martedì 30 marzo 2021

Hunted (2020)

Shudder, lo ha dimostrato in pandemia, ci vuole bene. E continua a dimostrare il suo amore verso il pubblico horroromane con una serie di film che dovrebbero uscire da qui a fine marzo, uno alla settimana. Il primo è stato Hunted, diretto e co-sceneggiato nel 2020 dal regista Vincent Paronnaud.

Trama: una ragazza viene rapita da due uomini ma riesce a fuggire in un bosco, dove dovrà cercare di sopravvivere. 


Hunted
non è un film innovativo, lo si capisce fin dal titolo. Tratta, come da trama, di una donna che, una sera, entra un po' troppo in confidenza con un uomo e ne paga il fio, finendo per venire rapita e, una volta liberatasi, costretta a sopravvivere nei boschi mentre viene inseguita. E' un rape & revenge senza rape, fortunatamente, che parte da un presupposto antipatico e che ormai ha anche un po' rotto le palle (Eve è straniera in terra straniera, ha un fidanzato col quale è probabilmente in rotta e che la chiama sul cellulare ma lei preferisce non rispondere e andare in un club, ubriacarsi e, orrore!, tentare anche la prima mossa su un uomo che l'approccia. In breve: se l'è cercato il rapimento, ovvio) per trasformarsi in una sorta di favola nera che cita a piene mani Cappuccetto Rosso, a partire dalla mise della protagonista per arrivare al ghigno famelico di un attore talmente laido e leppegusu, nonostante la sua bellezza lupina, che probabilmente scalzerebbe Vincent Cassel dal podio degli attori che mia madre trova repellenti. In quanto favola, l'aspetto gretto di un rape & revenge filtrato dall'occhio di un uomo si riempie di elementi dissonanti, che fanno a pugni con una messa in scena realistica e violenta; introdotto dal racconto di una "survivalista", Hunted dà ad intendere che l'essere femminile sia l'unico capace di sacrificarsi senza egoismo, pensando innanzitutto al bene di altri, e che questo suo punto debole di cui buona parte degli uomini rischia di approfittare è quello che più lo avvicina alla natura, all'istintualità delle bestie, le quali in virtù di ciò non si fanno remore a proteggere e dare rifugio ad Eve, cosa che spesso accade nel corso del film. 


La violenza secca e brutale di alcune immagini, con sequenze parecchio gore che a tratti lasciano sconcertati, si alterna a momenti di pura poesia naturale, fatta di natura selvaggia e rigogliosa ed animali che paiono quasi avere sentimenti umani, ed è molto interessante non solo la sequenza iniziale a ombre animate ma anche il "barbatrucco" nel prefinale, per quanto sicuramente un po' tirato per i capelli, che trasforma Eve da fanciulla indifesa a barbara urlante coperta da colori di guerra. A proposito di Eve, lì per lì l'attrice protagonista mi diceva davvero poco ma andando avanti acquista sempre più personalità, fino ad imprimersi indelebilmente nella mente dello spettatore anche se non, bisogna dirlo, come l'efferatissimo Arieh Worthalter, il cui uomo senza nome rischia di causare incubi a chiunque non abbia un minimo di pelo sullo stomaco e fare venire schifo e odio anche ai più scafati. Questi ultimi, probabilmente, non apprezzeranno granché Hunted, lo troveranno banale e scontato, cosa verissima, anche perché si mantiene nei binari e nei canoni del genere, mentre altri, come me, rimarranno sconvolti per il tempo della sua durata e, a mente fredda, si convinceranno di aver visto un film un po' scorretto, più che superato. Ciò non toglie che è messo in scena con uno stile tutto particolare, quindi una visione la consiglio comunque. 


 Del regista e co-sceneggiatore Vincent Paronnaud ho già parlato QUI.

domenica 28 marzo 2021

Amulet (2020)

Il secondo (e ahimé ultimo) film visto al Monsters Taranto Horror Film Fest è stato Amulet, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Romola Garai.


Trama: un ex soldato dell'est, che vive come un clochard in Inghilterra, viene invitato da una suora a stanziarsi a casa di Magda e della madre inferma, in cambio di piccoli lavoretti di manutenzione. La casa tuttavia nasconde qualcosa...


Di Amulet avevo sentito parlare benissimo da Lucia, poi per mille motivi mi ero dimenticata della sua esistenza e sono stata molto contenta di vederlo in programmazione al festival e di poter cogliere l'occasione di guardarlo. Una vera fortuna, perché Amulet è davvero un film splendido, che regala continue sorprese e spiazza in più di un occasione, un film di cui bisognerebbe non sapere nulla prima di guardarlo, o comunque il minimo indispensabile. La storia, in apparenza, sarebbe persino banale, tipica di una marea di horror "gotici" più o meno recenti. Tomas è reduce di una qualche non meglio precisata guerra nell'Europa dell'Est ed è fuggito in Inghilterra, dove vive di lavoretti saltuari, dormendo per strada. Dopo che un incendio ha distrutto il suo rifugio, Tomas viene avvicinato da una suora che gli propone di diventare il tuttofare all'interno di una casa abitata dalla giovane Magda, costretta ad accudire la madre inferma e a fare una vita da reclusa; inutile dire che, a poco a poco, Tomas si innamora di Magda, dolce, ingenua e vessata da una madre violenta, e si propone di aggiustare non solo una casa cadente e cupa, ma anche di salvare la fanciulla in pericolo per ricominciare magari una vita insieme, sotto la benedizione dall'alto di un Dio provvidenziale che ha mandato una suora in soccorso. In realtà, da un certo punto in poi la sceneggiatura di Amulet prende una piega imprevista e il passato di Tomas, che dorme con i polsi legati e sogna la foresta dov'era costretto a lavorare come guardia di confine, diventa sempre più preponderante per definire un presente che fugge alla comprensione e al controllo del protagonista, forse anche agli spettatori stessi.


Il bello di Amulet è che molto di ciò che il film racconta viene fatto (finalmente e giustamente) intuire attraverso immagini, inquadrature particolari, simboli ricorrenti, piccoli dettagli che rischiano di fuggire all'occhio dello spettatore disattento, il tutto filtrato da un'eleganza incredibile per un'esordiente come Romola Garai, la quale riesce a rendere plausibili e coerenti anche le sequenze più allucinate, soprattutto sul finale. La regista mostra inoltre tutta la sua abilità nel gestire molteplici registri non solo a livello di trama, che si trasforma spesso con una fluidità invidiabile, ma anche e soprattutto a livello di atmosfere; la casa di Magda, per esempio, è al tempo stesso opprimente ed insidiosa, un luogo inospitale e vittima di una corruzione costante, ma anche una realtà concreta, messa a fuoco e compresa in una nicchia di calore umano, laddove invece l'esterno è connotato di sfumature inafferrabili e confuse, come se tutto ciò che circonda Tomas non riuscisse a sedimentarsi in una mente in tumulto e costantemente in fuga dalla realtà. Il finale e il prefinale, poi, sfiorano il capolavoro e lo stesso vale per le belle interpretazioni offerte da tutti i coinvolti (la Staunton compare poco ma è strepitosa!), per non parlare dei momenti di puro gore schifido che rischiano di fare la gioia anche di chi non ama gli horror "ragionati" e lenti. Ci sarebbero altre mille cose da dire su Amulet ma qualunque altra parola rischierebbe di rovinare la sorpresa a chi dovesse ancora vederlo, quindi aggiungo solo una speranza,  che Amulet ottenga presto una distribuzione su qualche piattaforma perché merita di essere visto da più persone possibili.  


Di Imelda Staunton, che interpreta Sorella Claire, ho già parlato QUI.

Romola Garai è la regista e sceneggiatrice della pellicola. Nata a Hong Kong, è al suo primo lungometraggio. Conosciuta principalmente come attrice, è anche produttrice e ha 39 anni.


Carla Juri
interpreta Magda. Svizzera, ha partecipato a film come Brimstone, Blade Runner 2049 e a serie quali A un passo dal cielo. Ha 36 anni e un film in uscita. 



venerdì 26 marzo 2021

The Returned (2019)

Lo scorso weekend sono riuscita a guardarmi un paio di film al Monsters Taranto Horror Film Festival, uno dei tanti eventi online che per fortuna rallegra la nostra pandemia cinefila anche se, purtroppo, io che tempo non ne ho nemmeno nel fine settimana riesco a sfruttare poco. Il primo horror visto è stato The Returned (Los que vuelven), diretto e co-sceneggiato nel 2019 dalla regista Laura Casabe.


Trama: Julia, che vive ai margini della foresta pluviale all'interno dei possedimenti del marito, chiede alla serva Kerana di riportare in vita il figlio nato morto. Il ritorno del bambino porta con sé qualcosa di più oscuro...


The Returned
è una strana storia di zombie filtrata da un'ottica femminile e di critica politica, all'interno della quale il male non è necessariamente incarnato dalle creature sovrannaturali, quanto piuttosto dagli uomini piccoli e crudeli che, non paghi di depredare il territorio (il film è ambientato nella foresta pluviale, in un passato non precisato, quindi lo sfruttamento è appena agli inizi), si impegnano a mettere in ginocchio le popolazioni autoctone, asservendole con la violenza dei fucili senza minimamente cercare di comprenderle e preferendo trattarle alla stregua di bestie. Non che alle donne, in una società patriarcale e ipocritamente religiosa, vada meglio, visto che queste ultime hanno l'unico compito di sfornare figli e, quando non ci riescono, ovviamente sono dolori. Non a caso, la protagonista, Julia, costretta a testimoniare la morte del figlio a pochi secondi dalla nascita, decide di rivolgersi alle oscure entità delle leggende degli indios e di chiedere a una fantomatica "madre" della montagna di fare il miracolo e restituirle il piccolo, scatenando un male insinuante che trasformerà la foresta in un covo di "ritornanti" pronti a vendicarsi di tutti i soprusi subiti e a riappropriarsi dell'identità doppiamente rubata.


La regista Laura Casabe ci prende per mano e ci accompagna, attraverso riprese assai suggestive, all'interno di una foresta pluviale allo stesso tempo opprimente e oscura ma anche salvifica, una presenza "altra" rispetto alla piccola realtà di una casa coloniale colma di dolore e di una chiesa sostanzialmente inutile come il prete che la abita; lo stile quasi naturalistico di buona parte delle sequenze si mescola a scene più oniriche, dove sono gli stessi limiti temporali ad annullarsi, soprattutto quando la storia si riavvolge e noi veniamo a scoprire ciò che si nasconde dietro gli sguardi dei protagonisti, depositari di segreti che si rivelano a poco a poco. In tutto questo, il ritmo di The Returned è sicuramente molto lento e i suoi zombi fanno più pena che paura, tuttavia in alcuni punti la violenza esplode incontrollata e decisamente splatter, inoltre a un certo punto sembra quasi di guardare uno di quegli horror anni '80 alla Fulci, dove i morti viventi più che uccidere portano alla morte con la loro sola presenza, attraverso sguardi dalle ombre e un senso palpabile di angoscia che taglia ogni via di fuga. C'è da dire che, purtroppo, The Returned viene ammazzato non solo dal ritmo spesso lento, ma soprattutto da attori non particolarmente ispirati, il che è un peccato, perché questa interessante visione di zombie vendicativo poteva dare molte più gioie. 

Laura Casabe è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Argentina, ha diretto film come Benavidez's Case. Anche, ha 38 anni.



mercoledì 24 marzo 2021

Borat - Seguito di film cinema (2020)

Viste le nomination per la Miglior Sceneggiatura e per la Miglior Attrice Non Protagonista, mi è toccato guardare Borat - Seguito di film cinema (Borat Subsequent Moviefilm: Delivery of Prodigious Bribe to American Regime for Make Benefit Once Glorious Nation of Kazakhstan), diretto nel 2020 dal regista Jason Woliner. 


Trama: dopo anni di duro carcere, al giornalista kazako Borat viene promessa indulgenza se riuscirà a portare a Mike Pence un dono da parte del governo. La missione tuttavia viene compromessa da Tutar, figlia quindicenne di Borat...


C'è stato un periodo in cui detestavo Sacha Baron Cohen e ogni volta che compariva in TV cambiavo canale, un periodo che coincideva con le sue performance nei panni di Ali G, personaggio che ho sempre trovato insopportabile. Neanche a dirlo, quando era uscito il primo Borat nel 2006 mi ero rifiutata di guardarlo anche se più o meno, visto il gran parlare che se n'era fatto, avevo capito che il fulcro del film erano le candid camera dove Sacha Baron Cohen, travestito per l'appunto da Borat, si fingeva un giornalista kazako pronto a scioccare con le sue uscite al limite del cattivo gusto gli "innocenti" americani messi alla berlina dallo sguardo dello straniero. Col tempo, Sacha Baron Cohen ha cominciato a farsi apprezzare anche da me, soprattutto nei suoi ruoli più seri, e così, anche se continuo a non avere ancora visto il primo Borat, non ho avuto problemi a recuperare Borat - Seguito di film cinema, approfittando della sua presenza nel catalogo Prime Video, e mi tocca cospargermi il capo di cenere dicendo che mi sono molto divertita guardandolo. Intendiamoci, che un film simile sia arrivato ad essere candidato all'Oscar (ma era successo anche per la sceneggiatura del primo) è indicativo di come quest'anno si sia un po' andati a raschiare il fondo del barile ma a onore di Baron Cohen va detto che il suo personaggio, anche a distanza di decenni, continua a risultare corrosivo e divertente, soprattutto continua a farci vergognare degli americani, come se non fosse bastato averli visti votare in massa un rincoglionito. 


In particolare, il sequel di Borat colpisce per la situazione storica e sociale che dipinge, tanto che spesso il sorriso muore sulle labbra. E' più inquietante che divertente, infatti, rivedere col senno di poi i primi periodi della pandemia, le strade vuote popolate solo da negazionisti fomentati dalla propaganda trumpiana e le riunioni di matti invasati che cantano slogan nazionalisti e si augurano la morte di giornalisti e democratici, soprattutto se si riesce a mettersi, almeno per un istante, nei panni di Sacha Baron Cohen, impelagato in alcune situazioni in cui probabilmente se fosse stato scoperto sarebbe stato fortunato a finire in ospedale (cinque giorni coi Qanon già è roba da mettersi le mani nei capelli, ma cantare ad un raduno di bifolchi repubblicani vuol dire corteggiare la morte). Non che non sconvolga la candid camera col ginecologo cristiano, un esempio di orrore dogmatico se mai ne esiste uno, e in generale un po' tutte le scene che coinvolgono la giovane Maria Bakalova, la quale, nonostante sia giovanissima e praticamente esordiente, non si è risparmiata nel mettersi in situazioni sgradevoli e imbarazzanti, forse per questo è arrivata anche a lei una candidatura agli Oscar. Nonostante le cose sgradevoli che mostra, comunque, ho trovato questo sequel di Borat molto gradevole e probabilmente, appena lo metteranno gratis su qualche piattaforma a cui sono abbonata, recupererò il predecessore, se non altro per godere ancora non solo della stupidità americana ma anche delle belle musiche di Goran Bregovic.


Di Sacha Baron Cohen, che interpreta Borat ed è anche co-sceneggiatore, ho già parlato QUI mentre Tom Hanks, che interpreta se stesso, lo trovate QUA.

Jason Woliner è il regista della pellicola. Americano, ha diretto serie quali What We Do in the Shadows. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 41 anni.


Ovviamente, se
Borat - Seguito di film cinema vi fosse piaciuto, recuperate anche Borat: Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan e non preoccupatevi, il sequel è godibile anche senza conoscere l'originale. ENJOY!

martedì 23 marzo 2021

One Night in Miami... (2020)

Comincia il recupero in vista della notte degli Oscar con One Night in Miami..., diretto nel 2020 dalla regista Regina King e candidato a tre statuette (Leslie Odom Jr. Miglior Attore non Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Speak Now Miglior Canzone Originale).


Trama: per festeggiare la consacrazione di Cassius Clay a campione del mondo, lui, Malcom X, Sam Cooke e Jim Brown si riuniscono in una stanza di motel e finiscono per discutere della situazione dei neri nell'America degli anni '60...


E niente, quest'anno va così, più degli altri anni. Gli Oscar 2021 verranno ricordati non solo per il covid e la maggior parte dei film mai passati nelle sale cinematografiche, soprattutto in Italia, dove sono chiuse da mesi, ma anche per una sovrabbondanza di pellicole a tema "politico" e di stampo teatrale imperniate su figure di spicco della comunità afroamericana. Ma Rainey's Black Bottom, The United States vs Billie Holiday e Judas and the Black Messiah si sono aggiunti a questo One Night in Miami che era nel catalogo Prime Video già da un po' e che sono riuscita a guardare solo ora, apponendo un altro tassello non solo alla mia ignoranza, ma anche a questi "compiti" da Oscar che per un pubblico bianco ed italiano rischiano di essere interessanti fino a un certo punto. Non ho ancora visto Judas and the Black Messiah quindi non posso giudicarlo, ma se la biografia di Billie Holiday è dinamica, con una protagonista dotata di carisma da vendere, One Night in Miami rientra nel novero di pellicole molto dialogate e teatrali alla Ma Rainey's Black Bottom, all'interno delle quali ben poco succede e molto viene invece detto e ragionato, soprattutto sulle condizioni politiche e sociali della popolazione di colore. Qui abbiamo quattro pesi massimi, anche se in tutta onestà ne conoscevo (male e poco) solo due: Malcom X, Cassius Clay, Jim Brown e Sam Cooke, ovvero la "crema" degli uomini di colore che ce l'hanno fatta, belli, ricchi, famosi e, nel caso di Malcom X, impegnati nella lotta per ottenere gli stessi diritti dei bianchi. One Night in Miami comincia proprio quando Malcom X sta meditando di lasciare la Nazione dell'Islam a causa di profonde divergenze col fondatore ed è conseguentemente alla ricerca di potenti alleati per creare un suo movimento, e chi meglio del giovane Cassius Clay, pronto a convertirsi, di un musicista famoso e di uno degli atleti più forti del football americano?


E così One Night in Miami altro non è che un lungo confronto tra questi quattro grandi, ognuno col proprio modo di considerare il suo ruolo all'interno della società di colore in particolare e dell'America in generale e ognuno più o meno convinto delle proprie scelte di vita; se Cassius Clay, fomentato dalle vittorie e dall'ardore della giovinezza, passa per essere uno sbruffone facilmente malleabile, Malcom X si rivela un leader pieno di dubbi e dalla facciata meno che adamantina, nonostante le idee grandi e condivisibili, mentre in mezzo c'è Sam Cooke, cantante accusato di non fare abbastanza per la causa e che vorrebbe, a sua volta, scrivere pezzi significativi come la Blowing in the Wind di Bob Dylan, e Jim Brown, pronto ad abbandonare una carriera sportiva atta a compiacere i bianchi per intraprenderne un'altra più remunerativa a livello economico e personale. Ognuno di questi uomini, a modo suo, condivide le idee di fratellanza ed emancipazione dei "fratelli" neri e ognuno cerca di aiutare come può,  tuttavia alla base di gran parte dei ragionamenti di Clay, Cooke e Brown (ciò non vale per Malcom X, l'unico completamente coinvolto nella lotta sociale) c'è quella necessità di rendersi innanzitutto indipendenti e "liberi" dal condizionamento dei bianchi, dimostrandosi superiori alla maggior parte di loro, che si ritrova anche nei protagonisti di Ma Rainey's Black Bottom The United States vs Billie Holiday e che non necessariamente coincide col desiderio di venire coinvolti nelle miserie altrui.


Insomma, per farla breve, sarà che ormai è il terzo film a "tema" che vedo nel giro di un paio di mesi ma, senza paura di dimostrarmi irrispettosa, se non è zuppa è pan bagnato. E' giusto e doveroso che vengano toccati argomenti importanti come l'identità di un popolo troppo spesso violato, ancora ai giorni nostri, è giustissima la riflessione sul modo di emanciparsi e ancor più giusto il desiderio di far conoscere a più persone possibili persone che hanno fatto la storia degli afroamericani, meno giusto, a mio avviso, farlo attraverso questi compitini privi di brio e ormai un po' tutti omologati e candidarli agli Oscar per qualsivoglia motivo. Davanti alle interpretazioni di Boseman, della Davis e della Day, Leslie Bodom Jr. impallidisce e di sicuro non offre le stesse emozioni di un Sacha Baron Cohen, il cui personaggio ne Il processo dei Chicago 7 era ben più sfaccettato di quello di Sam Cooke, mentre per quanto riguarda la sceneggiatura, anche in questo caso non sono rimasta particolarmente colpita da quello che, di base, è un lungo confronto tra teste e personalità, zeppo di concetti espressi molto meglio altrove. Sicuramente il limite è mio, che sono bianca e ho avuto tutte (o quasi) le libertà, o sarà perché in questo periodo ho bisogno di film un po' più coinvolgenti a livello anche visivo e di intreccio, ma One Night in Miami mi ha davvero convinta poco, nonostante ne abbia letto benissimo in giro. Avanti il prossimo, che dire. 


Della regista Regina King ho già parlato QUI. Lance Reddick (Kareem X) e Michael Imperioli (Angelo Dundee) li trovate invece ai rispettivi link. 

Aldis Hodge interpreta Jim Brown. Americano, ha partecipato a film come Die Hard - Duri a morire, Ladykillers,  Die Hard - Un buon giorno per morire, Il diritto di contare, L'uomo invisibile e a serie quali Buffy l'ammazzavampiri, Streghe, E.R. Medici in prima linea, Cold Case, Numb3rs, Bones, Supernatural, CSI - Scena del crimine, CSI: Miami, The Walking Dead e Black Mirror. Ha 35 anni e un film in uscita. 


Leslie Odom Jr.
interpreta Sam Cooke. Americano, ha partecipato a film come Assassinio sull'Orient Express, Harriet e a serie quali Una mamma per amica, CSI: Miami, Grey's Anatomy e Supernatural. Anche cantante e produttore, ha 39 anni e tre film in uscita, tra cui The Many Saints of Newark


Beau Bridges
e la figlia Emily compaiono rispettivamente nei panni di Mr. Carlton ed Emily Carlton. Se One Night in Miami vi fosse piaciuto recuperate Malcom X, Alì, Il processo ai Chicago 7 e BlackKklansman. ENJOY!

venerdì 19 marzo 2021

Anything for Jackson (2020)

Piano piano comincio a risalire la classifica della top 20 di Lucia, recuperando quei pochi horror che avevo perso l'anno scorso. Uno era Anything for Jackson, diretto e co-sceneggiato nel 2020 dal regista Justin G. Dyck.

Trama: due anziani coniugi rapiscono una donna incinta per consentire al nipotino Jackson, morto qualche tempo prima, di reincarnarsi...


Cosa non si farebbe per amore e per dolore? Qualunque cosa, a giudicare dal titolo di Anything for Jackson e dalla storia di Henry e Audrey, una coppia di anziani che ricorrerebbero ad ogni mezzo pur di riportare in vita il nipotino Jackson, compreso rapire una donna incinta per darla in pasto al Demonio e offrire a Jackson il neonato per reincarnarsi. Non si direbbe che i due possano arrivare a tanto, visto che lui è  uno stimato medico e lei un'elegante casalinga, peccato che nel tempo libero si dilettino entrambi ad officiare riti satanici con una congrega altrettanto improbabile. Tra vecchietti pasticcioni, apparenze ingannevoli e wannabe satanisti ce ne sarebbero di cose per trasformare Anything for Jackson in una commedia e in effetti alcuni momenti del film sono leggeri ed umoristici, ma è solo illusione, perché il film di Dyck non ci mette molto a diventare serio e tanto triste. Henry e Audrey, infatti, saranno anche satanisti in erba ma sono molto determinati, lei perché vittima di un dolore inenarrabile che è arrivato quasi a ucciderla e lui perché è totalmente innamorato della moglie e l'unico modo per dimostrarle amore, per viverlo, è assecondarla anche in questa terribile follia che rischia non solo di uccidere la giovane Shannon ma anche di mettere in pericolo loro.


Man mano che il film procede e i nostri protagonisti scomodano forze al di là della loro comprensione, il tono di Anything for Jackson si fa sempre più cupo e carico di orrore; fa ridere, in effetti, che Justin G. Dyck abbia nel curriculum quasi solo film per la televisione a base di Natale, amore e famiglie, perché, pur non concedendosi al jump scare facilone, il film non lesina sequenze molto spaventevoli dove gli effetti speciali sono ridotti praticamente all'osso e altre decisamente gore e scioccanti (una in particolare se, come me, soffrite davanti a qualunque cosa abbia a che fare coi denti, vi conviene non guardarla proprio). Anche gli attori hanno il loro perché e comunicano allo spettatore tutta la banalità del male e il senso del ridicolo che spesso l'accompagnano, in particolare con il personaggio di Ian, mentre Julian Richings e Sheila McCarthy più che mettere paura fanno spesso tenerezza e creano un non disprezzabile circuito mentale che induce a odiarli e provare pietà nello stesso tempo. Leggendo il post avrete capito che Anything for Jackson non racconta nulla di nuovo, eppure i singoli elementi di cui è composto vengono ricombinati con una freschezza che riesce a renderlo un horror imprevedibile ed emozionante, decisamente inaspettato vista la non dimestichezza del regista col genere. Un'altro piccolo gioiellino targato Shudder che vi consiglio di recuperare!


Di Julian Richings, che interpreta Henry, ho già parlato QUI.

Justin G. Dyck è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Anche produttore, ha diretto svariati film TV a tema natalizio. 


Sheila McCarthy
interpreta Audrey. Canadese, ha partecipato a film come 58 minuti per morire, Antiviral e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta. Anche sceneggiatrice, produttrice e regista, ha 65 anni. 




martedì 16 marzo 2021

I See You (2019)

Attratta da una locandina intravista su Letterboxd, mi sono accinta alla visione di I See You, diretto nel 2019 dal regista Adam Randall e disponibile su Prime Video.



Trama: mentre in una cittadina ricominciano a scomparire dei bambini, un poliziotto e la sua famiglia finiscono vittime di strani fenomeni in casa...



I See You è uno di quei film da vedere senza sapere assolutamente nulla, quindi fermatevi al primo paragrafo se volete mantenere la sorpresa, perché quello dopo sarà pieno di spoiler. L'atmosfera della pellicola richiama molto, fin dall'inizio in cui un ragazzino pedala nel bosco e poi scompare, quelle Kinghiane in cui l'orrore serpeggia all'interno di una cittadina fiaccata da un passato di rapimenti e traumi ai danni di bambini; quello stesso orrore pare insinuarsi all'interno della casa del poliziotto incaricato di indagare, la cui famiglia si sta sgretolando a causa della relazione extraconiugale della moglie, ma non solo. Oggetti cominciano a spostarsi o a scomparire, gli abitanti della casa si ritrovano vittime di aggressioni sempre più invasive e addirittura un operaio giura di aver parlato con una ragazza quando invece in casa c'è solo il figlio adolescente dei protagonisti. All'interno di un clima sempre più ossessivamente claustrofobico, accentuato ulteriormente da riprese dall'alto che mantengono città e casa sotto lo sguardo malevolo di qualche entità misteriosa, le indagini sui rapimenti continuano e la vita dei protagonisti si fa sempre più caotica e insicura, come se i loro peccati e le loro imperfezioni costituissero un nutrimento perfetto per il marciume che li circonda e che a un certo punto decide di prenderli di mira. La maschera con gli occhi sporgenti che campeggia nella locandina è un'entità che "vede", non vista, e che  a un certo punto deciderà di mostrare allo spettatore tutto ciò che non solo lui, ma nemmeno i personaggi del film sono riusciti a scorgere, in un crescendo di momenti ansiogeni e rivelatori (questi ultimi a un certo punto un po' tirati per i capelli, ci torniamo) che rende I See You un film divertentissimo, nonostante la sua serietà mortale, e molto inquietante. Vedere per credere. Con chi non ha visto il film ci fermiamo qui, gli altri possono proseguire ancora un po'.


SPOILER

Chi ha visto il film saprà che a un certo punto I See You va indietro e ci rivela il twist shyamalano: nonostante l'inquietantissima scena iniziale, che vede un ragazzino trascinato verso l'alto da una mano invisibile, non ci sono fantasmi né mostri in questa storia, tranne quelli orribilmente umani. I poltergesist che infestano casa Harper non sono altro che due ragazzi che fanno phrogging, ovvero vivono nascosti nelle abitazioni altrui senza farsi scoprire (e questo, onestamente, è MOLTO più inquietante di tutto il resto), e se la fanciulla più esperta sa che non bisogna interagire con i padroni di casa, il suo compare novellino, interpretato peraltro da un meraviglioso Owen Teague ormai abbonato ai ruoli borderline di ragazzi disturbati, ritiene molto più divertente farli ammattire. Questa, tra l'altro non è che la punta dell'iceberg di un altro twist, che, sebbene mi abbia lasciata a bocca aperta tanto quanto il primo, ad un'analisi più fredda mostra qualche falla qui e là, la più macroscopica delle quali è: ma com'è possibile che nessuno dei due ragazzini rapiti anni prima riconosca il loro aguzzino quando non è cambiato di una virgola? A maggior ragione Teague avrebbe dovuto altro che pisciargli sopra, ma tagliargli la gola o dargli fuoco nell'armadio. In questo modo, mi rendo conto, il film sarebbe finito ben prima  e chi sono io per non appoggiare un po' di suspension of disbelief quando persino Mirco ha apprezzato I See You? Tra l'altro, le pellicole che conoscono i loro polli e amano giocare con lo spettatore e le sue convinzioni, se mantengono alta la tensione fino in fondo (penso all'orribile The Open House, che parte da inganni simili ma annoia dall'inizio alla fine e fa cadere i marroni sul finale), sono tra quelle che apprezzo di più, quindi mi tocca di nuovo decretare la superiorità di Prime che ci regala questi thriller horror non famosissimi ma meritevoli. 



Di Judah Lewis, che interpreta Connor Harper, ho già parlato QUI.


Adam Randall è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come iBoy. Anche sceneggiatore e produttore, ha 41 anni e un film in uscita.



Helen Hunt interpreta Jackie Harper. Americana, la ricordo per film come Twister, Qualcosa è cambiato, Cast Away e La maledizione dello scorpione di giada, inoltre ha partecipato a serie quali La famiglia Robinson, La donna bionica, Friends, Ellen e Innamorati pazzi; come doppiatrice ha lavorato in Capitan Planet e I Simpson. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 58 anni. 



Owen Teague interpreta Alec Travers. Americano, ha partecipato a film come Cell, It, It - Capitolo due e a serie quali Bones, Black Mirror e L'ombra dello scorpione. Ha 23 anni e due film in uscita. 



venerdì 12 marzo 2021

Non dormire nel bosco stanotte (2020)

E' il periodo degli horror adolescenziali ambientati in outdoor, questo. Dopo Get Duked! ho infatti recuperato Non dormire nel bosco stanotte (W lesie dziś nie zaśnie nikt) diretto e co-sceneggiato nel 2020 dal regista Bartosz M. Kowalski, disponibile su Netflix.

Trama: in un ritiro per ragazzi affetti da dipendenza da social, un gruppo di adolescenti viene portato in gita nel bosco, dove vengono fatti fuori da uno a uno da una coppia di energumeni deformi.

Non dormire nel bosco stanotte è una divertente belinata che passa per essere il primo slasher polacco. L'entusiasmo infuso dal regista nel realizzare l'operazione ed ottenere così l'invidiabile primato è palese e, dal mio umile punto di vista, fa perdonare un sacco di risoluzioni al limite del camp per quanto riguarda la trama, che poco ha da invidiare, onestamente, alle peggiori produzioni nostrane degli anni '80: il campo di "disintossicazione da social" (!) è gestito da matti, di cui uno doppiato in italiano con una perplimente "r" moscia, i personaggi fanno tutto ciò che non si dovrebbe fare in un horror, c'è un esilarante prete che decide di far prigioniero uno dei fanciulli invece di salvarlo e un vecchio che, pur conoscendo il segreto dei due energumeni non si sa per quale motivo, invece di partire e andare a dar fuoco alla casa che li ospita ha scelto di starsene anni chiuso nella propria, ad aspettarli col fucile in mano. Il fatto poi che i protagonisti siano adolescenti offre il fianco a parecchi stereotipi del genere, con l'immancabile ragazzino nerd che pare andare tanto per la maggiore in quest'epoca e la meravigliosa ragazzetta tutta sesso e storie instagram, ma c'è spazio anche per cliché che ci portiamo dietro dagli anni '70, tra tutti il bullo che bullo non è e ovviamente la final girl.


Non prendete tutto quello che ho scritto su come una critica però, ve ne prego. Per quanto riguarda i cliché, guardare Non dormire nel bosco stanotte è come indossare una calda copertina insanguinata e non c'è motivo di non passare una serata gradevole se si ha intenzione di stare al gioco sapendo per "cosa si è speso dei soldi"; per quanto riguarda invece le cose trash, basta essere un po' razzisti e pensare di stare guardando un film polacco, girato probabilmente da un mattacchione cresciuto a pane e quello che passava al convento sul mercato dell'home video del luogo. Kowalski è poco più giovane di me e le influenze che lo hanno formato si notano lontano un chilometro. Gli energumeni protagonisti e il gusto per il gore esagerato e un po' sciocchino sono presi quasi pari pari dalla saga di Hatchet, quella col bruto Victor Crowley in pettorina, e a proposito di gore esagerato ed ironia, non si può non notare "quella" botola sul pavimento che sembra uscita dritta dal casotto in mezzo al bosco di Evil Dead. Al momento in cui scrivo queste righe non ho idea di come sia andato il film sull'algoritmo Netflix e purtroppo non mastico il polacco ma grazie a Google Translate mi è parso di capire che Kowalski, pur volendo impegnarsi in qualcosa di nuovo, non disdegnerebbe l'idea di un sequel, visto il finale apertissimo. Posso dirlo? A me non dispiacerebbe affatto vederlo!

Bartosz M. Kowalski è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Polacco, ha diretto un altro lungometraggio, Playground. Ha 36 anni.


Se Non dormire nel bosco stanotte vi fosse piaciuto recuperate la trilogia de La casa e quella di Hatchet. ENJOY!

mercoledì 10 marzo 2021

Promising Young Woman (2020)

Anche se purtroppo non ha portato a casa alcun Golden Globe e anche se la sua uscita italiana è stata ulteriormente rimandata, è giunto il momento di parlare di Promising Young Woman, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Emerald Fennell. 


Trama: Cassandra è una trentenne che vive ancora coi genitori dopo aver mollato l'università anni prima. Di notte, la ragazza va nei club e attira gli uomini nelle sue grinfie...


Non so cosa mi aspettavo dalla visione di Promising Young Woman ma sicuramente sono rimasta spiazzata in senso positivo. Credevo il film sarebbe stato più horror in senso "grafico", invece contiene parecchio l'aspetto violento meramente fisico della vicenda e si concentra, come tutte le opere migliori, sulle conseguenze psicologiche di una violenza inflitta ai danni di altri e il modo in cui un trauma indelebile rischia di fare vittime collaterali incapaci di riprendersi. Ancora più apprezzabile è il modo in cui Emerald Fennell ha costruito il personaggio di Cassandra, la protagonista, così che lo spettatore sia costretto a scovare piccoli pezzetti della sua personalità, del suo passato e delle sue motivazioni, senza peraltro mai coglierle nella sua interezza e soprattutto senza una linearità: noi vediamo Cassandra attirare uomini fingendosi ubriaca per poi punirli per la loro volontà di approfittarsi di lei (senza sapere precisamente come), sappiamo che è successo qualcosa che le ha impedito di finire l'università, sappiamo che il trauma passato ha cristallizzato la sua esistenza privandola di un futuro roseo, ma tutti i dettagli veniamo a conoscerli poco a poco, in un crescendo scioccante che, se arriva a spiazzare noi, in qualche modo dà una regola a Cassandra, che comincia a fare proprio l'insegnamento di Kill Bill e si imbarca in una vendetta metodica.  


Promising Young Woman è dunque una sorta di rape and revenge ma, a differenza della maggior parte degli esponenti del genere, non si sofferma sull'aspetto catartico (o a sua volta quasi pornografico) della vendetta, perché si sporca di commedia nera, di echi anni '90 riportati persino in un dialogo sul finale, ed è per questo molto più tragico di altre pellicole a tema perché prende ogni oncia di cupo umorismo e la sfrutta per fare male allo spettatore. Se un paio di sequenze in particolare rimandano a quel trionfo che era Cose molto cattive, la Fennell non si fa problemi ad affermare che, giustamente, i tempi sono cambiati e che la sottesa giustificazione di una mascolinità tossica perché giudicata "simpatica", "burlona" e "scavezzacollo" non è più accettabile, soprattutto quando ad accoglierla a braccia aperte sono le donne stesse; là dove Cameron Diaz era complice della stupidaggine del marito e degli amici, qui ci sono Rettori donna ed ex studentesse che fanno qualcosa di molto simile e alle quali poco importa di andare a fondo della verità, basta che la loro vita scorra tranquilla e serena, che la loro comodità coincida anche e soprattutto con lo stigmatizzare come zoccola o ubriacona qualunque donna venga violentata "per gioco" e sputtanata online per lo stesso motivo. In tutto questo, Cassandra è quella che agli occhi altrui risulta sfigata e malata perché ha scelto di portare all'estremo l'empatia verso un'altra persona invece di andare avanti come se niente fosse. Cassandra non è mai cresciuta, non è mai uscita dall'università e la vita sua e quella della sua famiglia rispecchia quest'impossibilità di superare il suo trauma: la casa dei genitori è una bomboniera kitsch, la sua camera quella di un'adolescente, la colonna sonora (salvo la citazione di La morte scorre sul fiume) è un trionfo girlie anni '90, quanto al suo lavoro, il suo trucco e i suoi vestiti... beh, quelli meritano un paragrafo a parte. 


La missione di Cassandra a inizio film è quella di punire gli uomini. Tutti. Nella cornice di un Caffè alla moda, la protagonista tesse la sua tela e indossa una maschera rassicurante in aperto contrasto con alcune delle sue mise "da battaglia" serali; unghie multicolor dai colori pastello, camicette e maglioncini in perfetto stile dreamy, pantaloni e abiti svolazzanti (un paio li trovate online  e sì, sono molto costosi e sì, sono stati creati appositamente dalla sorella stilista della Fennell, Coco, spero vi si spezzi il cuore com'è successo a me, condannata a bramarli senza successo), trucco leggero e biondi capelli con frangetta, spesso legati da vezzosi nastri di raso. Nessuno potrebbe dire che Cassandra è una persona disturbata, men che meno pericolosa, così come nessuno potrebbe dire che la tizia ubriaca stravaccata sul divano in pelle del club in realtà non è poi così ubriaca. L'unico momento in cui Cassandra abbassa leggermente le difese è quando sboccia l'amore con Ryan, periodo "tranquillo" in cui possiamo intuire sprazzi della vera personalità della protagonista, probabilmente simpatica e arguta, scoppiettante come il giallo e il fucsia che dominano la sequenza musicale più divertente e carina dell'anno, ma è uno spazio temporale brevissimo, che sottolinea comunque la cura incredibile profusa da Emerald Fennell in ogni aspetto del suo splendido film. Poi, certo, molto fa una Carey Mulligan che normalmente già adoro ma che qui probabilmente ha ottenuto il ruolo della vita e che anima un personaggio capace di agghiacciare, commuovere e divertire senza perdere la sua fondamentale, tragica umanità. Non so se Promising Young Woman è già il film più bello dell'anno ma, di sicuro, è uno dei migliori.


Di Adam Brody (Jerry), Carey Mulligan (Cassandra), Clancy Brown (Stanley), Laverne Cox (Gail), Christopher Mintz-Plasse (Neil), Alison Brie (Madison), Connie Britton (Rettore Walker), Molly Shannon (Mrs. Fisher) e Alfred Molina (Jordan) ho già parlato ai rispettivi link.

Emerald Fennell è la regista e sceneggiatrice della pellicola, inoltre compare come host del tutorial sulle "labbra da pompino". Inglese, è al suo primo lungometraggio. Anche produttrice, ha 35 anni.


Tra le guest star del film segnalo Jennifer Coolidge, ovvero "la mamma di Stiffler di American Pie", qui nei panni di Susan. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Uomini che odiano le donne, (su Amazon Prime VideoElle (su praticamente ogni piattaforma streaming italiana) e M.F.A.. ENJOY!

martedì 9 marzo 2021

Il principe cerca figlio (2021)

Presa dal solito dovere di completezza, qualche giorno fa ho recuperato Il principe cerca figlio (Coming 2 America), diretto dal regista Craig Brewer e uscito da poco su Amazon Prime Video.


Trama: Akeem, diventato re di Zamunda, scopre di avere un figlio in America e si incarica di formarlo come suo erede.


La visione de Il principe cerca figlio rischia di essere frustrante a più livelli, soprattutto se siete fan accaniti de Il principe cerca moglie. Personalmente, dirò un'eresia, ma a livello di mero intrattenimento l'ho trovato superiore, non tanto per la trama o la realizzazione ma per una pura questione di ritmo: il film dura meno del predecessore e il personaggio di Lavelle, figlio di Akeem, è più scemo del padre, che ne Il principe cerca moglie passava buona parte del tempo a tirarsela, mentre il giovanotto è spesso clueless e accompagnato da parenti improbabili che vivacizzano ulteriormente la sua presenza a Zamunda. A pelle, nonostante sia scritto su un foglietto di carta velina, Lavelle mi è risultato quindi molto più simpatico di Akeem e, per quanto cartoonesco, il sequel presenta anche una sottotrama "avventurosa" che difettava all'originale, principalmente incentrato sulla commedia amorosa. Qui si ricollegano però tutti i difetti di una sceneggiatura antidiluviana, legata a un umorismo di grana grossa, molto anni '80, che risulta non solo anacronistico ma anche fastidioso e, ancor peggio, che non ha tenuto minimamente conto di un eventuale sviluppo dei protagonisti. Trent'anni sono passati e Akeem, lo stesso Akeem che era partito per l'America a cercare il vero amore, è diventato il re barbogio di un Paese dove hanno ricominciato a lanciare petali di rose ai piedi delle teste coronate e dove le donne contano quanto il due di coppe a briscola, tanto che persino Lisa, ex paladina delle fanciulle indipendenti e lavoratrici, è diventata una regina senza nerbo, dimentica delle sue radici americane e sedotta dai privilegi della nobiltà. In pratica, gli amati protagonisti de Il principe cerca moglie sono diventati (o forse lo sono sempre stati) due paraculi da primato che in trent'anni si sono coronati il loro sogno d'amore e basta, con tanti saluti alla possibilità di fare qualcosa per Zamunda, il che probabilmente era l'unico modo per reiterare tutte le gag del film precedente, "lavatrici reali" comprese.


In tempi di MeToo e con tutta l'attenzione portata al politically correct e alla non mercificazione della donna, la questione "lavatrici reali" è già di cattivo gusto, ma ne Il principe cerca figlio non è nemmeno la cosa più imbarazzante. A parte le figlie minori di Akeem, sono giusto la bella parrucchiera Mirembe e Lisa a non essere minimamente sessualizzate, per il resto c'è un tale trionfo di tette, culi e vajasseria assortita da rimanerci di tolla, soprattutto quando è in primis il personaggio di Meeka, figlia maggiore della coppia reale, peraltro interpretata dalla bellissima Kiki Layne, a sembrare un incrocio tra la Kardashian e Niki Minaj, solo un pelo più vajassa (aggiungo che ad aver fatto scandalo è la millantata imposizione di un personaggio bianco da parte degli studios, personaggio tra l'altro che si vede per 5 minuti e che risulta un omaggio carinissimo ai Dukes); non bastasse tutto ciò, che magari può dare fastidio solo a me, ci sono Eddie Murphy e Arsenio Hall che, nei panni di Akeem e Semmi, sembrano imbalsamati (già meglio quando omaggiano i vecchi personaggi come Clarence, Saul e compagnia, sempre divertenti da vedere), mentre Wesley Snipes come Generale Izzy è semplicemente imbarazzante, poveraccio. Ciò detto, staccando il cervello e tappandosi il naso, una serata spensierata la si passa, ma offrire il fianco alla tristezza e al disagio è proprio un attimo. Speriamo che Murphy non decida di girare il terzo capitolo all'età di 75 anni, come annunciato di recente.


Del regista Craig Brewer ho già parlato QUI. Eddie Murphy (Principe Akeem / Clarence / Saul / Randy Watson), Arsenio Hall (Semmi / Morris / Reverendo Brown / Baba), Leslie Jones (Mary Junson), Wesley Snipes (Generale Izzy), James Earl Jones (Re Jaffe Joffer), John Amos (Cleo McDowell) e Morgan Freeman (se stesso) li trovate invece ai rispettivi link.

Tracy Morgan interpreta zio Reem. Americano, comico del Saturday Night Live, ha partecipato a film come Jay & Silent Bob... fermate Hollywood!, Superhero - Il più dotato tra i supereroi e a serie quali Una famiglia del terzo tipo. Come doppiatore ha lavorato in Boxtrolls - Le scatole magiche e I Simpson. Anche produttore e sceneggiatore, ha 53 anni.  


Onestamente, non conosco per nulla Jermaine Fowler, che interpreta Lavelle, ecco perché non è nemmeno segnato nelle mini filmografie precedenti, mentre Kiki Layne, che interpreta Meeka, era la protagonista di Se la strada potesse parlare e Bella Murphy, come da cognome, è la figlia di Eddie e interpreta quella di mezzo di Akeem, Omma. Innumerevoli, inoltre, le guest star musicali: tra quelle che conosco persino io ci sono John Legend, che canta sui titoli di coda She's your queen e le Salt-n-Pepa. Ciò detto, se Il principe cerca figlio vi fosse piaciuto cercate Il principe cerca moglie e Una poltrona per due. ENJOY! 


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