare il cameo da Max Von Sydow mentre Elizabeth Olsen ha rifiutato la parte di Rey perché già impegnata sul set di Avengers: Age of Ultron nei panni di Scarlet. Star Wars - Il risveglio della forza andrebbe visto dopo Guerre stellari, L'Impero colpisce ancora, Il ritorno dello Jedi, Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma, Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni, Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith, il cartone Star Wars: The Clone Wars, la serie animata dal medesimo nome e l'altra serie animata Star Wars Rebels; a seguire, arriveranno Rogue One: A Star Wars Story (il primo di una serie di film uniti in una Star Wars Anthology, ambientato poco prima degli eventi di Guerre Stellari), Star Wars: Episode VIII (nel 2017), un film dedicato ad un giovane Han Solo (nel 2018) e Star Wars: Episode IX (nel 2019). Nell'attesa, recuperate tutto il materiale disponibile e... ENJOY!

mercoledì 8 agosto 2012

Dream House (2011)

L'estate si sta avviando verso la fine, e nell'attesa che arrivino filmoni un po' più importanti, le sale continuano a proporci riempitivi più o meno validi. Ieri sera, per esempio, sono andata a vedere il thriller Dream House, diretto nel 2011 dal regista Jim Sheridan.


Trama: Will Atenton è uno scrittore che decide di trasferirsi con la famiglia in una casetta in campagna. La vita scorre lieta, almeno finché l'uomo non scopre che l'amena dimora era stata teatro, anni prima, di una terribile strage...


Sono sincera, mi aspettavo il peggio del peggio da questo Dream House, invece nonostante tutto è un film che si lascia tranquillamente guardare. La trama è sicuramente di una banalità sconcertante, nonostante il doppio twist che sorprende lo spettatore a metà pellicola e sul finale, e sicuramente il film non si distingue per eccessiva complicatezza o ardite scelte registiche, né per la particolare bravura degli attori, ma nonostante tutto Dream House intrattiene per tutta la sua durata e riesce a catturare all'amo lo spettatore con la solita, semplicissima domanda: "cos'è davvero successo in quella casa?". Le risposte arriveranno, con un po' di pazienza e qualche scena "da Mulino Bianco" che rallenta la prima parte della pellicola, ma dalla seconda parte in poi il ritmo accelera e le domande si moltiplicano, così come vengono risolte alcune apparenti incongruenze che mi avevano fatto storcere il naso e lanciare strali contro lo sceneggiatore (la fretta, in questo caso, è cattiva consigliera!). Il risultato finale, almeno per quanto riguarda la trama, non è male ed è risolutivo, a tratti anche commovente, ma sicuramente Dream House vince per la motivazione scatenante più idiota sulla faccia della terra, un misunderstanding talmente grossolano che verrebbe voglia di prendere a badilate in faccia tutti i coinvolti.


Passando all'aspetto tecnico, sarebbe bene segnalare che il regista si è praticamente visto strappare dalle mani il film dai produttori, che lo hanno rimontato in base ai propri gusti, costringendo praticamente Sheridan e gli attori a disconoscere la pellicola. Ciò detto, nonostante Dream House sia una ghost story non ci sono praticamente effetti speciali, il che non è un male in questo caso. Le scenografie mi sono piaciute molto, soprattutto per quel che riguarda la casa del titolo, che riesce ad essere contemporaneamente calda, accogliente (vedi gli infantili ma graziosi fiori che Libby disegna sui muri) e labirintica e misteriosa (il sotterraneo dove Craig trova i mocciosi intenti a celebrare i loro rituali mi ha sconcertata lì per lì!). Gli attori, secondo me, non danno proprio il loro meglio, sebbene Craig e la Weisz si siano conosciuti e innamorati proprio sul set. La migliore tra tutti è sicuramente Rachel Weisz, nei panni di una moglie e madre la cui vita perfetta viene travolta da eventi inspiegabili e sempre più tragici, costretta a prendere consapevolezza di una realtà che sarebbe meglio ignorare; Naomi Watts, l'altra presenza femminile della pellicola, è purtroppo costretta in uno dei ruoli peggiori della sua carriera, poco meno che insignificante, mentre Daniel Craig è bravino, soprattutto quando il personaggio arriva finalmente a scoprire l'atroce verità legata agli omicidi, ma quell'espressione perennemente imbroncettata e una vaga mollezza me lo rendono un po' inviso. Infine, per quanto riguarda la presenza di ottimi caratteristi come Elias Koteas e Marton Csokas, come al solito mi spiace vederli sprecati in ruoli che non ne esaltano le qualità. Riassumendo, quindi, Dream House è un thriller soprannaturale che non stupisce né esalta, ma è comunque un valido intrattenimento ed è sicuramente ben realizzato. Se amate le ghost story un po' particolari come me non dovreste rimanerne delusi, ma se cercate emozioni forti evitate pure.


Di Daniel Craig (Will Atenton), Naomi Watts (Ann Patterson), Rachel Weisz (Libby), Elias Koteas (Boyce) e Marton Csokas (Jack Patterson) ho già parlato nei rispettivi link. 

Jim Sheridan è il regista della pellicola. Irlandese, ha diretto film "storici" come Il mio piede sinistro e Nel nome del padre. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 63 anni e tre film in uscita.


Jane Alexander (vero nome Jane Quigley) interpreta la dottoressa Greeley. Americana, ha partecipato a film come Tutti gli uomini del presidente, Kramer contro Kramer, Le regole della casa del sidro, The Ring, Il mai nato e Terminator Salvation. Anche produttrice, ha 63 anni e un film in uscita.


Le due splendide bimbe protagoniste del film, Taylor e Claire Geare, avevano già interpretato la figlia di Leonardo di Caprio (in età diverse, ovviamente) nel bellissimo Inception, mentre Rachel G. Fox, che in Dream House interpreta la figlia di Naomi Watts, aveva già partecipato alla serie Desperate Housewives come figliastra di Lynette. Se il film vi fosse piaciuto, consiglio la visione di Shutter Island, Il sesto senso, Secret Window, The Others o Number 23. ENJOY!


mercoledì 23 maggio 2012

Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno (2011)

Dopo qualche mese di attesa sono finalmente riuscita a vedere Le avventure di Tintin: Il segreto dell’unicorno (The Adventures of Tintin), diretto nel 2011 da Steven Spielberg e tratto dalla famosissima serie a fumetti del belga Hergé.


Trama: il giovane giornalista Tintin, assieme al fedele cagnolino Snowy (io l’ho visto in inglese ma dovrebbe chiamarsi Milou), si ritrova catapultato in un’avventura che lo porterà a conoscere il capitano Haddock e risolvere il mistero legato ad un suo antenato.. un mistero che potrebbe portare ad un favoloso tesoro sommerso.


Non partivo prevenuta davanti a questo film: di più. Non ero andata a vederlo al cinema innanzitutto perché era in 3D, tecnica che notoriamente sono arrivata ad odiare, poi perché, a pelle, ho sempre detestato Tintin. Mi ha sempre ricordato il peggior Topolino detective, con quel ciuffetto rosso, l’aria saputa, gli occhietti a spillo, etc. etc., e questo bastava sia ad evitare i fumetti sia la serie animata. Poi è uscito questo Le avventure di Tintin e adesso, beh… ammetto di essermi pentita di questa testarda volontà di evitare la creatura di Hergé. Infatti, il film è un capolavoro, sicuramente uno dei più bei film di animazione (ma si può chiamare così una pellicola girata in capture motion?) usciti negli ultimi tempi e il migliore girato da Spielberg da vent’anni a questa parte. Messo da parte il deludentissimo Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, finalmente il Señor Spilbergo torna a regalarci l’Avventura con la A maiuscola, quella vera, quella che ti incolla allo schermo con la bocca spalancata facendoti perdere completamente il senso del tempo, quella, in poche parole, con la quale il regista americano ha cresciuto noi fortunati bambini degli anni ’80.


Le avventure di Tintin, grazie anche all’aiuto di sceneggiatori capaci come Edgar Wright, offre quasi due ore di divertimento ininterrotto. Parlando da assoluta profana ed ignorante della serie a fumetti, ho apprezzato innanzitutto la parte più “gialla” legata al mistero degli Haddock e al galeone che da il titolo al film, che è molto coinvolgente e mantiene la suspance fino alla fine; ho trovato i personaggi molto affascinanti e ben caratterizzati, soprattutto per quanto riguarda il Capitano, che passa dall’essere uno sciagurato beone a orgoglioso, capace e saggio uomo di mare con una naturalezza incredibile, rubando più di una volta la scena al protagonista Tintin; ho adorato (nonostante non apprezzi questo genere di “spalla”) il cagnolino Snowy, sempre pronto a salvare le chiappe al padrone, intelligente e scaltro ma non pesante né inverosimile come spesso accade in questi casi; mi sono goduta, infine, il perfetto equilibrio tra i momenti comici affidati alla mitica coppia di inetti agenti Thompson e Thomson, e quelli quasi drammatici, come l’intenso flashback in cui finalmente Haddock ricorda i racconti del nonno, riguardanti l’ultima battaglia dell’antenato Sir Francis.


A proposito della battaglia ambientata nel passato, è sicuramente un pezzo di regia a dir poco magistrale, dove i movimenti del Capitano si fondono naturalmente con quelli di Sir Francis, in una vertiginosa altalena tra un “tranquillo” presente e un passato dove sono i mari in tempesta, le fiamme, le spade e la violenza a farla da padrone. Questa è sicuramente la mia sequenza preferita, ma Le avventure di Tintin è pieno di momenti mozzafiato che ci confermano come Spielberg sia molto lontano dall’appendere berretto e cinepresa al chiodo: il rapimento di Tintin, la fuga dalla nave con conseguente, disastroso volo verso il Marocco, la rocambolesca fuga dal palazzo del sultano e infine la battaglia conclusiva a colpi di gru tra Haddock e il malvagio Saccharine, per non parlare del geniale inizio con il borsaiolo cleptomane che ci introduce nel mondo di Tintin e Snowy chiarendo alla perfezione il rapporto tra i due personaggi, sono momenti di pura commozione cinefila. E la tecnica del motion capture è incredibile, in grado di generare personaggi realistici e allo stesso tempo non troppo distanti da quelli creati da Hergé: dovrebbero pensarci tutti i registi intenzionati a trasporre fumetti dal character design ben definito e marcato prima di girare roba trash come, che so, Dragonball Evolution, giusto per fare un nome. Detto questo, come avrete già ampiamente  capito, Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno è una perla che mi sento di consigliare senza remore.


 Di Andy Serkis (il capitano Haddock), Daniel Craig (Saccharine), Nick Frost (Thomson), Simon Pegg (Thompson), Cary Elwes (il pilota) e Toby Jones (Silk) ho già parlato nei rispettivi link.

Steven Spielberg è il regista della pellicola. Sicuramente uno dei più grandi autori americani viventi, se non altro uno di quelli che mi ha cresciuta, lo ricordo per film come Duel, Lo Squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, 1941: allarme a Hollywood, I predatori dell'arca perduta, E.T. - L'extraterrestre, Ai confini della realtà, Indiana Jones e il tempio maledetto, Il colore viola, Indiana Jones e l'ultima crociata, Hook - Capitan Uncino, Jurassic Park, Schindler's List (con il quale ha vinto il primo Oscar per la regia), Il mondo perduto: Jurassic Park, Salvate il soldato Ryan (con il quale ha vinto il secondo Oscar per la regia), A.I.: Intelligenza artificiale, Minority Report, Prova a prendermi e Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo; inoltre, ha diretto un episodio della serie Colombo. Anche produttore, sceneggiatore, attore e quant'altro, ha 66 anni e tre film in lavorazione, tra cui Indiana Jones 5.


Jamie Bell è il doppiatore originale di Tintin. Attore inglese diventato famoso giovanissimo per il ruolo di Billy Elliott nell’omonimo film, ha partecipato ad altre pellicole come King Kong e Jane Eyre. Anche direttore della fotografia, ha 26 anni e due film in uscita.


Il film ha avuto una gestazione lunghissima. Spielberg è infatti diventato fan della creatura di Hergé ai tempi de I predatori dell’arca perduta, quindi la pellicola era già in fase di progetto, ovviamente come live action, negli anni ’80 (addirittura Jack Nicholson avrebbe dovuto interpretare il capitano Haddock). E’ stato poi Peter Jackson, in tempi recenti, a convincere Spielberg a girare il film con la tecnica del motion capture, quando quest’ultimo ha chiesto l’aiuto della WETA per realizzare il cagnolino Snowy in CGI. Il film, che ha ricevuto un’unica, scandalosa nomination all’Oscar per la miglior colonna sonora originale, ha avuto così tanto successo che sono già in cantiere due seguiti: il primo, The Adventures of Tintin: Prisoners of the Sun, è previsto per il 2013, mentre un altro ancora senza titolo dovrebbe uscire nel 2015. Campa cavallo! Nel frattempo, sarà il caso, anche per me, di prendere tra le mani l’opera di Hergé, magari in qualche bel volumetto. ENJOY!

giovedì 16 febbraio 2012

Millenium - Uomini che odiano le donne (2011)

San Valentino alternativo, il mio. Perché andare a vedere smielati polpettoni romantici o stupide commediole a tema quando esistono film come Millenium - Uomini che odiano le donne (The Girl With the Dragon Tattoo), diretto nel 2011 da David Fincher?


Trama: il giornalista Mikael Blomkvist viene ingaggiato da un magnate dell’industria per scoprire cosa sia successo alla nipote Harriet, scomparsa e presumibilmente assassinata quarant’anni prima. Ad aiutarlo nelle indagini c’è la giovane e disadattata hacker Lisbeth.


Tratto dal primo dei tre romanzi scritti da Stieg Larsson, questo adattamento/remake USA si mantiene fedelissimo allo spirito del libro e si distacca dal piattume del suo predecessore svedese, dimostrandoci come, grazie ad un sapiente montaggio e ad un’ottima colonna sonora, anche delle lunghe indagini possano risultare interessanti per il pubblico. Infatti, anche se la sostanza non cambia poi molto, questo Millenium – Uomini che odiano le donne è nettamente superiore al film del 2009, che in definitiva andrebbe ricordato “solo” per la stupenda performance di Noomi Rapace nei panni di Lisbeth Salander, un personaggio difficilissimo che sfido qualsiasi attrice belloccia ma priva di talento ad interpretare. A partire dagli stupendi titoli di testa, dove corpi, catrame, cavi elettrici e fiori si fondono in un caleidoscopio infinito, David Fincher e Rooney Mara riescono a catturare lo spettatore, trascinandolo dal gelido e stupendo paesaggio svedese a sordide camere dove laidi assistenti sociali seviziano senza pietà donne che ritengono indifese, dall’inquietudine di un appartamento fatto quasi interamente di superfici trasparenti, vetri e finestre, al disordinato e quasi malsano appartamento di una povera reietta. Reietta che, ovviamente, è il cuore stesso del film.


Rooney Mara, con quegli occhioni da cerbiatto e quelle mise punk, si annulla completamente nel personaggio di Lisbeth, riempendosi il corpo di tatuaggi e veri piercing, prestandosi ad una delle scene di stupro più truci e disturbanti della storia del cinema (pare che Yorick Van Wageningen, l’interprete di Bjurman, abbia passato un’intera giornata a piangere chiuso nella sua stanza d’albergo alla fine delle riprese e che molti dei lividi che la Mara ha nella scena dopo siano veri), rinunciando alla sua bellezza tipicamente americana per diventare altro, un androgino spirito inquieto. Nel giro di poche inquadrature, l’attrice riesce a passare imprevedibilmente da vittima a carnefice, da misantropa dallo sguardo tagliente a ragazzina entusiasta e quasi innocente, nella sua impazienza di godersi il piacere di portarsi a letto il buon Daniel Craig. Daniel che, dal canto suo, conferisce al personaggio di Michael Blomkvist quell’aplomb e quell’ironia tipicamente british che la sua controparte svedese non aveva, ritrovandosi nel ruolo di colui che, come Jerry Calà, “piace” ma senza dover alzare un dito e, anzi, provando quasi noia nel vedere tutte ‘ste donne che gli vogliono saltare addosso.


Parlando invece della trama del film, l’ho trovata molto scorrevole e comprensibile anche per chi non avesse letto il libro. L’elemento thriller è ben presente, le indagini sulla scomparsa di Harriet sono coinvolgenti e mantengono costante l’interesse dello spettatore, infine il presunto killer offre un’interpretazione assai valida, risultando inquietante senza essere caricaturale. L’unica cosa che mi ha fatto un po’ storcere il naso è la decisione di mescolare l’ambientazione svedese ad una preponderanza anglofona, mi spiego: pare strano che, nell’archivio di un’azienda svedese, il 90% dei documenti e dei ritagli di giornale che ne testimoniano la storia siano scritti in inglese, ed è abbastanza assurdo, anche, che il tatuaggio sul panzone dello stupratore reciti “I am a rapist pig” piuttosto che l’equivalente svedese. Oh beh, dettagli, così come è un dettaglio anche l’aver deciso di cambiare un po’ il destino di Harriett. L’importante è che Millenium – Uomini che odiano le donne rientri nella categoria dei rarissimi remake validi. Speriamo che la trilogia continui (il prossimo film è previsto per il 2013 ma non si sa ancora nulla in merito) e che lo faccia sempre seguendo questa strada.


Di Daniel Craig (Michael Blomkvist), Rooney Mara (Lisbeth Salander), Stellan Skarsgård (Martin Vanger), Robin Wright (Erika Berger), Joely Richardson (Anita Vanger) e David Dencik (l’ispettore Morell da giovane) ho già parlato nei rispettivi link.

David Fincher (vero nome David Andrew Leo Fincher) è il regista della pellicola. Uno dei più famosi registi americani, lo ricordo per film come Alien3, Seven, The Game – Nessuna regola, Fight Club, Panic Room, Zodiac, Il curioso caso di Benjamin Button e The Social Network. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 50 anni e due film in uscita, tra cui un adattamento di 20.000 leghe sotto i mari.


Christopher Plummer (vero nome Arthur Christopher Orme Plummer) interpreta Henrick Vanger. Famosissimo attore canadese, lo ricordo per film come Tutti insieme appassionatamente, La Pantera Rosa colpisce ancora, Nosferatu a Venezia, Malcom X, Wolf - la belva è fuori, L’ultima eclissi, L’esercito delle 12 scimmie, Il mistero dei templari e Syriana; ha inoltre partecipato alle serie Uccelli di rovo, I Robinson, doppiato il narratore dello storico cartone David Gnomo amico mio e anche uno dei personaggi di Fievel sbarca in America. Anche produttore, ha 83 anni e un film in uscita.


Steven Berkoff (vero nome Leslie Steven Berks) interpreta Dirch Frode. Inglese, ha partecipato a capisaldi come Arancia meccanica, Barry Lyndon, Professione: Reporter e film come Rambo II: la vendetta. Anche sceneggiatore e regista, ha 75 anni e tre film in uscita, tra cui una cosa trashissima e imperdibile dal titolo Strippers vs Werewolves, che conta nel cast anche Robert Englund!!


Geraldine James interpreta Cecilia Vanger. Inglese, ha partecipato a film come Gandhi, Moll Flanders, Calendar Girls, Sherlock Holmes, Alice in Wonderland e Sherlock Holmes – Gioco di ombre, oltre ad episodi di Little Britain e Little Britain USA. Ha 62 anni.


Goran Visnjic interpreta Dragan Armanski. Attore croato famoso per aver interpretato il bellissimo dottor Kovac di E.R. – Medici in prima linea, ha partecipato a film come The Peacemaker, Amori & incantesimi e doppiato uno dei personaggi de L’era glaciale. Anche produttore, ha 40 anni e due film in uscita.


Embeth Davidtz compare brevissimamente nei panni di Annika, la sorella di Michael. La cito, cosa che normalmente non farei vista la parte infinitesimale che le hanno dato, per la sua partecipazione a film come L’armata delle tenebre, Schindler’s List, Alcatraz – l’isola dell’ingiustizia, Matilda 6 mitica, Il tocco del male, L’uomo bicentenario, The Hole e I 13 spettri. Inoltre, ha partecipato a episodi di Scrubs e Grey’s Anatomy. Ha 47 anni e un film in uscita, The Amazing Spider – Man, dove interpreterà Mary Parker.


Il film si è beccato cinque nomination all’Oscar, tra cui spicca quella per Rooney Mara come miglior attrice protagonista. La competizione si fa davvero dura, ma dubito riuscirà a strappare la statuetta alla “solita” Meryl Streep, anche se spero davvero che lei o Viola Davis possano farcela. Le altre nomination sono per fotografia, montaggio e sonoro (snobbata la bella colonna sonora del validissimo Trent Reznor, peccato). Rooney Mara tra l’altro è riuscita ad ottenere la parte surclassando attrici del calibro di Natalie Portman e Scarlett Johansson, mentre Noomi Rapace non ha voluto riprendere il ruolo di Lisbeth Salander dopo averla interpretata per tre anni, nonostante la parte le fosse stata riofferta. Per il ruolo di Michael Blomkvist erano invece in lizza Johnny Depp, George Clooney, Viggo Mortensen e Brad Pitt. Nulla di fatto anche per Max Von Sydow, svedese purosangue, che ha declinato il ruolo di Henrick Vanger in favore di Christopher Plummer. Comunque, se il film vi fosse piaciuto, più che consigliarvi di vedere i film svedesi propendo per dirvi di leggere i libri, scritti benissimo e molto coinvolgenti. ENJOY!!

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