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giovedì 15 gennaio 2015
Mike Nichols Day: Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966)
Lo scorso novembre è venuto a mancare il regista Mike Nichols e la cumpa di blogger riunita ha deciso di tributargli un doveroso omaggio. Purtroppamente i miei film preferiti erano già stati presi, quindi ho ripiegato su una pellicola che mi aveva sempre molto incuriosita per il titolo e che non ero mai riuscita a vedere, Chi ha paura di Virginia Woolf? (Who's Afraid of Virginia Woolf?), diretto da Mike Nichols nel 1966, tratto dall'omonima opera teatrale di Ernest Lehman e vincitore di 5 premi Oscar: Miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, Elizabeth Taylor e Sandy Dennis come, rispettivamente, miglior attrice protagonista e migliore attrice non protagonista. ENJOY!
Trama: George e Martha sono una coppia di mezza età in piena crisi matrimoniale. Una sera invitano a casa i giovani sposini Nick e Honey e l'alcool trasforma l'incontro in una guerra verbale senza esclusione di colpi...
Chi ha paura di Virginia Woolf? è il primo film girato da Mike Nichols, che aveva all'epoca 35 anni. C'è però poco da dire, registicamente parlando, su questa pellicola, visto che Chi ha paura di Virginia Woolf? nasce come opera teatrale e ne mantiene l'impianto, con abbondanza di primi piani, scene statiche e riprese in interni che, diciamocela tutta, da soli non catturano né emozionano lo spettatore. La forza del film infatti non si trova nella regia, piuttosto anonima, bensì nelle interpretazioni degli attori e nei dialoghi-fiume che compongono la sceneggiatura, due ore di colpi bassi, crisi isteriche, ironiche ripicche e un sotterraneo, insistente dolore; dolore per una vita ormai fatta di routine, "rallegrata" e resa più pepata da tristi quanto furiose scaramucce verbali, in cui la rara tenerezza e la reciproca comprensione nascono da un terribile "mal comune" che ha dato il La ad uno strano gioco segreto tra George e Martha. I due sono una coppia navigata nella quale, almeno apparentemente, è lei a portare i pantaloni: Marta è una stronza arricchita, una grebana di prima categoria, sguaiata e perennemente attaccata alla bottiglia mentre George dipende direttamente dal padre di lei e, pur essendo dotato di cultura ed intelligenza, nella vita ha conosciuto solo fallimenti e rinunce, inoltre è diventato assai simile ad una pentola a pressione, che accumula ira finché non esplode riversandola su chi gli sta davanti in un estemporaneo scoppio di violenza e rabbia. Per volere del padre di Martha, la donna invita a casa ad un'ora assurda (le due di notte) Nick e Honey, due giovani sposi conosciuti la sera stessa ad un party, ovviamente senza chiedere prima il permesso a George. Nick è un bell'uomo, intelligente ed ex atleta, mentre Honey è una scialba sciocchina incapace di controllarsi o di affrontare la realtà; i due, all'apparenza innamoratissimi, finiscono per farsi contagiare dall'amarezza e dalle manipolazioni verbali di Martha e George, arrivando a palesare, nel corso della lunghissima notte, segretucci e tratti della personalità decisamente in contrasto con le apparenze del primo incontro, roba in grado di distruggere il loro matrimonio da sogno.
Chi ha paura di Virginia Woolf? funziona nel momento stesso in cui lo spettatore accetta di farsi prendere in giro da George e Martha e giocare assieme a loro, cercando di stare attento a qualsiasi indizio possa rivelargli la verità sui due protagonisti. E' essenziale lasciarsi coinvolgere dalla logorrea dei personaggi e superare l'irritazione causata dalle loro fortissime personalità, altrimenti il mio consiglio per chi dovesse guardare il film e cominciare a sbadigliare dopo dieci minuti è quello di spegnere la TV e fare dell'altro perché non è una di quelle pellicole che "si risollevano verso il finale". No. Il ritmo di Chi ha paura di Virginia Woolf? non cambia, così come non muta l'essenziale necessità di seguire con attenzione gesti, dialoghi e tic per evitare di perdersi nel marasma di informazioni che i personaggi vomitano uno addosso all'altro. Fortunatamente abbiamo davanti dei grandi, IMMENSI attori che trasformano due ore di pièce teatrale in un bicchiere d'acqua fresca. Elizabeth Taylor e Richard Burton erano al secondo anno del loro primo matrimonio; quando dico primo matrimonio, intendo primo tra loro due: la Taylor all'età di 34 anni era già al quinto, Burton, quarantunenne, era "appena" al secondo. Nonostante la giovane età e l'incredibile recidività credo dunque che entrambi fossero ben consapevoli sia dell'amore che li legava in quel momento sia della durezza della vita matrimoniale ed è per questo che le loro interpretazioni sono così perfettamente ciniche, disilluse, dolorose e a loro modo tenere, quasi speranzose; c'è la speranza di Martha che George possa ancora cambiare e "farsi crescere un paio di palle", abbandonando la triste freddezza di cui si è ammantato nel corso degli anni, c'è la speranza di George che Martha si lasci alle spalle sia la bottiglia che le dolorose illusioni e diventi una moglie "normale". C'è anche il desiderio, forse un po' crudele, di prendere due sposini (gli altrettanto favolosi George Segal e Sandy Dennis) e metterli a nudo, insegnando loro che il matrimonio non è una favoletta fatta di amore e zucchero ma una continua battaglia a base di compromessi, litigi e, soprattutto, reciproca fiducia: George e Martha, nonostante la burrascosità della loro relazione, non hanno segreti l'uno per l'altra e hanno un'intesa che i giovani Honey e Nick possono solo sognare e che, probabilmente, non avranno mai. Siete in una relazione? Date una chance a Chi ha paura di Virginia Woolf? e giocate con George e Martha, potreste scoprire un sacco di cose su voi e sulla vostra dolce metà!
Anche voi come me conoscete poco di Mike Nichols e volete rimediare? Ecco l'elenco dei post scritti dagli amici Blogger che hanno voluto partecipare alla celebrazione! ENJOY!
Onironauta Idiosincratico - Il laureato
La fabbrica dei sogni - Una donna in carriera
Mari's Red Room - Wolf - La belva è fuori
Montecristo - Angels in America
Scrivenny - Closer
Non c'è paragone - Il laureato
Pensieri Cannibali - La guerra di Charlie Wilson
Recensioni Ribelli - Closer
Director's Cult - Wit - La forza della mente
White Russian - Silkwood
mercoledì 25 giugno 2014
Sidney Lumet Day: Equus (1977)
Oggi è il Sidney Lumet Day e a me viene già da ridere. A costo di palesare la mia solita ignoranza crassa, mi tocca ammettere di non sapere assolutamente nulla di questo regista, che oggi avrebbe compiuto ben 90 anni. Credo anzi di non aver mai visto neanche un suo film, tranne forse Sono affari di famiglia la prima volta che era stato passato in TV (non mi era piaciuto, ero piccola) e di sfuggita Serpico, Quarto potere e Il verdetto, pietre miliari cinematografiche che tuttavia non ho mai avuto modo di recuperare degnamente. Quindi oggi ho lasciato che i colleghi blogger più saputi si accaparrassero, giustamente, i loro film preferiti e poi ho scelto a caso, ispirata dalla trama, Equus, diretto da Lumet nel 1977.
Trama: il giovanissimo Alan, in un impeto di follia, acceca sei cavalli. Al Dottor Dysart viene chiesto di capire cos'abbia spinto il ragazzo a compiere un simile gesto e di aiutarlo a liberarsi dai suoi demoni. Purtroppo, man mano che la cura procede, sarà proprio lo psicanalista a mettere in discussione sé stesso...
Equus è un dramma psicologico tratto dall'omonima opera teatrale di Peter Shaffer, che ne ha sceneggiato anche l'adattamento cinematografico, con protagonisti Richard Burton e Peter Firth (entrambi bravissimi e giustamente candidati all'Oscar), presenti anche nell'edizione teatrale con gli stessi ruoli, rispettivamente, di psicanalista e paziente. L'impianto teatrale della pellicola è palese fin dalle primissime immagini, in cui uno sconvolto Dottor Dysart si rivolge direttamente al pubblico manifestando il suo tormento per poi andare a ritroso e raccontare la disturbante storia del giovane Alan. La maggior parte delle sequenze sono girate in ambienti chiusi e con movimenti di macchina assai limitati, con inquadrature concentrate soprattutto sui volti dei personaggi o sulla loro figura intera rapportata, nel caso di Alan, con i protagonisti veri e propri della pellicola, i cavalli. Non mancano ovviamente immagini oniriche, surreali o angoscianti, in particolare nel corso dello scioccante finale interamente virato in rosso, mentre il montaggio alterna con stacchi decisi il presente, in cui i personaggi raccontano le proprie vicende, e il passato, che viene rivissuto nella mente di tutti i testimoni della terribile vicenda. Il risultato è un film a tratti lento e sonnacchioso, soprattutto nella prima parte, che tuttavia cattura a poco a poco lo spettatore grazie alla potenza del mistero che circonda entrambi i protagonisti e l'ambigua figura di Equus, il Dio servo, il terribile cavallo che tutto vede.
Se infatti la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!
Sidney Lumet viene festeggiato assai più degnamente e con competenza a queste coordinate. ENJOY!
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