venerdì 30 aprile 2010

La città verrà distrutta all'alba (2010)

Che sia ricominciata la stagione dell’horror? Chissà. Fatto sta che ultimamente sta uscendo parecchia roba, e ne uscirà ancora. Quindi, per non sapere né leggere né scrivere, ieri sono andata a vedere La città verrà distrutta all’alba (The Crazies) del regista Breck Eisner, remake dell’omonimo film diretto da Romero nel lontano 1973. Non ho mai visto l’originale, quindi le mie opinioni saranno viziate da ignoranza.


La trama: un virus biologico comincia ad infettare gli abitanti di una cittadina americana, rendendoli dei pazzi preda di istinti omicidi. I pochi rimasti immuni dal contagio dovranno cercare di uscire dal paese, infestato sia dagli infetti sia dai militari che vogliono contenere la malattia facendo piazza pulita dell’intera popolazione.


Conoscendo solo il remake non posso fare un confronto, quindi mi tocca prendere per “oro colato” quello che mostra il film di Eisner senza sapere se è fedele o meno allo spirito con cui Romero ha girato l’originale. Diciamo che come horror è molto ben fatto rispetto alla media di quello che passa adesso nei cinema, e a differenza di molti altri film di genere offre spaventi “intelligenti”. Cosa vuol dire questo? Che nel 99% dei casi lo spettatore scafato come me sa già quando premunirsi per evitare di saltare dalla sedia: basta una situazione banale (una minacciosa mietitrebbia accesa in un capanno buio, per esempio..), uno sguardo, una musica, e si sa che il colpo di scena è dietro l’angolo. Anche in La città verrà distrutta all’alba ci sono di questi momenti prevedibili, per carità, ma spesso la tensione viene “smorzata” proprio dalle aspettative che vengono deluse, lasciandoci così in fibrillazione a chiederci quando arriverà il colpo di scena, rendendolo molto più efficace.


Lasciando da parte per un attimo i meccanismi horror, quello che rende davvero inquietante e serrato questo film è il pessimismo che lo pervade dall’inizio alla fine. La città verrà distrutta all’alba comincia con un cinefilissimo rimando al finale del Dr. Stranamore di Kubrick, mostrandoci il destino della città “due giorni” dopo l’inizio dei fatti, scandito dalle note di We’ll Meet Again di Johnny Cash. Quindi, col senno di poi, lo stupido finale era già chiaramente intuibile fin dall’inizio del film. Ma la cosa che sconcerta è come viene mostrato il “contenimento” di un virus che è stato creato dallo stesso governo americano. Innanzitutto l’isolamento telefonico ed informatico della città, puntata dagli implacabili satelliti, quindi la brutale caccia dei soldati e dei dottori che rastrellano con metodi molto vicini a quelli nazisti (e il rimando ai campi di concentramento e ai treni che portavano gli Ebrei allo sterminio è fin troppo evidente..) sia infetti che sani, senza dare spiegazione alcuna e abbandonandoli al loro destino quando le cose si mettono male. Non è confortante il modo in cui viene dipinto il governo, se ci si pensa bene: d’accordo, è un horror, ma solitamente questo genere di film è lo specchio del disagio sociale, ed è inquietante vedere come di questi tempi venga mostrata la scelta consapevole (e subdola) di sterminare un’intera città. I villains del film sono innanzitutto i soldati ed l’invisibile autorità che li muove, in confronto gli infetti e il trio di cacciatori di umani sono degli agnellini.


Ho nominato lo stupido ed assurdo finale, su cui non aggiungo altro commento, se non che rovina un film che in generale non è troppo “esagerato”. I personaggi non sono dei supereroi, anche se chissà perché il vicesceriffo dal grilletto facile ha un tempismo e una mira quasi surreali e, cosa ancora più impossibile, la moglie incinta dello sceriffo si becca una catastrofe e uno spavento dietro l’altro senza neppure abortire, mentre il marito usa la propria mano accoltellata come arma impropria, nel complesso l’insieme è piuttosto credibile. Il regista non si risparmia un pizzico di ironico trash quando descrive un’imboscata dentro a un autolavaggio, con i protagonisti che si mettono ad urlare appena partono i getti d’acqua e le spazzole (paura che si rigasse la macchina? Può essere…), ma in generale il film è serissimo, gli omicidi dei “folli” sono realistici e crudeli ed alcune immagini fanno accapponare la pelle. Bravi gli attori, nonostante i personaggi in sé siano un po’ stereotipati; personalmente ho adorato il vicesceriffo (interpretato da un giovine inglese di nome Joe Anderson, che al di fuori del personaggio ha un aspetto praticamente efebico…) e il clima di incertezza che crea (sarà infetto o solo preda del panico.. mah??), ma l’assoluta genialità l’abbiamo nei personaggi del sindaco, che non vuole chiudere la fornitura idrica del paese fondamentalmente perché deve avere la sua piscina bella funzionante, e del funzionario governativo, che di fronte ai pochi sopravvissuti osa anche dire: “Vabbé, gente, ma che volete? Oh, noi abbiamo perso un AEREO!!”. Maledetto. Comunque, seriamente, il film mi è piaciuto, e adesso voglio assolutamente vedere l’originale.

Breck Eisner è il regista della pellicola. Californiano, ha diretto poche cose per ora, tra cui Sahara ed un episodio di Taken. Ha 40 anni e un film in uscita, Flash Gordon.


Timothy Olyphant interpreta lo sceriffo David Dutton. I fan della saga di Scream si ricorderanno dell’attore Hawaiano per la sua partecipazione al secondo capitolo; tra gli altri film cito Una vita esagerata, L’acchiappasogni e Die Hard – Vivere o morire; inoltre ha partecipato a telefilm come Sex and the City e My Name is Earl. Ha 42 anni.


Radha Mitchell interpreta la dottoressa Judy Dutton. Australiana, la ricordo per film come Neverland e Silent Hill. Ha 37 anni.


Tra gli altri attori faccio notare la protagonista dell’orrido remake di Venerdì 13, Danielle Panabaker, mentre i fan di vecchissima data di E.R. riconosceranno il Dr. Anspaugh, ovvero l’attore John Aylward, nello squallido sindaco della città. Ovviamente, non uscite subito dal cinema, ma aspettate almeno di arrivare alla metà dei titoli di coda, il film non è finito. E ora vi lascio con il trailer del film originale... ENJOY!!



sabato 24 aprile 2010

Iron Man (2008)

Siccome mi è stato chiesto,e siccome ho un po’ di tempo per scrivere, senza contare che tra poco uscirà il seguito che spero vivamente qualche pellegrino mi porterà a vedere, spendo qualche parola sul film Iron Man, girato nel 2008 dal regista Jon Favreau. I fan dei comics mi vorranno perdonare l’ignoranza con la quale affronto il compito, siccome non ho mai letto nulla sul personaggio.


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La trama: Tony Stark è un geniale e rampante magnate di un’industria produttrice di armi, donnaiolo ed egocentrico. Durante un attentato rimane in fin di vita, e si salva solo grazie ad una sorta di cuore artificiale inventato da uno scienziato, che produce un’energia enorme. In qualche modo, grazie al suo genio, riesce ad incanalare questa energia in una tecnologica armatura che usa per liberarsi dagli attentatori, che lo hanno fatto prigioniero. Tornato a casa, scopre che qualcuno nella sua azienda trama alle spalle per liberarsi di lui…


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Sono rimasta piacevolmente sorpresa da questo film. Intendiamoci, io sono di parte perché amo Robert Downey Jr., ovviamente, ma il mio amore era anche bilanciato dal fatto che i Vendicatori in generale ed Iron Man in particolare mi hanno sempre fatto cortesemente schifo. Non so per quale motivo, in effetti, li trovo semplicemente noiosi e pedanti, mentre gli X-men sono tanto più “umani”, imperfetti ed emozionanti. Questo film, per fortuna, non inserisce il personaggio di Tony Stark all’interno dell’universo dei Vendicatori, ma lo mantiene come supereroe in divenire, ancora a sé stante (anche se c’è una sorpresa dopo i lunghissimi titoli di coda...! Occhio!), quindi è gradevole sia per i fan che per chi del fumetto non sa nulla, come me. Secondo la massima di Stan Lee, “Supereroi con superproblemi”, all’inizio Stark è un cretinetto che sfrutta la sua genialità per ottenere successo, donne e denaro, senza preoccuparsi troppo del modo in cui ottiene queste cose, ovvero producendo e commerciando armi che, in quanto tali, non vengono usate solo per scopi “nobili” e “difensivi”. Quando sopraggiunge il “superproblema”, ovvero la quasi morte e la scoperta che la sua sopravvivenza dipenderà da una sorta di minireattore impiantato nel petto, ecco che Tony, pur rimanendo donnaiolo ed egocentrico, cambia e comincia seriamente a ripensare sé stesso e l’azienda, avendo testimoniato di persona come le sue armi vengano utilizzate per uccidere persone innocenti. Ovviamente, saranno proprio questi neonati scrupoli morali a causargli la maggior parte dei problemi.


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Come vedete, i valori di base e la trama sono molto semplici, e il film stesso è quello che si può definire un fumettone. Gli effetti speciali sono all’avanguardia, non fosse altro per il fatto che l’armatura, nonostante sia pacchiana da morire, risulta perfetta ed assolutamente credibile, le scene d’azione sono la struttura portante dell’intera pellicola, e il villain lascia un po’ il tempo che trova (anche se è interpretato da un irriconoscibile Jeff Bridges), è la banalità stessa del male; però questo Iron Man ha anche un’anima, ed è data proprio dall’interpretazione perfetta di Robert Downey Jr., che ci regala un Tony Stark vivo, vero, simpatico, casinista ma anche imperfetto, fin troppo umano. Le scaramucce con miss Pepper (interpretata da una Gwyneth Paltrow che, anche lì, a momenti non riconoscevo… si vede che a sto giro i miei occhi percepivano solo Robert Downey Jr…), momento “rosa” che rende il film gradevole anche per le femminucce (e per chi come me non capisce assolutamente la riottosità della miss in questione davanti a sto bel pezzo d’omo…), sono deliziose, e anche il rapporto di amore/odio che c’è tra Stark e il suo amico Rhodey è ben mostrato, così come palese è il desiderio di quest’ultimo di dare manforte all’amico, vestendo a sua volta i panni del supereroe (chissà che nel prossimo film… mah…). In definitiva Iron Man è un film che consiglio caldamente ai fan innanzitutto, ma anche a tutti quelli che volessero passarsi un’ora e mezza di puro intrattenimento, col cervello scollegato, senza trovarsi davanti delle orride cose trash (ogni riferimento a Ghost Rider è puramente casuale…).


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Di quel bravissimo gran pezzo di fico di Robert Downey Jr. ho già parlato qui, mentre Jeff Bridges, che interpreta Obadiah Stane lo trovate qui. Occhio, ripeto, al cameo di Samuel L. Jackson dopo i titoli di coda. Paul Bettany, già nominato qui, da la voce in originale al maggiordomo elettronico di Tony Stark, Jarvis, che nel fumetto mi pare però fosse un essere umano in carne ed ossa.


Jon Favreau è il regista della pellicola. Più conosciuto come attore che come regista, in verità (era nel cast dell’esilarante Cose molto cattive), tra i pochi film da lui realizzati segnalo il mediocre Elf e ovviamente Iron Man 2. Newyorchese, ha 44 anni e, come regista, un film in uscita. 


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Gwyneth Paltrow interpreta la fortunata Miss Pepper. L’attrice californiana, che a dire il vero non mi ha mai entusiasmata troppo, è diventata famosissima alla fine degli anni ’90, sia per la sua relazione con Brad Pitt che per una serie di film furbetti, romantici e costruiti praticamente apposta, vedi Shakespeare in Love (che le ha fatto scandalosamente vincere l’Oscar per migliore attrice protagonista nello stesso anno in cui era candidata anche Cate Blanchett per Elisabeth…) e Sliding Doors in primis. Tra le altre pellicole ricordo Hook – Capitan Uncino, Se7en, Delitto perfetto, Il talento di Mr. Ripley, I Tenenbaum, Amore a prima svista, Austin Powers in Goldmember e l’imminente Iron Man 2. Ha 38 anni e due film in uscita.


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Terrence Howard interpreta Rhodey. Americano, è una delle mille facce conosciute che di tanto in tanto popolano film con grossi calibri, senza dare troppo nell’occhio (tranne nel 2005 quando è stato nominato all’Oscar come miglior attore protagonista per il film Hustle & Flow), per esempio Sotto corte marziale. Ha partecipato ad episodi dei telefilm Otto sotto un tetto e NYPD ed ha anche doppiato il padre della protagonista de La principessa e il ranocchio. A differenza di Gwyneth Paltrow non ricomparirà nel seguito di Iron Man, infatti il suo personaggio sarà interpretato dall’attore Don Cheadle, aficionado della serie degli Ocean’s (aggiungere numero inglese a caso). Ha 41 anni e tre film in uscita.


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Curiosità assortite: la partner di Robert Downey Jr. in Sherlock Holmes, ovvero l’attrice Rachel McAdams, doveva interpretare Miss Pepper al posto di Gwyneth Paltrow. Quanto ai registi, nel ’99 era stato fatto addirittura il nome di Quentin Tarantino per dirigerlo (madòòò che figata!!!) e anche di Joss Whedon, che per chi non lo sapesse è il creatore e regista di due bellissime serie come Buffy e Dollhouse. Ovviamente, nel bel mezzo del film, come in tutte le altre pellicole tratte dai fumetti della Marvel, c’è un bel cameo di Stan Lee nei panni di un riccone che Tony scambia per Hugh Hefner. E ora vi lascio con un meraviglioso trailer... fatto con i Lego! ENJOY!!




giovedì 22 aprile 2010

Sweeney Todd (2007)

Dopo la parentesi “Crocieristica” (tra parentesi, io scherzavo nello scorso post, ma mi hanno assicurato che mi trovavo davvero sulla nave dove hanno girato Natale in Crociera… volevo morire, giuro!!) la Bolla torna a parlare di cinema. Tra gli ultimi film visti, o in questo caso RIvisti spunta lo splendido ed inquietante Sweeney Todd (Sweeney Todd – The Demon Barber of Fleet Street), girato dal buon Tim Burton nel 2007 e tratto non tanto dalle varie e probabilmente anonime opere letterarie inglesi del XIX secolo che trattavano l’argomento, quanto dal musical omonimo di Stephen Sondheim, portato a Broadway a partire dal 1979.


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La trama: dopo essere stato recluso in mezzo all’Oceano per anni, il barbiere Benjamin Barker torna a Londra sotto il nome di Sweeney Todd, deciso a portare avanti la sua vendetta contro il giudice Turpin, reo di averlo incarcerato solo per potere avere finalmente la moglie del barbiere, Lucy. Alleatosi con la sua vicina, Mrs. Lovett, proprietaria di uno scalcinato negozio di pasticci di carne, Todd riapre bottega e decide di vendicarsi a rasoiate non solo del giudice, ma dell’intera Londra, fornendo così alla donna l’ingrediente per creare dei pasticci davvero perfetti…


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Onestamente, non ho mai visto il musical originale, quindi non posso fare paragoni, ma devo dire che lo Sweeney Todd di Burton è veramente affascinante e anche parecchio inquietante. Ambientato in una Londra che il regista ha rappresentato squallida, povera, cupa, fumosa e sporca, specchio dell’animo di tutti gli abitanti che la popolano, questo racconto è il lato oscuro del film precedente del regista, Charlie e la fabbrica di cioccolato. Aprendo Sweeney Todd con una panoramica dei macchinari usati dal diabolico barbiere e seguendo il percorso che porta il sangue dalla sedia dove si adagiano le ignare vittime fino alle fogne, il regista riprende un’immagine simile a quella che apriva Charlie e la fabbrica di cioccolato, con il sangue al posto del cioccolato fuso. E ovviamente anche i valori sono ribaltati, nonostante si canti e si balli in entrambi i film: in Sweeney Todd le canzoni e la musica sono il grottesco contrappunto di una vicenda che di positivo e allegro non ha proprio nulla, tanto meno il protagonista principale.


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Visivamente, anche il look dei personaggi rispecchia la bruttura dei loro animi. Non c’è nessuno che si salvi, Johhny Depp in primis: Benjamin Barker è un uomo che è morto nel momento stesso in cui è stato incarcerato per un capriccio ed allontanato dalla moglie e dalla figlia (l’immagine della culla vuota e piena di ragnatele è emblematica e terribile), e la differenza tra l’uomo che era in passato e quello attuale è ben evidente. Chi torna a Londra è Sweeney Todd, un uomo mosso solo dal desiderio di vendetta, che a differenza però della Sposa di Quentin Tarantino perde di vista il cammino e compie un po’ troppe deviazioni. Il base al ragionamento della Sposa, Mr Todd avrebbe dovuto partire dall’usciere Bamford e arrivare al giudice Turpin (passando ovviamente per Pirelli, che era riuscito a riconoscerlo come Benjamin Barker..), ma la follia del Barbiere, alimentata anche dalle parole di Mrs. Lovett, che è il personaggio più negativo di tutta la storia, lo porta a far ricadere le colpe del suo destino ingrato su tutta Londra, “un buco oscuro e profondo abitato da parassiti”, e ad uccidere chiunque decida di entrare nella sua bottega per farsi radere.


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Ma, come dicevo, al di là del giudice Turpin che è un laido guidato solo dalle sue pulsioni sessuali e al di là dell’usciere che è semplicemente un servile lecchino, il villain del film è la squallidissima Mrs. Lovett (interpretata come al solito magistralmente da Helena Bonham Carter). Fin dalla prima inquadratura rappresentata come una strega più che una donna, meschina, approfittatrice, egoista e soprattutto avida: aiuta Sweeney Todd non per pietà ma per coronare il desiderio di averlo tutto per sé, visto che finalmente la moglie non c’è più. Quindi lo istiga nei suoi intenti omicidi per poter avere gli ingredienti per i suoi pasticci e superare così la concorrenza della maledetta Mrs. Mooney (che peraltro fa i pasticci con i gatti…); infine, come la strega di Hansel e Gretel, rinchiude nel sotterraneo anche il piccolo Toby, che era arrivato a considerarla come una madre ma anche a mettere in pericolo il suo matrimonio con Mr. Todd e la sua nuova e prospera attività, avendo cominciato ad intuire un po’ troppe cose. Gli unici due personaggi positivi, legati da reciproco amore e reciproche speranze, sono Anthony e Johanna, la figlia perduta di Sweeney Todd, anche se il loro destino, nel finale, è incerto.


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Al di là dell’innegabile bravura di regista e attori, il film è sorretto principalmente dalle bellissime canzoni. Ovviamente, per motivi di tempi e quant’altro, Burton non ha lasciato intatto tutto il libretto del musical, e ha sforbiciato qua e là, togliendo anche interi pezzi, senza però aggiungerne di nuovi, come era successo per esempio in Evita. I pezzi migliori secondo me sono “The Worst Pies in London”, “My Friends”, “Have a Little Priest”,“Pretty Women”, l’esilarante “By the Sea”, dove Depp e la Bonham Carter indossano degli improbabili costumini da bagno vittoriani, e poi la colonna sonora dell’inquietante macellata finale, la “Final Scene”, appunto. Johnny Depp ed Helena Bonham Carter sono dei cantanti bravissimi e molto azzeccati, ma la sorpresa è sentire innanzitutto Alan Rickman canticchiare un profondissimo “papparappappà” nel duetto di “Pretty Women” e poi anche Sacha Baron Coen improvvisarsi tenore nel pezzo cantato dal personaggio di Pirelli (brutalmente tagliato, ahimé..). Non fatevi ingannare dalla presenza della musica nel film: a differenza de La piccola bottega degli orrori, che nonostante i temi trattati ha tutto sommato delle immagini “soft”, qui il sangue scorre peggio che al Grand Guignol. Sangue rosso vivo sprizza a fiotti dalle carotidi recise, ma poi ci sono anche cervelli spappolati, carne macinata, pezzi di dita nelle pies… insomma, chi si impressiona facilmente si astenga, gli altri si preparino a vedere un film davvero bello!


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Notizie sul regista Tim Burton le trovate qui, di Johnny Depp invece ho parlato qui, Helena Bonham Carter la trovate qua, mentre Alan Rickman è ormai una presenza ricorrente del Bollalmanacco e potete leggere di lui in questi post. Segnalo anche l’apparizione speciale di Anthony Stewart Head (è il signore che dopo la sfida tra Sweeney Todd e Pirelli chiede al vincitore dove ha la bottega), il Signor Giles di Buffy, di cui ho già parlato nel post dedicato a Repo! The Genetic Opera.


Timothy Spall interpreta l’usciere del tribunale, il “beadle” Bamford. Specializzato in ruoli di viscido e servile bastardo, l’attore inglese è diventato universalmente conosciuto per aver interpretato Peter “Codaliscia” Minus nella saga di Harry Potter (di cui sta per uscire il penultimo capitolo, la prima parte del doppio Harry Potter e i doni della morte); tra gli altri suoi film ricordo Il té nel deserto, Hamlet, il particolarissimo Vatel, Vanilla Sky, L’ultimo samurai e Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi. Ha prestato la sua voce per il doppiaggio originale di Galline in fuga e per quello dell’Alice in Wonderland di Tim Burton (era il cane, Bayard), inoltre ha partecipato ad alcuni episodi di Le avventure del giovane Indiana Jones. Ha 53 anni e sette film in uscita, tra cui il già citato Harry Potter e i doni della morte.


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Sacha Baron Coen interpreta il ciarlatano Adolfo Pirelli. Chi mi conosce sa che io non tollero molto quest’attore comico; il suo personaggio più famoso, ovvero il rapper Ali G, mi è sempre stato cordialmente sulle palle, e Borat non l’ho mai voluto guardare, anche se ammetto che il suo Brüno avrebbe potuto essere sufficientemente trash, abbastanza da rientrare nelle mie grazie. L’ho apprezzato però in altri ruoli che esulassero dai suoi personaggi tipici, come quando ha doppiato il mitico re Julien in Madagascar oppure quando ha recitato in Talladega Nights – The Ballad of Ricky Bobby. Ultimamente ha anche doppiato un episodio de I Simpson. Inglese, ha 39 anni e un film in uscita, The Invention of Hugo Cabret, diretto nientemeno che da Martin Scorsese.


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Una curiosità: in origine doveva essere Sam Mendes, il regista di American Beauty, a dirigere il film, con Russell Crowe come protagonista (con tutto il rispetto, temo sarebbe uscito uno schifido e patinato musicarello…). Anne Hathaway, che ha poi comunque recitato in un film di Tim Burton con Alice in Wonderland, avrebbe dovuto essere Johanna, mentre per il ruolo di Mrs. Lovett erano state considerate, tra le altre, la bravissima Meryl Streep (troppo vecchia, secondo me..) e Cindy Lauper, che avrebbe trasformato il film in un cult trash; nel musical di Broadway da cui è stato tratto il film, invece, era nientemeno che la signora in giallo per eccellenza, Angela Lansbury, ad interpretarla! Inoltre, siccome i reduci da Harry Potter presenti nel film non erano abbastanza, sappiate che anche l’interprete di Anthony, Jamie Campbell Bower, è stato “impelagato” negli ultimi due film della saga, ed interpreterà la nemesi giovanile di Silente, Grunwald. Comunque, se vi è piaciuto Sweeney Todd, e adorate le storie di sanguinose vendette, date assolutamente un’occhiata a Kill Bill (anche se non voglio credere che qualcuno non l’abbia ancora visto…). E ora vi lascio con la meravigliosa Angela Lansbury che fa una Mrs Lovett ancora più grottesca e vajassa di quanto non sia quella del film... davvero, ENJOY!!




giovedì 15 aprile 2010

Il Bollalmanacco On the Road: Barcellona - Palma di Maiorca - Ajaccio

Eccoci qui di nuovo con la rubrica che unisce cinema e viaggio, che purtroppo non curo tanto quanto vorrei. Questa volta la Bolla si fa il regalo di compleanno e parte per una piccola crociera “per siuri” (giusto per citare il sempre degno Alan Ford) che toccherà Barcellona, Palma de Mallorca e Ajaccio. Tralasciando titoli ovvi come Natale in crociera, che non guarderei nemmeno se mi costringessero, e un tira – jella come il più famoso Titanic di James Cameron, spero davvero di non fare la fine dei malcapitati all’inizio dell’horror Ghost Ship, con Gabriel Byrne, che si ritrovano segati in due proprio durante una cena di gala su una nave.


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Al di là di queste amene ed ottimistiche prospettive, vediamo un po’ se i luoghi che visiterò sono stati set di qualche film, importante o meno. La Spagna è luogo di provenienza di alcuni dei più famosi registi al mondo, tra cui il controverso Pedro Almodovar o il recente cantore dell’horror catalano Jaume Balaguerò, senza contare attori come Pénelope Cruz o il suo compagno Javier Bardem. Le famose Ramblas di Barcellona, nella fattispecie, hanno fatto da set a parecchi film, anche piuttosto recenti. Una delle ultime pellicole di Woody Allen, Vicky, Cristina, Barcellona vede le due star spagnole sopra citate recitare assieme alla bionda Scarlett Johansson. Non l’ho visto, non amo molto Allen, ma chi lo ha fatto ha detto che è molto bello, quindi rimedierò, magari proprio al ritorno dalla mia visita. Rimanendo nei territori che più mi sono congeniali, ovviamente non mancherò di cercare il palazzo infestato dove Balaguerò ha girato Rec e il suo seguito, Rec2. Inaspettatamente, anche Profumo - Storia di un assassino è stato girato in parte a Barcellona (e mi piacerebbe sapere dove, in effetti…) e anche The Orphanage, due film che ho visto, apprezzato, e di cui ho già parlato sul Bollalmanacco.


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Un altro film splendido, che mostra luoghi meravigliosi come la Sagrada Familia è Tutto su mia madre di Almodovar, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero nel 1999 e che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero vedere; Almodovar, e so che ora mi ucciderete, non mi fa impazzire, ma Tutto su mia madre merita davvero, e anche La mala educaciòn, sempre dello stesso regista e sempre ambientato a Barcellona, è molto bello, ma forse un po’ “crudo”, e decisamente non per tutti. Per chi volesse qualcosa di più “pruriginoso” c’è un film di Bigas Luna con un titolo che è tutto un programma, ovvero Prosciutto Prosciutto (mai visto, dovrò informarmi con l’amico Toto che sicuramente non se l’è perso XD), mentre chi si sente intellettuale nell’animo e non disdegna raffinati “polpettoni” vorrà sapere che anche Professione: Reporter di Michelangelo Antonioni, conJack Nicholson, è stato girato in parte a Barcellona. Il mio massimo sollucchero invece è sapere che attraccherò allo stesso porto dove un tempo giunse anche la storica Love Boat… “Mare, profumo di maareeee!!!”.


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Per quanto riguarda Palma di Maiorca, pare che sia una location molto quotata anche da produzioni tedesche e persino giapponesi. Noi italiani la portammo agli onori nazionali nel 1960, quando il regista Giorgio Bianchi prese due grandissimi attori come Alberto Sordi e Gino Cervi per girare il suo Brevi amori a Palma di Majorca. Sicuramente, non uno dei film più memorabili di Albertone, una classica commedia all’italiana dell’epoca, basata su amori impossibili e fuggevoli. Inoltre sembra che, al momento, stiano girando in loco un action thriller inglese, per la regia di una povera disgraziata al suo secondo film (il primo era una biografia, credo la duecentesima, su Lady Godiva… ho paura…).


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Niente da fare invece per Ajaccio, che a quanto pare non è rinomata meta cinematografica, nemmeno per francesi o italiani. In compenso, ogni anno, si tiene lì un festival del cinema italiano. E ora vi lascio con una storica chicca trash... la sigla di Love Boat!! ENJOY!


martedì 13 aprile 2010

Tagli al personale (2006)

Passate le vacanze pasquali, nonostante i problemi di connessione persistano in maniera alquanto seccante, quale modo migliore di ricominciare a scrivere sul blog se non con un simpatico slasher inglese dal titolo italiano assai particolare, ovvero Tagli al personale (Severance), diretto nel 2006 da Christopher Smith? Che resti tra noi, al momento spererei che un destino simile possa capitare a chiunque lavori in Telecom, ma andiamo avanti…


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La trama: alcuni dipendenti della Palisade, un’azienda produttrice di armi, intraprendono un viaggio aziendale in Ucraina, così da cementare lo spirito di gruppo attraverso gioiose attività “formative”. Tra reciproci punzecchiamenti, odi nemmeno tanto latenti, concupiscenze, spinelli e funghi allucinogeni, i nostri sbagliano strada, complice anche un impauritissimo ed incomprensibile autista, e finiscono per ritrovarsi non già nel rifugio extralusso che avrebbe dovuto ospitarli, bensì in uno squallido e pericolante edificio in mezzo al bosco. E lì comincia la mattanza…


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Ho già detto parecchie volte su questo blog che io non amo gli slasher, soprattutto quelli americani. Noiosi, banali, si aspetta solo che la vittima sacrificale crepi e che si passi a quella dopo. Già i francesi calcano di più la mano, creando però dei mostri che persino io difficilmente riesco ad apprezzare, da tanto sono pesanti, sanguinolenti e realistici. Questo Severance, invece, lì per lì non parrebbe neppure uno slasher, ma una di quelle ironiche e pungenti commedie inglesi, incentrata sugli screzi tra colleghi di lavoro: c’è l’impiegata straniera, bionda e concupita, il ragazzetto perdigiorno concentrato solo sulle escort e le droghe che potrà trovare nel paese stranero, il nerd patito del lavoro di gruppo, l’impiegato “rampante” e in carriera, disgustato da tutto e tutti, il capo incapace di farsi rispettare senza gettarti in faccia la sua autorità, ecc. Certo, l’inizio in medias res non lascia dubbio alcuno sulla natura di Severance, visto che uno dei personaggi viene subito appeso come un capretto e come tale sventrato, però subito dopo l’atmosfera pesante viene alleggerita con abbondanti dosi di humour inglese e soprattutto dialoghi divertentissimi.


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Il bello di Severance è proprio questo continuo mescolare i generi, che sovverte anche le regole canoniche dell’horror. Viene dissacrata ogni situazione “tipica”, a partire da quella più classica che coinvolge un’enorme tarantola sulla spalla di una delle protagoniste (e che si risolve in maniera decisamente inaspettata…) fino ad arrivare alle soluzioni più estreme per conservare arti amputati o per uscire da profonde trappole, e queste sono solo alcune delle mille macabre gag di cui si compone il film. Che peraltro non è esente da scene drammatiche o da pugno nello stomaco, sia ben chiaro: l’esecuzione col lanciafiamme oppure la lenta tortura di uno dei protagonisti sono terribili, e le immagini sono comunque molto realistiche, sostenute da validi effetti speciali. Una cosa molto positiva è che non ci sono “superuomini” nel film: la sfiga colpisce chiunque, buoni o cattivi (che sono tutt’altro che immortali) ed il regista fa molta attenzione anche ai piccoli dettagli, come un dente che salta, una pietra troppo pesante da sollevare, e così via.


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Diversamente da altri film simili, Severance è registicamente curatissimo, e molto particolare. Io vado matta per la sequenza in cui, a tavola, viene raccontata con tre punti di vista e stili differenti, l’ipotetica storia del rifugio in cui i malcapitati protagonisti vengono a trovarsi: la prima volta ci viene mostrato un film muto e in bianco e nero, con tanto di pianoforte in sottofondo e didascalie (nonché attore praticamente identico a Nosferatu…)… la seconda volta l’atmosfera è quella più vicina a un horror moderno, mentre la terza volta lo stile e quello che ci si potrebbe aspettare da un soft – porno, a seconda della natura che viene conferita al rifugio, ex manicomio, ex base militare oppure ex ospizio gestito da infermiere ninfomani. Oltre a quest’idea originale ci sono anche la soggettiva filtrata dagli occhi di una testa mozzata, citazioni da 2001 Odissea nello spazio (il ragazzo allucinato dai funghi che si alza e si gira solo per vedere il suo corpo ancora seduto), un’esilarante sequenza che coinvolge uno sboronissimo (e inutile) tentativo di salvataggio con bazooka, e un uso della bella colonna sonora decisamente appropriato. Secondo me Severance è un film che potrebbe piacere tantissimo a chiunque sia un minimo appassionato di horror. Gli animi sensibili però si astengano.


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Di Andy Nyman ho già parlato qui. Della serie, Dr. Jeckyll e Mr. Hyde: il suo dolcissimo e sfortunato personaggio, Gordon, fa a pugni con lo schifoso produttore che ha interpretato in Dead Set, ma è altrettanto esilarante.


Christopher Smith è regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto un altro horror, molto meno bello, Creep – Il chirurgo. Ha 40 anni e un film in uscita.


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Laura Harris interpreta Maggie. L’attrice canadese ha recitato in It, Frequenze pericolose, The Faculty, inoltre la troviamo in serie come X-Files, I viaggiatori, Oltre i limiti, 24, CSI e nel film tv tratto dalla serie Sabrina – Vita da strega. Ha 34 anni.


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Se vi è piaciuto il genere e avete un po’ di pelo sullo stomaco, date un’occhiata anche a Hostel di Eli Roth, anche se l’umorismo è decisamente più rozzo e grebano, così come le torture più pesanti, oppure al bellissimo ma altrettanto devastante La casa del diavolo di Rob Zombie. Per la cronaca, “Severance” in inglese indica sia il taglio che il licenziamento, quindi per una volta il titolo italiano è fatto bene e rispetta il gioco di parole dell’originale. Intanto vi lascio con un trailer per una volta italiano, tanto per cambiare!! ENJOY!!




giovedì 1 aprile 2010

I Love Radio Rock (2009)

Dopo tanti film horror, seri, trash, e chi più ne ha più ne metta, finalmente riesco a parlare di una bella commedia. Oddio, bella è riduttivo… diciamo che questo I Love Radio Rock (The Boat That Rocked), inglesissimo film girato nel 2009 da Richard Curtis, potrebbe anche essere annoverato nell’Olimpo dei miei film cult.


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La trama: Carl è un adolescente che viene spedito dalla madre, come punizione per essere stato sorpreso a fumare a scuola, a “lavorare” su una barca gestita da un suo conoscente. Peccato che quella barca è la sede di una radio pirata, Radio Rock, ed è abitata da un gruppo di scoppiatissimi dj. I giorni del ragazzo così cominciano a passare tra musica, ragazze e “lezioni di vita”, mentre il compassato governo inglese cerca di fare chiudere per sempre la Radio…


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In un cinema come quello odierno, dove ogni film che passano dev’essere o un polpettone pieno di effetti speciali (meglio se in 3D), o un remake, o talmente demenziale e raffazzonato da non valere nemmeno i soldi del biglietto, un film come I Love Radio Rock è una ventata d’aria pura. Grazie ad una trama semplice e anche molto ingenua (peraltro, anche se il film non è tratto da una storia vera, le radio pirata esistevano, e alcuni avvenimenti di I Love Radio Rock, come il matrimonio sulla barca o il naufragio, sono capitati davvero su altre navi simili, all’epoca), dove ogni cosa alla fine si risolve in modo “cool”, a tarallucci e vino, e i cattivi fanno la figura dei fessi mentre i buoni si godono la vita fino in fondo, lo spettatore riesce a rilassarsi e anche ad appassionarsi alle storie dei singoli personaggi che vengono curati benissimo, da quelli più carismatici a quelli più sfigati. Gente come Il Conte, “Il dottore”, Bob il barbone, la cuoca lesbica, il dj in cerca dell’amore vero, il capitano della nave dandy, sono gli amici che tutti vorremmo avere, gli “zii e papà” con in quali vorremmo essere cresciuti.


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I personaggi risultano vivi e carismatici grazie ad attori bravissimi (il film ha davvero un cast di tutto rispetto), che sostengono una valida sceneggiatura e dei dialoghi esilaranti. E ovviamente un film simile non potrebbe esistere senza una colonna sonora di tutto rispetto, che scandisce ogni secondo della pellicola, introdotta dalle voci dei dj che lavorano 24 ore su 24. Brani dei Beach Boys, The Who, Jimi Hendrix, Cat Stevens, Dusty Springfield e, nei titoli di coda, la bellissima Let’s Dance di David Bowie, che ci conferma come dopo gli anni ’60 il Rock fosse tutt’altro che “debellato”… anzi!! Assieme ovviamente alla soundtrack e agli attori, quello che più ho amato del film però sono i costumi, i balletti in cui di tanto in tanto si impegnano i protagonisti; l’idea di mostrare le reazioni degli ascoltatori dell’epoca “in diretta” ovvero mentre i dj parlano, creando la sensazione di vedere questa sorta di enorme famiglia formata da groupies e semplici fan che ridono, piangono, ballano e vivono al ritmo di rock; e infine la scena che più ho amato (oltre a quella del matrimonio d’interesse, of course!!), ovvero la contrapposizione tra le due cene di Natale: quella chiassosa e divertente sulla barca e quella triste e moscia della famiglia del ministro (un irriconoscibile ed esilarante Kenneth Branagh) con la moglie che allo scoppio di un piccolo petardo sobbalza ed esala “uuh, quante emozioni per una sera!”. Al di là di tutto, comunque, anche l’unica, lunga scena d’azione che c’è verso la fine è fatta benissimo e lascia con il fiato sospeso come la pericolosa sfida tra il Conte e il Re… se l’avessi vista al cinema, data l’impressione che mi fanno le scene girate in luoghi sospesi nel vuoto, credo che avrei distolto lo sguardo! L’unico mio rimpianto è quello di non averlo visto in lingua originale, credo meriti davvero anche se il doppiaggio è fatto molto bene. Rimedierò!


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Del mitico Nick Frost ho già parlato qui, e devo dire che è un piacere per una volta vederlo in un ruolo che non sia relegato a quello di “spalla” dell’altrettanto mitico Simon Pegg. Un altro attore che è spesso collaboratore dei due comici è il bravissimo Bill Nighy, di cui ho parlato invece qui.


Richard Curtis è regista e sceneggiatore del film. Neozelandese, ha all’attivo come regista solo questo film e Love, Actually, mentre come sceneggiatore dobbiamo ringraziarlo per parecchi episodi dello storico Mr. Bean. Ha 54 anni.


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Philip Seymour Hoffman interpreta il Conte. Famosissimo attore americano, interprete di molti dei più bei film dell’ultimo decennio nonché vincitore di un premio Oscar come miglior attore protagonista per Capote (l’unico film, ahimé, che mi ha fatta addormentare al cinema, ma avevo la febbre ed era senza sottotitoli…), lo ricordo anche in Scent of a Woman – Profumo di donna, Twister, Boogie Nights – L’altra Hollywood, Il grande Lebowski, Patch Adams, Magnolia, Il talento di Mr. Ripley, Red Dragon, La 25sima ora, … e alla fine arriva Polly. Ha 43 anni.


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Kenneth Branagh interpreta Sir Alistair Dormandy. Grande attore e regista inglese, legatissimo a fedeli trasposizioni cinematografiche di grandiose e famose opere di Shakespeare, lo ricordo per film come Frankenstein di Mary Shelley (di cui era anche regista), Othello, Hamlet (anche regista), Wild Wild West e Harry Potter e la camera dei segreti. Ha 50 anni e sta girando come regista l’ennesimo film tratto dai comics della Marvel, Thor.


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Jack Davenport interpreta il viscido Dominic Pirlott. Attore inglese che i più ricorderanno per il ruolo di Norrington nella trilogia de I pirati dei Caraibi, ha partecipato anche a film come Creature selvagge, Il talento di Mr. Ripley e The Libertine. Ha 37 anni.


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Emma Thompson interpreta Charlotte. Famosissima attrice inglese vincitrice di un Oscar come miglior protagonista per Casa Howard e anche di uno per la sceneggiatura di Ragione e sentimento (era stata anche nominata, per lo stesso film, come attrice non protagonista), tra le sue altre pellicole cito Nel nome del padre, Ma dov’è andata la mia bambina?, Junior; la splendida serie TV Angels in America, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e Harry Potter e l’ordine della fenice. Ha 51 anni.


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Una curiosità: il cognome dell’assistente/lecchino del ministro, in italiano è stato tradotto in Pirlott, ma in originale è Twatt. “A twat”, by the way, è un coglione, o uno stronzo, fate vobis. Cambiando argomento, invece, Rhys Ifans, che interpreta il “Re” Gavin Cavanagh, molto probabilmente parteciperà all’atteso Harry Potter e i doni della morte, nei panni dello stordito padre di Luna, Xenophilius Lovegood. E ora vi lascio al trailer del film… ENJOY!!  




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