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mercoledì 26 marzo 2025

A Different Man (2024)

Nonostante la vittoria di Sebastian Stan ai Golden Globe e una nomination agli Oscar per il miglior trucco, in Italia è stato distribuito solo la settimana scorsa il film A Different Man, diretto e sceneggiato nel 2024 dal regista Aaron Schimberg.


Trama: Edward, affetto da neurofibromatosi, vive nel disgusto del suo aspetto fisico. Decide quindi di cogliere al volo la possibilità di sottoporsi ad un trattamento sperimentale che, nel giro di qualche tempo, gli restituirà un volto normale, privo dei segni della malattia. Ma non sempre la bellezza si accompagna alla felicità...


La visione di A Different Man mi ha messa davanti alla consapevolezza che la mia memoria, ormai, non vale più una cicca, o mi sarei ricordata dell'esistenza di Adam Pearson, presentatore e attore inglese affetto da neurofibromatosi che avevo già avuto modo di vedere in Under the Skin. Oddio, è anche vero che, forse, avevo voluto proprio dimenticare un film che non mi era granché piaciuto, ma il mio cervello l'ha rimosso a tal punto che credevo la trama imbastita da Aaron Schimberg partisse da un'idea horror come tante. Invece, la neurofibromatosi esiste davvero, chi ne soffre deve convivere ogni giorno col volto sfigurato dalla malattia, e giuro che vorrei avere anche solo un briciolo dello spirito di Adam Pearson, io che nemmeno mi guardo allo specchio dopo la doccia per lo schifo che provo davanti al mio fisico meno che atletico. Il che è un po' il discorso su cui si fonda l'intero concetto di A Different Man, ovvero la disperata fuga da ciò che si è e l'incapacità di migliorare ciò che è in nostro potere cambiare, anche quando le circostanze ci favorirebbero. Edward, il protagonista del film, è un attore affetto da neurofibromatosi. Le sue giornate si alternano tra provini per ruoli adatti al suo volto e un'esistenza solitaria all'interno di uno squallido appartamento. Edward, ogni giorno, cerca di essere invisibile, di non richiamare l'attenzione di altri, neppure quando ne andrebbe della qualità della sua vita, quando avrebbe ogni ragione di lamentarsi. Un giorno, a Edward capita quello che succede nelle favole: una fatina buona, incarnata da un dottore spregiudicato, con un colpo di bacchetta magica (leggi: un dolorosissimo mix sperimentale di medicinali) lo rende bello, anzi, bellissimo. Edward dichiara la morte del suo vecchio io, rinunciando anche ai pochissimi legami che era riuscito a creare, e si costruisce una nuova identità, quella di Guy Moratz. A testimonianza di come la natura profonda di Edward non sia cambiata per nulla, basta già vedere il nome generico che si è scelto,"Guy", e il lavoro anonimo come agente immobiliare, in un ufficio dove il protagonista evita ogni rapporto profondo coi colleghi. 


Le cose precipitano quando Ingrid, ex vicina di casa con velleità di sceneggiatrice, dopo la "morte" di Edward decide di mettere in piedi una produzione off-Broadway basata proprio su di lui. Scoperto lo spettacolo per caso, Guy/Edward fa di tutto per ottenere il ruolo di protagonista, arrivando ad indossare la maschera che i medici avevano modellato sulle sue fattezze prima del trattamento. E' un cortocircuito mentale quello di Edward, la consapevolezza che il suo aspetto "bello" lo rende anche anonimo, un volto nella folla, mentre in precedenza proprio la sua malattia lo distingueva dalla massa, per quanto in negativo. Ancora peggio, Edward viene definito dalla neurofibromatosi nonostante la bellezza ritrovata. Prima, la sua condizione era la scusa per un'esistenza infelice, solitaria e grigia; dopo il trattamento, la malattia diventa un segreto impossibile da rivelare che gli avvelena esistenza e sanità mentale, soprattutto dopo la comparsa di Oswald, a sua volta deturpato dalla neurofibromatosi eppure capace di vivere appieno, trasformando la malattia nella ciliegina sulla torta di una personalità scoppiettante e vivace. Aaron Schimberg racconta dunque la storia di un uomo incapace di affermarsi, a prescindere da quali siano i suoi problemi, un uomo privo di un'ancora a cui appigliarsi per non andare alla deriva, e lo fa coi toni grotteschi di una commedia nera e il linguaggio di un body horror. Purtroppo, parte di quelle fregnacce presenti negli imbarazzanti video (de)motivazionali interpretati da Edward sono vere, già solo la vista degli effetti devastanti della neurofibromatosi sconvolgono la nostra percezione di "normale"; inoltre, il fatto che chi è affetto dalla malattia sia nato "sano" e poi abbia perso il controllo del proprio corpo, è la base fondamentale di ogni body horror che si rispetti. Dopo aver visto il film, mi rendo conto che solo The Substance avrebbe potuto battere gli effetti speciali di A Different Man, ma è davvero una bella lotta, visto che sia il trucco prostetico di Edward che i terrificanti step della sua trasformazione in Guy, forniscono materiale da incubo. 


Un'altra caratteristica che rende A Different Man uno dei film più originali e, a parer mio, migliori dell'anno scorso, è la presenza di ottimi attori. Sebastian Stan prosegue nella sua carriera di belloccio in cerca di ruoli che non lo definiscano solo per il suo aspetto (in questo, è assai simile a Dan Stevens, che però ha scelto un percorso ancora più weird) ed è perciò l'interprete perfetto per Edward. Dopo la trasformazione, infatti, sembra quasi che il protagonista sia diventato bello "suo malgrado", e conserva la postura goffa e timida, nonché lo sguardo ferito, che lo caratterizzava prima della sua guarigione, al punto che non si potrebbe mai definirlo "figo". Renate Reinsve continua invece a confermarsi "la persona peggiore del mondo", con un giusto mix di fascino e crudele incostanza che, inevitabilmente, inghiotte tutte le personalità deboli ed insicure, come quelle del protagonista. Un'ambivalenza simile, di attrazione e rifiuto, l'ho provata anche verso il personaggio interpretato da Adam Pearson, e non per il suo aspetto fisico ma perché, molto intelligentemente, la sceneggiatura di Schimberg lo tratteggia come un vincente logorroico e, nonostante Edward non sia perfetto, inevitabilmente adottiamo il punto di vista del protagonista; razionalmente, ammiro Oswald perché ammiro Adam Pearson, ma lasciandomi coinvolgere da ciò che vede e sente Edward, è inevitabile arrivare a percepirlo come un vanesio rompicoglioni e a provare rabbia per la "facilità" con la quale è in grado di vivere bene, a differenza di Edward. Potenza del cinema, con tutto il rispetto per Pearson, ovviamente. Anche per questo motivo, ritengo che A Different Man sia uno dei film migliori presentati agli Oscar di quest'anno, ed è davvero un peccato che non abbia avuto maggior successo durante la Awards Season e, conseguentemente, che sia uscito al cinema in Italia senza la spinta di un'eventuale corsa ai recuperi prima della premiazione. Datemi retta e correte a vederlo, prima che lo tolgano dalle sale, soprattutto se avete la fortuna di averlo proiettato in lingua originale, perché l'accento di Pearson è spettacolare! 



Di Sebastian Stan (Edward), Charlie Korsmo (Ron Belcher) e Michael Shannon (Michael Shannon) ho parlato ai rispettivi link.

Aaron Schimberg è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, anche produttore, ha diretto altri due film, Go Down Death e Chained for Life


Renate Reinsve
, che interpreta Ingrid, era la protagonista de La persona peggiore del mondo. Non avrei scritto quanto segue se non mi fossi detta "ma dai, questo bancone, questa inquadratura, mi sembra di averle già viste": la scena del bar in cui Edward osserva Oswald ed Ingrid è stata girata nello stesso locale visto in Past Lives e, addirittura, Edward è seduto dov'era seduta Nora. Se vi fosse piaciuto A Different Man recuperate The Elephant Man, The Substance e Apri gli occhi. ENJOY! 

venerdì 4 novembre 2022

Amsterdam (2022)

Domenica scorsa il buon Mirco mi ha portata a vedere Amsterdam, film diretto e sceneggiato dal regista David O. Russell che mi aveva attirata fin dal trailer...


Trama: negli anni '30, due reduci della prima guerra mondiale, un medico e un avvocato, rimangono coinvolti in una serie di delitti e complotti che li spingono a riallacciare i rapporti con un'ex infermiera conosciuta al fronte...


Non guardavo un film di David O. Russell dai tempi di Joy e mi duole abbastanza ammettere che la sensazione lasciatami da Amsterdam è stata più o meno la stessa, ovvero quella di un'enorme, grandiosa confezione per una cosetta esile e dimenticabile. Più che altro, sono arrivata chiedermi se non sia meglio che O. Russell, bravissimo come regista e dotato di un fiuto enorme per il casting e la direzione degli attori, posi per qualche tempo la penna di sceneggiatore e si faccia scrivere una storia da qualcuno un po' più centrato, capace di conferire equilibrio e sostanza a quelle che, spesso, sembrano una serie di idee tanto interessanti quanto evanescenti. Nel caso di Amsterdam, per esempio, abbiamo un'ottimo incipit mistery d'ispirazione noir, con tanto di voce fuori campo e flashback, dove i protagonisti vengono incastrati da criminali senza volto e decisamente insidiosi, al quale si aggiunge la parte migliore del film, ovvero una storia d'amore e di amicizia che mette in scena il più adorabile trio di amici/amanti dell'anno (magnificamente interpretati, poi ci torno), eppure questi due elementi della trama, invece di intrecciarsi dando vita a qualcosa di memorabile, scorrono dalle mani e dalla mente dello spettatore come rivoli d'acqua, messi al servizio di una vicenda fantapolitica (per quanto basata su una storia vera) che sembra quasi fare a pugni con tutto il resto. Più che altro, sembra quasi che allo sceneggiatore, pur palesemente innamorato dei suoi protagonisti, non bastasse puntare i riflettori su loro tre, già potenziali fonti di moltissimi punti di riflessione (c'è la lotta di classe di Burt, invischiato in un matrimonio nato per amore e proseguito per interesse, la questione razziale incarnata da Harold, l'indipendenza femminile di Valerie, un potenziale spaccato delle famiglie influenti americane e di tutto quello che si nasconde dietro di esse, tutto il discorso sull'importanza dei reduci di guerra e sulle difficoltà oggettive del loro reintegro in società), ma godesse un mondo all'idea di inserirli in un delirio "giallo" di altri personaggi connotati come macchiette, pronto a correre come un treno verso la risoluzione finale di un mistero trattato alla stregua di un giocattolone grottesco.


Il risultato, purtroppo, è deludente. Non tanto, come ho detto, per i tre protagonisti principali, i quali fanno tutti un'ottima figura, Christian Bale in primis (l'ho già scritto nel post dedicato a Thor: Love and Thunder, quest'uomo nobiliterebbe anche una recita di Natale parrocchiale, è sempre e comunque perfetto e fa scomparire tutti quelli che lo circondano, giusto Margot Robbie riesce a tenergli testa), quanto per il resto di un cast all star che si è ritrovato sul set di un film che avrebbe potuto essere "coeniano" o, come minimo, divertente e scoppiettante quanto Knives Out o Omicidio nel West End, mentre invece risulta facilone e perplimente. La conseguenza, per esempio, è che una Anya Taylor-Joy, che pure riesce, nonostante l'inconsistenza del suo personaggio, ad imbroccare un paio di momenti memorabili, appare inutile quanto Chris Rock, messo lì giusto per fare un paio di battute a tema nigger e poi scomparire come se non fosse mai esistito. Lungi da me, per carità, lamentarmi quando vedo spuntare facce adorate come quelle di Mike Myers, Timothy Olyphant o Michael Shannon, ma quando mi sembra di avere davanti una lista della spesa con tanto di spunte, allora ci rimango male. Per il resto, nulla da eccepire. La confezione di Amsterdam è extra-lusso, letteralmente, visto che la fotografia splendida è di Emmanuel Lubezki, e scenografie e costumi sono molto curati, soprattutto per quanto riguarda le mise di Margot Robbie e tutto l'apparato artistico legato a quella parentesi favolistica ambientata nella città che dà il titolo alla pellicola, affascinante ed intrigante più degli sconvolgenti rimandi ad un pezzo di storia americana che non conoscevo affatto e che, a mio avviso, avrebbe meritato un approccio un po' più serio. Amsterdam, per inciso, non finirà nella Worst 5 dell'anno ma in un'ideale classifica delle delusioni più cocenti, nonostante le molte cose positive, sarebbe di sicuro ai primi posti. Peccato. 


Del regista e sceneggiatore David O. Russell ho già parlato QUI. Christian Bale (Burt Berendsen), Margot Robbie (Valerie Voze), John David Washington (Harold Woodman), Alessandro Nivola (Detective Hiltz), Andrea Riseborough (Beatrice Vandenheuvel), Anya Taylor-Joy (Libby Voze), Chris Rock (Milton King), Matthias Schoenaerts (Detective Lem Getweiler), Michael Shannon (Henry Norcross), Mike Myers (Paul Canterbury), Timothy Olyphant (Taron Milfax), Zoe Saldana (Irma St. Clair), Rami Malek (Tom Voze), Robert De Niro (Generale Gil Dillenbeck) e Colleen Camp (Eva Ott) li trovate invece ai rispettivi link. 


La cantante Taylor Swift interpreta Liz Meekins. Michael B. Jordan avrebbe dovuto interpretare Harold, ma i ritardi produttivi dovuti al Covid lo hanno costretto a rinunciare. Se Amsterdam vi fosse piaciuto recuperate American Hustle. ENJOY!

martedì 30 agosto 2022

Bullet Train (2022)

Conquistata da un trailer che prometteva Giappone e tamarrate come se piovessero, domenica sono corsa a vedere Bullet Train, diretto dal regista David Leitch e tratto dal romanzo I sette killer dello Shinkansen di Kotaro Isaka.


Trama: al ladro/killer Ladybug viene commissionato il furto di una valigetta all'interno di uno Shinkansen diretto a Kyoto. Il lavoro, all'apparenza semplicissimo, si complicherà all'inverosimile...



Giappone e tamarreide mi aspettavo e tanto ho avuto. Bullet Train è un rinfrescante mix di vari generi, perfetto come blockbuster estivo, che segna una sorta di ritorno al passato popolato dai vari Tarantino, Guy Ritchie e, soprattutto, dei mille emuli che tentavano senza successo di eguagliarli, in quanto propone allo spettatore un film a base di killer ciarlieri, citazioni pop e splatterate irriverenti messe nelle mani di assassini stilosissimi e sopra le righe. Non ho letto il romanzo di Kotaro Isaka (direi mai tradotto in italiano e disponibile in lingua inglese a prezzi ancora troppo alti per un e-book - lo so, sono ligure, abbiate pazienza) e, considerato che Bullet Train in origine doveva essere un thriller serissimo diretto da Antoine Fuqua (rimasto in veste di produttore), dubito che il film di Leitch gli sia granché fedele a livello di atmosfere, ma di sicuro la trama è abbastanza machiavellica da essere stata concepita da un giapponese. Tutto parte dal lavoro "facile" di Ladybug, a cui viene chiesto di rubare una valigetta di proprietà di altri due killer, Tangerine e Lemon, il cui lavoro consiste invece nel consegnare detta valigetta e un ragazzo al padre di quest'ultimo, un terribile boss della mala; purtroppo, all'interno dello spazio claustrofobico costituito dal treno veloce che da il titolo al film, paiono essersi radunati altri killer, ognuno con i loro obiettivi, il loro passato e le loro colpe, e i destini di tutti questi particolari passeggeri arriveranno ad intrecciarsi in un clamoroso e tesissimo gioco dove non necessariamente servono forza, furbizia e cattiveria per vincere, quanto piuttosto fortuna. Fortuna (o l'atavica mancanza della stessa) e destino sono il fil rouge che lega tutti i personaggi e sono le forze che muovono una trama capace di regalare non poche sorprese allo spettatore, a cui si chiede di prestare molta attenzione e non farsi distrarre dalla messinscena accattivante, in quanto tra dialoghi fiume, flashback e soggettive particolari, perdersi è un attimo. 


Dal canto suo, infatti, David Leitch parrebbe perseverare nel suo progressivo allontanamento da prodotti tamarri ma "seri" come John Wick e Atomica Bionda per continuare sulla scia del sovraccarico cazzaro di Deadpool (non a caso in Bullet Train ci sono tantissimi attori che hanno avuto a che fare, chi più e chi meno, con Deadpool 2). Tra coloratissime scritte bilingue in sovraimpressione che introducono i vari killer, morbidi pupazzoni, dialoghi con gabinetti automatici, utilizzo di armi improprie, flashback rapidissimi ed esilaranti, citazioni pop e linguaggio "colorito", non è difficile immaginarsi Wade Wilson aggirarsi nei corridoi dello shinkansen, pronto a sgozzare i nemici tra una battuta e l'altra, e si vede che il regista è perennemente in cerca di quel miracoloso equilibrio tra stunt fenomenale e slapstick comedy. Su grande schermo e con l'occhio "vergine" di una prima visione, il film non presenta sequenze sciatte o mal realizzate, soprattutto per quanto riguarda i momenti di confronto corpo a corpo, e il finale in particolare, salvo quale esagerazione a livello di CGI, per quanto necessaria, lascia letteralmente a bocca aperta per la sfacciataggine con cui ignora qualsiasi legge della fisica. Personalmente, in quanto cultrice di killer "weird", ho apprezzato soprattutto il bestiario di assassini presenti nel film e la caratterizzazione dei vari attori. Dopo anni di assenza in ruoli da protagonista (parliamone, nell'ultimo Kingsman spuntava giusto 5 minuti), Aaron Taylor-Johnson torna a bucare lo schermo con un personaggio affascinante e carismatico anche nella sua puntuale dabbenaggine, e l'unica cosa che mi dispiace è che ciò lo ha portato a venire nuovamente inghiottito in quel carrozzone Marvel/Sony che era riuscito ad abbandonare, stavolta come Kraven il cacciatore, nemesi di Spider-Man; il suo Tangerine è diventato in tempo zero il mio personaggio preferito all'interno di un cast in parte e carichissimo, dove assieme a un Brad Pitt mattatore e alcune ghiotte guest star spiccano, in personalissimo ordine di gradimento, Hiroyuki Sanada, Brian Tyree Henry e Michael Shannon. Onestamente, posso dire di essermi divertita tantissimo con questo Bullet Train e, se dovessi proprio trovargli un difetto, è l'assenza di un crossover con John Wick. Ma invece di spendere soldi in MCU e DC Cinematic Universe, perché non create un JohnWickVerse? Pensateci!! 


Del regista David Leitch, che interpreta anche Jeff Zufelt, ho già parlato QUI. Brad Pitt (Ladybug), Joey King (Prince), Aaron Taylor-Johnson (Tangerine), Brian Tyree Henry (Lemon), Hiroyuki Sanada (il vecchio), Michael Shannon (Morte Bianca), Sandra Bullock (Maria), Logan Lerman (il figlio) e Zazie Beetz (Hornet) li trovate invece ai rispettivi link.


Un paio di curiosità: Ryan Reynolds compare, non accreditato, nel ruolo di Carver, Channing Tatum nei panni del passeggero fissato col sesso mentre la bionda "hostess" del treno non è altri che Karen Fukuhara, l'adorabile Kimiko della serie The Boys, e il controllore Masi Oka, ovvero Hiro della serie Heroes. Sandra Bullock ha rimpiazzato Lady Gaga nel ruolo di Maria. Se Bullet Train vi fosse piaciuto recuperate tutti i film della saga John Wick, Atomica Bionda, Free Fire e Pulp Fiction. ENJOY!  

domenica 5 aprile 2020

Edison - L'uomo che illuminò il mondo (2017)

Giorni di Covid19, giorni di chiusura forzata dei cinema, giorni in cui si recupera quello che si può su Netflix o, come in questo caso, su Prime Video, dove è uscito Edison - L'uomo che illuminò il mondo (The Current War), diretto nel 2017 dal regista Alfonso Gomez-Rejon.


Trama: alla fine del XIX secolo, Thomas Edison e George Westinghouse cominciano una lotta serratissima per determinare chi riuscirà a portare la corrente elettrica nelle città americane.



Edison - L'uomo che illuminò il mondo era un film che già aveva attirato l'attenzione mia e del Bolluomo, non necessariamente in modo positivo; il trailer che passava nei cinema, infatti, complice anche l'abbondanza di attori che il film condivide col MCU o con altri cinecomic, era montato come quello di un film di supereroi e onestamente ci siamo ritrovati spesso a riderne, visto l'argomento "scientifico" trattato. In realtà, quello che pensavamo fosse un film molto serioso e tecnico, è stato davvero realizzato come un dramma all'interno del quale due personalità ambiziose si fanno la guerra (come da titolo originale) senza risparmiare colpi bassi e, benché il risultato sia ovviamente molto distante da un cinecomic, è comunque abbastanza dinamico e coinvolgente da riuscire a far passare una bella serata anche ai non addetti ai lavori, insegnando qualcosina, che male non fa. A dirla tutta, nonostante il titolo italiano sottolinei la preponderanza di Edison, lo scienziato non ne esce benissimo: dipinto come un matto geniale il cui motto è "non realizzerò mai qualcosa che possa nuocere agli esseri umani", viene comunque mostrata anche la sua volontà di ricorrere a mezzi scorretti e diffamazione per screditare la reputazione dell'avversario George Westinghouse, fautore dell'utilizzo della corrente alternata (mentre Edison utilizzava quella continua) e suo rivale nella "corsa all'elettricità". Certo, gli sceneggiatori inseriscono anche tutti gli elementi necessari per rendere più accattivante Edison rispetto a Westinghouse, per esempio mostrando il forte attaccamento alla moglie e il contributo all'arte mondiale attraverso invenzioni come il fonografo o il cinetoscopio, tuttavia è il meno conosciuto Westington a risultare il più corretto e lungimirante tra i due, benché "sminuito" da una patina di uomo d'affari vecchio stampo.


In tutto questo, viene dato anche un contentino ai fan di Tesla, la scheggia impazzita che, di fatto, si autodanneggia in virtù del suo carattere da bohemien e dei suoi problemi relazionali, contribuendo a modo suo alla guerra tra Edison e Westinghouse senza godere dei frutti economici che ne sono derivati. A voler essere pedanti, il trattamento riservato a Tesla è indice della superficialità della sceneggiatura del film, che romanza parecchio gli eventi accorsi ai protagonisti e a un certo punto si imbarca anche in una tirata anti sedia elettrica, ma come ho scritto più su per chi ignora molti degli eventi reali e vuole solo passare un'ora e mezza con qualcosa di coinvolgente ma poco impegnativo va anche bene (al limite, esistono libri sull'argomento, se poi necessitiamo di approfondire). Edison - L'uomo che illuminò il mondo è comunque ben realizzato: innanzitutto mette in campo attori di sicuro richiamo, adatti al ruolo che interpretano (anche se Cumberbatch sembrerebbe sempre un po' legato al suo Sherlock e a confermarsi più camaleontico è il bravissimo Michael Shannon) inoltre la regia di Alfonso Gomez-Rejon è ben lungi dall'essere piatta o legata a uno stile "biografico", e il regista si diverte a ricercare prospettive sghembe, ad inserire flashback dallo stile particolare, persino a citare il cinetoscopio di Edison inserendo sequenze a tema che si fondono con immagini più "moderne". Insomma, Edison - L'uomo che illuminò il mondo non è sicuramente il film più interessante sul catalogo Prime ma un'occhiata in questi tempi di Coronavirus avverso ai cinefili gliela si può anche dare, soprattutto se siete in quarantena secca e avete un sacco di tempo libero.


Del regista Alfonso Gomez-Rejon ho già parlato QUI. Benedict Cumberbatch (Thomas Edison), Katherine Waterston (Marguerite Westinghouse), Michael Shannon (George Westinghouse), Tom Holland (Samuel Insull) e Nicholas Hoult (Nikola Tesla) li trovate invece ai rispettivi link.


Jake Gyllenhaal era stato scelto per il ruolo di Westinghouse ma alla fine ha rinunciato ed è stato sostituito da Michael Shannon; nel ruolo del figlio di Edison c'è invece Louis Ashbourne Serkis, figlio di Andy Serkis. Se Edison - L'uomo che illuminò il mondo vi fosse piaciuto recuperate The Imitation Game e The Prestige. ENJOY!

mercoledì 4 dicembre 2019

Cena con delitto - Knives Out (2019)

Al Torino Film Festival mi sono fiondata a vedere il film di chiusura, che uscirà domani in tutta Italia, Cena con delitto - Knives Out (Knives Out), diretto e sceneggiato dal regista Rian Johnson. NO SPOILER, ci mancherebbe, tanto sapete che l'assassino è sempre il maggiordomo, giusto?


Trama: dopo una festa in famiglia lo scrittore di gialli Harlan Trombey muore, apparentemente suicida. L'investigatore Benoit Blanc, però, decide di fare luce sul caso...



Come si fa a parlare di un giallo senza fare spoiler? Semplice, cominciando a gioire per il ritorno del giallo come genere cinematografico, tanto per cominciare, e poi anche dei film corali con un cast della Madonna, all'interno dei quali anche chi presenzia per poco tempo rimane comunque impresso. Quello di Rian Johnson è il classico giallo corale alla Signori il delitto è servito e Invito a cena con delitto, modelli conclamati e dichiarati (e quanto è divertente la citazione de La signora in giallo?), eppure non si limita ad essere un divertissement per appassionati o meno ma contestualizza la vicenda nella realtà dell'attuale America senza risultare pedante o pesante. L'intera vicenda viene infatti raccontata attraverso gli occhi di due personaggi che non potrebbero essere più diversi; da una parte abbiamo Benoit Blanc, investigatore sui generis dal profondo accento e dai modi del Sud, completamente distaccato da qualsiasi parvenza di verosimiglianza, dall'altra invece c'è Marta, infermiera immigrata di buon cuore che si ritrova coinvolta non solo nelle indagini ma anche in tutto ciò che consegue la morte del suo paziente Harlan Trombey, diventato col tempo amico, confidente e figura paterna. Se ciò che concerne Benoit Blanc è caricaturale e inverosimile, due caratteristiche che si estendono anche a tutti coloro che hanno a che fare con lui e grazie alle quali i membri della famiglia Thrombey tirano fuori tutti gli aspetti ridicoli delle loro personalità e delle loro condizioni sociali, quando invece viene coinvolta Marta ecco che quelle stesse persone si trasformano in tipi immediatamente riconoscibili nel quotidiano e, attenzione, potremmo anche essere noi. Ipocriti, falsamente perbenisti finché non vengono toccati i soldi, pronti a parlare di "famiglia allargata" a patto che ci si limiti a piccoli atti di beneficenza, esponenti del "non sono razzista ma...", leoni da tastiera slegati da ogni relazione sociale (il piccolo bastardo interpretato da Jaeden Martell è l'incarnazione di tutti gli haters che hanno smontato lo Star Wars di Johnson per questioni razziali), persone pronte a sfruttare i problemi familiari degli altri per il proprio interesse o a trattare lo straniero, non importa quanto professionale e competente, come un grazioso animaletto da compagnia, ecco i "simpatici" protagonisti di questa tragicommedia familiare, roba da far perdere la fiducia nell'umanità anche al più innocente dei candidi.


Rian Johnson regge le fila di queste dinamiche familiari e sociali con incredibile abilità, confezionando un rompicapo all'interno del quale tutto torna, anche i più piccoli dettagli, sia nella sceneggiatura che, ovviamente, nella regia. Ciò che salta maggiormente all'occhio sono le sequenze "alla Rashomon" in cui tutto cambia a seconda di chi racconta, ma bisogna fare attenzione, come in ogni giallo che si rispetti, non tanto agli elementi macroscopici quanto a piccole cose che magari rischiano di passare inosservate, come sfondi rivelatori, oggetti fuori posto e omaggi apparentemente gratuiti ma in realtà molto importanti; in generale, si vede che Rian Johnson gode a spaziare con la cinepresa all'interno della magione di Thrombey, la quintessenza dell'arredamento tra il kitsch e l'intellettuale-ricercato, dove l'unica stanza "sentita" e realmente vissuta è il rifugio nel sottotetto del vecchio scrittore di gialli, un paradiso all'interno di un inferno "built to impress", dove tutti si sono fatti da soli, sì, ma col c*lo degli altri, o meglio DELL'altro. E chi sono questi altri? A mio avviso, quanto di meglio possa offrire l'attuale mercato internazionale degli attori, tra nomi grandissimi, come Daniel Craig e Chris Evans, enormi vecchi come Christopher Plummer e Jamie Lee Curtis, nomi meno conosciuti tra i non appassionati ma amatissimi dai cinefili come Toni Colette e Michael Shannon e, ovviamente, la stella nascente di una Ana De Armas bellissima anche quando deve interpretare un personaggio dimesso, come in questo caso. Premesso che ho adorato le interpretazioni borderline delle meravigliose Jamie Lee Curtis e Toni Colette, è ugualmente molto buffo vedere Daniel Craig, la cui immagine è quasi sempre legata a quella del fascinoso ed elegante James Bond, impegnato a biascicare ragionamenti assurdi con atteggiamento piacione e un pesantissimo accento dell'America del sud (auguri non solo ai doppiatori italiani ma anche agli adattatori, non vorrei essere nei panni di chi dovrà tradurre IL gioco di parole risolutivo per eccellenza) e personalmente ho apprezzato anche la svolta "malvagia" di un Chris Evans passato, dopo anni nei panni del pulitino Captain America, ad interpretare uno sboccatissimo moccioso viziato. Per una volta quindi non sono stata tradita nelle aspettative suscitate dal trailer e posso tranquillamente consigliare Knives Out perché rischia seriamente di essere uno dei film "commerciali" più divertenti e ben realizzati dell'anno!


Del regista e sceneggiatore Rian Johnson ho già parlato QUI. Daniel Craig (Benoit Blanc), Chris Evans (Ransom Drysdale), Ana De Armas (Marta Cabrera), Jamie Lee Curtis (Linda Drysdale), Michael Shannon (Walt Thrombey), Don Johnson (Richard Drysdale), Toni Collette (Joni Thrombey), Lakeith Stanfield (Tenente Elliott), Christopher Plummer (Harlan Thrombey), Jaeden Martell (Jacob Thrombey), Frank Oz (Alan Stevens) e Joseph Gordon Levitt (Non accreditato, è la voce del detective protagonista della serie che sta guardando la sorella di Marta) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Cena con delitto vi fosse piaciuto recuperate Invito a cena con delitto, Signori il delitto è servito e Gosford Park. ENJOY!



martedì 20 febbraio 2018

La forma dell'acqua - The Shape of Water (2017)

Dopo tanto penare, venerdì anche io sono riuscita a vedere lo splendido La forma dell'acqua (The Shape of Water), diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Guillermo Del Toro e pronto a portare a casa ben 13 Oscar (Miglior Regia, Miglior Film, Sally Hawkins Miglior Attrice Protagonista, Richard Jenkins Miglior Attore Non Protagonista, Octavia Spencer Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Colonna Sonora Originale, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia, Migliori Costumi, Miglior Montaggio Sonoro, Miglior Missaggio Sonoro, Miglior Montaggio e Miglior Scenografia). Vi avviso, sarà un post strano ma anche privo di spoiler!


Trama: Elisa Esposito, donna delle pulizie muta, lavora in un complesso governativo e lì si imbatte in una misteriosa creatura anfibia con la quale sviluppa un rapporto d'amicizia che a poco a poco diventa affetto...



Per la prima volta quest'anno mi trovo in difficoltà a parlare di un film. La forma dell'acqua è così bello e poetico che mettere in parole le sensazioni suscitate durante la visione sarebbe non solo triviale, ma addirittura offensivo. Se fossi brava a disegnare come le migliaia di artisti che hanno tributato omaggio all'ultimo lavoro di Del Toro avrei già affidato alla matita i miei pensieri ma, anche lì, verrebbe fuori qualcosa di indecente. Mi vien da ridere, perché la scena più bella de La forma dell'acqua, quella che mi ha commossa a tradimento, è proprio quella in cui la muta Elisa si ritrova a traboccare di così tanto amore che solo il canto potrebbe esprimerlo adeguatamente, e la donna è costretta a rifugiarsi in un sogno splendido dove ogni impedimento viene cancellato e l'amore prende la forma del desiderio e della speranza. Potessi anche io manifestare un sogno su questo blog, sarebbe quello di creare qualcosa di altrettanto bello, per ringraziare Del Toro di aver riportato al Cinema la Bellezza e la semplicità di una storia d'amore vecchia come il mondo. Invece, posso solo scrivere due robe raffazzonate.


Grazie a Guillermo per avermi incantata, lasciata lì davanti allo schermo col sorriso ebete di chi assiste a uno spettacolo meraviglioso per la prima volta. La sala, le poltrone e gli altri spettatori non esistevano più, c'erano solo la mano di Mirco a stringere la mia, i colori vintage di un appartamento al tempo stesso "povero" ma caldo, il fascino di un cinema quasi abbandonato, l'aspetto umidiccio e dimesso di una struttura governativa che tanto moderna non è, la bellezza senza tempo di vecchi film passati in televisione, gli stessi capaci di far sognare spettatori ben più innocenti e smaliziati di noi. L'elemento dell'acqua, per me affascinante ma anche fonte di terrore, da che ero bambina, reso con un'amore senza forma, mi ha fatto venire voglia di seguire col dito le gocce di pioggia sui vetri, di addormentarmi in una stanza sommersa, mi ha fatta sentire avvolta di dolcezza per la prima volta da che vado al cinema. L'idea folle che una creatura mezza uomo e mezza pesce potesse risultare forte, fiera e addirittura bella ai miei occhi, proprio io che se qualcosa è privo di pelliccia provo istantaneo ribrezzo, solo Del Toro poteva renderla realtà. Quindi, ancora una volta, grazie. 


Grazie a Guillermo per aver creato una Bella che bella non è. Sally Hawkins ha, e lo scrivo senza paura di essere banale o retorica, quel fascino e quella bellezza che le vengono da dentro. Io mi sono innamorata di Elisa Esposito, del suo sguardo franco e privo di limiti, dell'apparente fragilità che nasconde una forza immensa, del suo modo di mostrarsi naturalmente schiva e dei suoi atteggiamenti da bambina ma anche di donna, una donna che è anche e soprattutto desiderio e carne, porca miseria, altro che amori platonici! La speranza è sempre quella che a vincere l'Oscar sia Frances McDormand ma la statuetta del mio cuore l'ha già vinta la Hawkins, commuovendomi fino alle lacrime durante il suo accorato "discorso", per la testardaggine disperata con la quale cerca di aprire gli occhi all'amico Giles, provando ad essere "vista" da lui per la prima volta, nonostante l'amicizia che li lega da tempo. La sofferenza vomitata da Elisa mi ha colpita al cuore ancora più della storia d'amore tra lei e il Gill-Man, perché è una sensazione più profonda, che ho provato spesso nella vita, un senso di incompletezza avvalorato dall'idea di essere imperfetti e per questo invisibili, nonostante la presenza di amici comprensivi.


Ah, a tal proposito, grazie Guillermo per il grandioso cast di comprimari. Richard Jenkins avrei voluto abbracciarlo di continuo, magari dopo essermi fatta due risate con Octavia Spencer. Ti hanno accusato di essere "buonista", forse perché gli amici di Elisa sono un gay e una nera, entrambi reietti ed entrambi fulcro di un paio di scene in cui la loro condizione di esseri umani viene messa in discussione?  Mah, visti i tempi, ti direi che sequenze simili sono necessarie per ricordare alle persone queste "banalità buoniste". Sarà proprio lo stesso buonismo che ti ha permesso di realizzare un personaggio di merda ma sfaccettato come quello di Michael Shannon? Il gigante dai piedi di argilla, talmente sicuro delle sue posizioni razziste, misogine e maschiliste da dover consultare un manuale di autoaffermazione per andare avanti, così marcio dentro da non accorgersi di stare perdendo addirittura dei pezzi del suo stesso corpo? O forse sarà colpa di una spia russa con un cuore, l'unico personaggio, per inciso, per il quale finalmente ricorderò il trasformista Michael Stuhlbarg finché avrò vita? Sarà colpa di Doug Jones, che mastica gatteenee e uccide esseri umani ma ha anche un cuore, un'anima e forse anche uno Schwanzstuck di tutto rispetto nonostante sia "solo" un'attore infilato in una tuta di gomma? Ma posso dire chissenefrega della cVitica? Per una volta che un film mi fa uscire dal cinema felice, con gli occhi lacrimanti e il cuore zeppo di immagini bellissime, canticchiando le splendide melodie che le rendono ancora più indimenticabili, pervasa dal fuoco sacro dell'arte che ancora non mi fa smettere di disegnare Elisa e il suo amore anfibio su ogni superficie scrivibile... beh, c'è una sola cosa che resta da dire. Grazie, Guillermo, ancora, ancora e ancora. E in bocca al Gill-Man per il 4 marzo!


Del regista e co-sceneggiatore Guillermo Del Toro ho già parlato QUI. Michael Shannon (Richard Strickland), Richard Jenkins (Giles), Octavia Spencer (Zelda Fuller), Michael Stuhlbarg (Dr. Robert Hoffstetler) e Doug Jones (Uomo Anfibio) li trovate invece ai rispettivi link.

Sally Hawkins interpreta Elisa Esposito. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, Jane Eyre, Grandi speranze, Blue Jasmine, Godzilla, Paddington e Paddington 2. Anche sceneggiatrice, ha 42 anni e un film in uscita, Godzilla - King of the Monsters.


Se La forma dell'acqua vi fosse piaciuto recuperate Il mostro della laguna nera, Il labirinto del fauno, Edward mani di forbice, La bella e la bestia e Scarpette rosse. ENJOY!

Alla fine ci ho provato, Guillermo. E ancora grazie!!



venerdì 21 luglio 2017

Ricomincio da capo (1993)

Siccome ieri è uscito anche a Savona Prima di domani e siccome Mirco non aveva mai visto uno dei tanti cult della mia vita (è giovane, cosa ci volete fare?) ho deciso di ripescare dalla cesta dei DVD Ricomincio da capo (Groundhog Day), diretto e co-sceneggiato nel 1993 dal regista Harold Ramis.


Trama: Phil, meteorologo incaricato di realizzare un servizio sul Giorno della Marmotta, si ritrova a dover rivivere sempre la stessa giornata, con risultati tragicomici...



La domanda che mi ha posto Mirco alla fine di Ricomincio da capo è stata: "Ma alla fine non spiegano perché lui continuava sempre a rivivere lo stesso giorno?". Eh no, ahimé. Il cult di Harold Ramis condanna il protagonista a vivere, secondo le dichiarazioni dello stesso regista, dieci anni bloccato nello stesso, maledetto giorno ripetuto in loop eppure non esiste una spiegazione razionale del perché ciò accada. A mio avviso, in questo "non sapere" risiede buona parte del fascino di Ricomincio da capo, anche se io ho sempre pensato che Phil fosse caduto vittima della maledizione dell'inverno della Marmotta, giustamente indispettita dall'atteggiamento cinico del meteorologo. Dire infatti che Phil sia una persona simpatica o persino buona sarebbe una bugia: vanitoso, scostante, critico, egoista, disilluso e perennemente scazzato, Phil è uno di quegli uomini da prendere a calci nei marroni costantemente, una persona per la quale nulla ha importanza tranne il proprio benessere e la soddisfazione personale, anche a scapito degli altri. Non a caso, Phil ci mette almeno DIECI anni per diventare una persona migliore e cominciare a provare sentimenti sinceri non solo per le persone che vorrebbe portarsi a letto ma anche verso perfetti sconosciuti bisognosi di aiuto o conforto e l'intero film non è altro che un percorso verso una graduale e faticosa presa di coscienza passante per diversi gradi di euforia, disperazione e rassegnazione. La domanda "Cosa fareste se poteste rivivere lo stesso giorno più e più volte?" viene indirettamente posta allo spettatore che, di rimando, si angoscia o si entusiasma con Phil. Personalmente, passato lo sconcerto iniziale, lì per lì immagino che cercherei di cambiare piccole cose, magari per superare degli imprevisti, ma dopo l'ennesimo giorno ricominciato sempre uguale probabilmente anche io, come il protagonista, tenterei cose assurde per ricavarne qualche profitto personale. Il problema, ovviamente, nasce dalla crescente frustrazione di non poter mantenere le cose "tangibili" conquistate nel corso di una giornata ed è da qui che scaturisce non solo la maturazione di Phil ma anche il tono tragicomico del film, figlio di una sceneggiatura elegante ma mai pesante (per dire, tentativi di suicidio a parte non vengono mai esplorate possibilità davvero "oscure" come omicidi o simili), in bilico tra commedia, fantasy e, soprattutto nell'ultima parte, storia d'amore tra le più divertenti e disperate mai portate su schermo.


Inutile dire che non ci sarebbe Ricomincio da capo senza Bill Murray. Nonostante lo adori ho sempre pensato che, umanamente parlando, l'attore non sia molto diverso da come viene descritto Phil all'inizio, ovvero scostante e scazzato col mondo intero; per questo, la sua interpretazione e la conseguente trasformazione nel corso del film risultano ancora più plausibili in quanto Phil viene costretto, finalmente, a scendere dall'alto del suo piedistallo e condividere il ristretto spazio di una giornata con persone semplici ma comunque vive e umane forse più di lui, allo stesso modo in cui Bill Murray è stato costretto a ripetere le stesse identiche scene con comparse e attori "minori". Questo ovviamente è solo un film che mi sono fatta in testa fin dalla prima volta che ho guardato Ricomincio da capo ma, detto questo, la realtà oggettiva è che Murray riesce a scatenare la voglia di prenderlo a schiaffi e allo stesso tempo attira anche pietà, spezza il cuore quando interagisce col vecchietto, lo fa battere a mille quando finalmente riesce a conquistare l'amata Rita (un amore coltivato per dieci anni, poveraccio. E per lei è sempre lo stesso giorno), in generale si fa amare per la sua aria perennemente sconvolta e stralunata. Andie MacDowell, con la sua bellezza "antica" e l'aria semplice, gli fa da perfetta spalla nei momenti più romantici e risulta adorabile come sempre, in più l'intera città di Punxutawney è popolata da caratteristi uno più assurdo e simpatico dell'altro, a partire dall'insopportabile Ned di Stephen Tobolowsky, l'ex compagno di scuola ammorbante che probabilmente tutti avremo avuto in classe. Fondamentale per la riuscita di Ricomincio da capo, oltre alla cura certosina con la quale la pellicola è stata diretta e montata senza lasciare nulla al caso, è la colonna sonora, con quella maledettissima I Got You Babe di Sonny & Cher che non vi uscirà più dalla testa, al punto che vorrete a un certo punto prendere a pugni lo schermo come Phil fa con la sveglia... non fosse che Ricomincio da capo è un cult da vedere, rivedere e rivedere ancora, in un loop continuo che dura ormai da ben più di dieci anni!


Del regista e co-sceneggiatore Harold Ramis ho già parlato QUI. Bill Murray (Phil) e Michael Shannon (Fred) li trovate invece ai rispettivi link.

Andie MacDowell (vero nome Rosalie Anderson MacDowell) interpreta Rita. Americana, la ricordo per film come Greystoke - La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie, St. Elmo's Fire, Sesso, bugie e videotape, Green Card- Matrimonio di convenienza, Hudson Hawk - Il mago del furto, America oggi, Quattro matrimoni e un funerale, Mi sdoppio in quattro e Michael, inoltre ha partecipato a serie come Il segreto del Sahara. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 59 anni e due film in uscita.


Chris Elliott (vero nome Christopher Nash Elliott) interpreta Larry. Americano, lo ricordo per film come Manhunter - Frammenti di un omicidio, The Abyss, Tutti pazzi per Mary, La famiglia del professore matto, Scary Movie 2, Osmosis Jones e Scary Movie 4, inoltre ha partecipato a serie quali Miami Vice, Sabrina vita da strega, La tata, Hercules, Oltre i limiti, La vita secondo Jim, That's 70s Show e How I Met Your Mother; come doppiatore ha lavorato per le serie Futurama e Spongebob Squarepants. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 57 anni e due film in uscita.


Stephen Tobolowsky interpreta Ned. Americano, ha partecipato a film come Balle spaziali, Mississippi Burning - Le radici dell'odio, Great Balls of Fire!, Due nel mirino, Mirror Mirror, Thelma & Louise, Basic Instinct, L'isola dell'ingiustizia - Alcatraz, Mr. Magoo, Il ladro di orchidee, Garfield: Il film e a serie come Jarod il camaleonte, Buffy l'ammazzavampiri, Hercules, Innamorati pazzi, That's 70s Show, Roswell, Malcom, La zona morta, La vita secondo Jim, Will & Grace, CSI: Miami, Ghost Whisperer, Desperate Housewives, CSI - Scena del crimine e Heroes. Anche sceneggiatore, regista, compositore e produttore, ha 66 anni e cinque film in uscita.


Il fratello maggiore di Bill Murray, l'attore Brian Doyle-Murrey, compare nel film nei panni del sindaco Buster. Tra gli attori presi in considerazione per il ruolo di Phil c'era Tom Hanks in primis, assieme a Chevy Chase, Steve Martin e John Travolta, ma tutti erano troppo poco "cattivi" per la parte; Michael Keaton invece ha declinato l'invito a partecipare. La sceneggiatura è stata invece rimaneggiata un paio di volte; in realtà esisteva una spiegazione sul perché Phil fosse rimasto bloccato nello stesso giorno, ed era legata ad una fidanzata scornata che per vendicarsi lo aveva maledetto, ma alla fine l'idea è stata scartata, così come il finale che condannava la povera Rita a rimanere bloccata nel loop temporale al posto di Phil. Ricomincio da capo "vanta" un remake italiano dal titolo E' già ieri, con Antonio Albanese come protagonista; non avendolo mai visto non posso consigliarne un recupero ma se il film vi fosse piaciuto guardate anche Lola corre, Source Code, Questione di tempo e magari anche Edge of Tomorrow. ENJOY!

venerdì 17 marzo 2017

Loving (2016)

E' uscito ieri in tutta Italia il film Loving, diretto e sceneggiato nel 2016 dal regista Jeff Nichols nonché candidato all'Oscar per la Migliore Attrice Protagonista.


Trama: Mildred e Richard, lei nera e lui bianco, si sposano a Washington D.C. contravvenendo tuttavia alle leggi razziali dello Stato in cui vivono, la Virginia. Condannati a venticinque anni di esilio dallo stato, i coniugi Loving cominciano un calvario fatto di cause legali che li farà arrivare fino alla Corte Suprema...



Normalmente, ormai lo avrete capito, non sono cattiva con i film che non lo meritano. Per venire stroncato dalla sottoscritta un film dev'essere una trashata invereconda, recitato da bestie, oppure non essere all'altezza del regista e degli interpreti coinvolti. Ormai dovreste anche sapere che mi piacciono molto le pellicole basate su vicende realmente accadute, soprattutto quando dette vicende raccontano aspetti della storia americana, così piena di contraddizioni da non smettere di affascinarmi. Come si intrecciano queste due premesse così diverse all'ultimo film di Jeff Nichols?Loving, incentrato su un importantissimo capitolo della lotta americana per i diritti civili, avrebbe dovuto per logica coinvolgermi tantissimo, commuovermi, farmi giustamente infuriare per il destino toccato ai poveri Mildred e Richard, coppia interrazziale costretta a fuggire dalle leggi di uno Stato che riteneva illegale un matrimonio legalmente contratto. Invece, e mi fa male dirlo visto che nutrivo molte aspettative e che Jeff Nichols è un autore che mi piace molto, ho passato due ore e fischia immersa nel tedio più assoluto e conseguentemente ne risentirà anche il tono del post, che non sarà una stroncatura ma nemmeno un apprezzamento della pellicola in questione. Diciamo che, dal mio ignorantissimo punto di vista, a Loving avrebbe innanzitutto giovato una durata più breve, in quanto i concetti di ingiustizia e amore vengono espressi alla perfezione già in un paio di dialoghi ed inquadrature, non serviva dilatare i tempi fino ad abbattere lo spettatore; solitamente non soffro i film lunghi ma ritrovarmi, à la Homer Simpson, a pensare alle scimmiette ballerine durante la visione di Loving è stato indicativo dello scarso interesse provato. Le parentesi legate al mondo dei motori tanto amato da Richard (meccanico e "massacan", cosa volere di più?), le cause legali intentate per telefono, gli interminabili scorci di campagna atti ad enfatizzare la semplicità dei protagonisti e la natura del paese retrogrado ma bellissimo in cui sono nati e cresciuti appesantiscono un film già trascinato sull'orlo del baratro da un casting valido ma, a posteriori, infelice.


Parliamo un attimo di Joel Edgerton. Per carità di Dio, sicuramente Richard Loving sarà stato uno di quegli uomini taciturni, ignoranti ma di buon cuore, gretti e musoni ma esemplari come lavoratori e padri di famiglia, quelli che si vedono spesso nei paesini di campagna e che non esiterei a definire "liguri" in qualche modo, quindi l'interpretazione di Joel Edgerton è oggettivamente perfetta, davvero. Però, consentitemi di dire, pesante ed invalidante come una palla al c***o. Già il film è lungo come la quaresima e Nichols è riuscito a farmi percepire cinque ore invece di due, in più devo continuamente vedere sbiascicare Edgerton con quella faccia sconfitta e i capelli biondi tagliati a spazzoletta, che a momenti sembra un reduce de Il villaggio dei dannati? Anche no, vi prego. L'unica gioia del film è Ruth Negga, della quale potrei stare a magnificare le lodi per ore (magari non quando interpreta Tulip in Preacher ma la colpa lì è degli sceneggiatori). Anche lì, non è che il personaggio abbia chissà quale aura carismatica, però la Negga ha il fascino di un'attrice anni '20, ha una bellezza particolarissima e la sua interpretazione trattenuta conferisce ancora più forza d'animo alla figura di Mildred, donna che ha rinunciato alla famiglia, agli amici e alle sue radici per amore e ha sopportato per anni una situazione terribile, con una dignità ed un contegno a dir poco strabilianti. Se non fosse stato per Ruth Negga, unica stella fulgida di una pellicola senza infamia né lode e non a caso fonte dell'unica candidatura per gli Academy Awards, forse non avrei neppure finito di guardare Loving. Ma, considerata l'accoglienza ricevuta a Cannes e nei circoli cinefili, molto probabilmente sono io che non capisco una cippa quindi non datemi retta e se doveste trovarlo distribuito in qualche cinema vicino andate a vederlo.


Del regista e sceneggiatore Jeff Nichols ho già parlato QUI. Joel Edgerton (Richard), Marton Csokas (Sceriffo Brooks) e Michael Shannon (Grey Villet) li trovate invece ai rispettivi link.

Ruth Negga interpreta Mildred. Nata in Etiopia, ha partecipato a film come World War Z e a serie quali Misfits, Agents of S.H.I.E.L.D. e Preacher. Ha 35 anni.


Nick Kroll interpreta Bernie Cohen. Americano, ha partecipato a film come Vi presento i nostri; come doppiatore, ha lavorato nei film Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia, Sing e nelle serie American Dad!, I Griffin e I Simpson. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 39 anni e un film in uscita.


La storia dei coniugi Loving è stata raccontata in un documentario del 2011, The Loving Story, da cui sono stati tratti buona parte dei dialoghi presenti nel film di Nichols, e in un film TV del 1996, Mr. and Mrs. Loving, con Timothy Hutton nella parte di Richard Loving. Se Loving vi fosse piaciuto potreste recuperare entrambi e aggiungere Selma - La strada per la libertà, Una moglie per papà e Lontano dal paradiso. ENJOY!

domenica 20 novembre 2016

Animali notturni (2016)

Approfittando di un'"offerta che non potevo rifiutare", venerdì sono andata a vedere Animali notturni (Nocturnal Animals), diretto e co-sceneggiato dal regista Tom Ford a partire dal romanzo Tony & Susan di Austin Wright e vincitore del Leone d'argento all'ultima Mostra del cinema di Venezia.


Trama: la ricca gallerista Susan riceve dall'ex marito, dalla quale è divorziata da diciannove anni, il manoscritto del romanzo Animali Notturni, a lei dedicato. Immersa nella lettura del manoscritto, Susan sarà costretta a ripensare agli errori del passato...


Un vecchio adagio recita "Ne uccide più la penna che la spada". Il secondo film di Tom Ford (e mi si perdoni l'ignoranza ma non ho mai guardato A Single Man) è la perfetta rappresentazione per immagini di questa antica massima e di una tristissima crisi di mezza età. Susan è una donna ricchissima, sposata con un marito bello ma inespressivo che la tradisce con una donna ben più giovane, ed è giunta ad un punto della sua esistenza in cui l'importantissimo lavoro di gallerista non la soddisfa né la entusiasma più, al punto che l'insofferenza per tutto ciò che la circonda non la fa dormire la notte. Inaspettatamente, dopo diciannove anni di silenzio, Susan riceve il manoscritto del primo romanzo del suo ex marito, Edward. Non sappiamo perché i due hanno divorziato né perché non si parlano più dopo tutti questi anni ma sta di fatto che il primo romanzo completato dallo scrittore è interamente dedicato a Susan e lei, approfittando dell'ennesima assenza del marito, comincia a leggerlo. Animali Notturni (identico al soprannnome dato da Edward a Susan) è l'agghiacciante storia di una famiglia che, in viaggio per le strade desolate del Texas, viene attaccata da un quartetto di balordi e costretta a vivere un'esperienza terribile che poco ha da invidiare ad un horror e Susan, come vediamo, ne è profondamente colpita, al punto da arrivare a vivere sulla propria pelle le sensazioni dei protagonisti. Immergersi in questi due livelli narrativi paralleli e capire cosa abbiano a che fare l'uno con l'altro è l'aspetto più bello di Animali Notturni e rovinarsi il gusto dell'esperienza con degli spoiler sarebbe nocivo; aggiungo solo che il film di Tom Ford è la storia crudele di una vendetta sottile, l'urlo disperato di chi si è visto strappare dalle mani ogni cosa buona e la triste sconfitta di chi non ha mai neppure provato ad affrontare la vita con coraggio, fuggendo per cordardia da un'esistenza magari priva di agi ma quasi sicuramente ricca di "sentimento", di emozioni capaci di travalicare una vuota apparenza.


E l'apparenza è ciò che colpisce maggiormente guardando Animali notturni, a partire dal sublime trash della sequenza iniziale, a base di ciccione twerkanti e lustrini, per arrivare allo skyline di una New York patinatissima e al trucco pesante di una Amy Adams splendida. L'estetica vuota del mondo reale (o meglio, del mondo di Susan), fatto di arte moderna, superfici riflettenti, accecanti luci al neon, candele soffuse e look curatissimi, fa a pugni con i flashback di una vita semplice e priva di orpelli e, soprattutto, con i colori saturi di un Texas da incubo, caratterizzato da tramonti infuocati, impietose distese desertiche e un'umanità che raschia il fondo della depravazione. Amy Adams sfoglia le pagine del manoscritto mentre la macchina da presa di Ford ne coglie ogni espressione, ogni moto di dolore, paura e stupore, affiancandole grazie ad un montaggio superbo alle emozioni di chi, all'interno del romanzo, soffre e muore in un'incontrollabile spirale di violenza. Al vuoto di una vita "reale" ma malvissuta (Susan chiede alla giovane assistente "Pensi mai che alla fine la tua vita non si sia rivelata come volevi che fosse?"), all'interno della quale persino i quadri diventano meri oggetti di arredamento invece che espressioni della personalità dell'artista e dove la quotidianità coi figli viene affidata alle app degli onnipresenti smartphone, si contrappongono dunque le potenti emozioni di un'opera di finzione che, di fatto, risulta molto più "vera" del mondo surreale abitato da Susan e compagnia; l'animo dell'artista, vomitato su carta e concretizzatosi in fiumi d'inchiostro, si rivela così un'arma potentissima capace di scuotere le coscienze "ciniche" e mandare in frantumi un'esistenza dalla quale è stato brutalmente buttato fuori. Alla fine della fiera, Animali notturni lascia un pesante senso di sconfitta che si estende a tutti i protagonisti, "reali" o di finzione che siano, a prescindere che si tratti di persone colpevoli di qualunque peccato si possa loro imputare o innocenti, e l'unico ad uscirne vincitore è lo spettatore che si è goduto quasi due ore di ottimo Cinema (dove, per una volta, la bellezza formale è assolutamente indispensabile e funzionale alla trama) e una di quelle rare opere capaci di far riflettere e discutere.


Di Amy Adams (Susan Morrow), Jake Gyllenhaal (Tony Hastings/Edward Sheffield), Michael Shannon (Bobby Andes), Aaron Taylor-Johnson (Ray Marcus), Isla Fisher (Laura Hastings), Armie Hammer (Hutton Morrow), Laura Linney (Anne Sutton), Andrea Riseborough (Alessia), Michael Sheen (Carlos) e Jena Malone (Sage Ross) ho già parlato ai rispettivi link.

Tom Ford è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come A Single Man. Anche attore, produttore e stilista, ha 55 anni.


Karl Glusman interpreta Lou. Americano, ha partecipato a film come e serie come Ratter: Ossessione in rete e The Neon Demon. Ha 28 anni e un film in uscita.


Ellie Bamber, che interpreta India Hastings, ha partecipato ad PPZ: Pride and Prejudice and Zombies nei panni di Lydia Bennet. Sinceramente, se Animali notturni vi fosse piaciuto non saprei quale altro film consigliarvi di vedere... probabilmente, io recupererò A Single Man! ENJOY!

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