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martedì 25 febbraio 2025

Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (2005)

Con l'uscita su Netflix e la nomination ai Golden Globes del nuovo film dedicato a Wallace e Gromit, ho riguardato assieme al Bolluomo Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (Wallace & Gromit: Curse of the Were-Rabbit), diretto e sceneggiato dai registi Nick Park e Steve Box nel 2005.


Trama: Wallace e Gromit, proprietari di una ditta di disinfestazione caritatevole, si ritrovano per le mani un'enorme gatta da pelare, quando un coniglio mostruoso minaccia di far razzia della verdura di tutti i cittadini, alla vigilia del Concorso di Verdura Gigante...


Sono già passati 20 anni dalla visione al cinema di Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro. 20 anni durante i quali, benché mi fiondi sempre sui cartoni animati in stop motion, non ricordo di avere mai rivisto i due personaggi in qualche corto o film, anche se di opere a loro dedicate ne sono uscite. Avevo quindi paura di conservare un ricordo positivo alterato dal tempo, come spesso succede, ed ero un po' restia a rivedere col Bolluomo quella che, ai suoi occhi, avrebbe potuto essere una cretinata per bambini. Ovviamente, e per fortuna, mi sbagliavo. Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro riprende le due fortunate creature di Nick Park, l'inventore mangiaformaggio Wallace e il cane Gromit, inserendole all'interno di un lungometraggio che mantiene i toni scanzonati ma anche le atmosfere sottilmente inquietanti dei corti che lo hanno preceduto, soprattutto quelle de I pantaloni sbagliati. Le rispettive personalità dei protagonisti si inseriscono alla perfezione all'interno di una storia che più horror non si può, il trionfo dei cliché del genere, con un mostro vegetariano pronto a sconvolgere una cittadina di agricoltori, dove l'onore più grande è quello di vincere il Concorso di Verdura Gigante. Wallace, pigro e fessacchiotto ma fondamentalmente buono, è la fucina continua di idee che genera le invenzioni più strampalate, fantastiche sulla carta e dannose all'atto pratico, mentre il povero Wallace è la muta voce della ragione, spesso ignorata in quanto proveniente dall'eloquente sguardo di un cane. Combinati all'elemento horror, e all'aggiunta di un parterre di personaggi spassosissimi (Quatermaine e Lady Tottington sono due esilaranti estremizzazioni di tipici comprimari horror e senza di loro il film non funzionerebbe, ma il mio cuore è volato al prete e all'isteria con la quale si ritrova a gestire la crisi mannara), tutti questi elementi danno vita a un film perfetto per bambini e adulti, un'avventura piena di ritmo che non offre il fianco nemmeno a un istante di noia, condita da un pizzico di umorismo british che da il meglio goduto nella versione in lingua originale. 


Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, si rasenta la perfezione. Nick Park già all'epoca aveva fatto ricorso alla CGI (in primis per il "volo" dei conigli ma anche nel corso del finale, modificato perché il regista non era soddisfatto del primo risultato), ma il suo è un utilizzo intelligente, atto a far risparmiare agli animatori settimane di modifiche al posizionamento dei pupazzi, e, soprattutto, è un utilizzo mai invasivo né percettibile, perché il cuore del film è la stop-motion. Pensare al miracolo di una tecnica simile, all'incessante, certosino lavoro che c'è dietro, vedere che non esistono sbavature nei movimenti dei personaggi e nelle sequenze più concitate od affollate, mi lascia sempre a bocca aperta per l'ammirazione. La presenza dei segni delle impronte digitali sul muso di Gromit, nei primi piani, per me non è un difetto, ma l'importantissima testimonianza del lavoro manuale degli animatori, della natura artigianale di quella che può essere ben definita un'opera d'arte; sempre parlando di Gromit, è incredibile il modo in cui i realizzatori siano riusciti a renderlo espressivo, a convogliare la mancanza di dialoghi in un linguaggio corporeo assolutamente comprensibile. Ammirevole, ovviamente, anche il character design. Tolto che i coniglietti, con quel loro "weee", sono il trionfo della pucciosità, sfido chiunque a non voler infilare le mani nelle cicce pelosissime del coniglio mannaro; passando, poi, agli esseri umani, tutti gli abitanti del paesino hanno peculiarità distintive e il guardaroba di Lady Tottington, sempre in tema con qualche verdura, è da antologia. Fossi in voi, quindi, approfitterei dell'uscita di Le piume della vendetta per recuperare questo gioiello animato, se non lo avete mai visto, o per riguardarlo e immergervi in un'opera che non ha perso smalto nemmeno dopo 20 anni!

 


Di Ralph Fiennes (voce originale di Victor Quartermaine), Helena Bonham Carter (Lady Campanula Tottington) e Mark Gatiss (Miss Blight) ho già parlato ai rispettivi link.

Nick Park è il co-regista e co-sceneggiatore del film, nonché creatore dei personaggi Wallace e Gromit, dei quali ha diretto ogni corto (gli episodi delle serie TV sono invece stati affidati ad altri registi). Ha diretto anche i film Galline in fuga e I primitivi. Anche produttore, animatore e attore, ha 67 anni. 


Steve Box
è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, era al suo primo e, finora, unico lungometraggio. Anche animatore e produttore, ha 58 anni.


Se Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro vi fosse piaciuto, recuperate ovviamente tutti i corti dedicati al dinamico duo: Una fantastica gita, I pantaloni sbagliati, Una tosatura perfetta e Questione di pane o di morte. Aggiungerei anche Shaun, vita da pecora - Il film e Shaun, vita da pecora: Farmageddon - Il film. ENJOY!

venerdì 21 gennaio 2022

The House (2022)

Siccome ne avevo letto benissimo prima ancora che uscisse su Netflix, non ho perso nemmeno un minuto quando ho saputo che era finalmente stato messo in catalogo The House, antologia in stop motion diretta dai registi Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr e Paloma Baeza.


Il film raccoglie tre mediometraggi aventi per protagonista una casa nel corso di varie epoche. Il primo segmento, And heard within, a lie is spun, è ambientato in un'Inghilterra di fine ottocento e racconta com'è nata la casa del titolo e come una famiglia di nobili decaduti ha finito per andarci ad abitare. La prima cosa che salta all'occhio dell'episodio, diretto da Emma de Swaef e Marc James Roels, è il modo in cui tutti i personaggi, ma anche gli oggetti di uso comune come coltelli, penne, persino il fuoco, sono stati realizzati con lana cardata (i personaggi risultano pelosini) o con altri tipi di stoffe intessute in modo da conferire comunque una solidità agli oggetti; esteticamente, dei tre episodi è quello più interessante ed originale dal punto di vista della realizzazione e la scelta di utilizzare determinati materiali ha senso, visto che il fulcro della trama di And heard within, a lie is spun (ma in generale dell'intero The House) è l'incapacità dei personaggi di staccarsi dal desiderio di ricchezze materiali a discapito degli affetti, con risultati che scoprirete guardando l'episodio. E se pensate che dei pupazzetti di lana cardata non possano mettere un'ansia fotonica, non avete ancora avuto modo di venire fissati da quegli occhietti a capocchia di spillo che si ritrovano, né di sperimentare la labirintica sensazione di claustrofobia scaturita da una casa in grado di cambiare planimetria nel corso di una notte. Preparatevi anche a farvi spezzare il cuore, ché le piccole protagoniste sono deliziose, e non meritano nemmeno la metà di quello che capita loro. 


Dopo lo spezzettamento del muscolo cardiaco, giunge il momento di frantumarsi lo stomaco e vomitare persino il panettone del 1998. Then lost is truth that can't be won è l'angoscia kafkiana fatta orrore puro, tanto che preferirei riguardare in loop The Human Centipede piuttosto che dovere posare di nuovo gli occhi sul lavoro di Niki Lindroth von Bahr, che pure è un signor lavoro. In questo caso, il protagonista è un ratto antropomorfo che vive dentro la casa titolare ai giorni nostri. Anche qui, il protagonista è completamente ossessionato dalla casa; non tanto dalle ricchezze che contiene (ormai sparite), quanto dal trasformare la stessa casa in una fonte di ricchezza per poter abbandonare i creditori che rischiano di spolparlo vivo. Costretto a fronteggiare da solo la ristrutturazione, i mille problemi della gestione della casa, un'invasione di insetti e un'inaugurazione già nata sotto una pessima stella, il ratto si ritrova all'interno di un incubo fatto di stress e sopraffazione quando due strani, terrificanti acquirenti decidono di installarsi nell'edificio dietro la promessa di acquistarlo. Anche in questo caso, la morale dell'episodio è chiara, poiché il ratto (descritto come il tipico self made man dipendente da tecnologia, internet e telefonate-fiume) ha sacrificato ogni aspetto della sua vita per un'ossessione che lo ha reso solo e completamente distaccato dalla realtà, tanto da diventare terreno fertile di una follia insidiosa, tragicomica quasi (il balletto delle blatte, per quanto faccia schifo, è ipnotico), che lascia lo spettatore preda di un'angoscia indescrivibile. Complimenti a chi ha realizzato il character design dei personaggi e ad autori che, probabilmente, si sono ammazzati non solo di Kafka, ma hanno mandato a memoria le puntate più disturbanti di Leone il cane fifone. Guardatelo e fatemi sapere se siete sopravvissuti. 


Si torna a respirare, sempre con parsimonia, durante l'ultimo episodio ambientato in un futuro dove l'acqua ha ormai inghiottito il pianeta, Listen again and seek the sun. Messi da parte topi e blatte, stavolta la protagonista è la gattina Rosa, il cui sogno sarebbe ristrutturare la casa ormai cadente, minacciata dalle acque e trasformata in un complesso di piccoli appartamenti dove abitano solo due persone che non le pagano l'affitto. Se l'atmosfera dei primi due episodi era angosciante e non lasciava spazio a un vago sorriso nemmeno per sbaglio, il segmento di Paloma Baeza, pur chiudendosi su un finale incerto, per quanto poetico, offre un'afflato di speranza alla protagonista, dandole i mezzi (per quanto strani) di voltare le spalle alla sua ossessione per la casa e aprire il cuore agli affetti. La stessa Rosa, così come i suoi inquilini, sono vivaci e propositivi, a differenza dei personaggi degli altri episodi, e in generale le luci e i colori degli sfondi e dei vari ambienti sono più tenui e colorati, tanto che persino l'acqua che dovrebbe essere minacciosa risulta quasi placida, malinconica. Dopo tanta angoscia e depressione, un episodio così ci voleva proprio, per chiudere in bellezza.


Tirando le somme, posso dire senza timore che The House è veramente un gioiellino. Certo, sono di parte perché ho sempre adorato la stop-motion, una tecnica affascinante e anche follemente perfezionista, visto il modo in cui ogni personaggio, ogni fotogramma, ogni dettaglio devono essere realizzati e posizionati con cura certosina, ma anche la stessa trama è qualcosa di particolare all'interno dell'animazione mainstream solitamente proposta da Netflix. Uniti, i tre episodi formano un'unica storia avente per antagonista una casa che farebbe invidia a Shirley Jackson e a King, oltre che a Kafka, una "bugia" in grado di promettere mari e monti che, invece, porta solo alla rovina e alla disperazione con la sua voce di sirena ingannevole. I protagonisti del primo episodio sono i primi ad ascoltarne la voce e a rimanerne in pare soggiogati, il ratto del secondo non ha neppure modo di difendersi visto che probabilmente è già perso in partenza, mentre Rosa riesce ad aprire il cuore a un'altra voce, che la porta a cercare una nuova fonte di luce, una nuova speranza. La speranza è che la casa venga finalmente inghiottita dalle acque per poi sparire, dopo aver mietuto troppe vittime, ma il risultato sarebbe quello di non avere più altre storie spaventevoli e angoscianti come quelle di The House, una potenziale serie che penso avrebbe ancora parecchio da dire. Non perdetelo assolutamente!


Di Matthew Goode (Raymond), Helena Bonham Carter (Jen), Mia Goth (Mabel) e Miranda Richardson (Zia Clarice) ho già parlato ai rispettivi link. 

Emma De Swaef e Marc James Roels sono i registi del primo episodio. Lei è belga e ha 37 anni, lui sudafricano e ne ha 44; assieme hanno diretto corti pluripremiati come Ce magnifique gâteau! e Oh Willy...


Niki Lindroth von Bahr
è la regista del secondo episodio. Svedese, ha diretto corti animati come Tord and Tord, Bath House e The Burden. Anche sceneggiatrice, produttrice e doppiatrice, ha 37 anni.


Paloma Baeza
è la regista del terzo episodio. Inglese, ha diretto il corto Poles Apart. Anche attrice e sceneggiatrice, ha 47 anni. 


Claudie Blakley
è la doppiatrice originale di Penelope. Inglese, la ricordo per film come Gosford Park, Severance - Tagli al personale e Il ragazzo che diventerà re. Ha 49 anni. 


Se The House vi fosse piaciuto potreste recuperare Coraline e la porta magica. ENJOY!


 






martedì 31 luglio 2018

Ocean's 8 (2018)

Per una volta il cinemino albisolese mi è venuto in soccorso e domenica sera sono riuscita a vedere Ocean's 8, diretto e co-sceneggiato da Gary Ross, alla faccia delle ferie del multisala savonese.


Trama: dopo essere uscita di prigione, Debbie Ocean organizza un audace colpo al Metropolitan Museum di New York.


Doverosa premessa: sono passati 17 anni da Ocean's Eleven e io credo di non averlo mai più riguardato dopo quella lontanissima sera al cinema del 2001, ergo se sperate che durante la visione di Ocean's 8 abbia colto non solo i riferimenti al suo predecessore (salvo il nome Danny Ocean, grazie al piffero!) ma anche le somiglianze a livello di trama (c'era un cinese acrobata anche lì mi pare, giusto?) cascate malissimo e, sempre in virtù di ciò, non riuscirei nemmeno a confrontare la qualità dei due film. Di fatto, non sono andata a vedere Ocean's 8 per una sorta di nostalgia o per vedere "come mi avessero rovinato l'infanzia anche se all'epoca avevo già 20 anni" ma solo per il cast zeppo di attrici che adoro, salvo la Bullock, e perché in generale mi piacciono gli heist movies, come ama chiamarli oggi la critica, benché quelli americani finiscano per assomigliarsi un po' tutti. Come da programma, quindi, sono andata al cinema giusto per godermi un furto perpetrato da un gruppo di donne cool e quello ho avuto, niente di più e niente di meno; Ocean's 8 fila dritto e liscio dall'inizio alla fine, con qualche complicazione all'acqua di rose, un paio di garbati "colpi di scena", una lunga e necessaria introduzione per presentare tutte le otto protagoniste e qualche forzatura della trama che probabilmente sfuggirà agli spettatori meno spaccapalle e che, effettivamente, in questo genere di pellicola deve necessariamente finire in secondo piano. Si potrebbe definire Ocean's 8 un film "leggero", un divertissement estivo che lascia il tempo che trova, non entusiasmante quanto ci si potrebbe aspettare da un ensemble di prime donne potenzialmente carismatico e quindi facilmente dimenticabile nel giro di un paio di settimane o anche meno, con parecchie potenzialità sprecate e fiaccato da una mancanza di coraggio imperdonabile. Banalmente, giusto per fare un esempio, manca un villain degno di questo nome (oh, quanto avrei sperato che "qualcuna" facesse il doppio gioco, invece ciccia, bisogna accontentarsi di una sciapa vendetta ai danni di un povero sfighé...), manca un po' di sano pericolo, manca, per citare Alex De Large, una sana dose di ultraviolenza e un po' di dolce su e giù i quali, se non rammento male, mancavano anche nei vari Ocean's precedenti ma perlomeno c'era l'umorismo guascone e fighetto di Clooney e compagnia a farla da padrone.


Ocean's 8 è invece un vorrei ma non posso. Non so come spiegarmi al meglio ma pare davvero pensato e realizzato "solo" per un pubblico femminile, a partire da quelle sequenze palesemente imperniate su lusso e glamour, fatte di gioielli da sogno e abiti da capogiro, come se le spettatrici stessero sfogliando una di quelle riviste alla Vanity Fair invece di vedere un film; non è che le protagoniste non siano carismatiche, intelligenti o toste, però mi è sembrato che queste tre caratteristiche fossero subordinate ad una superficialità concretizzata nell'apparenza, in sogni di evasione fatti di cinema, gossip, lavori a contatto col mondo della moda ecc. e questo non accadeva in Ocean's Eleven, fatto per piacere e divertire a partire dal "gender" dello spettatore. Detto questo, le donne che passano sullo schermo sono effettivamente lontane anni luce da noi povere mortali quindi forse ci sta che alle spettatrici venga lasciata giusto la possibilità di sognare. La boss Sandra Bullock non ha il carisma del "fratello" George Clooney ma comunque il personaggio di Debbie Ocean è un perfetto esempio di criminale veterana che riesce a farsi rispettare dal gruppo pur mantenendo i suoi piccoli segretucci, ed è degnamente spalleggiata da una Cate Blanchett alla quale vengono riservate le mise migliori nonostante la sua Lou non spicchi come dovrebbe, vincendo la palma di co-protagonista sprecata e tenuta stupidamente nell'ombra; divertentissima Anne Hathaway nei panni di un'attrice oca, ignorante e superba, un ruolo sciocchino che tuttavia l'attrice interpreta con incredibile grazia, e sorprendente Rihanna che risulta una gnocca colossale anche conciata come l'ultima delle streppone di Piazza del Popolo (con l'unico difetto di un adattamento italiano imbarazzante, come sempre accade quando si è costretti a riportare uno slang "cciofane"), mentre Helena Bonham Carter passa alla cassa senza impegnarsi più di tanto, portando a casa la solita interpretazione da weirdo un po' attempata. La Paulson, il motivo principale che mi ha spinta al cinema, è invece una signora come sempre, attrice tra le più duttili esistenti, brava sia nei ruoli drammatici che in quelli leggeri come questo. Definirla passepartout non le rende giustizia, visto tutto il bene che le voglio, sta di fatto che ogni volta che la vedo a me pare perfetta e calzante, a prescindere dal ruolo. In soldoni, quindi, non è che Ocean's 8 sia un brutto film ma forse è un po' anonimo e piatto, incapace di sfruttare al meglio tutti gli elementi positivi di cui è dotato, un budget della Madonna e un incredibile cast in primis. E poi, mi chiedo: ma perché Richard Armitage è figo solo quando fa il nano?


Del regista e co-sceneggiatore Gary Ross ho già parlato QUI. Sandra Bullock (Debbie Ocean), Griffin Dunne (Responsabile libertà vigilata), Cate Blanchett (Lou), Elliott Gould (Reuben), Richard Armitage (Claude Becker), Anne Hathaway (Daphne Kluger), Helena Bonham Carter (Rose Weil), Dakota Fanning (Penelope Stern), Sarah Paulson (Tammy) e James Corden (John Frazier) li trovate invece ai rispettivi link.

Mindy Kaling interpreta Amita. Americana, ha partecipato a film come 40 anni vergine, Una notte al museo 2 - La fuga e Facciamola finita, come doppiatrice ha lavorato invece in Cattivissimo me, Ralph Spaccatutto ed Inside Out. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 39 anni e un film in uscita.


Rihanna (Robyn Rihanna Fenty) interpreta Palla Nove. Nativa delle Barbados, ovviamente famosissima come cantante, ha partecipato a film come Battleship, Facciamola finita, Valerian e la città dei mille pianeti e a serie come Bates Motel; come doppiatrice ha lavorato in Home - A casa. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 30 anni.


Tra le celebrità che hanno partecipato non accreditate nel ruolo di loro stesse ci sono Katie Holmes, Kim Kardashian, Jaime King, Olivia Munn, Serena Williams, Anna Wintour e Common; tra quelle che invece "non ce l'hanno fatta" ci sono Jennifer Lawrence, rimpiazzata da Anne Hathaway a causa di impegni pregressi, ed Elizabeth Banks. Siccome Ocean's 8 è lo spin-off di Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco, se il genere vi piace recuperatelo e aggiungete Ocean's Twelve, Ocean's Thirteen e magari anche Colpo grosso e The Italian Job. ENJOY!

mercoledì 30 marzo 2016

Suffragette (2015)

Con il solito ritardo arrivo a parlare di un film bellissimo, Suffragette, diretto nel 2015 dalla regista Sarah Gavron.


Trama: nella Londra dei primi del '900 la giovane operaia Maud, sposata e con un bimbo piccolo, si ritrova coinvolta nel movimento delle cosiddette "suffragette", militanti pronte a battersi per ottenere il suffragio universale...



"Avete voluto i nostri stessi diritti? E adesso pedalate!". Quante volte ho sentito queste parole, ovviamente con mille declinazioni diverse, pronunciate dagli uomini davanti ad una lamentela femminile relativa al posto di lavoro, agli stipendi, ad una legge particolarmente idiota, alle proteste di madri costrette ad affidare i figli ai nonni perché con un solo stipendio non si arriva a fine mese. Chissà cosa direbbero questi uomini se sapessero che, prima di ottenere il diritto di voto (diritto che, per inciso, NON è ancora stato ottenuto da tutte le donne del mondo), la condizione delle esponenti del gentil sesso non era quella delle tranquille casalinghe mostrate in un'infinità di commedie o drammi americani dagli anni '50 in poi né le Suffragette erano le gioviali ed energiche donnette canterine, fondamentalmente innocue, tramandate da Mary Poppins. Chissà cosa direbbero se sapessero che una donna, agli inizi del '900, doveva OVVIAMENTE essere madre e moglie devota ma anche portare a casa la pagnotta portandosi il figlio in fabbrica, dove era costretta a lavorare il doppio del consorte per la metà della paga, oltre ad andare incontro problemi di salute e a soprusi fisici e mentali, per non parlare dell'impossibilità di ambire ad incarichi di prestigio, men che meno statali o politici. Nei gloriosi anni '80, quando sono nata io, mamma è stata fortunata: poteva votare e poteva anche stare a casa a crescere me, perché a quei tempi un uomo poteva accollarsi gli oneri economici di una piccola famiglia, con un po' di oculato risparmio e qualche sacrificio. Oggi, a distanza di più di 100 anni, sebbene una donna possa fortunatamente votare ed ambire ad alte cariche all'interno della società e dello Stato, siamo tornate alle condizioni di inizio '900 e chissà invece cosa direbbero le Suffragette e il loro "capo" Emmeline Pankhurst davanti ad aberrazioni come #escile, alla discriminazione che ancora esiste sul posto di lavoro, all'impossibilità di andare in giro con una minigonna perché trattasi di palese invito alla violenza sessuale, alla misoginia più o meno elevata all'interno dei media o dell'opinione pubblica e questo, beninteso, SOLO nella civiltà occidentale, ché c'è chi sta sempre peggio di noi.


Probabilmente le suffragette si armerebbero non già di striscioni e ombrellini, come per l'appunto ci mostrava il signor Disney, ma di sassi ed esplosivi come ci raccontano Sarah Gavron e il gruppo di favolose interpreti che hanno messo in piedi Suffragette, pellicola che può e deve essere un bel calcio nelle palle di chi ancora non ha capito che non è il caso di parlare di "sesso debole" solo perché la donna manca di attributi fisici. E se è vero che la pellicola della Gavron non inneggia al "Girl PowA", preferendo invece mostrare i pro e i tanti contro di un movimento che non ha esitato a sporcarsi le mani di sangue per ottenere un minimo di visibilità all'interno di una società dove i giornali venivano sistematicamente zittiti da polizia e governo, è altrettanto vero che gli uomini non ne escono benissimo. Il marito di Maud, giovane operaio convinto che avere una moglie significhi avere accanto una creatura tranquilla, silenziosa ed obbediente, un ragazzo incapace di fare fronte alle difficoltà di gestire un figlio da solo e timoroso dell'opinione dei vicini di casa, non è più inetto di un consiglio di Lord che promettono senza mantenere o di vili padroni capaci solo di usare violenza sulle loro operaie; schiacciati dal peso di quella che, in definitiva, era una guerra civile inglese, i pochi uomini e le poche donne ancora capaci di usare il cervello potevano solo offrire un silenzioso sostegno alla causa, oppure un'ammirazione da tenere necessariamente nascosta per non incorrere nelle stesse pene inflitte a donne che reclamavano semplicemente dei diritti sacrosanti. E se sto suonando retorica e un po' arrabbiata è perché Suffragette è un film potente, che mi ha portata a riflettere sul poco che questa società offre a donne che, come me, si sono fatte il mazzo per avere un pezzo di carta che attestasse la fine di un rispettabilissimo percorso di studi e che passano invece le giornate accanto a persone che le disprezzano in quanto possibili madri (ergo ladre di stipendi e posti di lavoro oltre che fancazziste), che non le chiamano Dottoresse perché Dottore è un titolo da dare solo agli uomini (o a chi pratica la professione medica. E se ti lamenti sei pure arrogante e fai pesare la laurea a chi non meriterebbe neppure il diploma di scuola media), ecc. ecc. Quindi ben vengano film come questo, per combattere l'anche troppo diffusa ignoranza con sane dosi di realtà storica, per una volta non edulcorata da pizzi, trine e merletti... e, col cuore, dico affanculo Winifred Banks!


Di Carey Mulligan (Maud Watts), Ben Whishaw (Sonny Watts), Helena Bonham Carter (Edith Ellyn), Brendan Gleeson (Ispettore Arthur Steed) e Meryl Streep (Emmeline Pankhurst) ho già parlato ai rispettivi link.

Sarah Gavron è la regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Brick Lane. Ha 46 anni.


Anne-Marie Duff interpreta Violet Miller. Inglese, moglie dell'attore James McAvoy, ha partecipato a film come Enigma e Magdalene. Ha 46 anni.


Nel film compaiono, in ruoli minori, sia Helen Pankhurst, pro-pronipote di Emmeline Pankhurst, che sua figlia Laura. Se Suffragette vi fosse piaciuto recuperate North Country e L'ultima eclissi. ENJOY!

domenica 14 giugno 2015

Lo straordinario viaggio di T.S.Spivet (2013)

Dalle mie parti ha fatto solo capolino ma ero comunque curiosa di guardare Lo straordinario viaggio di T.S.Spivet (The Young and Prodigious T.S.Spivet), diretto e co-sceneggiato nel 2013 dal regista Jean-Pierre Jeunet partendo dal romanzo Le mappe dei miei sogni (The Selected Works of T.S. Spivet) di Reif Larsen.


Trama: Il piccolo e geniale T.S. Spivet vive a Divide, nel Montana, insieme ad una sorella con ambizioni da attrice, un padre cowboy e una madre entomologa. Un giorno il bambino riceve una chiamata dallo Smithsonian Institute, che lo invita a ritirare un prestigioso premio, così  T.S. parte per un avventuroso e solitario viaggio alla volta di Washington…


Probabilmente ora mi attirerò addosso il biasimo della maggioranza dei veri blogger cinefili ma non mi vergogno di ammettere di essere una dei tanti spettatori che, all’epoca, si erano innamorati perdutamente de Il favoloso mondo di Amélie e della coloratissima, poetica e soprattutto ruffianissima (lo riconosco ma cazzumene) messa in scena di Jean-Pierre Jeunet. Poi, a dire la verità, mi ero persa Una lunga domenica di passioni e un altro film di cui ora non rammento il nome però il trailer di quello che per comodità abbrevierò in T.S. Spivet chissà perché mi aveva intrigata; forse perché mi ricordava molto le atmosfere del mio adorato Wes Anderson, forse perché ero contenta di vedere la Bonham-Carter in un ruolo non necessariamente gotico, forse perché, in generale, i racconti di formazione aventi per protagonisti dei bambini geniali mi sono sempre piaciuti. E devo dire che l'ultimo film di Jeunet, oltre ad essere molto carino, ha tenuto fede a tutto quello che mi sarei aspettata da lui, rivelandosi una visione assai piacevole. Come ho detto, si respira Wes Anderson dalla prima all'ultima lettera della sceneggiatura: T.S. Spivet vive assieme ad una strampalata famiglia di persone estremamente diverse tra loro e molto peculiari, che raramente si parlano e che, ovviamente, non riescono a superare una tragedia che è riuscita ancor più ad allontanarli, almeno in apparenza. Il piccino è dotato di un incredibile cervello, che lo spinge a consacrarsi agli hobby più strampalati rifuggendo i passatempi dei suoi coetanei e ciò fa sì che un giorno lo Smithsonian Institute decida di premiarlo per un'invenzione che potrebbe finalmente fare luce sul mistero del moto perpetuo: da questo momento comincia per T.S. un viaggio in solitaria, tra incontri piacevoli e altri meno, un viaggio che lo porterà necessariamente ad affrontare il suo senso di colpa e a capire qualcosa di più su sé stesso e la sua famiglia. Come già accadeva in Amélie, nonostante il suo aspetto coloratissimo e l'abbondanza di momenti divertenti anche questo T.S.Spivet è molto malinconico e a tratti doloroso, tanto che alla fine ho concluso la visione con un magone abbastanza difficile da buttare giù.


Tristezza a parte, T.S. Spivet è molto particolare nella sua realizzazione. Non ho letto Le mappe dei miei sogni ma da quello che ho visto in giro dovrebbe essere un ibrido tra un romanzo "classico" e un libro avventura zeppo di gadget, mappe, grafici e note a pié di pagina che costituiscono parte integrante della trama; per quel che ha potuto, mi è parso che Jeunet abbia rispettato lo spirito dell'opera originale, sovrapponendo alle immagini live action degli schemi che riassumono i piani di viaggio del protagonista, diagrammi che ne sintetizzano i pensieri, persino stralci di diario scritti a mano. La pellicola è raccontata interamente dal punto di vista di T.S., con tanto di voce narrante, sequenze dove talvolta la realtà viene filtrata dalla fantasia del bambino (cosa che porta, per esempio, gli animali a parlare) e visioni di ciò che accade all'interno della mente sua o di quella di chi gli sta accanto; in tutta sincerità, devo però dire che questo escamotage già usato in Amélie rende a tratti "posticcia" e poco fluida l'intera storia e spesso sembra che Jeunet voglia a tutti i costi ricreare le atmosfere del suo film più famoso sacrificando il sentimento alla forma, per quanto coloratissima, fiabesca ed adorabile. Passando al cast, il semi-esordiente Kyle Catlett è simpatico, carino e molto tenero; non è un'impresa facile rendere gradevole al pubblico un bimbetto saccente e anche troppo "adulto" per la sua età ma per fortuna il piccolo attore ci riesce ed è anche molto convincente nel momento in cui T.S. si fa seriamente male (cosa strana, tra l'altro, per questo genere di film!). Gli altri attori formano un gruppetto assai variegato di star internazionali, come la Bonham-Carter, e ottimi caratteristi, come Callum Keith Rennie e un irriconoscibile Dominique Pinon, che sostengono degnamente l'"ingombrante" presenza del protagonista e contribuiscono a rendere ancora più vivace l'insieme. Concludendo, siamo purtroppo ben lontani dai fasti de Il favoloso mondo di Amélie ma se vi mancano le atmosfere malinconiche e sognatrici di quel film o siete in crisi d'astinenza da Wes Anderson, Lo straordinario viaggio di T.S.Spivet vale una visione!


Di Helena Bonham-Carter, che interpreta la Dottoressa Clair, ho già parlato QUI.

Jean-Pierre Jeunet è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Francese, ha diretto film come Alien - La clonazione, Il favoloso mondo di Amélie e Una lunga domenica di passioni. Anche produttore, attore, animatore, costumista e scenografo, ha 62 anni e un film in uscita.


Judy Davis interpreta G.H. Jibsen. Australiana, ha partecipato a film come Barton Fink - E' successo a Hollywood, Il pasto nudo, Harry a pezzi e Marie Antoinette. Ha 60 anni e un film in uscita.


Callum Keith Rennie interpreta il padre di T.S. Inglese, ha partecipato a film come eXistenZ, Memento, Blade: Trinity e a serie come X-Files, Oltre i limiti, Highlander, Nikita, Dark Angel, La zona morta, Tru Calling, Kingdom Hospital, Supernatural, Smallville, 24 e CSI: Miami. Anche produttore, ha 51 anni e cinque film in uscita.


Niamh Wilson interpreta Gracie. Canadese, ha partecipato a film come Saw III - l'enigma senza fine, Saw IV, Saw V, Saw VI, Maps to the Stars e a serie come Hemlock Grove. Ha 18 anni.


Dominique Pinon interpreta Two Clouds. Francese, ha partecipato a film come Frantic, La leggenda del santo bevitore, Alien - La clonazione, Il favoloso mondo di Amélie, Una lunga domenica di passioni e a serie come Caméra Café. Ha 60 anni e due film in uscita.


Il piccolo Kyle Catlett, che interpreta il protagonista, è pronto a tornare sul grande schermo col remake di Poltergeist, la cui uscita italiana è prevista a luglio, mentre il "fratellino" Jakob Davies è stato un giovanissimo ed umano Pinocchio nella serie C'era una volta. Finite le curiosità inutili, se Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet vi è piaciuto recuperate anche Il favoloso mondo di Amélie, Il treno per il Darjeeling e Moonrise Kingdom - Una storia d'amore. ENJOY!

martedì 24 marzo 2015

Crossposting: Cenerentola (2015)

Dopo aver parlato ieri del Classico originale Disney, il Crossposting con Prevalentemente Anime e Manga dedicato alla bella Cenerella continua con Cenerentola, diretto dal regista Kenneth Branagh.

QUI trovate il post di Acalia! ENJOY!



Trama: il padre della giovane Ella, un commerciante spesso in viaggio per lavoro, decide dopo la morte dell'amata moglie di risposarsi con un'arrampicatrice sociale che porta in dote due figlie sciocche e maleducate. Quando anche il padre muore, Ella viene ridotta a far da serva al trio di megere, che iniziano a chiamarla Cenerentola, finché un giorno la giovane non incontra il Principe...


Anastasia, Genovéffa, salutate la dignità di Branagh, laggiù...!
"Perché no?" Il senso dell'operazione che ha portato su grande schermo un live action sostanzialmente identico al classico Disney Cenerentola potrebbe interamente riassumersi in questa domanda retorica, la stessa che rivolge la protagonista al Principe Keith quando lui, giustamente, le chiede "Perché proprio delle scarpette di cristallo? (Che, povera minchietta, peseranno 27 kg l'una e saranno scomodissime?)". Ovvero, se cercavate nell'ultima opera Branaghiana un film che potesse  gettare una luce moderna o perlomeno razionale sulle dinamiche che governavano il cartone animato, poveri voi. Qualche cambiamento, per quanto minimo, effettivamente c'è, diamo a Cesare quel che è di Cesare: questa nuova Cenerentola aggiusta il tiro rendendo più plausibile sia il modo in cui viene indetto il famoso ballo conferendo un po' di spessore, indipendenza e spirito d'iniziativa ad un Principe che nel cartone originale era giusto un pezzo di carta da parati messo lì per caso, sia quello in cui detto Principe e Cenerentola si incontrano per la prima volta e si innamorano. La sceneggiatura introduce inoltre i sempre graditi intrighi di corte (ciao ciao, simpatico Granduca Monocolao, benvenuto perfido Stellan Skarsgard) e la storia di Cenerentola passa dal raccontare la giusta e legittima riappropriazione dello status sociale da parte di una fanciulla di sangue blu trasformata in servetta, al rappresentare la scalata verso il successo di una borghese sognatrice dall'animo gentile, così che tutte le bambine povere del mondo possano cantare "Ce la farò, io ce la farò" come la vecchia Raffa in TV sperando di riuscire anche loro a fare prima o poi capitolare un calciatore, un attore o un tarro di Geordie Shore. Ma queste, signori, sono quisquilie.

Ma che, davéééro??!!
Se fossi un regista dall'ego smisurato come Kenneth Branagh, non mi accontenterei di questi piccoli cambiamenti! Pretenderei invero una sceneggiatura scespiriana in grado di sviscerare i complessi sentimenti che sicuramente avranno fatto turbinare la testa di Ella non tanto davanti alla bellezza del Principe, quanto piuttosto davanti all'odio irrazionale di Matrigna e Sorellastre; se fossi stata Kenneth Branagh avrei chiesto a gran voce un confronto adulto e sul filo del rasoio tra Ella e la Matrigna, non l'ennesimo "Perché no?" rifilato alla protagonista disperata quando si decide finalmente a chiedere alla madre surrogata il motivo di tanto odio (va bene, il padre di Ella non ti amava quanto la sua defunta moglie ma tu te lo sei sposato per interesse, ti serviva una sguattera perché non potevi mantenere la servitù, la Convenzione di Ginevra nel regno non sanno nemmeno cosa sia, d'accordo, ma la cosa deve finire lì, non puoi infierire in questo modo contro sta poveraccia, a meno che non t'abbia ammazzato il gatto Lucifero!!); se fossi stata Kenneth Branagh avrei chiesto la testa dello sceneggiatore che mi avesse propinato l'ennesima apologia del coraggio e della gentilezza che spalancano le porte all'amore a prima vista, all'io ti amo "perché sì" e tutti allora decidono di cambiare le regole secolari del regno al grido di "perché no?"; se fossi stata Kenneth Branagh avrei concertato una fine spettacolare per matrigna e soprattutto sorellastre, che nella fiaba originale venivano accecate da una colomba per aver osato cercare di rientrare nelle grazie di Cenerentola durante il matrimonio col Principe. Purtroppo, non sono Kenneth Branagh e mi sono trovata così davanti una gradevole ma inutile e dimenticabile fiera del cosplay che, bene o male, ripropone piuttosto fedelmente la vecchia pellicola Disneyana.

We are men, we are men in tights!
L'ego gigantesco di Branagh si è dunque tradotto essenzialmente nella pacchianeria barocca di costumi e scenografie e nella strabordante e virilissima abbondanza di prominenti verghe maschili inguainate in attilate calzamaglie. Che, ti dirò, caro Kenneth, se anche non mi schiaffavi in faccia quegli imbarazzanti rigonfiamenti messi in ogni inquadratura andavo comunque a dormire serena, eh. La strafottente arroganza architettonica del Branagh già si poteva notare in Thor ma qui ha costretto il buon Dante Ferretti a ricostruire quadri rococò come L'altalena di Fragonard e a sfondare il set di lampadari giganteschi e stucchi come se piovessero, con l'aggiunta di orde di putti dorati vomitanti interi palazzi realizzati in CG. Io, da brava bambina, su questo aspetto ho preferito sorvolare perché speravo di rifarmi gli occhi con gli abiti. E invece, anche lì, kitsch a palate. Milena Canonero si è probabilmente data malata, Coleen Atwood si dev'essere ricordata di aver lasciato aperto il gas ed è rimasta "solo" Sandy Powell: il risultato, oltre alle tutine peniche, è stato quello di vedere le due Sorellastre ricoperte da una carta simile a quella dei cioccolatini, Cenerentola ornata di farfalle e strass manco fosse una scolaretta alla sua prima uscita in discoteca e una Fata Madrina spumosa come un Puff al formaggio e altrettanto stucchevole. Per quel che concerne il guardaroba, l'unica che si salva è l'elegantissima, meravigliosa Cate Blanchett ma anche la sua sguaiata matrigna con l'espressione alla "me cojoni" non regge il confronto con la perfida, aristocratica Lady Tremaine del cartone. In generale, c'è da dire che gli attori non sono male, anzi, sono tutti abbastanza in parte e il Principe non è neppure ottuso ed inespressivo come la maggior parte dei suoi colleghi (se ripenso al crétin di Maleficent mi sento male!) ed è un discreto figonzo ma sinceramente quello che a me ha fatto orrore più di tutto sono i cocchieri-Visitors, punta dell'iceberg di un bestiario di creature computerizzate in grado di privarmi di ogni residua poesia: l'oca antropomorfa e i ratti cavallini popoleranno i miei incubi per mesi, ve l'assicuro. Insomma, lì per lì sono uscita dal cinema divertita ma più ci penso più mi rendo conto che Cenerentola è una bella pacchianata. Non è da scomunicare come Maleficent o Biancaneve e il cacciatore, ci mancherebbe, però è fondamentalmente inutile nel suo essere una semplice riproposta "in carne e ossa" di un cartone animato degli anni '50; aggiornarlo un po' nei contenuti (non solo nella simpatica idea di creare un villaggio che è un meltin'pot di razze), magari aggiungendo qualche dettaglio che potesse non già cambiare la storia, ma perlomeno approfondire cose già risapute, non sarebbe stato male. Quel dommage!

Cenerentola sta per essere divorata.
P.S. Prima di Cenerentola c'è il corto animato Frozen Fever, una sorta di breve sequel di Frozen - Il regno di ghiaccio ambientato il giorno del compleanno di Anna. Non aggiunge nulla alla trama principale del film (per quello dovremo aspettare Frozen 2, che probabilmente uscirà a Natale nel 2017) ma è ben realizzato e da in pasto allo spettatore un branco di personaggini deliziosi, oltre a mostrare un'Elsa tenerissima, a proposito della quale avrei una domanda: ma come diavolo fa a creare dal nulla qualsiasi tipo di abito? E' la regina dei ghiacci o delle stoffe? Mah, mistero!


Del regista Kenneth Branagh ho già parlato QUI. Cate Blanchett (la matrigna), Helena Bonham Carter (la fata madrina), Stellan Skarsgård (il Granduca), Holliday Grainger (Anastasia), Derek Jacobi (il Re) e Hayley Atwell (la madre di Ella) li trovate invece ai rispettivi link.

Ben Chaplin (vero nome Benedict John Greenwood ) interpreta il padre di Ella. Inglese, ha partecipato a film come La sottile linea rossa, Lost Souls - La profezia, Birthday Girl e Dorian Gray. Ha 45 anni.


La Cenerentola Lily James fa parte del cast di Downton Abbey (come anche Sophie McShera, alias Genoveffa) e la ritroveremo sul grande schermo verso fine anno con il film tratto da Orgoglio, pregiudizio e zombie, dove interpreterà Elizabeth Bennet mentre il Principe Richard Madden è figlio del Trono di spade e aveva già partecipato al film I segreti della mente. Per la cronaca, il ruolo di Ella era stato offerto a Emma Watson, che lo ha rifiutato preferendo partecipare ad un altro film che sta già procurandomi notevoli incubi, ovvero la versione live action del mio adorato La bella e la bestia, che dovrebbe uscire nel 2017; altre candidate per la parte di Ella erano Imogen Poots, Bella Heathcote e Margot Robbie. Ci sono stati cambiamenti anche dietro la macchina da presa: la prima scelta della produzione era stato il regista di Non lasciarmi, Mark Romanek, che tuttavia ha abbandonato il progetto per "divergenze creative". Detto questo, se Cenerentola vi fosse piaciuto recuperate la Cenerentola di cui abbiamo parlato ieri, La leggenda di un amore - Cinderella, Come d'incanto e Biancaneve di Tarsem. ENJOY!

domenica 14 luglio 2013

The Lone Ranger (2013)

La regola d’oro d’ora in avanti sarà “andare al cinema già DILUSI”. Pare sia l’unico modo per apprezzare al meglio i film e godersi anche quelli su cui non avrei scommesso un euro, come questo The Lone Ranger, diretto da Gore Verbinski e tratto dall'omonima serie televisiva andata in onda dal 1949 al 1957.


Trama: il futuro procuratore John Reid “muore” assieme al fratello nel corso di un’imboscata. “Riportato in vita” dal Comanche Tonto, Reid prende l’identità del Lone Ranger e cerca di assicurare alla giustizia i responsabili della strage…


The Lone Ranger equivale a più di due ore di infantile, godurioso divertimento estivo; assai più simpatico e meno pretenzioso di Alice in Wonderland o Il grande e potente Oz (giusto per fare due nomi eccellenti), meglio diretto e molto meno tamarro de La leggenda del cacciatore di vampiri, l’ultimo film di Verbinski è l’equivalente western dei film dedicati alla serie Charlie’s Angels, ovvero un alternarsi ininterrotto di momenti esilaranti e scene d'azione. Intendiamoci, il Lone Ranger televisivo non l’ho mai visto quindi parto da un’ignoranza crassa per quanto riguarda il mito del personaggio, ma devo ammettere che questa versione slapstick mi è piaciuta parecchio, soprattutto perché il protagonista è un damerino impedito e ligio al dovere che si ritrova, suo malgrado, a vestire i panni del fuorilegge mascherato mentre la sua folle spalla indiana avrebbe preferito il fratello defunto (kemosabe, fratello sbagliato!). In mezzo, il canovaccio della trama inserisce qualsiasi topos del genere western: indiani, ranger, sordidi inganni per ottenere le terre dei poveri Comanches, damigelle in pericolo, uomini d’affari ancora più pericolosi dei fuorilegge, la caccia ai metalli preziosi e chi più ne ha più ne metta.


In costante bilico tra pretesa di realismo e delirio fantastico, The Lone Ranger viene presentato in maniera assai intelligente, perché la storia viene raccontata da un Tonto ormai vecchio e completamente inattendibile, un narratore costantemente interrotto e sviato dalla sua audience. Attraverso questo escamotage, tutto quello che viene mostrato sullo schermo diventa quindi plausibile perché frutto della mente dell'indiano matto e quindi lo spettatore può accettare con gioia anche che un cavallo si arrampichi su un albero, per dire. Azione e goliardia a palate, quindi, ma anche (attenzione!!) una cattiveria inusitata per un film prodotto dalla Disney. La pellicola non mostra un goccio di sangue, d'accordo, ma si parla senza troppe remore di cannibalismo, il body count si avvicina pericolosamente a quello di Django Unchained e, soprattutto, verso la fine del film si assiste ad uno sterminio insensato e crudele ai danni dei poveri indiani, una sequenza devastante che fatica a venire dimenticata nonostante la seneggiatura si riassesti poi su toni più allegri e scanzonati. Cambiano inoltre i tempi per quel che riguarda la vedovanza e l'amore, anche se alla fine a rimetterci sono sempre le povere donne con figli a carico, maledetta Casa del Topo.


Sproloqui a parte,The Lone Ranger mi è piaciuto parecchio anche per il respiro quasi epico di alcune riprese, per il citazionismo dei grandi classici, per lo scarso uso di effetti digitali e per le coreografie ad orologeria di sparatorie, inseguimenti e combattimenti (ho adorato ogni scena accompagnata dal Guglielmo Tell di Rossini, leggermente riarrangiato). Quanto agli attori, Johnny Depp mi è risultato molto meno indigesto rispetto agli ultimi film (certo, il personaggio è simile a Jack Sparrow nella sua cialtroneria, ma a modo suo fa anche tanta tenerezza ed è stranamente malinconico), Arnie Hammer è bambascione da morire e verrebbe voglia di prenderlo fortissimamente a pugni nella faccetta belloccia, la Bonham Carter porta a casa la solita, weirdissima comparsata di gran classe e i malvagi fanno la loro porchissima figura, soprattutto il cannibale William Fichtner e quel Barry Pepper che non ti aspetti nei panni del soldato privo di nerbo ma avidissimo. Quindi, porca miseria! Mi aspettavo di scrivere una recensione piena di strali, invece mi sono proprio divertita e consiglio The Lone Ranger, rigorosamente in 2D, a tutti quelli che hanno voglia di passare una serata fanciullesca senza pretesa di aver davanti IL filmone del secolo. Quello, a quel che sto leggendo in giro, è Pacific Rim, che dovrei proprio veder stasera.


Del regista Gore Verbinski ho già parlato qui. Johnny Depp (Tonto), Armie Hammer (John Reid/Lone Ranger), Helena Bonham Carter (Red Harrington), James Badge Dale (Dan Reid) e Barry Pepper (Fuller) ho già parlato ai rispettivi link.

William Fichtner interpreta Butch Cavendish. Americano, ha partecipato a film come Malcom X, Strange Days, Heat – La sfida, Insoliti criminali, Contact, Armageddon, La tempesta perfetta, Pearl Harbor, Equilibrium, Il cavaliere oscuro e alle serie Baywatch e Prison Break, inoltre ha lavorato come doppiatore per American Dad!. Ha 57 anni e quattro film in uscita tra cui Elysium e Teenage Mutant Ninja Turtles, dove interpreterà Shredder.

  
Tom Wilkinson interpreta Cole. Inglese, lo ricordo per film come Nel nome del padre, Ragione e sentimento, Spiriti nelle tenebre, Full Monty, Wilde, Rush Hour – Due mine vaganti, Shakespeare in Love, Michael Clayton, The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Batman Begins, In the Bedroom e The Exorcism of Emily Rose. Ha 65 anni e sei film in uscita.


E ora, un paio di curiosità. Per il ruolo di Rebecca erano stati fatti i nomi di Jessica Chastain ed Abbie Cornish, ma alla fine la parte è andata a Ruth Wilson, già vista in Anna Karenina. La serie televisiva, che è nata negli anni '30 come serie radiofonica prima e fumetto poi, è approdata anche in Italia col titolo Il cavaliere solitario, mentre a metà anni '60 ne è uscita una versione animata. Se, come immagino, non avete voglia di recuperare tutto questo materiale nonostante The Lone Ranger vi sia piaciuto, consiglierei di guardare la prima trilogia dei Pirati dei Caraibi e magari Rango, che devo ancora vedere. ENJOY!!

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