venerdì 13 settembre 2024

Beetlejuice Beetlejuice (2024)

Nonostante qualche perplessità non potevo perdermi Beetlejuice Beetlejuice, diretto dal regista Tim Burton.


Trama: Lydia e la figlia Astrid sono costrette a tornare a Winter River per partecipare a un funerale. Lì, per una serie di circostanze, avranno di nuovo a che fare col bioesorcista Betelgeuse.


Non avevo grandi speranze quando ho deciso di andare al cinema a vedere Beetlejuice Betlejuice. Ormai dai tempi di Planet of the Apes, Burton non è più quello di un tempo, e il massimo che mi sarei aspettata è un prodotto dignitoso, in grado di farmi passare un paio d'ore in tetra allegria. Fino alla fine del primo tempo, in realtà, mi sono sentita invece come Califano. Tra nuovi personaggi abbastanza sciapi, vecchie conoscenze che non sembrano essersi evolute dagli anni '80 e omaggi alla prima pellicola, la sensazione è stata quella di una storia che stentava a decollare, schiacciata nella noia di un'introduzione infinita. Tutto il primo atto, infatti, serve a presentarci una Lydia ormai cresciuta, con figlia annessa che la odia a causa di un lavoro derivante dalla sua capacità di vedere qualsiasi fantasma tranne quello dell'adorato padre defunto. La sceneggiatura scava nelle dinamiche familiari dei Deetz, che subiscono uno scossone alla morte di un altro padre, quello di Lydia; l'evento costringe le donne superstiti, assieme al nuovo compagno di Lydia, Rory, a tornare a Winter River e ad affrontare un passato ancora ben radicato all'interno del diorama dei coniugi Maitland, ma finché non arriva l'unico, imprevedibile twist della pellicola, il tempo scivola via lento tra recriminazioni, bizzarrie e imbarazzi. La cosa che mi ha soprattutto fatto specie è vedere la tosta Lydia ridotta a cretinetti insicura, incapace di riconoscere il belinone che la sorte le ha messo accanto e di comunicare con una figlia ben più odiosa di quanto fosse lei da adolescente. Ha un bel daffare Delia a parlare di Karma, quando la realtà è che la rossa wannabe artista, nonostante il disprezzo di Lydia, ha sempre avuto un carattere egoista e volitivo, mentre la figliastra è diventata un'ameba dallo sguardo stralunato (lì, probabilmente, ci ha messo del suo anche la Ryder, che negli anni si è legata al ruolo di Joyce Byers e non ne è più uscita). Il film si risolleva un po' quando l'aldilà torna a farla da padrone, con le sue stranezze e la grottesca burocrazia sbattute in faccia senza pietà agli umani inconsapevoli, e quando, ovviamente, la presenza di Beetlejuice comincia a farsi un po' più preponderante. Da quel momento, se non altro, il ritmo aumenta e si torna a divertirsi, a dispetto della costante sensazione di avere davanti tre film in uno, rabberciati alla bell'e meglio come la bellissima Sall.... ehm, Delores di Monica Bellucci.


Ha i suoi momenti, Beetlejuice Beetlejuice. Al di là dell'innegabile bellezza dei costumi di Coleen Atwood, delle scenografie, e di parecchi effetti speciali artigianali, il film raggiunge apici notevoli, per esempio, quando si affida alla verve della divertentissima Catherine O'Hara e alla sua elaborazione del lutto, fa battere il cuore nei momenti in cui Burton si convince di stare girando un horror e mette in campo un terrificante neonato frutto dell'empia unione tra Baby Killer e il cadaverino di Trainspotting, e poco prima del finale riesce persino a commuovere nonostante la faciloneria con cui i personaggi ci lasciano le piume. Il resto, purtroppo, l'ho trovato molto superficiale, oppure tirato per le lunghe. Non c'è stato, da parte mia, alcun coinvolgimento emotivo davanti a drammi familiari o ricongiungimenti, e onestamente avrei preferito che il personaggio interpretato all'epoca da Jeffrey Jones non venisse proprio utilizzato "fisicamente" (se decidi, giustamente, di non coinvolgerlo in quanto predatore sessuale pluricondannato e ritiratosi dalla recitazione da anni, mi pare assurdo infilare delle sue foto o animazioni in stop motion dal sembiante identico, o sfruttare un personaggio senza testa, ma perché?). Il numero musicale verso la fine richiama quello iconico della cena coi gamberetti, ma è davvero lunghissimo e, anche se io l'ho apprezzato ridendo parecchio, capisco perché uno dei miei compagni di visione si sia addormentato; allo stesso modo, enorme rispetto verso Burton per la scelta di utilizzare la melodia che accompagna il finale di Carrie - Lo sguardo di Satana, ma francamente mi è sembrato che la conclusione onirica di Beetlejuice Beetlejuice fosse attaccata con lo sputo, messa lì giusto per dare la possibilità di realizzare un altro sequel. D'altronde, il nome del bioesorcista va pronunciato tre volte, non mi stupirei se tra qualche anno arrivasse Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice. Nell'attesa (e non tratterrò il respiro, non mi va di finire laggiù e prendere il numero), per me è un nì. Non è un film che riguarderei, sono contenta comunque di averlo visto, ma temo che la settimana prossima l'avrò già dimenticato. Peccato.  


Del regista Tim Burton ho già parlato QUI. Michael Keaton (Beetlejuice), Winona Ryder (Lydia Deetz), Catherine O'Hara (Delia Deetz), Jenna Ortega (Astrid Deetz), Justin Theroux (Rory), Willem Dafoe (Wolf Jackson), Monica Bellucci (Delores) e Danny DeVito (uomo delle pulizie) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Beetlejuce Beetlejuice vi fosse piaciuto, recuperate Beetlejuice, La sposa cadavere e The Nightmare Before Christmas. ENJOY!

 

martedì 10 settembre 2024

MaXXXine (2024)

Finalmente. Quando ormai non ci speravo più, anch'io sono riuscita ad andare al cinema e vedere MaXXXine, diretto e sceneggiato dal regista Ti West.


Trama: anni dopo la terribile esperienza in Texas, Maxine Minx, sempre decisa a diventare una stella del cinema, ottiene una parte in un film horror. Qualcuno, però, è sulle sue tracce, pronto a rivangare il suo passato...


Ti West
ha concluso la sua trilogia, il suo progetto più ambizioso. Per quanto avessi adorato, all'epoca, X, mentirei se dicessi che avrei scommesso anche solo un'euro sulla riuscita dell'operazione. Credevo, erroneamente, che non si potesse fare meglio di così. Invece, il regista ci ha prima stupito con un racconto di frustrazioni e speranze tanto potente da farci provare pietà per quella che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere solo una disgustosa e rancorosa matta, infine ha concluso il percorso del personaggio Maxine Minx, inserendolo in un discorso più ampio legato al cinema di genere e alla società americana, senza una sola sbavatura. Maxine ha cominciato, in X, come potenziale stellina dell'hard dotata del "fattore X", quel qualcosa in grado di bucare lo schermo, riconducibile ad una cazzimma e una durezza interiore nate dalla ferma volontà di sfondare, a qualunque costo; in parallelo, West raccontava un'America ipocrita, che rinnegava in pubblico la fame di libertà sessuale stigmatizzando un'industria del porno mai stata così fiorente, e rivendicava la dignità di chi in quell'industria lavorava o creava legami familiari. Con MaXXXine, arriviamo agli anni '80 in cui le speranze di ricchezza e di progresso si scontravano con un clima di puro terrore, alimentato da un'amministrazione durissima e bigotta, pronta a creare nemici mediatici per ciò che più contava davvero, riassumibile con Patria, mamma, torta di mele. Negli anni del Satanic Panic e delle proteste contro horror, pornografia e persino giochi di ruolo, la realtà abilmente nascosta sotto il tappeto dell'ipocrisia puritana era fatta di squallidi localini a luci rosse, serial killer e quant'altro e questa sensazione di pericolo e "sporco" tangibile viene resa da Ti West ogni volta che Maxine esce di casa per andare a lavorare. Quanto alla protagonista, il tempo passato e il mancato successo non l'hanno resa meno determinata, anzi; ben consapevole della realtà che la circonda, dov'è un attimo venire uccise da un pazzo e dimenticate in un angolo di strada, Maxine è ben decisa a non lasciare che nulla disturbi la sua paziente ricerca di un'occasione giusta, e finalmente quest'ultima arriva con un ruolo all'interno di un film horror. L'amore di Ti West per la sua protagonista e per l'industria cinematografica è tangibile. La regista del film "La puritana II", le maestranze e il set diventano per Maxine l'unico punto fermo di un'esistenza minacciata da un caotico passato, e ogni azione "altruista" intrapresa da un personaggio al quale importa solo di se stesso (e, nonostante questo, impossibile da odiare) nasce proprio dal desiderio di non perdere in primis questo porto sicuro, oltre alla ovvia possibilità di diventare una star, finalmente. Di vivere la vita che Maxine merita.


Ovviamente, per raggiungere l'happy end, sempre che qualcosa di simile esista, Maxine dovrà passare per un'ordalia di morte e follia. Sono tanti i modelli a cui guarda Ti West, purtroppo per la sottoscritta è passato tuttavia tanto tempo da quando quegli stessi modelli mi sono passati sotto agli occhi. Perdonatemi, dunque, se non citerò Fulci e il suo Lo squartatore di New York, bensì i padri del Giallo all'italiana come Bava e Argento, "genitori" di killer senza volto e con le mani guantate, in grado di trasudare odio e perversione nonostante siano privi di un sembiante riconoscibile. Ma più del killer e del gusto di Ti West per delle morti ancora più splatter che nei film precedenti, mi ha colpita il modo in cui sono state rappresentate le sordide strade di una Los Angeles priva di patina nostalgica o glamour, con uno stile che mi ha ricordato moltissimo Cruising di Friedkin (anche se lì l'azione si svolgeva a New York); la fotografia di MaXXXine, fatta principalmente di ombre e cupe luci al neon, enfatizza ancora più la sensazione di pericolo imminente, di una città caotica e corrotta, dove gioventù e bellezza sopravvivono poco e male. Quanto a Mia Goth, sarebbe un delitto non parlarne. Mi riservo di farlo con più competenza quando avrò rivisto il film in lingua originale, perché al momento ho apprezzato maggiormente la sua interpretazione in Pearl, ma ormai direi che l'attrice ha centrato in pieno il personaggio titolare, portando a termine il non facile compito di spingere lo spettatore a fare il tifo per una "macchina da guerra" egoista e dalla morale ambigua. Anzi, sul finale a me è salito persino il magone per l'amarezza dello sguardo e delle espressioni di Mia Goth, specchio di un futuro incerto, sempre appeso a un filo, anche quando le cose parrebbero essersi risolte per il meglio (non ha aiutato la presenza, sui titoli di coda, della canzone Bette Davis Eyes, che mi spezza il cuore dal 2015). Il resto del cast non è meno interessante. Su tutti, ho apprezzato tantissimo l'inedito Kevin Bacon in versione detective laido e anche Elizabeth Debicki, con la sua algida eleganza, è perfetta come mentore di Maxine e motivatrice in grado di riportare il personaggio sulla "retta" via verso il successo. Sono sicura che MaXXXine meriterebbe ulteriori approfondimenti ma, come nel caso di Pearl, è un film che riuscirei a capire ed apprezzare di più a una seconda visione, quindi per ora mi fermo qui, ringraziando Ti West e Mia Goth per il bellissimo viaggio e per una delle trilogie migliori degli ultimi anni... nell'attesa che ci siano altre storie da raccontare!


Del regista e sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI. Mia Goth (Maxine Minx), Elizabeth Debicki (Elizabeth Bender), Giancarlo Esposito (Teddy Night), Kevin Bacon (John Labat), Michelle Monaghan (Detective Williams), Bobby Cannavale (Detective Torres), Larry Fessenden (Guardia), e Lily Collins (Molly Bennett) li trovate invece ai rispettivi link. 

Sophie Thatcher interpreta la FX artist. Americana, ha partecipato a film come The Boogeyman e a serie quali The Exorcist e Yellowjackets. Anche produttrice, ha 24 anni e un film in uscita, Heretic.



Se MaXXXine vi fosse piaciuto, recuperate X - A Sexy Horror Story e Pearl. ENJOY!

venerdì 6 settembre 2024

Oddity (2024)

Spinta da un paio di immagini viste in rete, ho recuperato il recente Oddity, diretto e sceneggiato dal regista Damian Mc Carthy.


Trama: dopo l'omicidio della sorella gemella, una medium cerca di ricostruire l'accaduto, all'interno della casa dov'è avvenuto il delitto...


Oddity
è un film semplice, si potrebbe dire dall'impianto molto classico, che trova appunto forza in questa sua semplicità. Non importa, infatti, rinnovare i topoi dell'orrore, quanto saperli sfruttare al meglio, e Mc Carthy in questo dimostra di saperci fare. Tutto inizia da Dani, una donna decisa a passare la notte all'interno di un'immensa dimora. La situazione iniziale, che più classica non si può, mette già lo spettatore sul chi va là per una serie di dettagli che non vengono inizialmente spiegati: non si sa cosa ci faccia la donna lì, non si sa perché abbia impostato la macchina fotografica per fare ripetuti scatti in notturna, non si sa cosa si intende per il "we are connected" pronunciato durante una telefonata, si sa solo che il cellulare prende solo in un preciso punto dell'edificio e che non ci sono luci, quindi la costruzione di una situazione "da casa infestata" viene automatica. Tutti i misteri, se così si possono chiamare, di Dani, verranno rivelati a poco a poco, compresa la modalità della sua morte, attraverso le indagini della sorella gemella, Darcy. Darcy gestisce un negozio di "oggetti curiosi", come da titolo originale, spesso dotati di caratteristiche esoteriche, se non addirittura maledetti, ed è cieca. Il suo modo di vedere il mondo attraverso il dono della psicometria, il suo essere cresciuta in un ambiente che non nega gli spiriti, positivi o negativi che siano, si scontra con la pragmatica freddezza del marito di Dani, psichiatra che divide le persone in savi e pazzi, e che ha sempre una spiegazione scientifica per tutto. La "percezione" della realtà è la chiave di volta di Oddity, interamente costruito su sequenze riportate da punti di vista differenti, che spingono sia i personaggi che lo spettatore a dare interpretazioni viziate da preconcetti. Paradossalmente, chi è dotato di vista viene sviato, cullato da un'erronea sicurezza, mentre chi è cieco si affida a chi non è in grado di mentire, a percezioni che vanno oltre la razionalità. Oddity è per questo molto ironico, benché in senso amaro. Darcy è consapevole sia del suo potere sia del modo in cui gli altri la percepiscono come debole ed inferiore, ed è bello vedere come gli ignoranti ed irrispettosi vengano rimessi al loro posto con perfetto aplomb inglese e risposte salaci. Quanto a chi si ritiene superiore, Mc Carthy non perdona chi persevera nell'arroganza, e il contrappasso per chi sottovaluta il sovrannaturale e si crede più furbo degli altri è molto soddisfacente. 


La cosa più interessante di Oddity, tuttavia, è l'abilità del regista di sfruttare al meglio gli spazi, le luci e UN singolo elemento perturbante. In Caveat, il suo film precedente, l'ansia si concentrava soprattutto in una sequenza in particolare, che sfruttava paure ancestrali e usava, come detonatore, un terrificante coniglio di pezza. Se siete fan della bestiola, sappiate che in Oddity c'è un suo simpatico cameo, mentre il suo posto viene egregiamente preso da un golem di legno e, soprattutto, l'ansia viene distribuita a piene mani per tutto il film. Per quanto mi riguarda, Oddity è, al momento, la pellicola più terrificante del 2024, se parliamo di una paura viscerale, slegata da eventuale schifo splatter; la casa teatro del delitto, apparentemente ariosa e piena di spazi aperti, diventa un luogo sinistro, zeppo di ombre e punti ciechi che danno la sensazione di essere spiati da presenze oscure, sensazioni enfatizzate anche dal fatto che Mc Carthy non ricerca mai il jump scare, ma predilige creare situazioni di attesa che logorano i nervi dello spettatore. Aiuta molto il fatto che il golem di legno sia un incubo fattosi materia (non a caso una delle sequenze più efficaci vede la nuova fidanzata di Ted "giocherellare" attorno al manichino cercando di carpirne i segreti), ma a onor del vero Oddity fa paura già prima della sua comparsa, per tutta una serie di dettagli volutamente fraintendibili e alterati da una percezione stravolta dall'orrore di chi si ritrova a vivere determinate situazioni. Al suo secondo film, dunque, Damian Mc Carthy si è confermato un autore horror a tutto tondo, e personalmente non vedo l'ora che si metta alla prova con una terza pellicola, anche se le mie coronarie potrebbero non farcela. 


Del regista e sceneggiatore Damian Mc Carthy ho già parlato QUI.


Se Oddity vi fosse piaciuto, recuperate Caveat. ENJOY!

mercoledì 4 settembre 2024

Aliens - Scontro finale (1986)

La challenge di oggi voleva un film degli anni '80 e ho scelto così Aliens - Scontro finale (Aliens), diretto e co-sceneggiato nel 1986 dal regista James Cameron e vincitore di tre premi Oscar: Migliori effetti speciali, Miglior colonna sonora originale, Miglior montaggio sonoro.


Trama: l'astronave di Ripley viene ritrovata e la donna viene svegliata dal sonno criogenico dopo più di 50 anni. Il ritorno sulla Terra risulta difficile, ma non quanto dover tornare sul planetoide dove il suo equipaggio era stato sterminato dall'alieno, ora trasformato in una colonia...


Avrò sicuramente già scritto che la saga di Alien non è tra le mie preferite e che, di conseguenza, avrò visto i film che la compongono solo una volta, al massimo un paio. Ciò vale anche per Aliens - Scontro finale, che ricordavo di aver visto intorno al 1997 e poi mai più, ispirata (non ridete) dalla cassetta X-Terror Files 2, che conteneva un riadattamento della colonna sonora inframezzato da alcuni degli iconici dialoghi, in primis il "Get away from her, you bitch!" finale. E' stato dunque come guardare un film inedito, completamente diverso dal predecessore, che invece avevo ancora ben fresco in mente. Aliens, a differenza di Alien, non è un horror ma un action di fantascienza, carico di quelle vibes anni '80 che tanto fanno andare in visibilio chi è figlio di quei tempi come me. Nonostante questo, è anche un film modernissimo, ovviamente. Ripley, che nel primo capitolo veniva fatta assurgere a protagonista in maniera inaspettata, dopo un primo atto passato quasi completamente nell'ombra, è il fulcro della storia fin dall'inizio, nonché baluardo contro tutto ciò che è all-american e testosteronico, dal capitalismo sfrenato che non guarda in faccia a nessuno per il profitto, ai fucili automatici più grossi di coloro che li impugnano. Ripley è l'estranea dell'equipaggio, con tutti i suoi traumi, le sue diffidenze e il suo carattere stundaio, ma nel giro di poco si guadagna il rispetto e la fiducia del gruppo di marine impegnati nella missione su LV-426. Questo perché Ripley, in questo film, non lotta per la sua salvare se stessa, bensì la piccola Newt, unica sopravvissuta alla mattanza degli alieni, e ciò la rende ancora più umana e fondamentale, così come rende Aliens meno freddo e, passatemi il termine, più "avventuroso" rispetto all'algido capolavoro di Ridley Scott. Come ho scritto sopra, sono due generi diversi, ed è inevitabile. Lo spettatore sa già cosa aspettarsi dai ferocissimi xenomorfi; la tensione non manca, così come non mancano un paio di scene schifosette, ma gli alieni sono meno subdoli e più diretti, Cameron punta tutto su un gran dispendio di armi ed esplosioni, con un confronto col "boss finale" che risulta in uno scontro fisico tra titani e tra due tipi di istinto materno, diversi ma speculari.


Chi, come me, non è legato alla saga ma ha guardato da poco Avatar, si potrà divertire a trovare già in questo Aliens embrioni di un sacco di armi, armature, equipaggiamenti e personaggi, se ci fosse ancora bisogno di testimoniare la genialità di James Cameron e la modernità del suo spettacolare modo di fare cinema. Non a caso, gli effetti speciali reggono alla perfezione l'usura del tempo. Nell'Alien di Ridley Scott sembrava tutto, volutamente, già vecchio e squallido, Aliens rende invece protagonisti complicati ma funzionali esempi di ingegno umano (che nulla possono contro gli xenomorfi, ma questo è un altro discorso) e, dal momento in cui compaiono gli alieni titolari, è impossibile non rimanere a fissare lo schermo a bocca aperta. A proposito degli alieni, è impressionante il loro attacco ed è impressionante il loro realismo sia nelle inquadrature ravvicinate sia quando brulicano addosso ai poveri marine, per non parlare della terrificante "madre" annidata in una delle scenografie più genuinamente raccapriccianti della storia del cinema; se già lo xenomorfo del primo Alien aveva una sua perversa personalità, la Regina è un incubo gigante di tremenda intelligenza, un inarrestabile concentrato di odio che, da sola, decreta la superiorità degli effetti pratici su qualunque frutto della grafica computerizzata. E anche il cast, ovviamente, ha buona parte del merito della riuscita di Aliens. Sigourney Weaver è sempre iconica e il suo personaggio si arricchisce di ulteriore profondità grazie al legame, tenero e credibile, con la piccola Newt, ma gente come Lance Henriksen, Bill Paxton e Jenette Goldstein sono le ciliegine sulla torta di un parterre di marine indimenticabile, benché sfortunato, e non lo dico solo perché, grazie a questo film, è stato realizzato quel trionfo di Il buio si avvicina. Per l'ennesima volta, la challenge horror (anche se Aliens - Scontro finale di horror ha poco o nulla) mi ha dato delle gioie e mi ha spinta a riguardare un film che, nella mia pigrizia, non sarei riuscita a recuperare nemmeno con l'uscita di Romulus, cosa che invece ha fatto Lucia, con la sua bella rassegna che vi invito a leggere, perché scritta con competenza e passione, a differenza di questo post. D'altronde, sono scoppiata a ridere pensando a Cartman nel momento esatto in cui Newt ha detto "Molto spesso vengono di notte. Molto spesso", quindi sono proprio una brutta persona. 
 

Del regista e co-sceneggiatore James Cameron ho già parlato QUI. Sigourney Weaver (Ripley), Michael Biehn (Hicks), Lance Henriksen (Bishop), Bill Paxton (Hudson), William Hope (Gorman), Jenette Goldstein (Vasquez) e Mark Rolston (Drake) li trovate invece ai rispettivi link. 

Paul Reiser interpreta Burke. Americano, lo ricordo per film come Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills, Beverly Hills Cop II - Un piedipiatti a Beverly Hills II, Bella, bionda... e dice sempre sì, Storia di noi due, Dietro i candelabri, Whiplash, The Darkness e serie quali Innamorati pazzi, The Boys e Stranger Things. Anche sceneggiatore e produttore, ha 68 anni e un film in uscita, inoltre tornerà nell'ultima stagione di Stranger Things


Stephen Lang aveva fatto l'audizione per i ruoli di Burke e Hicks, mentre per quanto riguarda Bill Paxton c'è stato il serio rischio di vederlo come Zed in Scuola di polizia 2: Prima missione e per fortuna ha preferito accettare la parte di Hudson o non avremmo mai avuto Bobcat Goldthwait! Per brindare allo scampato pericolo, recuperate AlienAlien 3, Alien - La clonazione, Prometheus, e Alien: Covenant. ENJOY!  



martedì 3 settembre 2024

Alien: Romulus (2024)

Con la riapertura del multisala, sono corsa a vedere un film di cui avevano detto tutti meraviglie, Alien: Romulus, diretto e co-sceneggiato dal regista Fede Alvarez.


Trama: per fuggire alle tremende condizioni di vita della colonia, la giovane Rain ed altri amici decidono di tentare il viaggio verso un pianeta lontano, appropriandosi di un'astronave abbandonata. Ignorano che quest'ultima sia abitata da qualcosa di terrificante...


Se leggete da un po' il mio blog, saprete che non conosco granché la saga di Alien, anche se mi piace andare al cinema quando escono i film della serie. Li prendo però, per ignoranza, come stand-alone slegati da tutto il resto, non sono assolutamente in grado di trovare collegamenti salvo Ripley (quando c'è), l'alieno del titolo, e un paio di altri aspetti di dominio comune, che potrebbero conoscere anche i miei genitori. Alien: Romulus l'ho vissuto, dunque, come un "film horror con lo xenomorfo" e, come tale, per quanto mi riguarda ha assolto egregiamente il suo dovere, anche perché il mio cervello non è stato distratto da elementi riservati al fandom, sano o tossico che sia. Mi è piaciuto molto, per esempio, il minimo di background ed empatia riservati alla protagonista, Rain, e al suo sintetico difettoso, il povero Andy. Il rapporto familiare tra un'orfana che vive di stenti all'interno di una triste colonia spaziale dove non sorge mai il sole (una tale esasperazione del capitalismo da aver fatto il giro ed essere tornata a dividere le persone in classi sociali basate sui singoli lavori) e un androide col cervello di un bimbo che lei considera come un fratello vero tocca il cuore, ed è il motore della maggior parte degli sviluppi della sceneggiatura. Andy e Rain sono gli unici personaggi per i quali ci preoccupiamo davvero, nonostante i loro compagni non meritino le cose orrende che li aspettano sulla Romulus (oddio, forse uno sì), questo perché al loro comprensibile desiderio di una vita migliore, simboleggiato da un'alba luminosa, si unisce la rappresentazione di un legame verosimile e sincero. E ho apprezzato, ovviamente, l'approccio più horror di Alvarez, quei picchi di cattiveria che non risparmiano nemmeno gli "intoccabili". Qui, più che negli altri Alien che ho visto o ricordo, lo xenomorfo ha il gusto del gore e non solo spunta dagli anfratti più schifidi all'interno dei poveri cristi tanto sventurati da finire vittime dei facehuggers, ma ricorda agli incauti viandanti che non sta bene scontrarsi contro chi ha il sangue corrosivo. La sceneggiatura viene più che incontro a chi, come me, ricorda poco o nulla del resto della saga o non la conosce proprio (come il Bolluomo che, però, ha mostrato di gradire) ma il ritmo del film si mantiene tutto sommato veloce senza impantanarsi in spiegoni troppo didascalici e mentirei se dicessi che ogni tanto non mi sono sentita mozzare il respiro, non tanto con l'entrata in scena degli xenomorfi grossi, quanto più per quelle schifezzuole fecondanti.


Apprezzabile, all'interno di un film anti-capitalista ma finanziato da una grossa major, che Alvarez abbia deciso di affidarsi il più possibile ad effetti speciali artigianali, senza ricorrere troppo alla CGI senz'anima. Inoltre, benché il regista abbia sempre giocato in "piccolo", ambientando i suoi film all'interno di rifugi o case, bisogna dire che qui ha dimostrato di saper gestire al meglio anche i grandi spazi, sia esterni che interni alle gigantesche astronavi che fungono da teatro della vicenda, e a trasformarli in luoghi claustrofobici e oscuri, dove la mancanza di ossigeno è l'ultimo dei problemi. L'unica cosa che mi ha dato fastidio di Alien: Romulus (tornando in argomento anti-capitalismo, asservimento alle major, mancanza di anima, ecc.) è una scelta che mi indispone a livello etico e che qui non sto a spoilerare, se ancora non avete visto il film. Mi chiedo però se non ci fosse un altro modo per far drizzare i capelli ai fan e, contemporaneamente, sfruttare l'effetto nostalgia anche per fornire spiegazioni ai neofiti, senza ricorrere a mezzucci che già avevo visto con occhio critico in Ghostbusters: Legacy. Temo siano scelte che rischiano di svilire, nel tempo, il lavoro dei professionisti, e di prendere chine molto pericolose, soprattutto a scapito di chi non è ancora famoso e, così, rischia di non diventarlo mai. Ma ho già detto troppo, se avete visto il film o lo andrete a vedere ne riparleremo, i poco utilizzati commenti servono apposta. Fastidio da vecchia barbogia a parte, ho trovato Alien: Romulus un ottimo horror estivo, molto dinamico e ansiogeno ma anche, passatemi il termine, più "leggero" rispetto agli ultimi due Alien diretti da Ridley Scott, che avevo trovato più affascinanti. Non mi sono entusiasmata quanto avrei voluto (o mi sarei aspettata), ma è comunque un film che vi consiglio di vedere al cinema.


Del regista e co-sceneggiatore Fede Alvarez ho già parlato QUI mentre Cailee Spaeny, che interpreta Rain, la trovate QUA


Alien: Romulus
si colloca, cronologicamente, tra  Alien e Aliens - Scontro finale, quindi precede Alien 3 e Alien - La clonazione ma viene prima di Prometheus, e Alien: CovenantENJOY!  


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