venerdì 30 agosto 2024

Blink Twice (2024)

Per una serie di circostanze fortuite sono riuscita ad andare a vedere anche Blink Twice, diretto e co-sceneggiato dalla regista  Zoë Kravitz. Dovrò necessariamente fare qualche spoilerino, ahimé.


Trama: Frida fa la cameriera ma sogna una vita migliore. L'occasione si presenta quando il magnate Slater King, durante una festa, invita lei e la sua amica Jess a passare alcuni giorni nella sua isola privata, ma non è tutto oro quello che luccica...


Blink Twice
mi aveva attirata fin dal trailer, ma siccome le uscite interessanti del periodo erano tante non avevo granché intenzione di impegnarmi per recuperarlo in sala. Per fortuna, una serie di circostanze mi hanno consentito di andarlo a vedere proprio martedì, altrimenti mi sarei persa un'opera d'esordio assai promettente. Blink Twice è il più classico dei cautionary tales, dove si invitano le persone a stare attente a ciò che desiderano, e trova le sue radici all'interno della vana società odierna, fatta di like ed effimera fama sui social. Attenzione, però, l'argomento del film non è la ricerca del successo a tutti i costi, quanto piuttosto il desiderio di lasciarsi ingannare dalle apparenze, di spegnere il cervello e non pensare, di trovare qualcuno che possa concederci di vivere piacevolmente e senza impegni, chiudendo gli occhi davanti alle cose sgradevoli. E' un sentire comune, un sostrato che alimenta l'esercizio del potere e che crea confusione nel momento in cui le persone non sanno più scindere la realtà dalla pia illusione. Come dirà il magnate Slater King verso la fine del film, "Il perdono non esiste, esiste solo l'oblio", il che significa che in un mondo di riccastri proni a danneggiare il prossimo e soddisfare solo i loro desideri, il perdono non serve, tanto c'è l'oblio di una nebbia lussuosa e profumata che ci fa dimenticare le colpe passate di questi personaggi, nonostante continuino a compiere azioni orribili o discutibili (se ci pensate, succede così anche con i politici italiani, vogliamo parlare dell'aeroporto intitolato a Berlusconi?). Nello stesso tempo, Blink Twice mette in scena anche il terribile destino delle donne che subiscono violenza e non possono chiedere aiuto per paura, oppure non si rendono neppure conto di averne bisogno, vittime delle subdole manipolazioni mentali dei loro carnefici al punto da accettare anche cose impensabili. Se il titolo originale, Pussy Island, è stato drasticamente cambiato per le proteste dei produttori, il contenuto del film è comunque chiarissimo e rispecchia la condizione svilente delle ospiti di Slater King senza risparmiare colpi bassi, né allo spettatore né ai personaggi, con gli ultimi 20 minuti che alternano una serie di abusi da far accapponare la pelle a scoppi di violenza liberatoria, per concludere con un finale splendido, dove tutto ciò che sembrava bianco e nero, diventa verosimilmente grigio. 


Al suo film di esordio, Zoë Kravitz ha le idee ben chiare in testa. Personalmente, avrei sfrangiato la prima parte del film, perché alla fine del primo tempo l'autrice non aveva ancora posto tutte le basi per il plot twist e ho visto gente lasciare la sala spazientita (sono bonobi, lo so, ma temo non saranno stati gli unici nel mondo), ma Blink Twice è uno di quei film da guardare col senno di poi, zeppo di tanti minuscoli e macroscopici dettagli che possono passare per esercizi di stile, invece sono fondamentali. Sono importanti la simbologia e il graduale cambiamento dei punti di vista, con citazioni insistenti del mito dei Lotofagi (e grazie ad Antonio per avermelo fatto notare!) e un montaggio frenetico che stordisce lo spettatore indugiando sui tanti, lussuosi dettagli dell'isola, tra small talk, trasgressioni, arredamenti, alta cucina e begli abiti. C'è sempre qualcosa che stona, ovvio, perché noi sappiamo fin da subito che l'isola di King è troppo bella per essere vera, ma i molteplici elementi sbagliati e perturbanti non danno affatto l'idea di quanto marcio si nasconda dietro quella realtà instagrammabile, e il graduale cambio di registro prima e durante le sequenze rivelatorie, degno di un horror (genere a cui, peraltro, Blink Twice deve tantissimo, soprattutto ai revenge movie), arriva ancora più inaspettato. Il film vanta anche un cast di tutto rispetto. Naomi Ackie e Channing Tatum hanno una bellissima alchimia, lei è molto espressiva e lui, che pur non mi è mai piaciuto come attore, mi ha messo più di un brivido nel ruolo di Slater King. La vera sorpresa è però Adria Arjona, che sta palesemente vivendo un periodo d'oro; buona parte di Blink Twice ha i toni vivaci della commedia, anche demenziale (d'altronde, la pochezza dei personaggi è quella, e le caratteristiche di sciocca vanità vengono enfatizzate quando alcuni veli cominciano a cadere, trasformando dei simpatici buffoni in fastidiosi rompicoglioni perennemente in botta, o peggio), ci sono alcune sequenze in particolare dove il sorriso si trasforma in un'isterica risata di orrore, e la Arjona ha dei tempi comici perfetti, che non la fanno mai risultare ridicola, anzi, enfatizzano la tragica presa di coscienza del personaggio. Non guasta, infine, vedere facce amate come quelle di Christian Slater, Haley Joel Osment, Geena Davis e Kyle MacLachlan, che brillano di luce propria impreziosendo ancor più un film bello e coraggioso, che vi consiglio di correre a vedere prima che venga tolto dalle sale!


Della regista e co-sceneggiatrice Zoë Kravitz ho già parlato QUI. Channing Tatum (Slater), Alia Shawkat (Jess), Christian Slater (Vic), Simon Rex (Cody), Haley Joel Osment (Tom), Geena Davis (Stacy) e Kyle MacLachlan (Rich) li trovate invece ai rispettivi link.

Naomi Ackie interpreta Frida. Inglese, ha partecipato a film come Lady MacbethStar Wars - L'ascesa di Skywalker, Whitney - Una voce diventata leggenda e a serie quali Doctor Who e The End of the F***ing World. Anche produttrice e cantante, ha 33 anni e un film in uscita, Mickey 17 di Bong Joon Ho. 


Adria Arjona
interpreta Sara. Portoricana, ha partecipato a film come The Belko Experiment, Hit Man - Killer per caso e a serie quali True Detective. Anche produttrice, ha 32 anni. 


Levon Hawke
, che interpreta Lucas, è figlio di Ethan Hawke e Uma Thurman. Se Blink Twice vi fosse piaciuto recuperate Don't Worry Darling. ENJOY!



martedì 27 agosto 2024

Longlegs (2024)

Perdonatemi, ma non ce l'ho fatta. E' assolutamente VERGOGNOSO che, in Italia, uno dei film più importanti dell'anno esca con quattro mesi di ritardo rispetto al resto del mondo. Quindi, nell'attesa di riguardarlo come si deve in sala, mi sono permessa di recuperare altrove Longlegs, diretto e sceneggiato dal regista Osgood Perkins, e di parlarne SENZA SPOILER.


Trama: Lee, agente dell'FBI, viene coinvolta nel caso di Longlegs, misterioso assassino che da 30 anni stermina intere famiglie senza lasciare traccia salvo alcune lettere indecifrabili...


Cominciamo a togliere di mezzo la fastidiosa domanda generata dall'intenso battage pubblicitario americano: Longlegs è il film più spaventoso degli ultimi tempi? La risposta sincera è no, ma c'è da elaborare. L'ultimo lavoro di Osgood Perkins, per buona parte della sua durata, non lega la sua narrazione al genere horror, ma svia l'attenzione dello spettatore mirando, apparentemente, al modello di thriller pesantemente contaminati dal nostro genere preferito, come Se7en e Il silenzio degli innocenti. Questi due film balzano subito alla mente guardando Longlegs, non solo perché la protagonista è poco più che una recluta con alcune caratteristiche che la rendono "particolare", ma per una generale aura di plumbea pesantezza e pericolo imminente che sembrano volerla schiacciare fin dalle primissime scene. A dire il vero, a me il film ha però ricordato, piuttosto, alcuni degli episodi di X-Files più riusciti (non a caso, siamo negli anni '90 del sorridente Clinton), e, soprattutto, le prime due stagioni di Twin Peaks. L'elemento lynchiano di Longlegs, se mi passate il termine, risiede nella weirdness (talvolta, ingannevolmente esilarante) di tutti i personaggi presenti nel film, ognuno dei quali, persino quelli che dovrebbero garantire legge, ordine o tranquillità famigliare, hanno una caratteristica che stona all'interno di un contesto verosimile, e offrono di conseguenza il fianco alla possibilità di qualcosa che esista qualcosa di "sbagliato", di perturbante. Longlegs svariona pesantemente e gradevolmente sul finale, ma fino a quel momento cammina su un filo assai equilibrato di incertezza, nel centro perfetto del dualismo di una trama che segue un'investigazione tutto sommato lineare, e una regia che fa di tutto per confermare che di normale, in Longlegs, non c'è proprio nulla. Più volte, nel film, viene consigliato di osservare a lungo, di guardare, ma è difficile farlo quando il nostro punto di vista è condizionato da una regia fatta di grandangoli e prospettive sghembe che schiacciano le immagini rendendole claustrofobiche, spesso centrate su una Maika Monroe ripresa a distanza, come se qualcosa la osservasse, non visto. E quel qualcosa c'è, eccome. Perkins lo schiaffa a tradimento negli angoli nascosti, come un elemento dissonante, un male ineluttabile che agisce di nascosto ma neppure troppo, perché masticare e sputare gli inutili esseri umani è fin troppo facile. Per questo è importantissimo, in Longlegs, sapere dove guardare, in quanto, come nei migliori thriller, tutto è lì fin dall'inizio, e l'arte sta nel rendere spettatori e protagonisti dei burattini da sviare a piacimento, magari focalizzando la loro attenzione su Nicolas Cage.


Il brutto di vivere in un mondo ormai governato da social spoilerosi, è che Nic lo avrete già visto, nel suo trucco che lo rende quasi irriconoscibile, quando sarebbe stato meglio non sapere nulla di lui (e qui torniamo sulla questione dei quattro mesi di gap tra noi e il resto del mondo. Ribadisco, vergogna). Ma non importa, da un certo punto di vista, perché Cage, impegnato in una delle sue migliori performance, non è l'elemento fondamentale di Longlegs. Lui è l'uomo nero, certo, ma apre le porte a domande ben più insidiose, non solo legate all'"altro" da noi, ma proprio a ciò che in noi si nasconde, quello che non possiamo o non vogliamo vedere, quello che mettiamo da parte per qualcosa di più grande, vittime di un amore che diventa terreno fertile per l'orrore più profondo. Cage è la punta dell'iceberg, ma ciò che chiede Longlegs è di scavare, schiantarci come il Titanic contro un film che mette i brividi fin dalla prima inquadratura, che ti fa accendere le luci in casa, perché non sia mai che, al buio, ci sia qualcosa a fissarti. Poi, se volete, vi dico anche che Perkins è un mago della simmetria e delle simbologie nascoste, che riesce a trasformare il formato dei filmini casalinghi in qualcosa di ancora più terrificante di ciò che veniva mostrato in Sinister, che sul finale confeziona alcune delle sequenze e delle singole immagini più belle e agghiaccianti che vedrete quest'anno, e che Longlegs ha una colonna sonora di tutto rispetto e una fotografia da urlo, ma vi lascio il piacere di scoprire tutte queste cose da soli. Per quanto mi riguarda, Longlegs non è il film più terrificante degli ultimi decenni, ché ormai mi risulta difficile spaventarmi davvero, ma mi ha lasciato sicuramente la sensazione come di qualcuno che sia sempre lì a toccarti sulle spalle, pronto a farti "cucù" (e non in modo simpatico come Russell Crowe), oltre alla voglia di rivederlo ancora e ancora. La possibilità che diventi un grande classico e un cult è più che tangibile e io forse ho trovato l'horror dell'anno.


Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins ho già parlato QUI. Maika Monroe (Agente Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs), Alicia Witt (Ruth Harker) e Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Longlegs vi fosse piaciuto, recuperate Il silenzio degli innocenti, Zodiac e Se7en. ENJOY!

venerdì 23 agosto 2024

Bolle di recensioni estive: What You Wish For (2023) - Deadpool & Wolverine (2024)

Bentornati dalle ferie estive! Il Bollalmanacco si prenderà ancora un po' di tempo prima di ricominciare a pieno regime (leggi: non ho avuto nemmeno un minuto per scrivere post nelle ultime due settimane, e col caldo che ha fatto, sinceramente, mancava anche la voglia), quindi ricomincio oggi in forma leggera con brevi pensieri sui pochi film visti nel periodo. ENJOY!


What You Wish For - Nicholas Tomney
(2023)

Ormai sono anni che gli chef e l'alta cucina vanno di moda, quindi gli horror che trattano questo tema sono sempre, simpaticamente, attuali. Nel caso di What YouWish For, i toni sono più virati verso la commedia nera, altro genere che adoro, soprattutto quando coinvolge personaggi dalla dubbia moralità che, come da titolo, dovrebbero stare attenti a "quello che desiderano", perché potrebbe avverarsi in maniera poco gradevole. Ryan (quel Bastardo Giallo di Nick Stahl, tornato a bazzicare nel mondo dell'horror) è uno chef che ha gettato via carriera e abilità perdendosi nel gioco d'azzardo; un giorno, viene invitato dall'ex collega e amico Jack in una sontuosa villa in un non meglio precisato paese del Sud America. Lì scopre che lo stile di vita di Jack è decisamente diverso dal suo, grazie a un misterioso lavoro che gli consente di esercitare la professione di chef facendo soldi a palate. Per un motivo che non vi sto a dire, Ryan si ritrova costretto a sostituire Jack e da lì comincia una "commedia" degli equivoci all'insegna della legge di Murphy, con quel tocco horror che avrebbe reso un film già interessante come The Menu ancora più feroce. Qui però non siamo ai livelli di The Menu. La trama di What You Wish For è intuibile (per lo spettatore, ma non per il protagonista), dopo una decina scarsa di minuti, ma il divertimento è assicurato da un buon cast di comprimari, un ottimo ritmo e un paio di momenti decisamente schifosi. E poi la faccia di Nick Stahl è perfetta per il personaggio di Ryan, un uomo col quale non è facilissimo empatizzare e al quale si rischiano di augurare le peggio cose, nonostante le sue "buone" intenzioni. Purtroppo, What You Wish For non gode ancora di una distribuzione italiana ma si può recuperare facilmente, ed è un ottimo piatto estivo.


Deadpool & Wolverine - Shawn Levy
(2024)

Lo so, questo film meritava un post a parte, ma è uscito ormai un mese fa e, nel frattempo, ne hanno parlato tutti, quindi approfitto per tirare i remi in barca e assecondare la pigrizia estiva. Su Deadpool & Wolverine si sono posti quasi tutti agli estremi, tra chi urlava al capolavoro facendo il dito medio al MCU e chi lo equiparava alla monnezza (qualcuno, che spero non legga il mio blog, mi ha detto "Una porcata, non ci si capisce niente... e sì che IO I FILM MARVEL LI HO VISTI TUTTI!" Amico caro, se non hai un minimo di infarinatura di fumetti cartacei, cinecomics quando ancora non si chiamavano così e serie Disney + puoi attaccarti al... ciò detto, il Bolluomo che non bazzica nulla di tutto ciò ha apprezzato, dunque i limiti sono altrove). Ragazzi, è come gli altri due Deadpool, solo ancora più citazionista e metacinematografico, quindi o vi piacciono il genere e l'approccio, altrimenti ciccia. Io ho gradito molto, mi ci sono divertita come una matta inserendo a tutta forza la modalità nerd/nostalgica, l'unico modo di stare al gioco e godersi l'esperienza fino in fondo. Come ho scritto su Facebook, Deadpool & Wolverine è la cosa migliore uscita da quell'obbrobrio di Loki: prende il concetto di multiverso e linee temporali affrontandolo con il piglio cazzone che avrebbe meritato fin dall'inizio (ché certe cose o le gestisci bene, oppure mandi tutto in vacca sfasciando una macchina per soldi apparentemente perfetta), trasformandolo nella parodia di se stesso, in linea col personaggio di Deadpool, e ci costruisce attorno una trama arzigogolata ma divertente, tra un momento epico, uno di epica cretineria e una serie di splatterate goduriosissime. L'alchimia tra Ryan Reynolds e Hugh Jackman funziona, i due si sono divertiti sul set e si vede, e le guest star infinite che popolano il film scaldano il cuore, alcune più di altre (per non parlare dei mille rimandi a saghe, albi, splash page storiche dei fumetti. Dovrei rivedere il film perché di sicuro mi sono persa qualcosa, ma chapeau per la conoscenza enciclopedica dei coinvolti). Personalmente, sono riuscita anche a commuovermi davanti ai titoli di coda, che mostrano i protagonisti di vari franchise storici ancora giovani ed entusiasti, ma c'è da dire che la "vecchiaia" non ha scalfito l'addominale scolpito di Hugh Jackman, la cui vista vale da sola il prezzo del biglietto. Molto apprezzabile anche la colonna sonora, anche se da vecchia 43enne preferisco più l'utilizzo di Like a Prayer rispetto alla pluricitata Bye Bye Bye, che continua a farmi schifo a prescindere dal balletto di Deadpool.


martedì 13 agosto 2024

Trap (2024)

Spinta da un trailer accattivante, ho deciso di non perdermi Trap, l'ultima fatica del regista M. Night Shyamalan, da lui diretto e sceneggiato. Con questo post il Bollalmanacco va in vacanza per qualche giorno. Vi auguro buone vacanze, buon Ferragosto e vi do appuntamento al 20 agosto, ancora non so bene con quale film! 


Trama: Cooper, serial killer dalla doppia vita irreprensibile, accompagna la figlioletta Riley al concerto della sua cantante preferita, Lady Raven, senza sapere che l'evento è in realtà proprio una trappola per lui...


Poi dite che non voglio bene a Shyamalan. Il multisala di Savona è ancora chiuso e io sono andata persino a Genova,  con un barbatrucco che nemmeno vi sto a spiegare, per poter vedere il suo ultimo film. Ammetto che Trap non valeva lo sforzo, ma neppure mi sarei aspettata il contrario, visti gli ultimi exploit del nostro; c'è di buono che Trap, a livello di "spiegoni" e "pipponi" shyamalani è molto più vicino a The Visit che a Old o Bussano alla porta, pertanto è anche molto più simpatico e rappresenta un ottimo divertissement estivo, a patto, ovviamente, che mandiate in vacanza anche la vostra suspension of disbelief. Non si tratta di spoiler, perché già il trailer sviscera la trama: il film verte sulla figura di Cooper (pompiere e padre di famiglia amorevole durante il giorno, serial killer di notte) e sul concerto a cui porta la figlioletta, in realtà una trappola tesa dall'FBI proprio per catturarlo. Vista una simile premessa, capirete bene che, in quanto spettatori, il vostro dovere non sarà fare le pulci ai modi sciocchi e risibili in cui Cooper verrà a conoscenza del piano dell'FBI, ma accettare il gioco nella consapevolezza che, in caso contrario, il racconto non potrebbe proseguire e Cooper verrebbe arrestato dopo 10 minuti. Pertanto, dimenticatevi anche un eventuale thriller con le contropalle, con tutti gli spunti sospesi che tornano sul finale come in un rompicapo perfetto. Trap non ha queste pretese, scorre leggero e veloce più o meno fino alla fine del primo tempo, grazie ad un meccanismo per cui, nonostante Shyamalan si preoccupi di sottolineare la pericolosità e la freddezza di Cooper, lo spettatore si trova quasi costretto a "parteggiare" per lui e capire come farà a scampare ad una trappola apparentemente a prova di bomba, tra sincera ammirazione e facepalm da primato, e si impantana un po' nel secondo tempo, per un paio di motivi. Uno risiede sempre nella natura "surreale" della storia in sé, con Cooper che a un certo punto diventa più trasformista e rapido di Diabolik e un altro personaggio che arriva a godere di ogni privilegio derivante dalla faciloneria della trama, il secondo è l'inevitabile ricorso shyamalano a inutili dialoghi "filosofici" sulla natura del male, che in un contesto simile lasciano un po' il tempo che trovano. Nonostante ciò però, ribadisco, mi sono divertita e il finale è talmente foriero di grasse risate che mi ha dipinto un inaspettato sorrisone in faccia. 



Buona parte del merito va a Josh Hartnett, babbalone che non ho mai particolarmente apprezzato ma che qui si diverte come un matto. Frenandosi appena un attimo prima di entrare in zona overacting cageano, Hartnett si destreggia abilmente tra il ruolo di padre dell'anno e quello di maniaco omicida privo di rispetto per la vita umana, e alcune sue espressioni con primi piani annessi sono tra le cose migliori che potrete vedere nel film. Altri aspetti molto positivi sono, ovviamente, la regia di Shyamalan, soprattutto nella parte di film ambientata all'interno del palazzetto dello sport. Sfruttando inquadrature dinamiche, un montaggio serrato e anche un'incredibile sensibilità nel restituire l'esaltazione e la gioia di una dodicenne al suo primo concerto importante, il regista offre allo spettatore un mix di tensione positiva e negativa, di claustrofobia e un senso di assoluta libertà, in un continuo alternarsi di sensazioni contrastanti che impreziosiscono il primo atto, rendendolo il migliore del film. Mi verrebbe da essere un po' cattivella e assecondare la parte di me che considera Shyamalan un paraculo, dicendo che tanto impegno nasce dalla volontà di pompare la figlia Saleka come cantante e attrice, ma devo anche essere sincera e ammettere che la fanciulla mi ha conquistata fin dalle prime note nei titoli di testa. Saleka Shyamalan, 28 anni, non solo canta divinamente un genere che normalmente mi farebbe schifo, non solo ha una presenza scenica tale che il concerto all'interno di Trap mi verrebbe voglia di vederlo dal vivo, ma è anche di una bellezza allucinante e io mi chiedo come abbia fatto quel mostrinetto di Shyamalan a mettere al mondo due gioielli come Saleka e Ishana (e pure Shivani, che deve ancora mostare al grande pubblico, non scherza). Ma basta fare bodyshaming sul povero Shyamalan, che in Trap riesce a parlare anche di bullismo e a spezzarmi il cuore con tutto ciò che riguarda e riguarderà la vita della piccola Riley, unico motivo che mi spingerebbe a sperare in un sequel di Trap, magari tra qualche annetto. Intanto, non so se consigliarvi o meno di andare a vedere Trap al cinema, visto e considerato quanta roba interessante uscirà nelle prossime settimane; riflettendoci, tuttavia, lo ritengo un film che può aspettare tranquillamente lo streaming, anche perché credo che la prova di Hartnett sia stata un po' appiattita dal doppiaggio.


Del regista e sceneggiatore M. Night Shyamalan, che interpreta anche il membro dello staff incaricato di scegliere le fan fortunate di Lady Raven, ho già parlato QUI. Josh Hartnett (Cooper), Alison Pill (Rachel) e Hayley Mills (Dottoressa Josephine Grant) li trovate invece ai rispettivi link. 


Ariel Donoghue
, che interpreta Riley, era la Emma della serie Wolf Like Me. Se Trap vi fosse piaciuto recuperate Split. ENJOY!

venerdì 9 agosto 2024

Tumbbad (2018)

La challenge di oggi prevedeva un horror indiano, così ho scelto Tumbbad, diretto nel 2018 dal regista Rahi Anil Barve.


Trama: Tumbbad è una città maledetta dagli dèi, che tuttavia nasconde al suo interno un enorme tesoro. Autoproclamatosi erede del luogo, Vinayak affronta la maledizione per arricchirsi...


Non conosco affatto il cinema indiano, e già solo definirlo "cinema indiano" probabilmente è un errore in partenza, vista la miriade di etnie, lingue e produzioni che costellano la cinematografia del luogo. Mi sono dunque messa a guardare Tumbbad con inusuale curiosità, catturata fin dall'inizio dalla natura fiabesca e folkloristica dell'opera. Il film inizia col racconto della leggenda di Hastar, primogenito della Dea della Prosperità, condannato al perpetuo oblio dopo aver rubato tutto l'oro degli dei e aver tentato di sottrarre loro anche il cibo. Benché sia stato proibito venerare e persino nominare Hastar, gli uomini hanno eretto un tempio in suo onore all'interno della città di Tumbbad, divenuta così un luogo maledetto e funestato da piogge perenni. La vicenda vera e propria comincia nel 1918 e segue l'infanzia di Vinayak, depositario, assieme alla madre, del segreto di Tumbbad e mosso dal desiderio di recuperare il favoleggiato tesoro nascosto all'interno della città. Pur consapevole dell'orrore che attende chiunque cerchi di recuperare il tesoro, Vinayak è un "avido bastardo" e, crescendo, non può fare a meno di ignorare gli avvertimenti della madre e tentare di arricchirsi con la sua "eredità", con tutto ciò che ne consegue. Non starò a fare troppi spoiler, ma Tumbbad è bello per la sua natura di favola nera, di cui contiene tutti i topoi. C'è un tesoro da recuperare con astuzia, un po' come faceva Aladino, accontentandosi di poche monete per volta pena un destino orribile, e la morale di fondo invita a non essere avidi; in più, il terribile Hastar brama la farina più dell'oro e ciò offre la possibilità di poterlo ingannare con qualcosa di semplice ma indispensabile al sostentamento umano, e anche questo è un elemento tipico delle favole. L'elemento fantastico diventa metafora della storia coloniale dell'India (non a caso il film tocca tre diversi periodi storici fondamentali per l'indipendenza del Paese) e anche, più in generale, di un capitalismo che viola il ventre della madre Terra, sacrificando risorse importanti per fare la bella vita con pochi spiccioli e ammassare il resto fuori dalla portata di chi ne avrebbe davvero bisogno.


La trama "semplice" di Tumbbad è impreziosita da aspetti tecnici che farebbero impallidire le produzioni occidentali più blasonate. Al di là del fatto che la CGI possa piacere o meno, quindi l'unica cosa che avrei cambiato del film è Hastar, che ho trovato orrendo, la cura delle scenografie (con un ventre della Dea particolarmente umidiccio e realistico), dei costumi e degli effetti speciali è incredibile (l'idea che il film sia stato girato nel corso di anni, così da sfruttare i monsoni veri per ricreare la pioggia battente sulla città titolare, mi ha sconvolta). Coadiuvata da una fotografia splendida che trasforma ogni scorcio naturale, urbano o fantastico in una vista mozzafiato, la macchina da presa si lancia in inquadrature ardite e dinamiche, quindi la parte horror ambientata all'interno di sotterranei o labirintici edifici poco illuminati è sorprendente e ansiogena come pochi, perché non segue i blandi, prevedibili jump scare occidentali. Inoltre, il design delle creature è interessante e la "nonna" di Vinayak fa davvero paura, cosa che mi ha spinta a preferire la prima parte rispetto alla seconda e alla terza, più legate a un percorso di progressiva distruzione del protagonista quindi meno spaventose, salvo per un paio di sequenze da brividi. Per quanto riguarda Vinayak, l'attore Sohum Shah, anche produttore del film, è bravissimo a dare vita a un personaggio insopportabile, che causa sentimenti ambivalenti: da una parte, ci ritroviamo nostro malgrado a tifare per Vinayak e la sua avidità, mitigata da pochi sprazzi di pietoso altruismo, dall'altra lo vorremmo vedere morto in quanto perfetto rappresentante di una società fortemente maschilista, dove i padri ignorano o disprezzano i propri figli, e questi ultimi, se maschi, tendono ad ignorare le madri, voci della ragione tenute spesso all'oscuro di ciò che accade al di fuori del focolare. Ma forse questo è un punto di vista troppo occidentale per essere sensato, e lo stesso vale per la reazione sconvolta che ho avuto davanti alla colonna sonora, che per tre-quattro volte offre un riassunto cantato di ciò che sta accadendo sullo schermo, neanche ci trovassimo davanti a un musicarello. Come ho scritto all'inizio, purtroppo non conosco il cinema indiano, quindi mi stupisco per le cose più cretine, quando magari questi momenti musicali sono la norma. Comunque, è una particolarità in più che non inficia per nulla la qualità della pellicola, anzi, la rende ancora più originale e interessante, quindi vi invito a recuperare Tumbbad e guardarlo in completa fiducia! 

Rahi Anil Barve è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, per ora al suo primo lungometraggio. Ha 45 anni e un film in uscita.



mercoledì 7 agosto 2024

Bolla Loves Bruno: La vita a modo mio (1994)

Torna la rubrica Bolla Loves Bruno con La vita modo mio (Nobody's Fool), diretto e sceneggiato nel 1994 dal regista Robert Benton a partire dal romanzo omonimo di Richard Russo e candidato a due premi Oscar (Paul Newman miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale).


Trama: l'anziano Sully è un perdigiorno che vive di lavoretti saltuari ed è molto amato, salvo rare eccezioni, dalla sua comunità. L'incontro con un nipotino lo spingerà a ripensare alle sue priorità...


Dopo Genitori cercasi, anche La vita a modo mio è un altro di quei film in cui Bruce Willis compare per un tempo molto breve (qui sarà una mezz'oretta scarsa di minutaggio) ma, per fortuna, è comunque un'opera che val la pena vedere e che mi rende felice di avere pensato a questa lunga e discontinua rassegna. La vita a modo mio sarebbe stato perfetto all'interno della filmografia di Lasse Hallström, in quanto slice of life avente per protagonista un personaggio peculiare, abitante di una cittadina di provincia composta da persone interessanti quanto lui, anche nella loro banale quotidianità. Sully è un signore già avanti con gli anni che vive di lavoretti saltuari come tuttofare e muratore, caratterizzato da un'indipendenza "randagia" nei confronti degli affetti stabili, soprattutto familiari. A dispetto di ciò, e di una vita comunque un po' ai margini dell'illegalità, Sully è benvoluto e rispettato da tutti i cittadini, anche da chi gli è dichiaratamente nemico come Carl Roebuck (interpretato da Bruce Willis), padrone della ditta di costruzioni che, di tanto in tanto, da lavoro a Sully, nonché marito fedifrago della donna più bella del paese, alla quale il vecchiaccio non è così indifferente. Il film, almeno all'inizio, è costruito appunto su tanti piccoli episodi di quotidiana sopravvivenza che vedono protagonista Sully e che tessono la trama dei legami interpersonali tra i vari abitanti della cittadina, e il divertimento sta proprio in queste interazioni; la svolta della trama è l'arrivo di Peter, il figlio di Sully abbandonato all'età di un anno per motivi che non verranno mai chiariti e, in particolare, del nipotino Will, che si rivelerà fondamentale affinché il nonno cominci a mettere un po' di sale in zucca. Il film è essenzialmente tutto qui. Si ride, e parecchio, del carattere pratico ma rozzo di Sully, di recurring joke come quello dello spazzaneve, di tutta una serie di personaggi che sembrano usciti da un episodio de I Simpson, ma si arriva anche a volere sinceramente bene al protagonista, vero cuore di una cittadina che, senza di lui, sarebbe sicuramente più triste, con tutti quegli animi solitari e fragili che non saprebbero a chi aggrapparsi (o di chi ridere, con chi scontrarsi, con chi vantarsi di una vita apparentemente migliore!) per trovare conforto.


Per questo, pur non essendo un film triste, sono arrivata al finale con le lacrime agli occhi. La vita a modo mio è il ritratto di un'America che di sicuro non è mai esistita, ma al suo interno ho ritrovato tanti elementi (pur con tutte le esagerazioni legate ad esigenze cinematografiche) in grado di ricordarmi le peculiarità dei paesi come quello in cui vivo tutt'ora, soprattutto quel "conoscersi tutti" che ormai si è perso, la pazienza di sopportare i difetti caratterizzanti una persona di base buona, la volontà di stare accanto a chi ha bisogno, che sia una vecchia insegnante o un ragazzone tardo di comprendonio. E' un modo di vivere che sta scomparendo per colpa di quelli della mia generazione, io per prima, e a questa considerazione se ne sono aggiunte altre legate alla somiglianza tra il carattere burbero, "tirabelino" ma gentile di Sully, e quello di mio papà, che ha spalancato le porte al terrore sempre più pressante e vicino di perdere lui, mia mamma o tutti e due. A fronte di queste personali riflessioni, può quindi essere che La vita a modo mio sia un film banale e bruttino, e che io lo abbia amato per questioni puramente soggettive, ma mi sento di mettere la mano sul fuoco relativamente al cast superlativo. Nel 1995 Paul Newman non avrebbe mai potuto vincere l'Oscar (Cristo, era l'anno di Morgan Freeman in Le ali della libertà e John Travolta in Pulp Fiction, anche se non ci fosse stato Tom Hanks col suo Forrest Gump sarebbe stata dura!) ma la sua interpretazione è quella di un vecchio piacione consumato, dal cuore rozzo ma tenero, ed è arduo non lasciarsi travolgere dal puro carisma che trasuda. Fortunatamente, nonostante Newman spicchi, La vita a modo mio non è uno di quei casi in cui un attore si mangia tutti gli altri, anzi, le interpretazioni delle "spalle" vengono notevolmente arricchite, anche se è brutto definire tali gente del calibro di Jessica Tandy (alla quale il film è dedicato, in quanto ultima pellicola girata prima di morire), Melanie Griffith e Pruitt Taylor Vince (c'è persino un Philip Seymour Hoffman praticamente agli esordi e già adorabile). Quanto a Bruce Willis, nel ruolo di stronzo mangiadonne dalla faccetta di cazzo è perfetto, e i duetti fra lui e Newman sono tra i più spassosi dell'intero film, Non guasta anche vederlo in un apprezzato momento strip poker, anche se, per concludere il post rimanendo in tema "oggettificazione sessuale", l'unico vero difetto di La vita a modo mio è quello di presentare giovani personaggi femminili dotati dello spessore di un foglio di carta velina, caratterizzati o come zoccole, o come tristi innamorate dell'uomo sbagliato, o come rompicoglioni sfasciafamiglie. 


Del regista e sceneggiatore Robert Benton ho già parlato QUI. Paul Newman (Sully), Jessica Tandy (Miss Beryl), Bruce Willis (Carl Roebuck), Melanie Griffith (Toby Roebuck), Pruitt Taylor Vince (Rub Squeers), Philip Seymour Hoffman (Agente Raymer), Margo Martindale (Birdy) ed Elizabeth Wilson (Vera) li trovate invece ai rispettivi link.

Dylan Walsh interpreta Peter. Indimenticato Dr. McNamara della serie Nip/Tuck, ha partecipato anche a film come Il segreto di David ed altre serie quali Oltre i limiti, The Twilight Zone e CSI Scena del crimine. Americano, anche costumista e sceneggiatore, ha 61 anni. 




martedì 6 agosto 2024

Starve Acre (2023)

Giusto perché mi piace deprimermi, ho recuperato di recente Starve Acre, diretto e sceneggiato dal regista Daniel Kokotajlo e tratto dal romanzo La voce della quercia di Andrew Michael Hurley. Segue qualche inevitabile spoiler.


Trama: Richard e Jules si trasferiscono nella campagna inglese nella speranza che l'ambiente faccia bene al figlioletto Owen. La zona però è oggetto di inquietanti leggende...


La cifra stilistica dell'horror recente sembra essere una tristezza senza fine. Non fa eccezione Starve Acre, un gradevole mix tra dramma familiare e folk horror, che assesta più di una mazzata emotiva allo spettatore. Non ho letto La voce della quercia, libro da cui è tratto il film, quindi non potrò (come spesso accade) fare paragoni tra le due opere o riflessioni sui diversi medium e tutto ciò che scriverò sarà legato a una mia personalissima interpretazione di Starve Acre. Il film si focalizza sull'elaborazione del lutto all'interno di una famiglia apparentemente normale, condizionata tuttavia dai problemi comportamentali del figlioletto, già causa di una piccola crepa nel legame tra Richard e Jules. Quando il piccolo muore, la crepa si allarga non solo per il diverso modo che hanno i genitori di affrontare la perdita, ma soprattutto per i diversi sentimenti che li legavano al defunto, condizionati, nel caso di Richard, da traumi passati legati alla campagna inglese in cui la famiglia aveva deciso di traferirsi. Come nei migliori drammi a sfondo sovrannaturale, è proprio in queste crepe che si insinua il male, anche se in questo caso bisogna parlare di una forza più ambigua, a cui si riallaccia l'anima "folk" dell'opera. Starve Acre, infatti, parla sì di morte, ma anche di una rinascita conquistata col sangue, di entità ambigue ed antiche come il mondo, che non sempre agiscono secondo canoni umani e di sicuro non si possono definire soltanto "buone o cattive". Questa stessa ambiguità o, se preferite, questo continuo cambio di prospettiva, si ripercuote anche nel percorso di superamento del lutto intrapreso da Richard e Juliette, che procede lineare e separato, almeno all'inizio, per poi unirsi e riproporsi, in un continuo alternarsi di follia e solitudine, liberazione, stasi e di nuovo dolore, in un'altalena di sensazioni che la generale freddezza dell'opera mitiga a stento. Anche il finale, che pur insiste su dettagli horror più raccapriccianti e violenti, lascia una sensazione di malinconia inquieta, la curiosità morbosa, tanto per citare un dialogo del film, di sapere quale sarà il destino ultimo dei protagonisti e della sparuto gruppetto di fedeli in attesa della "primavera".


All'inizio dicevo che l'horror recente punta più al dramma triste, ma un altro elemento distintivo degli ultimi anni è la scoperta di quanto siano terrificanti i conigli o le lepri. Dopo Caveat e Il morso del coniglio, il leprotto di Starve Acre (generato quasi sicuramente al computer ma abbastanza realistico da non darmi fastidio) è l'emblema dell'inquietudine, una creatura che si percepisce "sbagliata" o comunque aliena fin dall'inizio, pur essendo una perfetta rappresentazione del dolore: quando crediamo di essercene liberati, ecco che torna per morderci e allontanarci da chi ci vorrebbe aiutare, si nutre di noi e ci isola ancor più. Messer Leprotto è la punta dell'iceberg di una serie di dettagli stranianti, di una natura pericolosa ed incomprensibile, che nelle splendide immagini del film rimane ad osservare silenziosa e brulla, affascinante ma indifferente allo spettatore come solo la campagna inglese può essere. Questo tipo di ambientazione è perfetta per catturare e riportare su schermo le atmosfere tipiche del folk horror, ma aiutano anche le belle facce dei personaggi secondari e il loro modo molto "campagnolo" di parlare, mentre Matt Smith e Morfydd Clark sono la coppia ideale per interpretare i protagonisti. Prego i fan della coppia di non fraintendermi quando dico che i due attori hanno proprio il volto e l'atteggiamento di chi è vinto e stanco della vita, con un piede già in un mondo tutto suo, dove le parole e i contatti umani non servono e l'unica cosa che importa è abbracciare lo spleen oppure un'elegante follia. Ecco, elegante è proprio l'aggettivo perfetto per questo film che, come tutti gli slow burn, troverà tanti estimatori ma anche moltissimi detrattori, perché ha il non trascurabile difetto di avere un ritmo molto lento. Io, nelle ultime settimane, tendo stranamente a non addormentarmi e ho apprezzato molto Starve Acre, ma non ditemi che non vi avevo avvertito!


Di Matt Smith (Richard) e Morfydd Clark (Juliette) ho parlato ai rispettivi link. 

Daniel Kokotajlo è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto un altro film, Apostasia. Anche produttore, ha 43 anni.


Erin Richards
interpreta Harrie. Inglese, ha partecipato a film come Open Grave, Le origini del male e a serie quali Gotham e The Crown. Anche regista e sceneggiatrice, ha 38 anni. 


Robert Emms
 interpreta Steven. Inglese, ha partecipato a film come Anonymous, Biancaneve, Kick-Ass 2 e a serie quali Chernobil. Ha 38 anni.



venerdì 2 agosto 2024

Eraserhead - La mente che cancella (1977)

Per la challenge serviva un horror anni '70, quindi ho deciso di colmare un'altra lacuna e guardare Eraserhead - La mente che cancella (Eraserhead), diretto e sceneggiato da David Lynch nel 1977.


Trama: L'impiegato Henry Spencer vede la sua vita sconvolta quando la fidanzata dà alla luce un bambino deforme...


Chi ha visto Eraserhead sa che la trama scritta qui sopra è un mero pretesto, un blando tentativo di riassumere quel che viene mostrato sullo schermo. In realtà, il primo lungometraggio di David Lynch deve moltissimo al surrealismo cinematografico e la consecutio temporum del film praticamente non esiste, così come non esiste intreccio. Quel poco di "normale" e lineare che si vede nel film è giusto un modo per scavare nel disagio dello spettatore attraverso un uso magistrale delle immagini e del sonoro, che amplificano la natura stralunata del protagonista, Henry Spencer. Henry è un impiegato "in vacanza", che vive nel posto più squallido che si possa pensare (una città industriale malridotta e quasi abbandonata), all'interno di un appartamento, se così si può definire, altrettanto squallido e raccapricciante. La fidanzata Mary e la sua famiglia sono il perfetto complemento a questo ambiente malaticcio, governato da un "Uomo del pianeta" il quale, in realtà, tende ad abbandonare le sue creature a loro stesse, ai loro istinti spesso in conflitto con paure più o meno razionali. E così, Mary rimane incinta ma mette al mondo un feto alieno che si esprime essenzialmente attraverso miagolii, costringendo Henry a vivere insieme a loro e, una volta raggiunto il limite di non sopportazione, lo abbandona col figlio per tornare dai genitori. Nel corso di Eraserhead succedono però mille altre cose, la più eclatante delle quali dà proprio il titolo al film, e ognuna di esse è il piccolo tassello di un'opera fortemente onirica, caratterizzata come l'incubo di un uomo terrorizzato da qualsiasi genere di gabbia sociale e responsabilità, attirato dal sesso ma anche mosso a repulsione dalla natura riproduttiva dell'atto, che potenzialmente metterebbe al mondo altri infelici ingranaggi di un macchinario imperfetto. Henry, con la sua espressione perennemente perplessa e sofferente, è un inetto che si lascia vivere passivamente, perso nei suoi incubi oppressivi che trovano sollievo soltanto nella ricorrente visione di una donna/bambina candida ed innocente, la quale distrugge creature spermiformi cantando dolci canzoni in cui si promette un paradiso dove "tutto va bene/tu hai le tue cose e io ho le mie", forse espressione indulgente dello stesso inconscio del protagonista.


Nonostante la natura "benefica" della donna, anch'essa è però deforme e brutta come tutto ciò che circonda Harry, siano luoghi oppure esseri viventi. Il mondo di Henry sembra uscito da una catastrofe nucleare e tutto offre un'impressione sporca, sbagliata e malata. In primis il povero bambino/alieno del protagonista, ovvio (tuttavia sul finale mi si è spezzato il cuore al pensiero dell'innocenza di quella creatura non voluta e condannata a una sofferenza infinita), ma anche la famiglia di Mary è composta da freaks incapaci di comunicare tra loro o provare sincero affetto gli uni per gli altri, per non parlare poi del cibo, di quella coperta tarlata, del terriccio che invade l'appartamento di Henry. E' come se quest'ultimo non avesse la forza di uscire dallo schifo che lo circonda e la cosa più triste è che la sola cosa regolare e funzionante è una macchina industriale che trasforma gli esseri umani in oggetti inanimati, mentre l'unico atto di volontà mostrato nel film (che, per inciso, nasce da frustrazione e desideri omicidi, quindi non da un sentimento positivo di rivalsa) riesce persino a distruggere un mondo. All'interno delle immagini oniriche girate da Lynch e fotografate in un bianco e nero luminosissimo ci sono i semi di tutta la poetica dell'autore, con suggestioni e simbolismi che chi ha amato il suo cinema o anche solo Twin Peaks conosce bene (anche se magari non li capisce, alzo la mano io per prima!), ma quello che mi ha impressionata maggiormente guardando Eraserhead è l'utilizzo del sonoro. C'è un costante rumore di fondo all'interno del film, qualcosa che si insinua nella mente dello spettatore e lo perseguita con un fastidio infinito, è un brusio che impedisce di pensare e angoscia in quanto reiterato e, a un certo punto, persino peggiorato, perché ad esso si aggiungono il vento e i pianti deboli ma costanti del neonato. Raramente ho trovato film così poco lineari ma che rappresentassero così bene il male di vivere e, soprattutto, il terrore e la repulsione verso ciò che si considera "normale", ma Lynch è riuscito a rivoltarmi lo stomaco e affascinarmi. Concludo questo post ignorante con un pensiero triste. Vorrei tanto che Arwen, lynchiana di ferro come poche, fosse ancora qui per "bacchettarmi" nei commenti, nel caso non avessi capito un tubo del film, invitandomi magari a riguardare Eraserhead a distanza, assieme a lei. Dalla Loggia Bianca, di sicuro, Laura starà ridendo di questo pensiero. E se volete un'altra opinione sul film, redatta per eventuali amici anglofoni, la trovate QUA, scritta da Edoardo Romanella.  


Del regista e sceneggiatore David Lynch ho già parlato QUI mentre Judith Roberts (la bella vicina di casa) la trovate QUA.

Jack Nance interpreta Henry Spencer. Lynchiano di ferro, nonché adorato Pete Martell della serie Twin Peaks, lo ricordo per altri film quali Ghoulies, Dune, Velluto blu, Il fluido che uccide, Cuore selvaggio, Fuoco cammina con me, Love e una .45 e Strade perdute. E' morto nel 1996, all'età di 53 anni.


Charlotte Stewart
, che interpreta Mary X, era la signora Briggs di Twin Peaks e la Nancy del film Tremors. Se Eraserhead vi fosse piaciuto recuperate anche Un chien andalou, Velluto blu, Mulholland Drive, Strade perdute e Il pasto nudo, senza dimenticare Tetsuo, palesemente influenzato dall'esordio di Lynch. ENJOY!

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